L’art. 157 c.p. sulla prescrizione è stato
profondamente modificato dall’art. 6 della Legge
251/2005. A seguito della modifica, il primo e il quinto comma del
medesimo articolo prevedono che “I. La prescrizione estingue il reato
decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla
legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a
quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena
pecuniaria” e “V. Quando per il reato la legge stabilisce pene diverse
da quella detentiva e da quella pecuniaria, si applica il termine di tre anni”.
La portata del quinto comma dell’articolo in esame non sembrava
lasciare alcun dubbio sul fatto che si trattasse dei reati di competenza
esclusiva del Giudice di Pace (rectius delle pene che dovrà applicare il
Giudice di Pace), ma la Corte Costituzionale, con la sentenza interpretativa n. 2 del 2008, ha affermato invece che “…nel
diritto vigente, le pene cosiddette paradetentive non sono previste dalla Legge
come sanzioni applicabili in via esclusiva per determinati reati …ma
costituiscono l’oggetto di una opzione che il Giudice può compiere in
alternativa ad altre…” e quindi il quinto comma dell’art. 157 c.p. non concerne affatto i reati di competenza del
Giudice di Pace. Quindi, “il quinto comma dell’art. 157 c.p., con la relativa previsione di un termine
triennale per la prescrizione, si riferisce invece a reati che non siano puniti
con una pena detentiva o pecuniaria, e quindi, in definitiva, i reati per i
quali le pene paradetentive siano previste dalla Legge in via diretta ed esclusiva”
(Corte Costituzionale, sentenza 2/2008). La
Corte Costituzionale non dice però quali siano i reati per i quali è prevista
la pena paradetentiva come diretta ed esclusiva.
Vi è chiara l’impressione come il Giudice delle Leggi abbia voluto
“forzatamente” salvare l’art. 157 c.p., e soprattutto il suo quinto comma, da una
sentenza di illegittimità che invece gran parte degli operatori del diritto si
aspettava. L’attuale legislazione, quindi, prevede termini di prescrizione di
tre anni per le pene paradetentive e di sei anni per i delitti che prevedono la
pena pecuniaria. Conseguentemente, la pena pecuniaria, che dovrebbe essere
considerata meno grave di quella paradetentiva, ha un termine di prescrizione
praticamente doppio rispetto ad una pena considerata molto più grave. A seguito della sentenza 2/2008, al Giudice di Pace non rimane
che applicare sempre e comunque il termine prescrizionale previsto dal primo
comma dell’art. 157 c.p., e ritenere inesistente il quinto
comma dell’articolo per le cosiddette pene paradetentive.
Prescrizione – tempo necessario – competenza del giudice
di pace – illegittimità – insussistenza [art. 157, comma III, c.p.]
I reati di competenza del giudice di pace, per i quali la previsione
edittale concerne invariabilmente la pena pecuniaria (in alternativa alla quale
può essere discrezionalmente irrogata, in alcuni casi soltanto, una pena
«para-detentiva»), non costituiscono oggetto della norma di cui al quinto comma
dell’art. 157 cod. pen.. Il quinto comma dell’art. 157 cod. pen., con la relativa previsione di un termine
triennale per la prescrizione, si riferisce invece a reati che non siano puniti
con una pena detentiva o pecuniaria, e quindi, in definitiva, a reati per i
quali le pene «para-detentive» siano previste dalla legge in via diretta ed
esclusiva.
Corte Costituzionale Sentenza 18 gennaio 2008, n. 2
REPUBBLICA
ITALIANA IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori: Franco BILE | Presidente | Giovanni
Maria FLICK | Giudice | Francesco
AMIRANTE | ” | Ugo DE
SIERVO | ” | Paolo
MADDALENA | ” | Alfio
FINOCCHIARO | ” | Alfonso
QUARANTA | ” | Franco
GALLO | ” | Luigi
MAZZELLA | ” | Gaetano
SILVESTRI | ” | Sabino
CASSESE | ” | Maria Rita
SAULLE | ” | Giuseppe
TESAURO | ” | Paolo Maria
NAPOLITANO | ” |
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo e
quinto comma, del codice penale, come sostituiti dall’art. 6 della legge 5
dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975,
n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di
comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di
prescrizione), promossi con ordinanze del 21 marzo 2006 dal Tribunale di
Perugia, del 27 aprile 2006 dal Tribunale di Reggio Emilia, del 6 settembre
2006 dalla Corte di cassazione e del 14 febbraio 2007 dal Tribunale di
Grosseto, sezione distaccata di Orbetello, rispettivamente iscritte ai nn. 415
e 436 del registro ordinanze del 2006 ed ai nn. 112 e 399 del registro
ordinanze del 2007, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica, n. 43, prima serie speciale, dell’anno 2006, edizione straordinaria
del 2 novembre 2006, e nn. 12 e 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 dicembre 2007 il Giudice
relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Perugia in composizione monocratica, con
ordinanza del 21 marzo 2006 (r.o. n. 415 del 2006), ha sollevato – in
riferimento all’art. 3 della Costituzione – questione di legittimità
costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del codice penale, come sostituito dall’art.
6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge
26 luglio 1975, n. 354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di
giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e
di prescrizione), nella parte in cui non dispone che il termine triennale di
prescrizione, previsto per i reati puniti con pena diversa da quella detentiva
e da quella pecuniaria, si applichi anche agli ulteriori reati di competenza
del giudice di pace. Il rimettente illustra come si proceda, nel giudizio principale,
per reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, commessi in epoca
antecedente all’entrata in vigore del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.
274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma
dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), e dunque rimessi,
secondo la disciplina transitoria dello stesso d.lgs. n. 274 del 2000, alla
cognizione del tribunale in composizione monocratica. Per i reati in questione
sono peraltro già applicabili, in forza della citata disciplina transitoria
(artt. 63 e 64), le «nuove» sanzioni introdotte con riguardo, appunto, agli
illeciti penali attribuiti alla competenza del giudice di pace. Nel caso di
specie – secondo l’ulteriore premessa del Tribunale – la dichiarazione di
apertura del dibattimento è intervenuta dopo l’entrata in vigore della legge n.
251 del 2005, con la conseguenza che dovrebbe trovare applicazione, se più
favorevole, la nuova disciplina dei termini prescrizionali (comma 3 dell’art.
10 della stessa legge n. 251 del 2005). Il giudice a quo ritiene che il termine triennale previsto
dal testo riformato del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. – che si riferisce
ai reati per i quali «la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da
quella pecuniaria» – riguardi proprio gli illeciti attribuiti alla competenza
del giudice di pace, se punibili con le sanzioni della permanenza domiciliare o
del lavoro di pubblica utilità (sanzioni cosiddette «para-detentive», in quanto
né detentive né pecuniarie). Infatti, ove diversamente intesa, «la norma
risulterebbe inapplicabile, in quanto priva di qualsivoglia concreto
riferimento». Il Tribunale assume, in particolare, che dovrebbe farsi
applicazione del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. anche nei casi in cui la
sanzione «para-detentiva» sia prevista in alternativa a quella pecuniaria: il
fatto che in concreto il giudice possa irrogare solo la seconda non esclude
infatti, a parere del rimettente, che la previsione edittale investa anche la
sanzione «diversa», e che valga pertanto il termine prescrizionale di tre anni,
in luogo di quello più lungo che il primo comma dello stesso art. 157 cod. pen.
prevede per i reati puniti con pene detentive o con la sola pena pecuniaria. Tutto ciò premesso, il giudice a quo rileva che la
disciplina della prescrizione per i reati di competenza del giudice di pace
sarebbe «platealmente irragionevole». Infatti, per i fatti puniti unicamente
con la sanzione pecuniaria, il termine sarebbe pari a quattro anni o a sei anni
(a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti), mentre gli illeciti più
gravi, per i quali è applicabile anche (o solo) una sanzione coercitiva della
libertà personale (ancorché non detentiva), sarebbero suscettibili di estinzione
nell’arco di un triennio. Ciò in specifico contrasto con l’aspettativa di un
«oblio sociale dell’illecito» più o meno tempestivo a seconda della portata
dell’offesa, e comunque con il criterio di un più marcato interesse punitivo
per i fatti di maggior gravità. Il Tribunale pone in rilievo come la denunciata anomalia si
riscontri anche per sequenze di progressione nell’offesa ad un medesimo bene:
nel caso di percosse senza lesioni – fatto punibile a norma dell’art. 581 cod.
pen. con la sola pena pecuniaria – il reato si prescrive in sei anni, mentre,
se le stesse percosse provocassero lievi lesioni personali (punibili anche con
la permanenza domiciliare, o con il lavoro di pubblica utilità, a norma
dell’art. 582 cod. pen.), il termine per l’estinzione del reato sarebbe ridotto
a tre anni. Secondo il giudice a quo, l’irrazionalità della disciplina
dovrebbe essere eliminata attraverso una parificazione dei termini
prescrizionali per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, in
particolare estendendo a tutti la previsione del quinto comma dell’art. 157
cod. pen. L’allineamento del termine sui valori più elevati sarebbe infatti
precluso dall’inammissibilità di interventi manipolativi in malam partem,
trattandosi nella specie di materia interessata da riserva di legge. Una
prescrizione particolarmente sollecita, d’altra parte, sarebbe congrua con
quella connotazione di «diritto mite» che segnerebbe, appunto, la giurisdizione
penale di pace. Il Tribunale illustra, da ultimo, la rilevanza della questione
nella fattispecie sottoposta al suo giudizio. All’imputato è ascritto un reato
di lesioni personali per il quale, essendo comminata anche la sanzione
«para-detentiva», dovrebbe pervenirsi ad una sentenza dichiarativa
dell’intervenuta prescrizione. Gli ulteriori reati contestati (minaccia ed
ingiuria), puniti con la sola pena della multa, non sarebbero invece ancora
prescritti, pur presentando rilievo minore. L’invocata pronuncia di
illegittimità del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. implicherebbe che anche
i fatti meno gravi, tra quelli ascritti all’imputato, resterebbero esenti da
pena per la sopravvenuta prescrizione.
1.1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con
atto depositato il 13 novembre 2006. Secondo la difesa erariale, la questione proposta è «inammissibile
e infondata», pur prescindendo «dall’irrilevanza in questo stato del
procedimento […] posto che il procedimento non si trova avanti il giudice
competente e posto che non viene concretamente in discussione l’entità della
effettiva pena e la sua applicabilità». Il rimettente – a giudizio dell’Avvocatura generale – muoverebbe
da una soluzione interpretativa non ineluttabile, e cioè che i reati di
competenza del giudice di pace, quando puniti con la sola pena pecuniaria, si
prescrivano nei termini indicati al primo comma dell’art. 157 cod. pen. Al
contrario, anche in chiave di interpretazione «adeguatrice», dovrebbe ritenersi
che la norma appena citata non riguardi le pene pecuniarie applicate dal
giudice di pace, e che anche i reati sanzionati con tali pene ricadano, di
conseguenza, nella previsione del quinto comma del citato art. 157. A sostegno del proprio assunto, la difesa erariale osserva come il
legislatore, fin dall’approvazione della legge 24 novembre 1999, n. 468
(Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374, recante istituzione del giudice
di pace. Delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace
e modifica dell’articolo 593 del codice di procedura penale), abbia inteso
creare per la giustizia penale di pace un «microsistema sanzionatorio», con
caratteristiche di forte peculiarità. Da questa scelta sarebbe scaturito il
sostanziale superamento della distinzione tra delitti e contravvenzioni, ed
avrebbe preso vita un sistema di pene principali (sanzione pecuniaria,
permanenza domiciliare, lavoro di pubblica utilità) con un autonomo regime di
applicazione nella fase cognitiva come in quella dell’esecuzione. Per i reati
trasferiti alla cognizione del giudice di pace, il legislatore non avrebbe
semplicemente previsto un meccanismo di sostituzione delle sanzioni, ma avrebbe
operato una novazione delle disposizioni sanzionatorie per ciascuna delle
fattispecie incriminatrici interessate. Dunque la pena pecuniaria inflitta dal
giudice di pace non consisterebbe in una multa o in un’ammenda, quanto
piuttosto in un novum, ancora non collocato come tale in norme di
carattere generale ma non per questo meno originale rispetto alle sanzioni
regolate dal codice penale. A conferma dell’assunto, tra l’altro, il rilievo che, in caso di
omissione del pagamento, non si dà luogo alla conversione nelle pene della
libertà controllata o del lavoro sostitutivo – secondo quanto disposto per la
multa e per l’ammenda dal combinato disposto dell’art. 136 cod. pen. e
dell’art. 102 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema
penale) – ed opera invece un autonomo meccanismo di conversione, che investe le
sanzioni «para-detentive» applicabili dallo stesso giudice di pace (art. 55 del
d.lgs. n. 274 del 2000). La circostanza che la sanzione pecuniaria inflitta dal
magistrato di pace non possa mai dar luogo all’esecuzione di pene detentive
dimostrerebbe, a parere dell’Avvocatura, la sua sostanziale estraneità alla
«previsione unificante» dell’art. 17 cod. pen. Sarebbe significativa, nella prospettazione della difesa erariale,
anche la previsione che, ricorrendo determinate aggravanti per alcuni reati, la
competenza del giudice di pace venga meno e restino applicabili,
correlativamente, le sanzioni «ordinarie» già comminate dalla legge (comma 3
dell’art. 4 del d.lgs. n. 274 del 2000). In definitiva, il primo comma dell’art. 157 cod. pen. farebbe
«riferimento ai soli reati che sono devoluti alla competenza del giudice
ordinario, per i quali rimane ferma la distinzione fra delitti e
contravvenzioni e fra pene detentive e pene pecuniarie di cui al combinato
disposto degli artt. 17 e 29 cod. pen.». Per converso, riferendosi a reati
puniti con pene diverse da quella detentiva o pecuniaria, il quinto comma del
citato art. 157 comprenderebbe «tutti i reati per i quali il legislatore ha
previsto un sistema sanzionatorio del tutto autonomo rispetto a quello previsto
dal codice penale, dovendosi ritenere del tutto irrilevante il ricorso ad una
terminologia simile, come nel caso della pena pecuniaria».
2. – Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica,
con ordinanza del 27 aprile 2006 (r.o. n. 436 del 2006), ha sollevato – in
riferimento all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale
dell’art. 157, primo comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge
n. 251 del 2005, nella parte in cui assoggetta ai più lunghi termini di
prescrizione in esso previsti, anziché ad un termine triennale, i reati di
competenza del giudice di pace puniti con la sola pena pecuniaria. Il rimettente, che procede per i reati di ingiuria e minaccia,
chiarisce che la propria competenza è radicata dalla disciplina transitoria di
cui all’art. 64 del d.lgs. n. 274 del 2000 (la quale prevede, in combinazione
con il successivo art. 65, che i reati trasferiti alla competenza del giudice
di pace siano conosciuti dal giudice ordinario se commessi prima del 2 gennaio
2002, data di entrata in vigore del citato decreto legislativo). Sempre a
titolo di premessa, poi, il Tribunale illustra alcuni enunciati a carattere
interpretativo. Le sanzioni della permanenza domiciliare e del lavoro di pubblica
utilità sarebbero comprese nella previsione del quinto comma dell’art. 157 cod.
pen., in quanto diverse da quelle detentive e da quelle pecuniarie.
Risulterebbe irrilevante, a tale proposito, l’eventuale previsione cumulativa o
alternativa di pene pecuniarie, dato che il quarto comma dello stesso art. 157
dispone in tal senso con norma a carattere generale. Neppure potrebbe essere proposta, a parere del rimettente, una
assimilazione delle pene «para-detentive» a quelle detentive, con conseguente
inapplicabilità del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. Il primo comma
dell’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000, in effetti, dispone che «per ogni
effetto giuridico la pena dell’obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di
pubblica utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente
a quella della pena originaria». Tuttavia, nel testo attualmente vigente, il
quinto comma dell’art. 157 cod. pen. dovrebbe qualificarsi come legge
posteriore e speciale rispetto alla norma appena evocata, prevalendo su di essa
e stabilendo di conseguenza, per i più gravi tra i reati assegnati alla
competenza del giudice di pace, un termine di prescrizione triennale. Una
diversa soluzione, capace di sottrarre i reati di competenza del giudice di
pace alla nuova disposizione in tema di prescrizione, varrebbe ad escludere per
la stessa ogni ambito di concreta applicazione, e potrebbe essere adottata solo
a fronte di segnali ermeneutici insuperabili, che nella specie farebbero
difetto. Per i fatti più gravi, tra quelli rimessi alla cognizione del
magistrato onorario, il termine prescrizionale sarebbe dunque pari a tre anni.
La soluzione opposta si imporrebbe, in modo altrettanto ineluttabile, quanto ai
reati puniti con la sola pena pecuniaria, riconducibili alla previsione del
primo comma dell’art. 157 cod. pen. e dunque suscettibili di prescrizione in un
tempo pari almeno a quattro anni. Una tale disciplina, per la sua palese irrazionalità, violerebbe
l’art. 3 Cost. Prosegue allora il Tribunale: «se è vero […] che la Corte
costituzionale non può sostituirsi al legislatore e alla sua discrezionalità
nell’individuare il congruo termine di prescrizione per tale tipologia di
reati, è pur vero che, per ricondurre il sistema a un minimo di razionalità –
che consenta di ritenere rispettato il principio di uguaglianza – è sufficiente
che il termine di prescrizione per i reati puniti con la sola pena pecuniaria
di competenza del giudice di pace sia non maggiore di quello previsto per gli
altri e più gravi reati rientranti nella medesima competenza». In punto di rilevanza, il rimettente osserva che solo l’eventuale
dichiarazione di illegittimità della norma censurata, nel senso auspicato
nell’ordinanza di rimessione, comporterebbe un immediato effetto estintivo per
i reati contestati nel giudizio a quo.
2.1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con
atto depositato il 21 novembre 2006. A parere della difesa erariale, la questione proposta è
«inammissibile e infondata», pur prescindendo «dall’irrilevanza in questo stato
del procedimento della questione posto che nel procedimento non viene
concretamente in discussione l’entità della effettiva pena e la sua
applicabilità». Dovrebbe infatti ritenersi che il primo comma dell’art. 157 cod.
pen., a differenza di quanto sostenuto dal rimettente, non riguardi le pene
pecuniarie applicate dal giudice di pace, e che, di conseguenza, anche i reati
sanzionati con tali pene ricadano nella previsione del quinto comma dello stesso
art. 157. A sostegno dell’assunto vengono proposti rilievi essenzialmente
coincidenti con quelli illustrati nell’atto di intervento prodotto per il
giudizio r.o. n. 415 del 2006, cui già sopra si è fatto riferimento.
3. – La Corte di cassazione, sezione feriale, con ordinanza del 6
settembre 2006 (r.o. n. 112 del 2007), ha sollevato – in riferimento all’art. 3
Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma,
cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, nella parte
in cui prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la
legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria. Il giudizio principale è stato introdotto dal ricorso proposto
contro una decisione di merito con la quale è stata dichiarata, in applicazione
della norma censurata, l’intervenuta prescrizione dei reati di ingiuria e
minaccia. Secondo il pubblico ministero ricorrente, per evitare il paradosso di
un termine prescrizionale particolarmente breve proprio per i più gravi tra i
reati di competenza del giudice di pace, dovrebbe per essi ritenersi
applicabile la disposizione del primo comma dell’art. 157 cod. pen. Il giudice a quo non ritiene esistano margini per una
interpretazione «adeguatrice», che escluda i reati punibili con la permanenza
domiciliare od il lavoro di pubblica utilità dall’ambito di applicazione della
norma censurata. L’art. 52 del d.lgs. n. 274 del 2000 istituirebbe una sorta di
summa divisio tra i reati già puniti con la multa e l’ammenda, per i
quali continuano ad applicarsi le pene previgenti, e gli ulteriori reati
trasferiti alla competenza del giudice di pace, per i quali soltanto sono state
introdotte, appunto, pene diverse in luogo di quelle detentive. D’altro canto
la disposizione del successivo art. 58, secondo cui le sanzioni di nuova
introduzione «per ogni effetto giuridico si considerano come pena detentiva
della specie corrispondente a quella originaria», sarebbe destinata ad operare
in sede «squisitamente applicativa», e non sul piano edittale. Non a caso, si osserva dalla Corte rimettente, in epoca
antecedente alla riforma dell’art. 157 cod. pen. la giurisprudenza aveva più
volte stabilito che, per i reati di competenza del giudice di pace puniti in
via alternativa con la pena pecuniaria o quella «paradetentiva», dovesse
applicarsi il termine prescrizionale previsto dal quinto comma della norma, che
all’epoca riguardava le contravvenzioni punite con la pena dell’arresto. In definitiva, l’attuale disciplina collegherebbe ai reati più
gravi, tra quelli attribuiti alla cognizione del magistrato onorario, un
termine prescrizionale più breve di quello previsto per i fatti meno gravi. Si
tratterebbe di una scelta priva di razionalità intrinseca e tale da vulnerare,
nel contempo, il principio di ragionevolezza ed il canone della uguaglianza,
presidiati dall’art. 3 Cost. L’aporia introdotta nel sistema non sarebbe
sorretta da alcun «valore, esigenza o ratio essendi intrinseca alla
intera disciplina che il legislatore ha inteso novellare». Proprio l’assenza di
«causa» renderebbe «irragionevole», e per ciò stesso arbitraria, la scelta di
un regime che necessariamente finisce per omologare tra loro situazioni diverse
o, al contrario, per differenziare il trattamento di situazioni analoghe (è
citata qui la sentenza della Corte costituzionale n. 89 del 1996). In base a tali premesse la Corte di cassazione manifesta il dubbio
che il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. sia illegittimo nella parte in cui
prevede che, quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella
detentiva e da quella pecuniaria, si applichi il termine prescrizionale di tre
anni. Da ultimo il rimettente – riferendosi alle date del commesso reato
e della sentenza dichiarativa della prescrizione, separate da un lasso di tempo
inferiore ai sei anni – evidenzia come la questione sia rilevante nel giudizio a
quo.
3.1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con
atto depositato il 5 aprile 2007. Secondo la difesa erariale, la questione proposta è «inammissibile
e infondata». Dovrebbe infatti ritenersi che il primo comma dell’art. 157 cod.
pen., a differenza di quanto sostenuto dal rimettente, non riguardi le pene
pecuniarie applicate dal giudice di pace, e che, di conseguenza, anche i reati
sanzionati con tali pene ricadano nella previsione del quinto comma dello
stesso art. 157. A sostegno dell’assunto vengono proposti rilievi
essenzialmente coincidenti con quelli illustrati nell’atto di intervento
prodotto per il giudizio r.o. n. 415 del 2006, cui già sopra si è fatto
riferimento.
4. – Il Tribunale di Grosseto in composizione monocratica, con
ordinanza del 14 febbraio 2007 (r.o. n. 399 del 2007), ha sollevato – in riferimento
all’art. 3 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo
comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005,
nella parte in cui assoggetta ai più lunghi termini di prescrizione in esso
previsti, anziché ad un termine triennale, i reati di competenza del giudice di
pace puniti con la sola pena pecuniaria. Nel giudizio principale si procede per il reato di cui al primo
comma dell’art. 612 cod. pen. (minaccia non aggravata), rimesso alla competenza
del giudice di pace (anche se giudicato dal tribunale per effetto delle
disposizioni transitorie concernenti i fatti antecedenti all’entrata in vigore
del d.lgs. n. 274 del 2000). Il rimettente osserva che, per i delitti attribuiti alla
cognizione del magistrato onorario e puniti con la sola pena pecuniaria, il
primo comma dell’art. 157 cod. pen. prevede un termine prescrizionale di sei
anni, mentre lo stesso termine sarebbe pari a tre anni, in applicazione del
successivo quinto comma, per i reati puniti anche mediante la permanenza
domiciliare od il lavoro di pubblica utilità. Le sanzioni citate da ultimo,
infatti, sono «diverse» da quelle detentive e da quelle pecuniarie. In nulla
rileverebbe, d’altra parte, l’equiparazione di effetti giuridici stabilita dal
primo comma dell’art. 58 del d.lgs. n. 274 del 2000: a parte il rilievo che
ogni «equiparazione» marca la differenza fra gli elementi posti a raffronto, la
norma in questione presenterebbe natura «generale e suppletiva», e dunque
troverebbe applicazione solo in assenza di una disciplina espressa, dovendo
invece soccombere di fronte alla previsione del nuovo quinto comma dell’art.
157 cod. pen., definito quale «norma speciale prevalente» per quanto concerne
il regime della prescrizione. La disposizione dettata per le «pene diverse», secondo il
rimettente, sarebbe priva di significato applicativo se non riferita, appunto,
ai reati di competenza del giudice di pace. D’altronde la legge differenzia
sotto molti profili gli «effetti giuridici» della pena detentiva e quelli delle
sanzioni «para-detentive», escludendo ad esempio la sussistenza del delitto di
evasione in caso di violazione delle prescrizioni inerenti alla permanenza
domiciliare (art. 56 del d.lgs. n. 274 del 2000), o precludendo la sospensione
condizionale per l’esecuzione delle pene inflitte dal giudice di pace (art. 60
dello stesso d.lgs.). L’applicazione del quinto comma dell’art. 157 cod. pen. non
potrebbe neppure essere esclusa, secondo il giudice a quo, sul
presupposto che le sanzioni «para-detentive» sarebbero sempre irrogabili in
alternativa a quelle pecuniarie, per le quali è previsto un più lungo termine
prescrizionale. Nei casi di contestazione della recidiva reiterata
infraquinquennale, a norma del comma 3 dell’art. 52 del d.lgs. n. 274, sono
infatti applicabili le sole pene «para-detentive». Se è vero che la
disposizione può essere superata, agli effetti del trattamento sanzionatorio,
mediante il giudizio di comparazione con attenuanti, va considerato, a parere
del rimettente, che il concorso dell’aggravante con circostanze di segno
opposto è irrilevante nel computo dei termini prescrizionali (terzo comma
dell’art. 157 cod. pen.). A parere del Tribunale, la constatazione evidenzia nella massima
misura l’irrazionalità del sistema, coinvolgendo reati particolarmente gravi,
anche nei profili inerenti alla persona del colpevole, in una previsione di
termini prescrizionali ben più favorevole di quella concernente i reati di
gravità più ridotta. Il rimettente non ignora come la Corte di cassazione, muovendo dal
medesimo presupposto interpretativo, abbia ritenuto che l’aporia del sistema
debba essere emendata espungendo la disposizione sul termine prescrizionale più
breve (è richiamata espressamente l’ordinanza r.o. n. 112 del 2007). Egli
ritiene però che due considerazioni impongano, al contrario, l’estensione di
tale termine a tutti i reati di competenza del giudice di pace. In primo luogo,
infatti, una manipolazione che implicasse un effetto peggiorativo violerebbe la
riserva di legge in materia penale. D’altra parte una soluzione che estendesse
i termini brevi sarebbe ben più congrua, per gli illeciti in questione, di
quella che li parificasse ai termini previsti per i reati di competenza del
giudice professionale. Non solo, infatti, i reati attribuiti alla cognizione
del magistrato onorario sono generalmente meno gravi degli altri. La
prescrizione più veloce corrisponderebbe anche alla più breve durata delle
indagini preliminari, ed alla generale snellezza delle forme e degli adempimenti
che caratterizzano il procedimento innanzi al giudice di pace. Di qui l’opinione del rimettente che la censura non debba
riguardare il quinto comma dell’art. 157 cod. pen., bensì il primo, nella parte
in cui non prevede che, per i reati puniti con sanzione pecuniaria e rimessi
alla competenza del magistrato onorario, il termine prescrizionale sia pari a
tre anni (sia identico, cioè, a quello previsto dal quinto comma per gli
ulteriori reati di analoga competenza). Ad avviso del Tribunale lo stesso risultato non potrebbe essere
raggiunto con una «interpretazione adeguatrice», che estenda analogicamente il
quinto comma dell’art. 157 cod. pen. ai reati puniti con sanzione pecuniaria,
se attribuiti alla cognizione del giudice di pace. L’analogia presuppone che la
materia da regolare sia priva di specifica disciplina, mentre il primo comma
dell’art. 157 cod. pen. contiene una disposizione direttamente e chiaramente
riferibile ai reati in questione.
4.1. – Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con
atto depositato il 26 giugno 2007. Secondo la difesa erariale, la questione proposta è infondata.
Dovrebbe ritenersi, contrariamente a quanto sostenuto dal rimettente, che il
primo comma dell’art. 157 cod. pen. non riguardi le pene pecuniarie applicate
dal giudice di pace, e che anche i reati sanzionati con tali pene ricadano, di
conseguenza, nella previsione del quinto comma dello stesso art. 157. A
sostegno dell’assunto vengono proposti rilievi essenzialmente coincidenti con
quelli illustrati nell’atto di intervento prodotto per il giudizio r.o. n. 415
del 2006, cui già sopra si è fatto riferimento.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Perugia dubita, in riferimento all’art. 3
della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto
comma, del codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre
2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354,
in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione
delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella
parte in cui non dispone che il termine triennale di prescrizione, previsto per
i reati puniti con pena diversa da quella detentiva e da quella pecuniaria, si
applichi anche a tutti gli ulteriori reati di competenza del giudice di pace. Il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. è oggetto di censura,
sempre in rapporto all’art. 3 Cost., anche da parte della Corte di cassazione,
in quanto prevede un termine prescrizionale di tre anni quando per il reato la
legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, così
sottraendo alla disciplina generale, che configura termini più lunghi, una
parte soltanto dei reati attribuiti alla competenza del giudice di pace, e
segnatamente i più gravi. I Tribunali di Reggio Emilia e Grosseto dubitano della legittimità
costituzionale del primo comma dell’art. 157 cod. pen., come a sua volta
sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005, poiché la norma, in
asserito contrasto con l’art. 3 Cost., assoggetta ai più lunghi termini di
prescrizione in essa previsti, anziché ad un termine triennale, i reati di
competenza del giudice di pace puniti con la sola pena pecuniaria.
2. – Tutte le questioni sollevate, sebbene riferite in parte a
norme diverse, e per quanto segnate da sostanziali differenze nel petitum,
sono riconducibili allo stesso oggetto, cioè al regime dei termini
prescrizionali scaturito dalla riforma dell’art. 157 cod. pen. per ciò che
concerne i reati di competenza del giudice di pace. I relativi giudizi, dunque,
possono essere trattati congiuntamente.
3. – Preliminarmente devono essere disattese le eccezioni di
inammissibilità sollevate dalla difesa erariale. La rilevanza della questione
nei rispettivi giudizi a quibus è plausibilmente motivata nelle
ordinanze di rimessione, sia con riferimento alla competenza dei giudici
rimettenti, radicata in base alla disciplina transitoria per i fatti anteriori
all’entrata in vigore del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274
(Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14
della legge 24 novembre 1999 n. 468), sia con riguardo all’immediata efficacia
delle previsioni sanzionatorie di cui all’art. 52 dello stesso decreto
legislativo, dalla quale discende la necessità di applicare, in ipotesi, la
normativa concernente la prescrizione dei reati puniti con pene diverse da
quelle detentive o pecuniarie.
4. – Le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla
Corte di cassazione e dai Tribunali di Perugia, Reggio Emilia e Grosseto non
sono fondate nei sensi di seguito specificati.
4.1. – Il dubbio di costituzionalità sottoposto dai rimettenti a
questa Corte nasce dalla ritenuta irragionevolezza della disciplina che
scaturirebbe dalla formulazione dell’art. 157 cod. pen., come novellato dalla
legge n. 251 del 2005: alcuni tra i reati di competenza del giudice di pace,
quelli di minore gravità, in quanto puniti con la sola pena pecuniaria, si prescriverebbero
in quattro o sei anni (a seconda che si tratti di contravvenzioni o delitti),
in base alla previsione del primo comma dell’articolo citato, mentre gli altri,
di maggiore gravità, in quanto puniti con pene diverse da quella detentiva e da
quella pecuniaria, sarebbero assoggettati al più breve termine prescrizionale
di tre anni, previsto dal quinto comma del medesimo articolo. Questa Corte deve rilevare che il dubbio di cui sopra è frutto di
un erroneo presupposto interpretativo.
4.2. – Il quinto comma dell’art. 157 cod. pen. dispone che il
termine di tre anni si applica ai reati per i quali «la legge stabilisce pene
diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria». Nel diritto vigente le
pene cosiddette «para-detentive» non sono previste dalla legge come sanzioni
applicabili in via esclusiva per determinati reati, secondo la testuale dizione
della norma codicistica appena richiamata, ma costituiscono l’oggetto di
un’opzione che il giudice può compiere in alternativa ad altre: alla irrogazione
della pena pecuniaria, secondo le prescrizioni contenute nel comma 2 dell’art.
52 del d.lgs. n. 274 del 2000, oppure all’applicazione congiunta della sanzione
detentiva e pecuniaria, come per la detenzione illegale di stupefacenti di
lieve entità da parte del tossicodipendente o del consumatore (comma 5-bis dell’art.
73 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, recante «Testo unico delle leggi in
materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione,
cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza», introdotto
dall’art. 4-bis del decreto-legge 30 dicembre 2005, n. 272, recante
«Misure urgenti per garantire la sicurezza ed i finanziamenti per le prossime
Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità dell’Amministrazione dell’interno.
Disposizioni per favorire il recupero di tossicodipendenti recidivi e modifiche
al testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e
sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di
tossicodipendenza, di cui al d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309», convertito, con
modificazioni, nella legge 21 febbraio 2006, n. 49). La considerazione che precede induce a ritenere che i reati di
competenza del giudice di pace, per i quali la previsione edittale concerne
invariabilmente la pena pecuniaria (in alternativa alla quale può essere
discrezionalmente irrogata, in alcuni casi soltanto, una pena
«para-detentiva»), non costituiscono oggetto della norma di cui al quinto comma
dell’art. 157 cod. pen. Né varrebbe obiettare che il comma 3 dell’art. 52 del
d.lgs. n. 274 del 2000 prevede l’applicazione esclusiva ed obbligatoria delle
pene «para-detentive» nei casi di recidiva reiterata infraquinquennale, giacché
non si tratta di previsione legislativa corrispondente ad una o più fattispecie
di reato, bensì di una disposizione particolare, legata ad una specifica
condizione soggettiva e indipendente dal titolo del reato in contestazione.
Tale norma non contraddice pertanto la regola generale, ancora valida
nell’ordinamento vigente, secondo cui i reati di competenza del giudice di pace
si contrassegnano per essere sempre punibili con la pena pecuniaria (sia pur
suscettibile, in dati casi e a certe condizioni, di cedere il passo ad una
sanzione «para-detentiva»). Il quinto comma dell’art. 157 cod. pen., con la relativa
previsione di un termine triennale per la prescrizione, si riferisce invece a
reati che non siano puniti con una pena detentiva o pecuniaria, e quindi, in
definitiva, a reati per i quali le pene «para-detentive» siano previste dalla
legge in via diretta ed esclusiva. Quanto alla recidiva reiterata infraquinquennale, sarebbe illogico
ritenere che la sua ricorrenza nel caso concreto comporti, senza peraltro
implicare variazioni qualitative o quantitative della previsione sanzionatoria,
la configurazione di un’autonoma fattispecie di reato, caratterizzata in punto
di prescrizione da un regime più mite di quello del reato semplice
corrispondente.
4.3. – L’irrilevanza della previsione edittale della pena
pecuniaria, a fini di applicazione del quinto comma dell’art. 157 cod. pen.,
non potrebbe essere desunta da una pretesa eterogeneità della multa o
dell’ammenda applicabili per i reati di competenza del giudice di pace rispetto
ai corrispondenti modelli sanzionatori cui si riferisce l’art. 17 cod. pen. Per
quanto l’istituzione della competenza penale del giudice di pace abbia segnato
l’introduzione di nuove logiche sanzionatorie nel sistema penale, non può dirsi
che abbia determinato la creazione di nuove specie di pena fondate sul pagamento
di una somma di danaro. Basti ricordare, in proposito, come il primo comma
dell’art. 52 del d.lgs. n. 274 del 2000 abbia stabilito testualmente che, per i
reati trasferiti alla competenza del giudice di pace già puniti con la sola
pena della multa o dell’ammenda, «continuano ad applicarsi le pene pecuniarie
vigenti». Dunque nessuna novazione è intervenuta, come si desume anche dal
fatto che – a differenza di quanto accaduto con riguardo alle pene
«para-detentive» – il legislatore non ha dovuto introdurre una disciplina di
raccordo, utile per le molte previsioni che collegano conseguenze di natura
sostanziale o processuale alla specie della pena comminata. Va pure notato, per altro verso, che la lettera del quinto comma
dell’art. 157 cod. pen. non si riferisce alla multa ed all’ammenda, ma
genericamente a «pene pecuniarie», genus al quale dovrebbe essere
ricondotta, in ogni caso, la sanzione applicabile dal giudice di pace.
4.4. – L’orientamento interpretativo basato sui dati testuali
trova ulteriore e decisiva conferma nell’argomento sistematico. L’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000 stabilisce che,
«per ogni effetto giuridico», le pene dell’obbligo di permanenza domiciliare e
del lavoro socialmente utile si considerano detentive cioè della specie
corrispondente a quella della pena originaria. Si tratta di una norma di natura
speciale, cioè appositamente dettata per i reati di competenza del giudice di
pace, sorretta da una ratio unitaria e mirata ad omologare i reati in
questione, quando siano per essi previste anche le pene «para-detentive», alla
generalità dei reati puniti con pene detentive. Tale criterio di ragguaglio è
posto senza distinzioni, per tutti i casi in cui l’applicabilità di una norma o
di un istituto dipende dalla durata e dalla specie della pena. Non è condivisibile, a tale riguardo, l’assunto di uno dei
rimettenti, tendente a riferire la norma suddetta alla fase applicativa della
pena, quasi che fosse estranea alla sua definizione edittale. Al contrario, è
proprio il carattere alternativo delle previsioni riguardanti le pene
«para-detentive» che mette in rilievo la natura edittale delle medesime. Esse
non sono sostitutive, in fase di applicazione, rispetto a quelle
originariamente previste, ma sono frutto di un meccanismo di conversione
preventivamente e astrattamente stabilito dal legislatore. Del resto, la norma
di equiparazione è destinata ad operare anche per istituti di carattere
sostanziale che non riguardano la fase applicativa della sanzione, come nel
caso che si debba stabilire se per un reato di competenza del giudice di pace
sia ammesso o non il ricorso all’oblazione. Il quinto comma del novellato art. 157 cod. pen. stabilisce invece
un termine prescrizionale di carattere generale, che non riguarda
specificamente i reati di competenza del giudice di pace né si riferisce in
particolare alle pene «para-detentive». Sul piano logico-giuridico spiega
dunque piena efficacia il tradizionale brocardo «lex generalis posterior non
derogat priori speciali», che, pur in mancanza di una precisa copertura
costituzionale (ex plurimis sentenze n. 503 del 2000 e n. 29 del 1976) e
pur avendo valore non assoluto, ma di mero criterio interpretativo, destinato a
cedere di fronte ad una precisa voluntas legis in senso contrario (ex
plurimis, sentenze n. 58 del 1993, n. 41 del 1992 e n. 345 del 1987),
esprime l’esigenza di valutare caso per caso la permanenza della ratio
che ha ispirato la norma precedente e l’assenza di una chiara volontà
abrogativa desumibile dalla norma successiva. Non emergono, nel caso oggetto del presente giudizio, elementi di
alcun genere per affermare che il legislatore abbia voluto allontanarsi da quel
criterio di ragguaglio previsto specificamente per le ipotesi contemplate
dall’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000, utile a fini pratici e
sistematici di raccordo del micro-sistema dei reati di competenza del giudice
di pace al sistema penale complessivo. Si deve ritenere, in definitiva, che il novellato quinto comma
dell’art. 157 cod. pen. abbia inteso porre le premesse per un futuro sistema
sanzionatorio caratterizzato da pene diverse da quelle detentiva e pecuniaria,
non più ragguagliato, con riferimento agli effetti giuridici, a quello
generale, ma munito, quanto meno ai fini della prescrizione, di una norma generale
del tutto peculiare. Senza forzature interpretative, non si può ritenere che
tale nuovo sistema sia stato ancora costruito, con la duplice conseguenza che
la sanzione pecuniaria rimane elemento comune a tutti i reati di competenza del
giudice di pace (con facoltà per lo stesso di avvalersi, in via alternativa,
delle sanzioni «para-detentive»), e che i criteri di ragguaglio dettati
dall’art. 58, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000 sono ancora operativi, poiché
tale disposizione non è stata abrogata né esplicitamente né implicitamente.
4.5. – In definitiva, il regime prescrizionale dei reati di
competenza del giudice di pace deve essere ricondotto all’ambito applicativo
del primo comma dell’art. 157 cod. pen.. Tale conclusione, del resto, è
conforme all’orientamento assunto sul tema dalla prevalente e più recente
giurisprudenza di legittimità. Il dubbio di costituzionalità espresso dai rimettenti origina,
quindi, da una lettura della normativa censurata che non è necessaria alla luce
dei criteri correnti dell’interpretazione.
Ne consegue che le questioni sollevate non sono fondate.
per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione,
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, primo comma, del
codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge 5 dicembre 2005, n. 251
(Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia di
attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), sollevate, in riferimento
all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Reggio Emilia e dal Tribunale
di Grosseto, con le ordinanze indicate in epigrafe;
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione,
le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 157, quinto comma, del
codice penale, come sostituito dall’art. 6 della legge n. 251 del 2005,
sollevate, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Corte di cassazione e dal
Tribunale di Perugia, con le ordinanze indicate in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
Palazzo della Consulta, il 14 gennaio 2008.
F.to:
Franco BILE,
Presidente Gaetano
SILVESTRI, Redattore Giuseppe DI
PAOLA, Cancelliere
Depositata in
Cancelleria il 18 gennaio 2008.
da Altalex.com di Carlo Crapanzano
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