UN’AUTO, UN VOLANTE, TANTE EMOZIONI... di Iacopo Lanini |
"Guidare un’automobile": banale azione quotidiana, per così dire automatica, dalla quale poter ottenere solamente la possibilità di spostarsi da un luogo ad un altro. Nel corso degli anni tale considerazione è divenuta sempre più lontana dalla vista di chi le auto per mestiere le progetta, di chi per utilità le sfrutta ed ancor più per tutti coloro che per passione le acquistano. I sentimenti umani coinvolti nella conduzione di un’auto andrebbero ben oltre le comuni valutazioni di utilità e di convenienza economica, guardando quindi al di là di un semplice rapporto d’uso. La "libertà di andare" esperita attraverso l’utilizzo di un mezzo meccanico incarnerebbe uno dei desideri umani più profondi, inconsci e desiderati, risultando per di più strettamente connessa ad un sentimento affettivo orientato alla scoperta di ciò che è ancora ignoto ed ai significati psicologici simbolici connessi alla fantasia posseduta da ogni singolo individuo [P.Andreoni 1999]. Essere in possesso di un’auto potrebbe essere paragonato a disporre di potenziali illimitati; il veicolo a motore sarebbe in grado di regalare al conducente la possibilità di muoversi, di scoprire nuovi luoghi e spazi, ma anche di stare fermo con se stesso; l’elemento fondamentale è poter compiere ciò che si desidera, sia concretamente (nella realtà), sia simbolicamente (immaginario). Nella guida l’individuo rivaluterebbe tutti i suoi sogni, dischiuderebbe le frontiere dell’immaginazione, realizzando (pur soltanto simbolicamente) i desideri repressi e trovando un senso alle aggressività nel proprio profondo avvertite e sofferte. Attraverso le molteplici sensazioni che ci mette a disposizione, il mezzo meccanico permetterebbe agli individui di sfogare i loro istinti aggressivi, di liberare tutte le energie che donano alla persona uno stato di atavica e costante insoddisfazione ed una conseguente tragica incertezza sul proprio destino. Secondo uno studio recentemente condotto da N.Elias ed E.Dunning (1985) esisterebbe una stretta relazione tra le costrizioni istituzionali che gli uomini moderni sono indotti ad osservare ed il sempre più frequente verificarsi di avvenimenti tipicamente rappresentativi di un latente ma sempre più manifesto desiderio di deroutinizzazione esistenziale. Un’intensa e sentita volontà di liberarsi dai vincoli sociali, culturali ed etici finora rigidamente imposti all’essere umano sarebbe da ritenersi come potenziale causa delle forze (da intendersi come vere e proprie pulsioni) che in talune condizioni indurrebbero gli individui ad allentare drasticamente i propri controlli inibitori interiori, raggiungendo persino l’attuazione di comportamenti tratteggiati da perdite totali di controllo sulla propria condotta personale [N.Elias, Dunning E. 1989]. E’ stato così osservato come in alcune occasioni, nel preciso momento in cui si il soggetto compie il passaggio da una condizione di comune pedone a quella di automobilista, si verifichi una drastica mutazione di atteggiamento, quasi come se la "follia della velocità" o forse un’incontrollata liberazione dai normali schemi razionalmente controllati, assalisse improvvisamente quello che adesso è il conducente di un mezzo a motore [R.Piret 1959]. La capacità di autocritica si attenuerebbe fortemente, talvolta fino a scomparire del tutto; il guidatore si sentirebbe, così, forte, sicuro si sè, invulnerabile sempre e comunque, diventando coraggiosamente aggressivo poiché protetto e riparato dal "guscio di energia" costituito dalla propria auto [G.Dacquino 1989]. Le dinamiche legate alla guida automobilistica posson essere percepite come "un’iniezione di droga allucinante", dove il solo contatto con essa ci pone in uno stato di stordimento: esso è il "varco per il sogno" [A.Brilli 1999]. La conduzione di un autoveicolo avrebbe, secondo il parere di G.Dacquino, anche una funzione catartica, donando al conducente uno stato di profonda rilassatezza; l’attività di guida risulterebbe avere numerosi punti in comune con la visione di uno spettacolo al cinema. In entrambi i casi si è seduti su una poltrona con davanti uno schermo (immagini che corrono sullo schermo – immagini sul parabrezza) e se la guida viene effettuata di notte le luci che colpiscono il conducente diverrebbero molto simili a quelle provenienti ad una cabina di proiezione [G.Dacquino 1989]. L’attività di conduzione di un’auto potrebbe, inoltre, assumere significati piuttosto simili in età fondamentalmente diverse; il fattore che in tal caso accomunerebbe i diversi stadi di vita sarebbe costituito dall’intenso e tanto aspirato desiderio di sentirsi attori potenziali dei propri bisogni più intimi. In età adolescenziale questi sentimenti verrebbero causati dal desiderio di percepire una reale indipendenza nello svolgimento della propria vita, riuscendo così (finalmente) a gestire il mondo relazionale con i propri simili e con la realtà in genere in maniera totalmente autonoma, quindi svincolata da tutte le varie costrizioni familiari e sociali che normalmente sussistono in età giovanile. Per i meno giovani la guida automobilistica e talvolta anche la cura del mezzo stesso (manutenzione) potrebbero rappresentare una concreta possibilità di "sfuggire" alla quotidianità e contemporaneamente a tutti i vincoli che essa pesantemente porta con sé. Al volante si verrebbero, perciò, ad assaporare esperienze liberatorie e distensive, come ad esempio viaggiare lungo strade extraurbane ascoltando i rasserenanti suoni della natura ed il mansueto e quasi affettuoso rombo del motore, gustando così la possibilità di riscoprire uno stato primordiale di libertà fisica e mentale. Agli anziani, invece, l’automobile offrirebbe la possibilità di rimanere in contatto con i propri simili e con la realtà esterna in genere, permettendo loro di spostarsi agevolmente ed evitando così la triste e desolata emarginazione che talvolta caratterizza irreversibilmente la fase esistenziale della terza età. L’automobile sarebbe vissuta, quindi, come un mezzo di riscatto rispetto ad una troppo opprimibile realtà esterna, restituendo valore a molteplici e concrete possibilità di decomprimere ed alleviare molte delle tensioni che giornalmente tutti noi siamo costretti a sopportare. La guida dimostrerebbe, dunque, per certi versi la possibilità di "sollevare lo spirito", offrendo a chi la vive ed a chi apprezza i suoi cortesi e quasi umani contributi un vero e proprio "aiuto psicoterapeutico" [G.Dacquino 1989]. BIBLIOGRAFIA - Andreoni P. (1999) – Libertà di andare – FrancoAngeli, Milano - Brilli A. (1999) – La vita che corre – Il Mulino, Bologna - Dacquino G. (1989) – Psicologia dell’automobilista – De Agostini, Novara - Elias N., Dunning E. (1989) – Sport e Aggressività – Il Mulino, Bologna - Marocci G. (2001) – L’auto e i giovani – Armando, Roma - Piret R. (1959) – Psicologia dell’automobilista e sicurezza stradale – Editrice Universitaria, Firenze |