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Articoli 15/04/2005

da "Il Centauro n. 94" - Franco Taggi, direttore del reparto "Ambiente e Traumi"dell’Istituto Superiore di Sanità intervistato da Giancarlo Dosi, l’autore della "Guida alla Sicurezza Stradale"

Franco Taggi, direttore del reparto
"Ambiente e Traumi"dell’Istituto Superiore
di Sanità intervistato
da Giancarlo Dosi, l’autore della
"Guida alla Sicurezza Stradale"


Troppi incidenti sulle strade.
Ancora morti, feriti, giovani vite improvvisamente troncate. Dott. Taggi, nemmeno la patente a punti, dunque, è riuscita a fermare questa strage?

Ha fatto molto invece. Secondo una nostra recente stima, in zona urbana le vittime sono diminuite del 25% nel giro di un anno.
Ora dobbiamo cercare in tutti i modi di far sì che questo effetto iniziale non tenda col tempo ad attenuarsi: le leggi che portano rapidamente a buoni risultati vanno attentamente seguite e, se possibile, ulteriormente migliorate in base all’esperienza maturata. Ma le leggi, da sole, non possono risolvere tutti i problemi: occorre da parte di ognuno avere comportamenti più adeguati e convinti sulla strada.

Un maggior rispetto delle norme?
Proprio così. Si sono fatti molti progressi negli ultimi anni. I veicoli sono diventati più sicuri, le strade sono migliorate, ma il comportamento dei conducenti non è ancora arrivato a livelli accettabili e rimane un fattore di altissimo rischio.
E’ anche un problema di controlli. Chi infrange il codice non è sempre perseguito con la necessaria fermezza. Ci sono troppi incoscienti al volante. Gli inviti alla prudenza da soli non servono. Non crede che occorre fare di più?
Chi infrange ripetutamente il codice dimostra di non essere all’altezza di guidare correttamente un veicolo; ed è quindi bene per tutti che non guidi.
Quando gravi comportamenti si ripetono sistematicamente, il rischio di provocare un incidente stradale non è solo probabile ma praticamente certo. Ci vuole maggior rigore: su questo non ci sono dubbi. In un certo senso, dobbiamo “blindare” il sistema “circolazione”.
Ma affidarsi soltanto alla repressione non basta. Bisogna continuare ad informare la gente sui rischi connessi con la guida, educare i giovani fin da piccoli sui pericoli della strada, fin dalla scuola elementare. Anche le famiglie potrebbero fare molto di più.

Vuol dire che il cattivo esempio arriva anche dai genitori?
In qualche caso, purtroppo, anche da loro; ma non sono io a dirlo, sono le cifre. Il "sistema Ulisse" - l’osservatorio nazionale che abbiamo creato tre anni fa sull’uso del casco e delle cinture di sicurezza in Italia - mostra che sono gli adulti a trasgredire di più le regole. Coloro che indossano maggiormente le cinture sono i giovani, e tra questi le ragazze. Altro che buon esempio. E che dire di quelle mamme che si portano il figlioletto in braccio sul sedile anteriore? Possibile che sia così difficile per loro comprendere che non c’è cosa più rischiosa? Nei mesi scorsi abbiamo diffuso al proposito un vero e proprio decalogo sulla sicurezza stradale del bambino: speriamo che molte mamme trovino il tempo di leggerlo e di riflettere.
Ma anche i giovani non scherzano sulla strada. Proprio in questi giorni è uscito un vostro rapporto sui comportamenti di guida a rischio dei ragazzi italiani, dove se è vero che gli elementi di particolare trasgressività appaiono in fondo limitati ad alcune frange, emergono comunque alcuni dati abbastanza preoccupanti, come l’ampia diffusione del consumo di bevande alcoliche o l’aumento dell’uso delle sostanze, soprattutto verso i 17-18 anni, e una percezione un po’ troppo blanda del rischio connesso con il loro uso alla guida.
In effetti l’uso dell’alcol e delle sostanze tra i giovani desta non poche preoccupazioni, soprattutto per l’abitudine crescente ad assumere più sostanze, anche associate all’alcol. Bisogna intensificare ulteriormente le attività di prevenzione in questa direzione.
Tra i giovani il numero delle vittime di incidenti stradali si è ridotto negli anni molto meno che tra gli adulti: siamo sempre a livelli allarmanti.
Né possiamo consolarci col fatto che in tutti i paesi industrializzati le cose vadano più o meno come in Italia. Il gruppo più vulnerabile è sempre quello dei ragazzi dai 18 anni in su. Se non riusciremo ad insegnare loro qualcosa prima di quel momento, sarà difficile poterlo fare in seguito. Le cattive abitudini sulla strada, una volta acquisite, sono dure a morire.

Pochi controlli?
Diciamo la verità: in Italia la lotta alla guida in stato di ebbrezza ha fatto passi da gigante negli ultimi anni; ma deve essere ulteriormente intensificata. L’alcol è la causa principale di moltissimi incidenti, spesso con esiti mortali. L’abbassamento del limite legale di alcolemia alla guida, recentemente approvato, deve essere sostenuto da un’attenta politica di controlli su strada, anche casuali. L’abitudine da parte di molti conducenti a sottovalutare nei fatti gli effetti dell’alcol alla guida non può essere combattuta con armi spuntate.
E non si pensi soltanto ai giovani del sabato sera: le bevande alcoliche sono appannaggio di tutti, con effetti particolarmente gravi sulle capacità di guida in ogni caso.
In un paese come il nostro, che conta più di un milione di alcoldipendenti, bisogna far capire meglio che chi deve guidare deve assolutamente evitare di bere ed eventualmente farsi sostituire alla guida. Anche per quanto riguarda le sostanze alla guida, problema soprattutto dei giovani, occorre intensificare sia i controlli mirati sia quelli casuali, rendendoli sempre più efficaci.

Ci sono altri comportamenti a rischio particolarmente diffusi?
La velocità è in assoluto la prima causa di incidente stradale, di gran lunga il fattore più direttamente legato alla loro gravità. E non è naturalmente, anche questo, un problema che riguarda soltanto i giovani. Tutti i conducenti dovrebbero aver ben chiaro in mente che più è elevata la velocità, minori sono le possibilità di far fronte ad un imprevisto.
Occorre agire con maggior convinzione su questo fronte, far capire alla gente che è nell’interesse di tutti che i limiti di velocità non debbono mai essere superati. E che in ogni caso si tratta di limiti massimi invalicabili, all’interno dei quali ognuno deve saper regolare opportunamente l’andatura del veicolo. Ancora pochi sembrano rendersi conto che a 100 km/h si viaggia a 28 metri al secondo: nei fatti… si vola bassi! Andare a 50 km/h nei pressi di una scuola, dove è facile ci possano essere bambini, ragazzi o anziani sulla strada, è un atto di profonda incoscienza: a quella velocità stiamo muovendoci a 14 metri al secondo!
La "velocità pericolosa" - tra le infrazioni più diffuse al codice della strada - non è quindi una velocità superiore a quella massima, ma una velocità al di sotto dei limiti consentiti non adeguata al contesto in cui ci si trova. Se una guida maggiormente difensiva si trasformerà in una regola condivisa, moltissimi incidenti potranno essere evitati o provocare conseguenze meno drammatiche.

Certo, è auspicabile, ma non sarà una battaglia facile. Anche verso le cinture di sicurezza, di cui è abbastanza semplice intuire l’utilità, ci sono ancora molte resistenze.
Meno che in passato. In molte aree l’uso delle cinture è arrivato a buoni livelli ed ha anche superato la media europea. Certo, non è così in tutto il Paese, ma non si può dire che le campagne di controllo e di informazione non abbiano prodotto effetti positivi.
Anche sul casco registriamo passi in avanti molto significativi. Tuttavia, la situazione era, e resta ancora, a macchie di leopardo. L’obiettivo da perseguire adesso è che l’uso cresca in tutto il paese e che i livelli siano ovunque superiori al 90%. In questo, credo che sia centrale uno specifico impegno dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) in quanto in zona urbana, dove l’uso di questi dispositivi raggiunge il massimo dell’efficacia date le velocità in genere più contenute, gli utenti della strada ancora non percepiscono sufficientemente la loro grande utilità.
Non a caso, in tutti i nostri rilevamenti l’uso dei dispositivi in zona extraurbana è sempre superiore a quello in zona urbana. E per cambiare in meglio questo stato di cose, il ruolo della polizia municipale è centrale.

Però anche l’inasprimento delle sanzioni e i controlli di polizia hanno contribuito a questo risultato.
Direi che è stato il risultato combinato di entrambi i fattori. Per avere successo nel ridurre l’incidentalità stradale dobbiamo sempre aver presente che informazione e certezza della sanzione devono andare di pari passo.
E dei corsi di recupero dei punti, che ne pensa?
Un antico sufista (il mistico arabo Sahl ibn Abdallah) diceva: “Il miracolo più grande è la sostituzione di una buona qualità ad una cattiva”. Credo che questa frase possa sintetizzare al meglio l’obiettivo che questi corsi dovrebbero perseguire: rappresentare un momento centrale di riflessione e cambiamento per coloro che manifestano comportamenti pericolosi su strada. Il rischio è che il tutto venga limitato ad un vieto ritualismo, ad una frequenza passiva, schematizzabile con l’equazione “punti persi corso recupero, altri punti persi altro corso recupero”, e così via. In questo modo, l’unico deterrente è costituito dalla seccatura di dover frequentare il corso (e dalla spesa del corso stesso): un po’ poco. Sarebbe bene verificare in qualche modo se, e in che misura, chi ha seguito un corso ha mutato il proprio modo di concepire il suo rapporto con la strada e con gli altri utenti. Al proposito, mi risulta che l’Ordine degli Psicologi Italiani ha presentato una serie di proposte.
Tra gli addetti ai lavori si parla spesso del sistema Uomo-Veicolo-Ambiente.
Quello che abbiamo fino ad ora trattato è certamente legato al solo fattore umano. Può dirci qualcosa a proposito del veicolo e dell’ambiente?

Anche se a mio parere il fattore umano prevale largamente (e studi mirati lo dimostrano), il veicolo e l’ambiente sono anch’essi di grande importanza: si tratta infatti, come lei accennava, di un sistema in cui tutte le componenti vanno considerate. Nel tempo, i veicoli sono migliorati moltissimo e in caso di incidente sono oggi in grado di assorbire molta energia, contribuendo così a ridurre la gravità dei traumi che possono prodursi. Tuttavia, questi stessi veicoli sono anche più veloci e “nervosi” di quelli di una volta; e questo non è un bene, specie nel caso dei giovani che molte volte si fanno prendere la mano.
Peraltro, una gran parte delle nuove automobili è equipaggiata con air bag: sarebbe importante far ben capire a tutti che la presenza di air bag rende necessario, non opzionale, l’uso della cintura di sicurezza.
Va detto anche che un veicolo in perfetto ordine (gomme, luci, freni, ecc.) è premessa essenziale per una guida sicura. Su questo sono certamente tutti d’accordo: ma poi nei fatti non sono pochi i “trascurati”.



E il contesto, le infrastrutture, e l’ambiente? Quanto contano per la sicurezza stradale?
Per quanto riguarda l’ambiente, la manutenzione e la messa in sicurezza delle strade è un punto cardine di qualunque programma volto a contrastare l’incidentalità stradale, fatto che però può diventare fortemente negativo in assenza di cartellonistica adeguata e se la permanenza dei cantieri si prolunga oltre il ragionevole.
L’identificazione - e la rimozione - dei cosiddetti “punti neri” della strada (e i cantieri talora lo sono) dovrebbe essere un obiettivo ad alta priorità. Tuttavia, questo va fatto sia in “grande” sia in “piccolo”: Non si tratta, infatti, solo di intervenire con “grandi opere”, che richiedono tempo ed investimenti importanti. Riparare prontamente le buche che si formano sul manto stradale (così pericolose per gli utenti delle due ruote), tagliare un ramo d’albero che toglie visibilità ad un semaforo, rinfrescare per tempo strisce pedonali o segnali di stop sull’asfalto, migliorare la segnaletica stradale, evitando di confondere chi guida con troppi cartelli non sempre ugualmente utili, una buona illuminazione serale e notturna di punti critici, e altro ancora, dovrebbe essere un preciso impegno di ogni amministrazione, impegno in cui investire una parte dei proventi derivanti dalle multe.A questo proposito, consiglierei ai comuni di istituire un numero verde al quale i cittadini possano far pervenire con prontezza delle segnalazioni al proposito.

Dott. Taggi, lei si occupa da diversi anni di sicurezza stradale: ha l’impressione che qualcosa stia finalmente cambiando?
Sì. Una prima significativa inversione di marcia è avvenuta nel 1999, con l’approvazione del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, al quale anche l’Istituto Superiore di Sanità ha offerto il suo contributo.
Poi, nello stesso anno, è arrivata finalmente l’estensione dell’obbligo del casco ai maggiorenni. Sono stati i primi importanti segnali di una volontà di voltare veramente pagina nel nostro Paese. Poi, più recentemente, la patente a punti, i sistemi telematici di controllo del traffico, l’abbassamento del tasso alcolemico consentito alla guida, le luci accese di giorno, il patentino per il ciclomotore, e anche l’inasprimento delle sanzioni, hanno prodotto una consistente riduzione dei traumi della strada.
Ma la cosa veramente importante è forse un’altra: si è creato un clima di maggiore unanimità sul problema, che ha portato tutti gli attori istituzionali del sistema attorno allo stesso tavolo - a partire dai ministeri maggiormente coinvolti (Infrastrutture e Trasporti, Interno, Salute, Istruzione), sino alle Regioni, alle Province, ai Comuni, a tutti gli Enti coinvolti - consentendo di definire una politica di contrasto dell’incidentalità stradale condivisa e a tutto campo.

E in prospettiva, dott. Taggi, Lei come vede le cose?
Se la filosofia che sottende questa nuova cultura della sicurezza stradale nel nostro Paese non cambierà, l’obiettivo di una riduzione significativa delle vittime della strada, nell’entità e nei tempi indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e dall’Unione Europea, potrà essere più facilmente raggiunto. Tuttavia, io credo che per far sì che questa svolta culturale si concretizzi al meglio, essa debba essere seriamente sostenuta con adeguate risorse di uomini e di mezzi. E in termini di risorse, cerchiamo anche di reperirle largamente da chi infrange ripetutamente il Codice della Strada, mettendo ogni giorno a repentaglio la propria e – soprattutto – l’altrui vita. Inoltre, chi si comporta in maniera civile sulla strada dovrebbe essere incoraggiato in modo concreto: tanto per dirla chiaramente, chi guida con stile difensivo e corretto dovrebbe avere adeguate riduzioni del premio assicurativo.
E non si tratta di un “regalo”, ma di puro calcolo delle probabilità. Il premio è basato sul rischio: ad un minor rischio deve corrispondere un premio più contenuto.
In conclusione, possiamo dire che le cose stanno davvero cambiando in meglio?
Penso proprio di sì.
Ma se si vuole veramente puntare ad un cambiamento epocale, la nostra attenzione dovrà sempre più essere diretta verso i giovani. Max Planck, il grande fisico che sul finire dell’ottocento introdusse il concetto di “quanto”, scrive nella sua autobiografia “Una nuova verità scientifica non trionfa perché i suoi oppositori si convincono e vedono la luce, quanto piuttosto perché alla fine muoiono, e nasce una nuova generazione a cui i nuovi concetti diventano familiari”.
A ben pensarci, questo è già successo per l’ambiente, verso i cui problemi le nuove generazioni sono certo più sensibili delle precedenti: sarà bene quindi operare insieme, con decisione, affinché lo stesso avvenga per la sicurezza stradale.


Venerdì, 15 Aprile 2005
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