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INDAGATI E DESTINATARI DI UN’INFORMAZIONE DI GARANZIA A SETTE ANNI: UNA SCELTA ACCUSATORIA TRA RIGORE FORMALISTICO E DISCREZIONALITA’ TECNICA

di Carlo Alberto Zaina (Avvocato in Rimini)

da Altalex
Responsabilità penale del minore non imputabile ed informazione di garanzia
Articolo di
Carlo Alberto Zaina 29.12.2004

INDAGATI E DESTINATARI DI UN’INFORMAZIONE DI GARANZIA A SETTE ANNI: UNA SCELTA ACCUSATORIA TRA RIGORE FORMALISTICO E DISCREZIONALITA’ TECNICA

di Carlo Alberto Zaina
(Avvocato in Rimini)

Possono bambini, minori degli anni quattordici, essere iscritti nel registro degli indagati, ed, indi, risultare destinatari di un’informazione di garanzia?

La questione ha suscitato notevole stupore, quando su alcuni organi di stampa, è apparsa la notizia che la Procura presso un Tribunale per i Minorenni, aveva sottoposto ad indagine, due bambini di sette anni, con l’accusa di incendio colposo.

Sia chiaro che in questa sede non interessa affatto esaminare l’aspetto sensazionalistico o giornalistico della vicenda, quanto piuttosto importa porsi il problema squisitamente giuridico (anche se riverberante effetti indubbiamente sia di metodo, che di merito), onde valutare la correttezza formale e sostanziale dell’iter processuale adottato, nonché ponderare l’opportunità giuridica del compimento di taluni atti.

Con ordine.

L’art. 26 del DPR 22 Settembre 1988 n. 448, impone al giudice l’obbligo dell’immediata declaratoria della non imputabilità, laddove l’autore del reato sia infraquattordicenne, attraverso l’emissione di una sentenza.

La questione ha, dall’entrata in vigore della riforma codicistica, formato oggetto di indirizzi giurisprudenziali contrastanti posto che un orientamento ha sostenuto che il giudice deve procedere alla pronunzia di una sentenza1, mentre, opposta corrente di pensiero ha propugnato la tesi che, invece, il G.I.P. debba azionare lo strumento dell’archiviazione, cioè del decreto.2

Il contrasto è stato sanato dalla Suprema Corte, la quale ha precisato come la norma di cui all’art. 26 d.P.R. 22 settembre 1988 n. 448, che impone l’immediato proscioglimento del minore infraquattordicenne, debba essere considerata di natura speciale.

Per tale motivo, essa prevarrebbe sull’art. 129 c.p.p. e troverebbe applicazione già in fase procedimentale a cura del G.I.P. che deve, così, pronunciare anche di iniziativa, con sentenza.

Si tratta, a parere del Collegio di legittimità, di pronuncia anticipatoria di quella omologa prevista per l’udienza preliminare (art. 32 d.P.R. n. 448 del 1988 e 425 c.p.p.), che non rientra nei casi di archiviazione e che non pregiudica il contraddittorio.3

La tesi della Corte di Cassazione appare in linea con un interpretazione rigorosamente ermeneutica della norma in questione; l’art. 26, infatti, espressamente prevede come strumento dichiarativo del giudice la sentenza di non luogo a procedere.

E’ evidente, quindi, che, ragioni di opportunità ed urgenza inducono a ritenere pacificamente derogato il principio per il quale la sentenza di n.l.p. dovrebbe essere conseguenza naturale ed ovvia dell’udienza preliminare e del contraddittorio instaurato in tale momento processuale di chiusura delel indagini preliminari.

E’ parimenti evidente, che l’affermazione della S.C., in relazione alla circostanza che esisterebbe una prevalenza dell’art. 26 DPR 448/88 rispetto all’art. 129 c.p.p., venendosi a sostenere così un carattere di lex specialis per la prima disposizione di legge a scapito della seconda, è condivisibile solo in parte e lo è solo tenendo conto della ratio di assoluta eccezionalità della norma minorile.

Infatti, l’unica reale distinzione che intercorre tra le due previsioni che si valutano consiste nel fatto che l’art. 129 c.p.p esclude una decisione de plano4.

Tale potere, invece, appare ad appannaggio del giudice minorile, in deroga al principio di tassatività della celebrazione dell’udienza preliminare, come momento processualmente propedeutico alla pronunzia.

In concreto, il minore degli anni 14 non assumerà mai, ai sensi dell’art. 60/1° c.p.p., la qualità dell’imputato, proprio perché non sarà affatto necessario o possibile (oltre che opportuno) che nei di lui confronti venga iniziata l’azione penale nelle forme descritte dalla citata norma.

Per giungere, però, alla definizione del giudizio, ancorché immediata, ci si deve chiedere se la pubblica accusa debba, almeno, procedere all’iscrizione del minore indagato (o dei minori indagati) sul registro tenuto ex art. 335 c.p.p., e se il P.M. debba avvertire l’interessato ed i suoi genitori del fatto che si procede penalmente nei suoi confronti.

A parere di chi scrive appare incontrovertibilmente atto dovuto quello dell’iscrizione del minore nel registro degli indagati, anche se l’inquisito sia minore degli anni 14.

Sicchè la scelta del P.M. in tale senso appare conforme allo spirito della norma, la quale potrà essere discutibile, modificabile, ma non tollera o permette, nella fattispecie, spazio ad interpretazioni differenti da quella esposta.

Allo stesso modo, quindi, non appare allo scrivente affatto necessario, per l’eventuale prosieguo del procedimento, l’invio da parte del P.M., al minore inquisito ed agli esercenti la potestà genitoriale, dell’informazione di garanzia di cui all’art. 369 c.p.p..

Con riguardo al primo aspetto, e cioè quello dell’iscrizione del minore degli anni 14, ritengo che nessuna norma procedurale osti o vieti tale adempimento.

Anzi, reputo che, in assenza dello stesso – pur essendo noti gli autori del fatto – non si possa addivenire alla definizione del giudizio.

In buona sostanza, sono persuaso del fatto che, prioritariamente ad ogni altra osservazione, non si possa prosciogliere una persona, ancorché non imputabile per scelta geneticamente ex lege, ove la stessa non abbia assunto quanto meno la veste di indagato, ai sensi del’art. 61 c.p.p. .

E’, infatti, evidente che la condizione originaria ed assoluta di non imputabilità dell’autore del fatto, stabilita dal co. 1° dell’art 98 c.p.5, siccome frutto di una presunzione iuris et iure, non postula o richiede alcun tipo di verifica peritale.

Essa potrebbe, invece, avvenire laddove si dovesse constatare e decidere se la persona (maggiorenne o minore dei 18 anni, ma maggiore dei 14 anni) sia capace d’intendere e volere, perché affetta da qualche patologia endogena e, se, in caso di affermazione di penale responsabilità l’inquisito debba essere sottoposto ad un trattamento sanzionatorio o prosciolto con applicazione di misura di sicurezza.

In tale occasione, infatti, l’autorità procedente deve obbligatoriamente giungere a formulare una prognosi, sulla base di consulenza tecniche e specialistiche, in ordine alla sussistenza della capacità di intendere e volere del soggetto, in relazione al momento di commissione della condotta integrante il reato, per, indi, addivenire al giudizio sopra richiamato.

Nel caso in disamina, invece, una volta operata la sola verifica anagrafica ed appresa la data di nascita dei minori indagati in relazione al fatto contestato, verificata la sussistenza di prova che confermi l’attribuzione certa e diretta dell’illecito a costoro, nessun accertamento ulteriore può essere richiesto o svolto sul piano soggettivo, venendosi a verificare un pieno automatismo, che esclude la colpevolezza determinando irresponsabilità penale, quale conseguenza della non imputabilità.

In pari tempo la fase procedimentale viene automaticamente ad affrontare un ostacolo insormontabile, arrestandosi.

Sicchè la scelta formale dell’iscrizione, nel registro tenuto ex art. 335 c.p.p., dei due bambini, per quanto possa sembrare paradossale ed apparentemente in contrasto con l’art. 26 (norma si ricordi di natura materiale), risulta, invece, strictu sensu corretta giuridicamente in quanto:

  1. risponde all’esigenza di individuare ed identificare comunque il soggetto od i soggetti cui il fatto viene attribuito;

  2. non determina affatto in concreto la sottoposizione dell’indagato ad una vera e propria indagine preliminare, intesa come fase prodromica di raccolta delle prove da utilizzare in giudizio;

  3. costituisce una condizione di procedibilità assolutamente necessaria per addivenire alla sentenza di proscioglimento ex art. 26 Dpr 448/1998, che, diversamente, non potrebbe essere pronunziata dal giudice. In assenza dell’esatta individuazione della persona cui viene attribuita la commissione materiale del fatto, infatti, l’unica possibilità sarebbe l’archiviazione con la formula per essere ignoti gli autori; si tratta, però, di un’ipotesi completamente diversa da quella in oggetto.

Perplessità, invece, solleva la scelta di inviare un’informazione di garanzia ai due piccoli discoli.

Questa osservazione non si pone affatto in contrasto con quanto sin qui affermato.

A parere di chi scrive, infatti, l’avviso di pendenza del procedimento, in un caso quale quello in esame e, comunque, in presenza di un conditio de jure che impedisca assolutamente la progressione logica del procedimento, non aveva alcuna pratica necessità di essere inviato agli ipotetici interessati.

La ratio che, infatti, sovrintende e giustifica l’utilizzo dello strumento previsto dalla disposizione dell’art. 369/1° c.p.p. consiste nel fatto che debba essere compiuto un atto al quale il difensore ha diritto di assistere.

Il codice afferma che solo nella situazione dianzi descritta, l’invio deve avvenire.

Ci si deve, però, chiedere se nel caso in esame l’esigenza investigativa, in relazione al reato ipotizzato, potesse prevalere su ogni altra valutazione di fatto e diritto, e, soprattutto, sull’art. 26 più volte citato.

La soluzione al quesito deve essere negativa.

Se, infatti, fosse stata intenzione del P.M. di procedere ad attività investigative, o se le stesse avessero costituito atto necessario o, comunque, indefettibile il rappresentante della pubblica accusa, nella consapevolezza che, comunque, l’indagine non avrebbe mai potuto sfociare nella fase processuale vera e propria del giudizio – attesa la nota preclusione della non imputabilità -, si sarebbe trovato preclusa ogni possibilità di verifica in contraddittorio.

Al massimo avrebbe potuto procedere utilizzando lo strumento dell’art. 359 c.p.p., pur dovendosi tenere conto del fatto che lo stesso non riguarda i cd. accertamenti tecnici non ripetibili, che sono previsti, invece, dall’art. 360 c.p.p. e presuppongono necessariamente che le parti debbano essere avvertite.

Pare, quindi, di poter tranquillamente affermare come la previsione della legge minorile appaia norma di assoluto ed invalicabile sbarramento, risultando inconciliabile con qualsiasi tipo di investigazione, precludendo, ovviamente, la partecipazione del minore al procedimento.

Vi è, però, da domandarsi come possa conciliarsi siffatta preclusione con la necessità, che spesso insorge, di dare rapido ed immediato corso a verifiche su cose suscettibili di modifica e che quindi devono essere svolte nel contraddittorio seppur imperfetto.

Si pensi, ad esempio, all’ipotesi che un minore degli anni 14 anni sia accusato di avere commesso un grave reato, ad esempio un omicidio e si ritenga di dover ricorrere ad un’autopsia sulla vittima, per accertare le cause e le modalità del decesso.

A parere di chi scrive la soluzione appare obbligata e consiste nel recupero, ancorchè in maniera estremamente limitata, dello strumento previsto dall’art. 359 c.p.p. .

A tale soluzione si deve giungere necessariamente, non essendovi altre strade procedurali giuridicamente praticabili, posto che si devono contemperare due esigenze opposte ed apparentemente inconciliabili.

Da un lato, va, infatti, rilevata l’impossibilità di incardinare un contraddittorio valido, che abbia come parte anche il minore.

Ciò esclude, così, il ricorso all’art. 360 c.p.p. citato, che presuppone a pena di nullità la partecipazione di tutte le parti del processo.

Dall’altro, però, è inaccettabile ed inammissibile che non si possa dare corso ad accertamenti, che, per quanto non strettamente utilizzabili in sede di giudizio processualpenalistica, appaiono, comunque, atti dovuti d’indagine, tesi a chiarire le modalità di commissione di un illecito di natura penale, commesso da soggetto in suscettibile di punizione, solo in virtù di una scelta formale e codicistica.

In quest’ultimo ambito, quindi, l’attività d’indagine dovrà a fortiori risultare circoscritta e limitata, in quanto essa non potrà mai coinvolgere direttamente il minore, quale protagonista dell’atto investigativo.

Sicchè, non sarà mai possibile ad esempio sottoporlo al cd. "tampone a freddo" finalizzato al prelievo di eventuali residui indicativi dell’uso di armi da fuoco, né al prelievo di impronte, onde ricercare prove della sua responsabilità.

L’utilizzo della previsione di cui all’art. 359 c.p.p., pertanto, a parere di chi scrive, permette di recuperare attività investigative svolte o da svolgere, comunque, nell’immediatezza del fatto, salvaguardandone l’esistenza, quanto meno sul piano naturalistico e fornendo loro un pregio ed una valenza anche sul piano del diritto.

E’ innegabile, infatti, che taluni accertamenti (irripetibili geneticamente o per ragioni sopravvenute) possono avere un valore, laddove l’illecito penale possa avere connotazioni e riflessi di collaterale e conseguente responsabilità civile.

Nel caso che ci occupa, vertendosi in ambito di incendio colposo, non è francamente pensabile che tutta una serie di attività di acquisizione proprie della p.g., svolte nell’immediatezza dei fatti, (quali il recupero di corpi di reato o di tracce che permettano l’identificazione della natura dell’incendio) non potessero essere svolte, perché l’agente (o gli agenti) sarebbero risultati minori infraquattordicenni.

E’, infatti, evidente come l’evento-incendio abbia cagionato un chiaro danno, che ha una sua pregnanza sul piano economico.

Del pari, è evidente, nella fattispecie, l’esistenza di una parte offesa, che avrà comunque titolo per un’eventuale azione civile nei confronti degli esercenti la potestà genitoriale, a fini risarcitori e che si dovrà e potrà basare probatoriamente anche sulle risultanze d’indagine penale.

Deriva, pertanto, l’ovvia considerazione che, al di là del fervore garantistico, che può sottendere alla scelta operata dal P.M., nella vicenda in questione, l’avviso di garanzia, inviato ai due piccoli indagati, non rispondeva, né poteva rispondere ad alcuna concreta necessità procedimentale.


 

1Nel corso delle indagini preliminari il G.I.P. minorile è competente ad emettere sentenza di non luogo a procedere per difetto di imputabilità del soggetto nei confronti del quale si procede.

 

Trib. Minorenni Campobasso, 19/05/1992, L.M. e altri, Giur. di Merito, 1994, 497, nota di MANERA, Arch. Nuova Proc. Pen., 1992, 556, nota di MERCONE

 

2 Proc. Rep. Trib. minorenni L’Aquila, 23/01/1993, Morelli e altri, Giur. di Merito, 1994, 497, nota di MANERA. Qualora nel corso delle indagini preliminari risulti che l’indagato è minore degli anni quattordici, e quindi non imputabile ex art. 97 c.p., il g.i.p. minorile deve disporre l’archiviazione degli atti per l’impossibilità di una valida costituzione del rapporto processuale, e non pronunciare sentenza di non luogo a procedere, data l’inapplicabilità, in tal caso, dell’art. 26 delle nuove disposizioni sul processo minorile, non potendo l’infraquattordicenne assumere formalmente la qualità di imputato.

 

3 Cass. pen., Sez.V, 07/04/1997, n.1604,X, Dir. Pen. e Processo, 1998, 475, nota di SCEUSA

 

4 L’art. 129 c.p.p., nel prevedere l’obbligo della declaratoria di non punibilità, nei casi in esso contemplati, in ogni stato e grado del processo, nulla dispone in ordine al rito da seguire per la pronuncia di detta declaratoria; ragion per cui tale rito non può che essere quello della fase in cui il processo si trova. E’ pertanto da ritenere illegittimo il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, investito della richiesta di rinvio a giudizio, emetta "de plano" sentenza di non luogo a procedere per ritenuta evidenza di una causa di improcedibilità dell’azione penale, potendo una tale pronuncia conseguire soltanto all’esito della celebrazione dell’udienza preliminare.

 

Cass. pen., sez. I, 22/04/1998, n.2277, Motika e altri, Giust. Pen., 1999, III, 511, Cass. Pen., 1999, 3543

 

5 E’ imputabile chi, nel momento in cui ha commesso il fatto, aveva compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, se aveva la capacità di intendere e di volere ma la pena è diminuita.





Venerdì, 07 Gennaio 2005
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