Possesso
ingiustificato di chiavi false o grimaldelli: nuova questione alla Consulta (Tribunale di Viterbo, ordinanza 27.11.2003) |
Sollevata
nuova questione di costituzionalità sull’articolo 707 C.p. ("Possesso
ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli") in riferimento
agli articoli 3, 13, 24 comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1, 2 e 3, della
Costituzione. Con l’ordinanza 27 novembre 2003 il Tribunale di Viterbo ha ritenuto non manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzionale sollevata dal P.M., il quale ha rilevato l’appartenenza della fattispecie incriminatrice in esame alla generale categoria dei reati c.d. "senza offesa’entro cui si sogliono classificare numerosi gruppi di illeciti, variamente definiti e tutti accomunati da "un’ombra di incostituzionalità, oltre che di impopolarità’, per contrasto con il principio di offensività, in ragione dell’eccessivo grado di anticipazione della tutela del bene giuridico-penale (si veda fra gli altri MANTOVANI). In particolare l’art. 707 c.p. rientra tra i c.dd. "reati di sospetto’, i quali rappresentano forme di anticipazione della tutela penale dei beni giuridici ad uno stadio addirittura anteriore alla messa in pericolo, giacché incriminano comportamenti che solo "indirettamente’espongono a pericolo l’integrità del bene: essi, in realtà, finiscono con sanzionare una condotta che crea non tanto un pericolo per la lesione del bene, ma soltanto un pericolo di una situazione pericolosa per il bene. (Altalex, 19 febbraio 2004. Si ringrazia il dott. Aldo Natalini) IL TRIBUNALE PENALE DI VITERBO in composizione monocratica, Giudice dr. Italo Ernesto Centaro alla udienza del giorno 27 novembre 2003 ha pronunciato la seguente ORDINANZA Nel procedimento n. 673/2003 R.G. a carico di F.M. Nel corso del procedimento a carico di F.M. il Pubblico Ministero dott. Aldo Natalini ha sollevato l’eccezione di legittimità costituzionale dell’articolo 707 Cp in riferimento agli articoli 3, 13, 24 comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1, 2 e 3, della Costituzione. La questione di costituzionalità sollevata assume rilevanza nel procedimento penale in corso in quanto l’eventuale accoglimento produrrebbe l’effetto di non punibilità dell’imputato per abrogatio criminis. Sostiene in particolare il Pubblico Ministero: "La non manifesta infondatezza. L’articolo 707 Cp appartiene alla generale categoria dei reati c.d. "senza offesa’entro cui si sogliono classificare numerosi gruppi di illeciti, variamente definiti e tutti accomunati - secondo autorevole dottrina - da "un’ombra di incostituzionalità, oltre che di impopolarità’, per contrasto con il principio di offensività, in ragione dell’eccessivo grado di anticipazione della tutela del bene giuridico-penale’(Mantovani, Diritto penale, Milano, 2001, p. 228). Ed entro questo ampio gruppo di illeciti, l’articolo 707 Cp rientra, più in particolare, tra i c.dd. "reati di sospetto’(di più gravi reati commessi o da commettere), costituiti - come noto - da quelle fattispecie incriminatici riguardanti comportamenti, in sé per sé né lesivi né pericolosi di alcun interesse, ma che lasciano presumere l’avvenuta commissione non accertata o la futura commissione di reati. Così, nell’articolo 707, appunto, l’essere colto in possesso di chiavi false o grimaldelli, analogamente all’essere colto in possesso non giustificato di valori (articolo 708 Cp, dichiarato incostituzionale dalla Corte, come si dirà) o di documenti concernenti la sicurezza dello Stato (articolo 260, n. 3, Cp), sono tutte forme di anticipazione della tutela penale dei beni giuridici ad uno stadio addirittura anteriore alla messa in pericolo, giacché incriminano comportamenti che solo "indirettamente’espongono a pericolo l’integrità del bene: essi, in realtà, finiscono con sanzionare una condotta che crea non tanto un pericolo per la lesione del bene, ma soltanto un pericolo di una situazione pericolosa per il bene. Perciò, in definitiva, i reati di sospetto rappresentano una plurianomalia, perché investono i principi costituzionali non solo di materialità e di offensività, ma anche della responsabilità penale personale, della presunzione di non colpevolezza e di difesa (sotto forma del diritto al silenzio, alla non collaborazione), dovendo provare non il Pm la illiceità, ma il sospettato la liceità del fatto (titolo possessorio o destinazione della cosa). In mancanza di una probativo liberatoria plena, per ragioni anche non dipendenti dall’imputato, egli viene punito in ogni caso. Peraltro, l’articolo 707 Cp, a ben vedere, è annoverabile anche nella sotto-specie - altrettanto problematica - dei c.dd. "reati ostativi’, cioè di quelle incriminazioni, lontanamente arretrate, che non colpiscono comportamenti offensivi di un bene, ma tendono a prevenire il realizzarsi di azioni effettivamente lesive o pericolose, mediante la punizione di atti che sono la premessa idonea per la commissione di altri reati. Essi coprono una sfera di atti anteriori allo stesso tentativo punibile, poiché sono in sé equivoci, potendo sfociare in vari delitti ma anche in atti del tutto irrilevanti, E, a differenza dei reati sospetto, sono puniti di per sé stessi e non come supposte intenzioni di commettere reati. I reati ostacolo rientrano, insomma, nel campo della mera prevenzione e quali ipotesi più significative del genus dei c.dd. reati scopo. Ciò premesso in punto di inquadramento dogmatico della fattispecie de qua, va ricordato come i reati di sospetto (ampiamente intesi) sono stati oggetto di numerose censure di incostituzionalità (alcune delle quali accolte dalla Consulta) che vanno tutte riproposte in questa sede. Sotto il profilo della ragionevolezza e della colpevolezza (articoli 3 e 27, commi 1 e 3, Costituzione). Il comportamento dedotto nella fattispecie di cui all’articolo 707 Cp rileva sotto l’aspetto penale soltanto per una particolare categoria di soggetti, ed, in specie, per chi sia stato "condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio’; per chiunque altro, invece, la medesima condotta è perfettamente lecita. Di conseguenza un simile assetto risulta irragionevole e, dunque, in contrasto con l’articolo 3 Costituzione, sotto il profilo del principio di uguaglianza nella misura in cui fa dipendere la punibilità del soggetto non dal fatto in sé, bensì da elementi a questi del tutto estranei e, dunque, rispetto ai quali non può muoversi alcun rimprovero "colpevole’all’imputato, in palese violazione, altresì, con il principio di colpevolezza così come estrinsecato dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 364/1988 e 1085/1988. Sotto il profilo della finalità rieducativa della pena (articolo 27, comma 3, Costituzione). Sotto un concorrente profilo, la disposizione censurata, nel trasfondere irragionevolmente in elemento costitutivo del reato di cui all’articolo 707 Cp fatti per i quali è già intervenuta una condanna irrevocabile, vanifica il principio della finalità rieducativa che l’articolo 27, comma 3, Costituzione assegna alla pena. Sotto il profilo dei principi di materialità e di offensività (articolo 25, comma 2, Costituzione). L’articolo 707 Cp contrasta, poi, con il principio di materialità dell’illecito penale enucleabile dall’articolo 25, comma 2, Costituzione (laddove parla di "...fatto commesso..."). È vero che, a rigore, la norma consta di una condotta esteriore (id est: il possesso di certe cose), di per sé sensorialmente percepibile; nondimeno, tale fatto materiale non è punito come tale, bensì solo come indiziante, anche in connessione con determinate condizioni personali, di reati non accertati od ancora da compiere; più che sanzionare condotte, dunque, in realtà si puniscono stati soggettivi, intesi come relazioni statiche (il possesso, la detenzione) tra persone e cose. E ciò in palese trasgressione della ratio garantista sottesa al moderno diritto penale del fatto che vieta la punibilità della nuda cogitatio o dei semplici modi di essere della persona. È noto che la Corte Costituzionale ha costantemente negato il contrasto dell’articolo 707 Cp con il principio di materialità del reato, nell’assunto che tale contravvenzione identifica comunque una condotta presupposta di cui l’attuale possesso non sarebbe che una conseguenza (Corte Costituzionale, sentenza 14/1971). Non v’è chi non veda, tuttavia, come una simile, risalente argomentazione - avversata non a caso da tutti i commentatori - appaia assolutamente apodittica ed opinabile: parlare di "possesso’come conseguenza materialistica di una condotta-presupposto è, infatti, una pura fictio tendente a valorizzare il sostrato fisico-materialistico di un fatto (il possesso) che esiste - è vero -, ma che è punito solo perché annesso vi è un mero stato personale che farebbe presumere reati contro il patrimonio da compiere. Le considerazioni sopra esposte valgono, a fortori, con riferimento alla violazione del principio di offensività dell’illecito penale, costituzionalizzato dagli articoli 25, ma anche 27 e 13, Costituzione. Attraverso l’articolo 707 Cp, infatti, secondo una obsoleta visione formalistica del reato, costituisce illecito penale anche la violazione del dovere di obbedienza alle norme statali, pure in mancanza di un pericolo concreto (come per tutte le figure di reato di pericolo presunto). È, in definitiva, il semplice fatto del possesso di certe cose - in presenza di certe situazioni soggettive del detentore (condannato per delitti determinati da motivi di lucro) - che rende "legittimo’il sospetto, secondo il legislatore, che tali cose servano per commettere reati contro il patrimonio. La repressione penale viene così attuata in via accentuatamente preventiva, assicurando una tutela particolarmente anticipata non già di un bene giuridico di primaria importanza - quale la vita -, ma del patrimonio, in totale disprezzo, dunque, dell’articolo 13 Costituzione e facendo altresì leva più sulla presunta pericolosità soggettiva dell’agente che sull’idoneità offensiva della condotta. Non può non rilevarsi, poi, come in tema di reati di sospetto la Corte Costituzionale è da ultima intervenuta dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’analoga fattispecie di cui all’articolo 708 Cp ("possesso ingiustificato di valori’) per contrasto con gli articoli 3 e 25 Costituzione, rilevando l’irragionevolezza dell’incriminazione ed il deficit di tassatività della fattispecie tipica (Corte Costituzionale, sentenza 370/1996). In quell’occasione la Consulta - sulla scia di altre decisioni (ad es., Corte Costituzionale, sentenza 519/1995) - doveva spiegare come mai il possesso di valori mobiliari o la mera detenzione di chiavi fossero da ritenere condotte lecite - se poste in essere da alcune persone - mentre integrassero condotte punibili, per sé stesse considerate, ove realizzate da altre. Si trattava di un dubbio di legittimità costituzionale, in riferimento all’articolo 25 Costituzione, che penetrava fin dentro alla conformazione tipica della figura di reato; dubbio che la Corte ha sciolto dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’articolo 708 Cp, reputandolo ormai uno strumento ottocentesco di difesa sociale, del tutto inadeguato a contrastare le nuove dimensioni della criminalità, non più rapportabile, necessariamente, ad uno "stato’o ad una "condizione personale’. Assunto centrale della decisione, l’irragionevolezza della discriminazione nei confronti di una categoria di soggetti composta da pregiudicati per certi reati colti in possesso di denaro od altri oggetti di valore non confacenti al loro stato. Per il vero, la stessa sentenza 370/1996 si è pronunciata anche in riferimento all’articolo 707 Cp, che era stato oggetto di analoghe censure di incostituzionalità. La Corte, nell’occasione, ne ha riaffermato la legittimità costituzionale, ma lo ha fatto usando laconiche motivazioni, assolutamente apodittiche e superficiali. Infatti, nonostante nell’ordinanza di rimessione si osservava - con le stesse motivazioni che qui si riproducono e si fanno proprie - che l’articolo 707 Cp, in sostanza, incrimina un comportamento non lesivo e non pericoloso per gli interessi tutelati (il patrimonio), singolarmente la Consulta nell’occasione ha tralasciato del tutto in sede motiva il profilo dell’inoffensività della condotta, limitandosi a ribadire la non irragionevolezza dell’incriminazione e la sufficiente determinatezza della fattispecie. È giunto, pertanto, il momento di riproporre analoga questione alla Corte Costituzionale, onde ottenere, stavolta, una pronuncia di accoglimento. E ciò, anche in considerazione del fatto che in successivi, recentissimi, interventi, la Consulta stessa ha ribadito come lo status personale di condannato per taluni delitti non possa legittimare la sanzione penale. Basti considerare la sentenza 354/2002, che ha dichiarato incostituzionale l’articolo 688. comma 2, Cp (ove si puniva con l’arresto da tre a sei mesi il fatto di ubriachezza manifesta commesso da chi avesse già riportato "una condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale’) le cui motivazioni, mutatis mutandis, possono e debbono essere fatte proprie anche per l’articolo 707 Cp. Statuisce la Corte; "l’avere riportato una precedente condanna per delitto non colposo contro la vita o l’incolumità individuale, pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato, rende punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore sul piano penale. Divenuta elemento costitutivo del reato di ubriachezza, la precedente condanna assume le fattezze di un marchio, che nulla il condannato potrebbe fare per cancellare e che vale a qualificare una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale. Il fatto poi che il precedente penale che viene in rilievo sia privo di una correlazione necessaria con lo stato di ubriachezza, rende chiaro che la norma incriminatrice, al di là dell’intento del legislatore, finisce col punire non tanto l’ubriachezza in sé, quanto una qualità personale del soggetto che dovesse incorrere nella contravvenzione di cui all’articolo 688 Cp. Una contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di reato d’autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato, che nella sua accezione astratta costituisce un limite alla discrezionalità legislativa in materia penale posto a presidio di questa Corte (sentenza 263/2000 e 360/1995). Tale limite, desumibile dall’articolo 25, comma 2, Costituzione, nel suo legame sistematico con l’insieme dei valori connessi alla dignità umana, opera in questo caso nel senso di impedire che la qualità del condannato per determinati delitti possa trasformare in reato fatti che per la generalità dei soggetti non costituiscono illecito penale’. Analoghe considerazioni possono farsi con riferimento all’articolo 707 Cp, laddove l’avere riportato una precedente condanna per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, pur essendo evenienza del tutto estranea al fatto-reato, rende punibile una condotta che, se posta in essere da qualsiasi altro soggetto, non assume alcun disvalore sul piano penale. In quanto elemento costitutivo del reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o grimaldelli, le precedenti condanne assumono le fattezze di un marchio, che nulla il condannato potrebbe fare per cancellare e che valgono a qualificare una condotta che, ove posta in essere da ogni altra persona, non configurerebbe illecito penale. Il fatto poi che i precedenti penali che vengono in rilievo siano presuntivamente correlabili con l’essere colto in possesso di arnesi atti allo scasso, rende chiaro che la norma incriminatrice, al di là dell’intento del legislatore, finisce col punire non tanto il possesso in sé, quanto una qualità personale del soggetto che dovesse incorrere nella contravvenzione di cui all’articolo 707 Cp. Una contravvenzione che assumerebbe, quindi, i tratti di una sorta di reato d’autore, in aperta violazione del principio di offensività del reato, che nella sua accezione astratta costituisce un limite alla discrezionalità legislativa in materia penale posto a presidio dalla Corte (sentenza 263/2000 e 360/1995). Tale limite, desumibile dall’articolo 25, comma 2, Costituzione, nel suo legame sistematico con l’insieme dei valori connessi alla dignità umana, opera in questo caso nel senso di impedire che la qualità del condannato per determinati delitti possa trasformare in reato fatti che per la generalità dei soggetti non costituiscono illecito penale’. Sotto il profilo del diritto alla difesa e della presunzione di non colpevolezza (articoli 24 e 27, comma 2, Costituzione). Si deve soggiungere, poi, che in quanto reato di sospetto, l’articolo 707 Cp fa carico al soggetto imputato di dovere "giustificare" il possesso di certe cose: l’onere della prova della destinazione lecita della cosa è invertito incombendo sul sospettato. Ma così facendo, si introduce un’anomala regola di giudizio che impone al giudice, nel dubbio, di presumere l’illegittima destinazione e, dunque, di pronunciare sentenza di condanna, ciò in barba al principio costituzionale della presunzione di non colpevolezza (articolo 27, comma 2, Costituzione) e del diritto alla difesa (articolo 24 Costituzione), sotto il profilo del diritto al silenzio ed alla "non collaborazione". La questione di costituzionalità sollevata dal Pubblico Ministero, con accoglimento dei motivi che si fanno propri per relationem nella presente ordinanza, vanno accolti, ritenendo questo Giudice sussistenti i dedotti profili di incostituzionalità. PQM Visto l’articolo 23 legge 87/1953, il Tribunale solleva la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 707 Cp in riferimento agli articoli 3, 13, 24 comma 2, 25, comma 2, 27, commi 1, 2 e 3, della Costituzione ed ordina l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Dispone che copia della presente ordinanza sia notificata alle parti assenti, al Presidente del Consiglio, ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di rito. Sospende il giudizio in corso. Viterbo, 27 novembre 2003 Il giudice dr. Italo Ernesto Centaro Il cancelliere Bruno Ceccarelli |