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Corte di Cassazione 13/02/2008

Giurisprudenza di legittimità - Danno biologico terminale: è risarcibile se c’e’ un apprezzabile lasso di tempo

Cassazione civile , sez. III, sentenza 17.01.2008 n° 870

Il dictum epigrafico della Cassazione: la giurisprudenza di questa Corte distingue il caso in cui la morte segua immediatamente o quasi alle lesioni da quello in cui tra le lesioni e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; nel primo caso esclude la configurabilità del danno biologico in quanto la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, incidendo sul diverso bene giuridico della vita; la ammette, viceversa, nel secondo caso, essendovi un’effettiva compromissione dell’integrità psico - fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, e ne riconosce la trasmissibilità agli eredi.
La Corte riprende l’orientamento maggioritario secondo cui è possibile risarcire il danno biologico subito dalla vittima di un incidente stradale. Non invece risarcibile il danno tanatologico o da morte, inteso quale lesione definitiva del diritto alla vita.
La Corte sul punto non si dilunga rimandando alle motivazioni già formulate con le sentenze Cass. 13.1.2006, n. 517, ma soprattutto Cass. 21.7.2004, n. 13585 e Cass. 21.2.2004, n. 3549, laddove il collegio ritiene primario e fondamentale, nel nostro sistema giuridico, il diritto alla vita, tuttavia tale diritto non è fonte di risarcimento del danno perché sorgerebbe un diritto adesposta e perché il risarcimento non avrebbe funzione riparatoria bensì sanzionatoria.
È invece ammessa la risarcibilità alla lesione della salute del danneggiato, il quale sia poi deceduto, a seguito dei danni subiti con il sinistro. Si parla in tal caso di danno terminale biologico.
La corte si pone su tale scia interpretativa riprendendo la tesi secondo cui il diritto alla vita e quello alla salute sono ontologicamente diversi e pertanto la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, incidendo sul diverso bene giuridico della vita”.
Il danno biologico terminale è riconosciuto se sia dimostrata la lesione all’integrità psico-fisica della vittima. Il caso odierno riferisce di un tempo di sopravvivenza di tre giorni.
Sul quantum temporale necessario a far nascere il diritto della vittima (e degli eredi iure ereditato) al risarcimenti la giurisprudenza richiede sempre la sussistenza di uno spazio temporale tra l’evento lesivo (incidente stradale) e la morte. Si nega pertanto il risarcimento in caso di morte immediata.
Non risulta stabilito in linea generale quale durata debba avere la sopravvivenza perché possa essere ritenuta apprezzabile ai fini del risarcimento del danno biologico: tale valutazione è lasciata alla discrezionalità dl Giudicante e non può essere racchiusa in rigidi schemi o riconosciuta automaticamente senza la prova del danno subito.
 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 17 gennaio 2008, n. 870

Danno biologico, iure haereditatis, apprezzabile lasso di tempo, necessità

Danno biologico – iure haereditatis – apprezzabile lasso di tempo – necessità – danno patrimoniale futuro – prova – fatto notorio – sufficienza

Va distinto il caso in cui la morte segua immediatamente o quasi alle lesioni da quello in cui tra le lesioni e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; nel primo caso si esclude la configurabilità del danno biologico in quanto la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, incidendo sul diverso bene giuridico della vita; va ammessa, viceversa, nel secondo caso, essendovi un’effettiva compromissione dell’integrità psico - fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, e ne riconosce la trasmissibilità agli eredi.
Per quanto concerne il danno patrimoniale da perdita di aiuti economici futuri va rilevato che la prova di tale specie di danno è presuntiva ed utilizza i dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, adeguandoli alle peculiarità della fattispecie.
La prova è raggiunta quando in base ad un criterio di normalità fondato su tutte le circostanze del caso concreto si possa ritenere che la vittima avrebbe destinato una parte del proprio reddito futuro alle necessità dei genitori o avrebbe, comunque, apportato agli stessi utilità economiche, pur senza che ne avessero bisogno. (1) (2)
Ndr: la sentenza de quo si allinea all’orientamento quasi unanime in giurisprudenza.
(1) Nello stesso senso, Cassazione civile 18163/2007.
(2) In materia di danno tanatologico, si veda il Focus di D’Apollo: Danno tanatologico: la giurisprudenza recente.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 17 gennaio 2008, n. 870
(Pres. Preden - est. Durante)

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c., nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.); lamentano che la corte di merito abbia escluso con motivazione insufficiente e contraddittoria la risarcibilità del danno biologico "iure hereditatis"; sostengono che tale danno va sempre e comunque risarcito, qualunque sia la durata della sopravvivenza della vittima, in ragione della causalità cronologica: prima la causa (lesione) e poi la conseguenza (morte); ricordano che secondo la giurisprudenza di legittimità anche quando sopravviva per un limitato spazio temporale (poche ore) la vittima acquista il diritto al risarcimento del danno biologico quanto meno nella sua componente psichica e lo trasmette agli eredi.

1.1. Il motivo è fondato.

1.2. La giurisprudenza di questa Corte distingue il caso in cui la morte segua immediatamente o quasi alle lesioni da quello in cui tra le lesioni e la morte intercorra un apprezzabile lasso di tempo; nel primo caso esclude la configurabilità del danno biologico in quanto la morte non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, incidendo sul diverso bene giuridico della vita (da ultimo Cass. 13.1.2006, n. 517); la ammette, viceversa, nel secondo caso, essendovi un’effettiva compromissione dell’integrità psico - fisica del soggetto che si protrae per la durata della vita, e ne riconosce la trasmissibilità agli eredi (ex plurimis Cass. 21.7.2004, n. 13585; Cass. 21.2.2004, n. 3549).
Non risulta stabilito in linea generale quale durata debba avere la sopravvivenza perché possa essere ritenuta apprezzabile ai fini del risarcimento del danno biologico, ma è del tutto evidente che non può escludersi in via di principio che sia apprezzabile una sopravvivenza che si protrae per tre giorni.

1.3. Poiché ha affermato che la sopravvivenza di tre giorni non è stata sufficiente a fare acquistare alla vittima il diritto al risarcimento del danno biologico, la sentenza impugnata va cassata sul punto.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2056, 2059, 1322, 1326 c.c., 112 c.p.c, nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c.); la corte di merito - sostengono - ha ignorato l’accordo sostanziale intervenuto tra le parti sul danno morale; più specificamente i convenuti hanno riconosciuto nei propri scritti difensivi che a ciascun genitore competeva la somma di lire 250.000.000; i giudici avrebbero dovuto prendere atto del riconoscimento ed adeguare ad esso la decisione; non avendolo fatto, sono incorsi nella violazione dell’art. 112 c.p.c; la corte di merito 1) ha rigettato la domanda di risarcimento del danno biologico "iure proprio" senza valutare compiutamente le risultanze della c.t.u. e particolarmente la parte di essa nella quale si fa riferimento al "lutto prolungato e complicato da un episodio depressivo maggiore"; 2) avrebbe dovuto, comunque, tenere conto di tali risultanze nella valutazione del danno morale, incrementandone la liquidazione; 3) ha negato il risarcimento del danno morale alla nonna paterna, sebbene il defunto trascorresse con lei sei mesi all’anno, come affermato dalle parti attrici nel loro interrogatorio libero senza contestazioni delle Controparti; 4) ha contenuto il danno patrimoniale in somma inadeguata perché non ha considerato che secondo dati di comune esperienza i figli lasciano la casa dei genitori verso i trenta anni e che risulta impossibile provare uno stato di bisogno futuro.

2.1. Il motivo è infondato.

2.2. Se la parte, contro la quale la domanda è proposta, ne riconosce la fondatezza, viene a cessare la materia del contendere ed il giudice è tenuto a dichiararlo eventualmente di ufficio.
Per dare luogo alla declaratoria il riconoscimento deve essere totale sì da privare la parte dell’interesse ad ottenere una pronuncia del giudice, rendendola inutile.
Nel caso di specie non è dedotto che sia intervenuto un riconoscimento cosiffatto, ma semplicemente che i convenuti si sono espressi sulla domanda in termini generali e con riferimento alle tabelle del tribunale di Milano, ond’è che la doglianza che concerne il punto non è meritevole di accoglimento.

2.3. Per giurisprudenza di questa Corte il danno biologico degli stretti congiunti di una persona deceduta per effetto dell’illecita condotta altrui è risarcibile quando vi sia la prova di una lesione psico - fisica (Cass. 13.2.2002, n. 2082; Cass. 25.2.2000, n. 2134).
Orbene con corretta valutazione delle risultanze della c.t.u. la corte di merito ha ritenuto che tale prova manca, mentre le risultanze della stessa consulenza richiamate nel ricorso non presentano carattere di decisività.

2.4. L’interrogatorio libero delle parti può fornire al giudice elementi di convincimento liberamente valutabili; non è, pertanto, censurabile in sede di legittimità il giudice che non utilizza tali elementi ’ ai fini della formazione del proprio convincimento.
Ne consegue che, seppure le parti attrici in occasione dell’interrogatorio libero avessero riferito circostanze utilizzabili ai fini dell’accoglimento della domanda di risarcimento del danno morale proposta dalla Ficoccilli, nonna paterna del defunto, la corte di merito non sarebbe censurabile per non averne tenuto conto.

2.5. Per quanto concerne il danno patrimoniale da perdita di aiuti economici futuri va rilevato che la prova di tale specie di danno è presuntiva ed utilizza i dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, adeguandoli alle peculiarità della fattispecie.
La prova è raggiunta quando in base ad un criterio di normalità fondato su tutte le circostanze del caso concreto si possa ritenere che la vittima avrebbe destinato una parte del proprio reddito futuro alle necessità dei genitori o avrebbe, comunque, apportato agli stessi utilità economiche, pur senza che ne avessero bisogno.
La circostanza che i genitori in atto godano di fonti di reddito tali da rendere inutile ogni contributo della vittima non rileva, salvo che la valutazione complessiva non consenta di presumere che mancheranno mutamenti nel corso degli anni (Cass. 28.2.2002, n. 2962, in motivazione).

2.6. Ai principi sopra enunciati si è sostanzialmente adeguata la corte di merito, la quale ha escluso in concreto futuri apporti del figlio in favore dei genitori in considerazione del fatto che nulla fa presumere che avrebbero avuto bisogno di aiuti in futuro e che non hanno allegato circostanze idonee a superare la presunzione.

3. In conclusione, il primo motivo è accolto ed il secondo rigettato; la sentenza impugnata è cassata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della corte di appello di Milano per nuovo esame sulla base dei principi di cui sopra e pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo; rigetta il secondo; cassa in relazione e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Milano.

di Luca D’Apollo
da Altalex


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Mercoledì, 13 Febbraio 2008
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