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La riforma del procedimento amministrativo: l’accesso alla documentazione amministrativa
dott.
Francesco Pittaluga IL DIRITTO DI ACCESSO.
Nozione, funzione e modalità di esercizio.
L’accesso alla documentazione amministrativa, riconosciuto nei limiti che verranno esaminati nei paragrafi immediatamente seguenti, costituisce una delle pietre miliari della disciplina del procedimento amministrativo e misura di sicura democratizzazione dell’attività della Pubblica Amministrazione; costituisce infatti misura avente come scopo principale quello di consentire la partecipazione “informata” all’agere publicum e come effetto (unitamente ad altri istituti quali la partecipazione procedimentale e gli accordi procedimentali) quello di prevenire, per quanto possibile, l’insorgere di contenzioso giurisdizionale in ordine ad atti e comportamenti dell’Amministrazione.
L’accesso si esercita mediante richiesta diretta “all’autorità competente a formare l’atto conclusivo o a detenerlo stabilmente”, ai sensi di quanto previsto dall’art. 2 c. 2 d.P.R. 352/1992, “fino a quando la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di detenere i documenti amministrativi ai quali si chiede di accedere” (cfr. art. 22 c. 6 L. 241/1990).
Da una veloce lettura della prima delle due disposizioni richiamate, appare subito come l’accesso agli atti procedimentali debba essere richiesto, sia prima sia dopo l’emissione dell’atto conclusivo, solo alla “autorità” (intesa quale ufficio dell’Amministrazione, come peraltro evincibile da un esame congiunto di tale norma con quanto previsto dall’art. 3 c. 1 d.P.R. 352/19921) competente per l’emanazione di questo, e non alla singola, diversa autorità intervenuta nel corso del procedimento, a meno che, ovviamente l’atto da questa eventualmente adottato non possa essere qualificato quale provvedimento conclusivo di una specifica fase sub-procedimentale costituente autonomo procedimento amministrativo2 (come, ad esempio, nel caso di un accertamento tecnico, nel qual caso l’accesso può essere esercitato sia nei confronti del soggetto che ha operato l’accertamento sia nei confronti del diverso soggetto che gestire il procedimento nel corso del quale questo è stato richiesto).
E’ possibile che disposizioni ad hoc prevedano che l’atto, una volta adottato, sia trasferito (anche trascorso un certo lasso temporale) ad un’altra “autorità amministrativa”. In tale caso, l’art. 2 c. 1 d.P.R.. 352/1992 dà facoltà al richiedente di instare per l’accesso anche nei confronti dell’autorità (intesa sempre quale ufficio) preposta a detenerlo stabilmente3.
Le modalità per mezzo delle quali è consentito l’accesso sono compiutamente disciplinate dall’art. 5 c. 2 d.P.R. 352/1992, il quale prevede che:
La puntuale indicazione dei documenti in relazione ai quali viene richiesto l’accesso è un elemento di particolare importanza; infatti, se è vero che il provvedimento che autorizza l’accesso ad un atto deve consentire – ai sensi di quanto previsto dall’art. 5 c. 3 d.P.R. 352/1992 –l’accesso agli altri documenti in questo richiamati ed appartenenti al medesimo procedimento (a meno che si tratti di atti sottratti all’accesso secondo le vigenti disposizioni legislative), è altresì vero che questa “estensione” è limitata ai soli documenti richiamati per relationem ed appartenenti al medesimo procedimento amministrativo.
Da ciò consegue l’ovvio corollario che il richiedente non potrà lamentare alcun vulnus allorché l’Amministrazione non consenta l’accesso a documenti ulteriori e diversi rispetto a quelli espressamente indicati nella richiesta ed in questi non richiamati né appartenenti al medesimo procedimento5;
Nel caso in cui la documentazione richiesta sia stata oggetto di pubblicazione, l’Amministrazione potrà limitarsi ad indicarne la circostanza unitamente agli estremi della pubblicazione medesima (cfr. art. 3 c. 3 d.P.R. 352/1992).
L’esame dei documenti avviene presso la sede dell’ufficio indicato dall’Amministrazione, eventualmente alla presenza di un funzionario incaricato; il richiedente può presentarsi di persona, da solo o eventualmente accompagnato da altra persona (le cui generalità devono essere annotate dal funzionario incaricato in calce alla richiesta di accesso), ovvero può decidere di farsi rappresentare da un soggetto munito di specifica procura scritta.
Il richiedente, ovvero il suo procuratore, può prendere appunti e trascrivere il testo, in tutto o in parte, dei documenti visionati, con ovvio espresso divieto di asportare gli originali ovvero comunque deteriorarli o imbrattarli; in luogo della copiatura “amanuense” dei documenti, potrà richiedere il rilascio di copia fotostatica, eventualmente autenticata (cfr. art. 5 c. 7 d.P.R. 352/1992), previo pagamento del costo di riproduzione ed assolvimento dell’imposta di bollo eventualmente dovuta.
Le modalità di esercizio del diritto di accesso sopra indicate sono considerate dalla giurisprudenza cogenti, nel senso che il richiedente non può vantare un diritto specifico diretto ad ottenere l’accesso secondo modalità differenti ed, in particolare, mediante spedizione tramite corrispondenza della documentazione di cui è stata richiesta l’ostensione6.
Vi è però da dire che le Pubbliche Amministrazioni, e specie in questi ultimi anni durante i quali ha avuto un vertiginoso incremento il tasso di informatizzazione e meccanizzazione dei procedimenti amministrativi, spesso e volentieri consentono l’esercizio dell’accesso secondo modalità differenti rispetto a quelle appena esaminate e comunque volte a rendere più facile per il cittadino entrare in possesso delle notizie di cui necessita.
La potestà normativa regionale e delle autonomie locali.
Per espressa disposizione del legislatore, l’accesso ai documenti amministrativi costituisce, ai sensi dell’art. 117 c. 2 lett. m) Cost., livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali e come tale deve essere garantito su tutto il territorio nazionale.
La precisazione è quantomai opportuna posto che, infatti, la disciplina del procedimento amministrativo, ed in particolare quella dell’accesso alla documentazione, non costituisce materia riservata alla legislazione statale né, tantomeno, alla legislazione concorrente regionale ma, semmai, rientra nel campo di applicazione di cui all’art. 117 c. 4 Cost. disciplinante la “competenza legislativa esclusiva” delle Regioni.
Possiamo pertanto dire che le disposizioni in materia di accesso di cui alla L. 241/1990 (ad eccezione di quelle riconducibili alle garanzie giurisdizionali, comunque attribuite alla competenza legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117 c. 2 lett. l Cost.) costituiscono garanzia minimale non intaccabile da parte delle Regioni.
Tale conclusione è corroborata dal fatto che lo stesso art. 22 c. 2 L. 241/1990 prevede la facoltà per le Regioni (e le autonomie locali), nell’ambito delle rispettive competenze, di garantire livelli ulteriori di tutela.
La legittimazione del richiedente.
La L. 15/2005, riscrivendo interamente l’art. 22 L. 241/1990, elimina il precedente riferimento, di cui al c. 1, alla qualificazione dell’interesse giuridico all’accesso, sostituendolo con la puntuale (e meno controvertibile) definizione di chi debbano essere considerati soggetti “interessati” all’accesso, definiti come “tutti i soggetti, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”.
L’innovazione è più testuale che di sostanza, in quanto, anche in questa ipotesi come per molte altre che esamineremo in seguito, la novella non ha fatto altro che cristallizzare lo “stato dell’arte” cui la giurisprudenza è giunta nel corso degli ultimi anni, operando comunque un coordinamento tra i risultati di questa e la disposizioni poste a presidio della riservatezza dei dati personali.
In particolare, la giurisprudenza si era già più volte pronunciata nel senso di ritenere che l’interesse sotteso all’esercizio dell’ accesso dovesse essere “personale e diretto”, differenziato rispetto a quello della generalità dei cittadini7 (ossia immediatamente finalizzato al controllo dell’operato della Pubblica Amministrazione), ma curando di precisare come questo fosse ulteriore e – per così dire – più ampio rispetto a quello specificamente diretto ad ottenere tutela giurisdizionale avverso un atto della Pubblica Amministrazione, ed, anzi, esercitabile anche nei casi in cui l’azione giudiziaria non sarebbe stata ammissibile per carenza di interesse8 o di un altro dei presupposti dell’azione.
Il requisito della “personalità” dell’interesse non ha mai fatto dubitare, se non nel primo periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della L. 241/1990, della legittimazione all’accesso da parte di associazioni – quali quelle sindacali9 o dei consumatori10 – portatrici di interessi collettivi (ossia riconducibili ai singoli iscritti) o diffusi (ossia propri della collettività stanziata su un determinato territorio) allorché la relativa richiesta sia volta al controllo del comportamento della Pubblica Amministrazione con riguardo agli interessi di cui l’associazione è portatrice11.
La facoltà di accesso è stata sempre limitata dalla giurisprudenza maggioritaria - e queste conclusioni sono state ora trasfuse nell’art. 24 c. 3 L. 241/1990, laddove è previsto che “non sonno ammissibili istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato dell’operato delle Pubbliche Amministrazioni” - ai casi in cui sia preordinata alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante dotata dei caratteri della “specificità” e della diretta riferibilità al soggetto richiedente12, in modo tale escludere che possa essere diretta al controllo generalizzato dell’attività dell’Amministrazione13.
Ambito di applicazione soggettivo.
Il diritto di accesso, ai sensi dell’art. 23 L. 241/1990, può essere esercitato nei confronti:
La nozione di “pubblica amministrazione” ai fini dell’accesso è dunque significativamente più ampia rispetto a quella classica costruita dalla nostra giurisprudenza interna, propensa a farvi rientrare i soli soggetti pubblici esercenti finalità pubbliche, intese quali attività dirette al perseguimento del pubblico interesse, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga mediante il ricorso ad attività concretanti esercizio di pubblica funzione ovvero mediante uso dei normali strumenti del diritto comune.
In particolare, anche in subiecta materia, si assiste alla medesima dilatazione del concetto di “pubblica amministrazione” già occorsa, fra le altre, in relazione alla materia degli appalti, nel cui campo di applicazione vengono fatte rientrare, oltre alle Pubbliche Amministrazioni strictu sensu intese, anche altri soggetti a queste legati in vario modo e caratterizzati, fra le altre cose, dalla finalizzazione alla tutela del pubblico interesse;
In relazione a queste ultime, peraltro, l’art. 23 L. 241/1990 prevede, anche nel testo anteriore alla novella, una limitazione al diritto di accesso, il cui esercizio viene sì sancito, ma nei limiti e con le modalità previsti dai rispettivi ordinamenti16.
Il campo di applicazione soggettivo è da considerarsi suscettibile sì di interpretazione estensiva, ma non di interpretazione analogica, con la conseguenza che il privato non potrà vantare diritto di accesso nei confronti di soggetti non riconducibili ad alcuna delle cinque casistiche sopra descritte; questa, per lo meno, la conclusione cui è giunta la giurisprudenza di questi ultimi anni17.
Vi è però da dire che la definizione portata dall’art. 22 c. 1 lett. a) L. 241/1990, nel teso novellato, laddove fa rientrare nella definizione di “pubbliche amministrazioni” (ovviamente latu sensu intese) anche “i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” potrebbe portare a ritenere applicabile la disciplina in materia di accesso anche ai soggetti privati, esercenti un’attività del tutto privata ma assoggettata ad alcuni limiti derivanti dal diritto nazionale o comunitario in vista della migliore tutela del pubblico interesse, come potrebbero essere – giusto per fare un esempio – i soggetti privati appaltatori di opere del c.d. “genio civile” di cui all’art. 2 c. 2 lett. c) L. 109/1994 qualora queste siano di importo superiore ad 1 milione di euro e siano assistite da un contributo diretto e specifico, in conto capitali o in conto interesse, da parte dello Stato o di altra amministrazione aggiudicatrice, superiore al 50% dell’importo dei lavori.
Fermo restando che nel caso di cui all’esempio appena svolto troveranno applicazione le richiamate disposizioni di cui alla L. 109/1994, secondo il mio modesto avviso operare una “espansione” così radicale delle disposizione della L. 241/1990 è completamente fuori luogo. Il soggetto richiamato nell’esempio, infatti, è e resta privato e svolge – salvi casi particolari – attività puramente privata, seppure assoggettata ad alcuni specifiche limitazioni al precipuo fine di meglio tutelare la concorrenza intracomunitaria.
A mio modo di vedere, la L. 241/1990 può essere applicata anche ai soggetti privati – oltre che nel caso in cui si tratti di gestori di servizi pubblici, ai sensi dell’art. 23 della legge – nel solo caso in cui l’attività svolta sia diretta in modo immediato alla tutela del pubblico interesse o allo svolgimento di un’attività comunque sottesa al soddisfacimento di una finalità (intesa come bisogno) pubblico.
Ambito di applicazione oggettivo.
Oggetto di accesso – ossia “beni” in relazione ai quali è ammesso l’esercizio del relativo diritto – sono i ”documenti amministrativi”, definiti dall’art. 22 c. 1 lett. d) L. 241/1990 come “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una Pubblica Amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”.
La L. 15/2005, ancora una volta, ha avuto il pregio di cristallizzare i risultati cui la giurisprudenza era già giunta.
Da un veloce esame della definizione data, si nota subito come sia suscettibile di accesso il documento formato da uno dei soggetti di cui all’art. 23 L. 241/1990 e relativo ad una attività non costituente esercizio di pubblica funzione ma, al contrario, mera attività iure privatorum.
A tal proposito, giova sottolineare come, in passato, la giurisprudenza fosse già giunta a riconoscere – seppure dopo alcuni primi arresti in senso negativo18 - l’accessibilità dei documenti formati dalla Pubblica Amministrazione strictu sensu nell’ambito della sua posizione datoriale nell’ambito di rapporti di lavoro subordinato “privatizzati”19 o in ordine all’attività iure privatorum posta in essere dai gestori in concessione di servizi pubblici20.
Non sono invece accessibili – e ciò in forza dell’espressa previsione di cui all’art. 22 c. 4 L. 241/1990 – le semplici “informazioni” non sussunte (o non ancora riversate) in documenti amministrativi. Tale previsione di alcune eccezioni, una delle quali, sancita direttamente dalla L. 241/1990, prevede che siano fatte espressamente salve le disposizioni in materia di privacy di cui al D. Lgs. 196/2003; un’altra, di ben maggiore importanza visto l’ambito di applicazione, è quella di cui all’art. 10 c. 2 T.U.E.L., chiara nello stabilire il diritto dei cittadini (termine da intendersi in senso atecnico) agli atti ed alle “informazioni” in possesso delle amministrazioni locali.
Le esclusioni dal diritto di accesso ed il potere delle Pubbliche Amministrazioni di integrare la casistica prevista dal legislatore.
L’art. 24 L. 241/1990, come novellato dalla L. 15/2005, disciplina i casi in cui, a seguito di una “contiguità” fra il diritto all’accesso e la necessità di tutela di alcuni superiori dei soggetti di cui all’art. 23, si verifica la subordinazione del primo rispetto ai secondi.
Tutte le ipotesi di esclusione dal diritto di accesso che ci accingiamo ad esaminare sono di stretta interpretazione e pertanto in suscettibili di applicazione analogica. Tale conclusione è l’unica possibile alla luce del disposto dell’art. 24 c. 4 L. 241/1990 in forza del quale il divieto all’accesso non può essere opposto allorché gli interessi con esso configgenti possano essere adeguatamente tutelati mediante esercizio del potere di differimento.
Particolare, ad ogni modo, è la tecnica usata dal legislatore nell’individuazione dei casi di esclusione. Infatti, a fronte di ipotesi previste direttamente dal legislatore, l’art. 24 c. 6 L. 241/1990 prevede la possibilità per il Governo, mediante appositi regolamenti di delegificazione adottati ai sensi dell’art. 17 c. 2 L. 400/1998, purché nel rigoroso rispetto dei limiti previsti dalla L. 241/1990 stessa e delle altre norme aventi rango primario21, di individuarne di ulteriori.
Anche le altre “pubbliche amministrazioni” (latu sensu intese, e pertanto comprensive di tutti i soggetti richiamati nella definizione di cui all’art. 22 c. 1 lett. e) L. 241/1990 ma non degli ulteriori soggetti di cui all’art. 23 della medesima) possono individuare le categorie di documenti da esse detenuti o trattati sottratti all’accesso ai sensi dell’art. 24 c. 1 L. 241/1990: la differenza fondamentale fra questo potere e quello attribuito al Governo ai sensi dell’art. 24 c. 6 L. 241/1990 è che qui la “pubblica amministrazione” ha unicamente il potere di individuare le particolari “categorie di documenti” da essa forati o comunque trattati e sottratti all’accesso in applicazione dei divieti stabiliti direttamente dal legislatore ai sensi del comma 1 di tale articolo22 e non anche in applicazione dei regolamenti governativi di cui al comma 6.
Indipendentemente dalla fonte che prevede il divieto, sia essa una norma di rango primario (magari la stessa L. 241/1990) ovvero uno dei regolamenti di delegificazione sopra richiamati, deve essere comunque garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare e per difendere i propri interessi giuridici (art. 24 c. 7 L. 241/1990): il diritto alla difesa, pertanto, costituzionalmente presidiato dall’art. 24 Cost., prevale sulle esigenze di riservatezza23 della “pubblica amministrazione” o dei terzi i cui dati siano contenuti nei documenti da questa formati o trattati, e ciò indipendentemente dalla fondatezza giuridica del diritto fatto valere dal richiedente.
La giurisprudenza, infatti, ha avuto modo di sottolineare come, valutando la richiesta di accesso funzionalizzata alla difesa di un interesse proprio del richiedente24, non essere effettuato alcun apprezzamento in ordine alla fondatezza o all’ammissibilità della domanda che il richiedente intende proporre all’Autorità Giudiziaria né tantomeno può negare l’accesso in considerazione del fatto che quest’ultima goda di poteri istruttori più o meno pregnanti25.
I singoli casi di esclusione previsti direttamente dal legislatore.
L’art. 24 c. 1 L. 241/1990 dispone l’esclusione del diritto di accesso in ordine:
Il testo novellato differisce, sul punto, in modo abissale rispetto a quello precedente.
La “vecchia” disciplina, infatti, sottraeva all’accesso i soli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti tributari, con la conseguenza che la giurisprudenza concludeva per la riespansione del diritto di accesso all’intero procedimento tributario, ivi compresi i suoi atti preparatori27, una volta che si fosse concluso.
La nuova disciplina, all’opposto, esclude tout court il diritto di accesso “nei procedimenti tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano”.
A mio personale avviso, la novella non comporta il grande cambiamento che sembra derivare dalla successione logica delle parole usate: molte delle diversi leggi di imposta, fra le quali lo stesso “statuto del contribuente” di cui alla L. 212/2000, prevedono comunque facoltà di accesso agli atti a favore dei contribuenti in tutto e per tutto equiparabili a quella prevista dalla L. 241/1990;
Il diritto di accesso, pertanto, sussiste e non può essere conculcato in relazione agli atti del procedimento selettivo costituenti prove concorsuali o prova del diritto dei soggetti a partecipare alla relativa procedura28; allo stesso modo, il richiedente ha diritto ad accedere alla propria documentazione contenente informazioni di carattere psico-attitudinale, essendo, invece, il divieto limitato alla sola documentazione di carattere psico-attitudinale relativa a soggetti terzi (normalmente, si tratta degli altri soggetti partecipanti alla procedura selettiva).
Sono altresì ex lege sottratti all’accesso i documenti, diversi da quelli sopra richiamati, contenenti informazioni a questi connesse, ovviamente nell’ambito e nei limiti di tale connessione.
Il potere di individuazione riconosciuto alle singole “pubbliche amministrazioni”.
L’art. 24 c. 2 L. 241/1990 riconosce alle singole “pubbliche amministrazioni” – termine questo da intendersi secondo la definizione di cui al precitato art. 22 c. 1 lett. e) L. 241/1990 e pertanto comprensivo anche dei “soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario” ma con esclusione degli ulteriori soggetti di diritto di cui all’art. 23 L. 241/1990 – il potere di individuare, mediante appositi atti interni (che, nel caso delle amministrazioni locali, non possono essere altro che i regolamenti di cui all’art. 10 c. 2 TUEL), le “categorie di documenti”29 da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità sottratti all’accesso (in via generalizzata, vincolante30 e preventiva) in applicazione dei principi generali di cui all’art. 24 c. 1 L. 241/1990 appena visto.
Mediante l’esercizio di questo potere di individuazione le singole “pubbliche amministrazioni” non sono ovviamente titolate ad introdurre nuovi casi di esclusione ed, anzi, sono tenute a determinare i documenti sottratti ad ostensione previa la loro sussunzione in apposite “categorie”.
Non sarebbe pertanto legittimo un provvedimento che escludesse ad hoc l’accesso ad un singolo atto o agli atti facenti parte di un singolo provvedimento, in quanto costituirebbe palese violazione del principio di diritto appena esaminato.
Per quanto riguarda, più in particolare, le amministrazioni locali, per lo meno quelle assoggettate all’applicazione del TUEL, già in precedenza è stato affermato che l’ambito “oggettivo” del diritto di accesso risulta essere più esteso di quanto non lo sia nei confronti degli altri organismi nei cui confronti la L. 241/1990 trova applicazione, e ciò per il fatto che l’art. 10 c. 2 TUEL assicura l’accesso dei cittadini alle “informazioni” di cui l’amministrazione locale sia in possesso.
Dal coordinamento di questa disciplina di favore con il potere di individuazione oggetto della previsione qui in esame, appare chiaro come le amministrazioni locali non sono titolate ad operare una previa catalogazione delle “informazioni” in loro possesso ai fini dell’esclusione del diritto di accesso in applicazione dell’art. 24 c. 1 L. 241/1990 (ovviamente nei soli casi in cui sia configurabile un diritto di accesso alle semplici “informazioni”). Ciò, ovviamente, non significa che le “informazioni” siano sempre e comunque ostensibili a richiesta di quisque de populo, ma semplicemente che l’esclusione dovrà essere disposta a seguito di specifico esame del caso concreto, senza possibilità di “incasellare” l’informazione richiesta in una particolare categoria sottratta all’accesso.
L’individuazione prevista dalla disposizione qui in esame costituisce sì esercizio di un potere, ma è comunque un adempimento meramente facoltativo da parte delle “pubbliche amministrazioni”, con la conseguenza che, in sua assenza, il richiedente potrà comunque ottenere l’accesso alla documentazione amministrativa in possesso dell’autorità secondo le comuni regole e che l’Amministrazione, dal canto suo, non potrà opporre alcun divieto generalizzato di accesso per singole categorie di documenti dovendo invece disporre il diniego a seguito di una disamina ad hoc della richiesta e solo nei casi espressamente previsti dalle vigenti disposizioni31.
Gli ulteriori casi di esclusione oggetto di regolamento di deleggificazione.
Diversa da quella sopra esaminata, ed infatti circondata di maggiori cautele, è la previsione di cui all’art. 24 c. 6 L. 241/1990 in forza della quale il Governo, con apposito regolamento di delegificazione approvato con le modalità di cui all’art. 17 c. 2 L. 400/1988, può emanare una disciplina ad hoc dei casi di sottrazione all’accesso di documenti amministrativi qualora:
L’ipotesi qui delineata non costituisce altro se non riproposizione della formula già contenuta nel precedente art. 24 c. 2 lett. a) L. 241/1990 (nel testo anteriore alla novella) “aggiornata” in funzione dell’evoluzione giurisprudenziale di questi ultimi anni;
Anche questa ipotesi, come la precedente, non costituisce altro se non una riedizione del contenuto del precedente art. 24 c. 2 lett. b) adeguata sulla base della giurisprudenza intervenuta in questi anni;
Come già visto per i primi due punti, anche qui il legislatore ha operato il coordinamento della previsione anteriore con i risultati cui la giurisprudenza è giunta; a differenza, però, dei casi precedenti, il legislatore ha anche cercato di operare una sintesi fra la disciplina in materia di accesso e quella in materia di riservatezza dei dati personali, cercando così di individuare un trait d’union rispettoso dei giudicati di questi anni.
Come si vede, al Governo è attribuito un potere ampiamente discrezionale nello stabilire i casi ricorrendo i quali la documentazione presentante le caratteristiche sopra viste può essere sottratta all’accesso; potere comunque rientrante nell’ambito della “discrezionalità amministrativa”. Da ciò consegue che il regolamento può individuare i casi di esclusione solo previa opportuna valutazione degli opposti interessi in gioco: i primi collegati alla necessità di tutelare primari interessi collettivi individuati nella casistica enucleata dall’art. 24 c. 6 L. 241/1990; i secondi, consistenti nell’interesse (in parte privato, ma in parte anche pubblico, in quanto costituente una modalità di controllo anticipato dell’operato dell’Amministrazione nel singolo caso e quindi un chiaro elemento di democrazia amministrativa) all’accesso.
Questa conclusione è ormai ius receptum da parte della giurisprudenza, tanto è vero che la stessa afferma ormai costantemente la non sindacabilità in sede di giudizio delle scelte operate dal Governo33, salva – a mio giudizio – la possibilità per il giudice amministrativo di pronunciare l’annullamento del regolamento (o di parte di esso) allorché sia riscontrata la presenza di un vizio di competenza, di legittimità o (per quanto più specificamente attiene alla discrezionalità amministrativa) la presenza di una situazione integrante vizio di eccesso di potere.
I rapporti fra l’esclusione ed il differimento.
La L. 15/2005 non ha modificato in modo sostanziale il rapporto esistente fra il diniego ed il differimento di accesso, se non facendo assurgere al rango legislativo la previsione – peraltro già contenuta nell’art. 8 d.P.R. 352/1992 e fatta propria dalla costante giurisprudenza – del divieto di diniego di accesso laddove, per la tutela degli interessi di cui all’art. 24 c. 1 L. 241/1990 sia sufficiente il mero differimento (cfr. art. 24 c. 4 L. 241/1990)34.
Ovviamente, trattandosi di una misura squisitamente temporanea, il provvedimento di differimento deve indicare, a pena di invalidità (ovviamente ricorribile nelle forme di cui all’art. 25 c. 5 L. 241/1990), il proprio termine finale e, pertanto, il momento a decorrere dal quale l’accesso deve intendersi autorizzato (cfr. art. 7 c. 2 d.P.R. 352/1992)35.
La reazione al diniego di accesso.
Oggetto di parziale modifica è la disciplina della reazione al divieto di accesso da parte dei soggetti di cui all’art. 23 L. 241/1990; in particolare, il legislatore ha introdotto alcune novità dirette a coordinare il disposto della L. 241/1990 con quanto in oggi previsto dalla L. 1034/1971 (specie a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 205/2000) nonché a potenziare il rito “deflattivo” imperniato sulla figura del difensore civico, peraltro applicabile solo alle Pubbliche Amministrazioni strictu sensu intese.
Ma passiamo ad un rapido esame della disciplina così come novellata.
I primi tre commi dell’art. 25 non hanno subito alcuna modifica e, pertanto, come in precedenza, il diritto di accesso viene esercitato mediante esame (gratuito) ed estrazione di copia (subordinato al rimborso del costo di riproduzione nonché dei diritti di ricerca e visura, e salve comunque le disposizioni in materia di imposta di bollo) dei documenti amministrativi previa presentazione di apposita richiesta.
In realtà, l’accesso “formale” – ossia preceduto da un’istanza scritta – non è l’unica forma di ostensione riconosciuta dal nostro ordinamento, anche se è l’unica ad essere disciplinata in via generale dalla L. 241/1990. Continua, infatti, a trovare regolare applicazione (per lo meno nella parte non implicitamente abrogata a seguito dell’entrata in vigore della novella) il d.P.R. 352/1992 il cui art. 3 disciplina l’accesso “informale”, consentito a seguito della presentazione di una richiesta informale, anche verbale, da parte dell’avente titolo.
Peraltro, allorché il funzionario preposto abbia dubbi in ordine alla legittimazione all’accesso ovvero la richiesta non possa essere soddisfatta immediatamente, deve, ai sensi dell’art. 4 d.P.R. 352/1992, invitare il richiedente a presentare domanda formale, la quale verrà, se richiesta dell’accesso è una Pubblica Amministrazione strictu sensu intesa, assunta immediatamente al protocollo e trasmessa all’ufficio competente per l’accesso. &n Sabato, 26 Marzo 2005
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