Le strade
di Addis Abeba (sopra), ma nel paese africano ci si sposta per lo più su piste
di terra battuta (foto sotto)
(ASAPS) ADDIS ABEBA (ETIOPIA), 29 gennaio 2008
– L’Etiopia è uno dei paesi più poveri al mondo. L’Abissinia, come la
chiamavano i nostri antenati durante l’unica (e poco gloriosa) pagina coloniale
italiana, è lo stato africano più antico, ed oggi – nel dopoguerra con la vicina Eritrea –
deve vedersela con un altro conflitto, quello sulle strade. Nonostante la
modestissima rete viaria ed un parco veicolare che non supera le 220mila unità,
l’Etiopia – che conta una popolazione di circa 81 milioni di persone – registra
oltre 2.500 vittime all’anno, 114 ogni 10mila veicoli. Siamo ai livelli di
maggior pericolosità registrati nel pianeta: tanto per azzardare un confronti,
basti pensare che in Italia , secondo le ultime stime dell’ACI, risultano
circolanti 46.329.114 veicoli, con 5.669
morti registrati da Istat nel corso del 2006. “È una situazione terribile – ha
detto all’agenzia AFP Shibiru Kelbesa, capo dell’Autorità per la Sicurezza Stradale
– soprattutto tenendo conto del numero di veicoli cirolanti. Pensate cosa
sarebbe se avessimo i milioni di veicoli che hanno gli altri stati. In più,
oltre al numero di morti, dobbiamo fare i conti con 60 milioni di dollari
bruciati ogni anno per le cure e le invalidità riportate”. La sensibilità sta però cambiando. Nonostante ci sia da andare poco fieri della
parentesi coloniale italiana, le poche strade del paese vennero costruite dai
genieri dell’Esercito Italiano e da quelli delle Camicie Nere e l’incapacità
della Repubblica Democratica Federale di darsi una fisionomia viaria ha
aggravato le terribili carestie degli anni scorsi. Terminata la guerra di
confine con l’Eritrea, però, il turismo è divenuta l’arma di riscatto per Addis
Abeba e proprio nei dintorni della capitale si è dato slancio allo sviluppo dei
trasporti. Ma allora, se i veicoli sono pochi, a cosa può
essere attribuito un numero di morti così elevato? Senza dubbio alla vetustà
dei veicoli ed alla condizione infrastrutturale, ma secondo gli esperti locali
la maggior parte degli eventi mortali è dovuto all’imperizia dei conducenti,
carenti di formazione, ed al mancato rispetto delle regole. A ciò si aggiunga
che il servizio di emergenza sanitaria territoriale è praticamente inesistente
e la mancanza di soccorsi e di interventi qualificati moltiplicano all’ennesima
potenza il tasso di mortalità e di esiti invalidanti. Centinaia di vittime sono
costituite dai pedoni, falciati come birilli, mentre un numero consistente di
vittime è legato ad incidenti con investimento di animali. Insomma, un vero e proprio caos, aggravato
dalla mancanza di un codice della strada: la legislazione stradale esistente è
stata redatta oltre un trentennio fa, tanto che il porto delle cinture di
sicurezza o del casco non sono contemplati. Allo studio delle autorità c’è però una
politica di progressiva messa in sicurezza, indispensabile per dare ad una meta
turistica tra le più belle del mondo anche quelle garanzie di sicurezza che i
tour operator esigono. “È nostra precisa intenzione rivoluzionare il
sistema – ha detto ai giornalisti dell’Agence France-Presse il ministro dei
trasporti etiope Junedi Sado – partendo intanto dal rispetto delle norme che
sono vigenti, arrivando presto ad una regolamentazione del traffico, a nuove
procedure per il conseguimento delle patenti di guida ed a strade più
efficienti. In questo modo speriamo di poter portare il tasso di mortalità a 57
vittime ogni 10.000 veicoli nei prossimi due anni”. In sostanza, dimezzare la mortalità: per fare
questo, il 2008 sarà in Etiopia un anno pieno di impegni. È stato recentemente
approvato l’obbligo della revisione periodica dei veicoli più vecchi,
istituendo una sorta di “rottamazione” – probabilmente mutuata dall’Italia –
che prevede l’abbattimento delle tasse per l’acquisto di mezzi nuovi. La
scommessa più ardua è però legata allo sviluppo delle infrastrutture, con
progetti esecutivi per la realizzazione di 58mila chilometri di strade che si
aggiungeranno ai 42mila già esistenti, il tutto entro i prossimi 5 anni.
(ASAPS)
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