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PATENTE A PUNTI: NORMA IN PARTE ILLEGITTIMA IL TESTO DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 27 DEL 24 GENNAIO 2005

Corte Costituzionale,sentenza n.27 del 24 gennaio 2005

da sito http://www.cortecostituzionale.it/

PATENTE A PUNTI: NORMA IN PARTE ILLEGITTIMA

IL TESTO DELLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 27 DEL 24 GENNAIO 2005

SENTENZA  N.27

 

 

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

-  Valerio        ONIDA             Presidente

 

-  Fernanda       CONTRI            Giudice

 

-  Guido          NEPPI MODONA            ”

 

-  Piero Alberto  CAPOTOSTI               ”

 

-  Annibale       MARINI                      ”

 

-  Franco         BILE                         ”

 

-  Giovanni Maria FLICK                     ”

 

-  Francesco      AMIRANTE               ”

 

-  Ugo            DE SIERVO                 ”

 

-  Romano         VACCARELLA            ”

 

-  Paolo          MADDALENA               ”

 

-  Alfio          FINOCCHIARO              ”

 

-  Alfonso        QUARANTA                ”

 

-  Franco         GALLO                     ”

 

ha pronunciato la seguente              

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), disposizione introdotta dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 2003, n. 214, e dell’art. 126-bis, comma 2, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, aggiunto dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), modificato dall’art. 7, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151, convertito con modificazioni nella legge 1° agosto 2003, n. 214, promossi con ordinanze dell’8 novembre 2003 dal Giudice di pace di Voltri, del 5 dicembre 2003 dal Giudice di pace di Mestre, del 23 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Ficarolo, del 16 marzo 2004 dal Giudice di pace di Bra, del 17 febbraio 2004 dal Giudice di pace di Mestre, del 26 gennaio 2004 dal Giudice di pace di Montefiascone, del 30 e del 26 aprile 2004 dal Giudice di pace di Lanciano, del 12 maggio 2004 dal Giudice di pace di Carrara e del 10 maggio 2004 (n. 2 ordinanze) dal Giudice di pace di Casale Monferrato, rispettivamente iscritte ai nn. 120, 267, 465, 503, 569, 575, 643, 658, 701, 721 e 722 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11, 23, 25, 26, 32, 36 e 38, prima serie speciale, dell’anno 2004.

 

    Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

    udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2004 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

 

Ritenuto in fatto

 

    1.- Il Giudice di pace di Genova, sezione distaccata di Voltri (r.o. n. 120 del 2004), ha sollevato questione di legittimità costituzionale – per la violazione degli articoli 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione – dell’art. 204-bis, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), disposizione introdotta dall’art. 4, comma 1-septies, del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada), aggiunta dalla legge di conversione 1° agosto 2003, n. 214.

 

    Il medesimo giudice rimettente – ipotizzando esclusivamente il contrasto con l’art. 3 della Costituzione – ha sollevato questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992, introdotto dall’art. 7 del decreto legislativo 15 gennaio 2002, n. 9 (Disposizioni integrative e correttive del nuovo codice della strada, a norma dell’articolo 1, comma 1, della legge 22 marzo 2001, n. 85), nel testo risultante all’esito della modifica apportata dall’art. 7, comma 3, lettera b), del già segnalato d.l. n. 151 del 2003, come modificato – a propria volta – dalla summenzionata legge di conversione n. 214 del 2003.

 

    Il suddetto articolo 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 è censurato dal rimettente genovese «nella parte in cui prevede che nel caso di mancata identificazione del conducente la segnalazione della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi entro 30 giorni i dati personali e della patente del conducente».

 

    I Giudici di pace di Mestre (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004), Bra (r.o. n. 503 del 2004), Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004), Lanciano (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), Carrara (r.o. n. 701 del 2004) e Casale Monferrato (r.o. nn. 721 e 722 del 2004), hanno, a loro volta, sollevato questione di legittimità costituzionale – deducendo, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24, 25 (l’indicazione di quest’ultimo parametro apparendo, per vero, frutto di un laspsus calami) e 27 della Costituzione – sempre dell’art. 126-bis, comma 2 (ma, invero, la prima ordinanza di rimessione pronunciata dal rimettente di Mestre parrebbe investire l’intero articolo), del d.lgs. n. 285 del 1992.

 

    1.1.- Riferisce il primo dei rimettenti (r.o. n. 120 del 2004) di essere investito della decisione del ricorso proposto – a norma dell’art. 204-bis del codice della strada – avverso un verbale di contestazione di infrazione stradale, «con il quale è stata irrogata la sanzione amministrativa pecuniaria di euro 137,55 e la sanzione amministrativa accessoria della decurtazione di punti sei dal punteggio attribuito alla patente di guida di veicoli a motore». Deduce, altresì, il Giudice di pace di Genova che il ricorrente «non ha provveduto al versamento della somma pari alla metà del massimo edittale della sanzione inflitta, come previsto dal comma 3 del predetto art. 204-bis», evidenziando, inoltre, che l’interessato – nel suo ricorso – ha sottolineato che «il veicolo al momento dell’infrazione era in uso alla propria moglie».

 

    Ciò premesso, il giudice a quo ipotizza – innanzitutto – il contrasto dell’art. 204-bis, comma 3, del d.lgs. n. 285 del 1992, con gli artt. 3, 24, primo comma, e 113, secondo comma, della Costituzione.

 

    La norma di legge suddetta, infatti, violerebbe l’art. 3 della Carta fondamentale sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento realizzata tra quanti adiscono le vie giudiziali per l’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione stradale, e coloro che – in alternativa – decidano o di proporre, allo stesso scopo, ricorso amministrativo all’autorità prefettizia, ovvero impugnino direttamente la c.d. “ordinanza-ingiunzione”, giacché «l’incombente procedurale di cui al comma 3 dell’art. 204-bis non è imposto a chi ricorra al prefetto ai sensi dell’art. 203» del d.lgs. n. 285 del 1992, ovvero a chi, ai sensi degli artt. 204-bis e 205, ricorra al giudice di pace avverso l’ordinanza ingiunzione del prefetto. Un secondo motivo d’incostituzionalità, prosegue il rimettente, sarebbe, inoltre, ravvisabile in relazione all’art. 24, primo comma, della Costituzione, giacché l’imposizione dell’onere procedurale previsto dalla norma impugnata limiterebbe ingiustificatamente «la possibilità di agire in giudizio per la tutela dei diritti», non essendo difatti «dettata da ragioni di giustizia o di carattere processuale». Infine, conclude sul punto il rimettente, un ulteriore autonomo profilo d’incostituzionalità dovrebbe riscontrarsi riguardo all’art. 113, secondo comma, della Costituzione, atteso che esso «prevede che la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione».

 

    Inoltre, il Giudice di pace di Genova solleva questione di legittimità costituzionale anche dell’art. 126-bis, comma 2, del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.

 

    Siffatta disposizione, «nella parte in cui prevede che nel caso di mancata identificazione del conducente, la segnalazione della decurtazione del punteggio attribuito alla patente di guida deve essere effettuata a carico del proprietario del veicolo, salvo che lo stesso non comunichi, entro 30 giorni, i dati personali e della patente del conducente», sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, configurando «un caso di responsabilità oggettiva a carico del proprietario del veicolo», giacché questi risponderebbe «per fatto altrui». Orbene, prosegue il giudice a quo, mentre il ricorso a tale modello di responsabilità «può apparire corretto» nelle ipotesi previste dagli articoli 196 del codice della strada e 2054 del codice civile (poiché in tali casi la responsabilità solidale del proprietario del veicolo, «per l’aspetto puramente riparatorio», risponde alla duplice necessità di evitare che «molte norme sulla circolazione stradale» restino eluse, e che i danneggiati in sinistri stradali possano «non ottenere il giusto risarcimento»), è, per contro, irragionevole che il proprietario del veicolo sia punito per un fatto che non ha commesso, o che non ha neppure concorso a realizzare.

 

    D’altra parte, osserva ulteriormente il rimettente, l’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), enuncia «il principio della responsabilità personale in tema di sanzioni amministrative di natura punitiva» (a tale categoria appartenendo la misura della decurtazione dei punti dalla patente, dovendo essa considerarsi sanzione accessoria avente carattere strettamente «punitivo personale»), di talché la disposizione impugnata – nella misura in cui introdurrebbe una deroga a tale principio – realizzerebbe «una disparità di trattamento tra i trasgressori di alcune norme del codice della strada ed i trasgressori di altre norme amministrative».

 

    Infine, conclude il rimettente genovese, «poiché nel nostro ordinamento è consentito ad una persona fisica di essere proprietario di veicoli a motore pur non essendo titolare di patente di guida», l’art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992 realizzerebbe «una disparità di trattamento tra soggetti proprietari del veicolo oggetto dell’infrazione muniti della patente di guida e quelli che ne sono privi, risultando di fatto punibili con la decurtazione del punteggio solo i primi».  

 

    1.2.- Il Giudice di pace di Mestre, con due distinte ordinanze (r.o. nn. 267 e 569 del 2004), ha sollevato – ipotizzando il contrasto, nella prima ordinanza, con il solo art. 3 della Costituzione, e, nella seconda, anche con gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale – questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis, comma 2 (ma, come già rilevato, la prima ordinanza di rimessione parrebbe censurare l’intero articolo), del d.lgs. n. 285 del 1992.

 

    1.2.1.- In particolare, nella prima delle due ordinanze (r.o. n. 267 del 2004), il giudice a quo censura la disposizione suddetta «nella parte in cui non prevede l’inapplicabilità della sanzione accessoria della detrazione dei punti sulla patente di guida in difetto della normativa di attuazione dei previsti corsi di recupero».

 

    Il rimettente descrive, preliminarmente, l’oggetto del giudizio a quo, consistente nella decisione di un ricorso (proposto avverso verbale di contestazione di infrazione risalente al 3 luglio 2003) nel quale si «deduce l’illegittimità della norma che introduce la sanzione accessoria della detrazione dei punti» dalla patente di guida, atteso che «la nuova disciplina sarebbe incompleta non essendo stata introdotta la puntuale disciplina dei c.d. corsi di recupero, che dovrebbero, secondo il disegno del legislatore, consentire al conducente sanzionato il recupero dei punti detratti».

 

    Ciò premesso, il Giudice di pace di Mestre (sempre nella prima – r.o. n. 267 del 2004 – delle due ordinanze da esso pronunciate) deduce come «la disciplina applicabile al momento della contestata infrazione» risulti quella prevista dal d.l. n. 151 del 2003, che avrebbe fissato quale data di entrata in vigore del d.lgs. n. 9 del 2002 (cioè il testo normativo recante la disciplina relativa alla “patente a punti”) quella del 1° luglio 2003. Poiché, però, soltanto con decreto ministeriale del 29 luglio 2003 (Programmi dei corsi per il recupero dei punti della patente di guida), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 6 agosto 2003, sono state «introdotte le norme di dettaglio sull’organizzazione dei corsi di recupero previsti dall’art. 126-bis» del codice della strada, emergerebbe secondo il rimettente «dalla descritta successione di norme (…) l’impossibilità giuridica, per un trasgressore sanzionato nel periodo dal 1° luglio al 6 agosto 2003» (tale essendo l’evenienza ricorrente nel caso oggetto del giudizio a quo) di «accedere al meccanismo di recupero dei punti persi».

 

    In forza di tali rilievi, il Giudice di pace di Mestre pone in luce come, «a fronte dell’imposizione di una sanzione, per la quale sono previsti rimedi di natura riabilitativa», risulti «in concreto negato al soggetto sanzionato l’accesso incondizionato ai benefici previsti, con evidente ed ingiustificata disparità di trattamento dipendente esclusivamente dal momento in cui la sanzione viene applicata», ciò che renderebbe la disciplina suddetta non conforme a Costituzione.

 

    Su tali presupposti, quindi, il rimettente – non senza osservare, in punto di rilevanza della questione sollevata, come la stessa «all’evidenza» risulti «pregiudiziale rispetto alla decisione della causa» devoluta al suo esame – ha concluso per la declaratoria d’incostituzionalità della norma impugnata.         

 

    1.2.2.- Con la seconda delle citate ordinanze (r.o. n. 569 del 2004), il Giudice di pace di Mestre censura sotto altro profilo – per violazione degli articoli 3, 24 e 27 della Costituzione – l’art. 126-bis del codice della strada.

 

    Il rimettente – premesso di giudicare del ricorso proposto avverso il verbale con cui la polizia municipale di Venezia contestava al proprietario di un veicolo, «benché non conducente», l’avvenuta violazione dell’art. 142, comma 9, del codice della strada – deduce che il suddetto art. 126-bis violerebbe «gli artt. 3 e 27 della Costituzione in quanto prevede una sanzione amministrativa personale in virtù di una responsabilità oggettiva» (e segnatamente nella parte in cui stabilisce che la decurtazione del punteggio dalla patente venga effettuata a carico del proprietario del veicolo, in caso di perdurante mancata identificazione del conducente responsabile dell’infrazione), nonché «gli artt. 24 e 27 della Costituzione», nella parte in cui dispone (al comma 2) che, qualora il proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente del veicolo, si applichi «a suo carico la sanzione prevista dall’art. 180, comma 8» del medesimo codice della strada.

 

    Con riferimento, in particolare, alla prima censura (quella che ipotizza la violazione degli artt. 3 e 27 Cost.), il giudice a quo assume che la previsione della decurtazione dei punti dalla patente, a carico del proprietario del veicolo, «appare in contrasto con l’insieme del sistema sanzionatorio» previsto per le contravvenzioni stradali (sistema, a suo dire, «costituito da norme che applicano i principî costituzionali»), e ciò «in quanto la solidarietà passiva del conducente e del proprietario è prevista solo per le sanzioni pecuniarie» (giusto il disposto dell’articolo 196 del codice della strada), risultando «non (…) trasmissibili le sanzioni non pecuniarie (…) ad altro soggetto diverso da quello che ha commesso la violazione» (in virtù di quanto stabilito dall’art. 210 del medesimo codice).

 

    Quanto, invece, alla seconda censura, e cioè il prospettato contrasto con gli artt. 24 e 27 della Carta fondamentale, la stessa si fonda sulla constatazione che l’impugnato art. 126-bis – là dove fa carico al proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del conducente autore dell’infrazione – costringe il proprietario del veicolo che non conosce il conducente (come nel caso di specie, «dove il proprietario è legale rappresentante di due società, e il ciclomotore è utilizzato dai dipendenti e dai parenti») «ad una omissione», che ha come effetto «il pagamento di una pena pecuniaria e l’irrogazione della pena accessoria della decurtazione dei punti della patente», quest’ultima essendo destinata, inoltre, a “modificarsi” – secondo il rimettente – «a seconda delle condizioni e status del proprietario», il quale soltanto «se titolare di patente viene colpito»

 

    Orbene, tale regime sanzionatorio – essendo previsto per un’omissione che, il più delle volte (anche in ragione del notevole lasso di tempo che usualmente trascorre tra l’accertamento dell’infrazione a carico del conducente e la richiesta dei suoi dati personali, e della patente di guida, rivolta al proprietario del veicolo), si risolve in una «incolpevole dimenticanza del fatto» – appare al rimettente in contrasto con l’art. 27 della Costituzione. «Mutuando dal diritto penale», egli osserva, «è necessario che l’atto positivo o negativo sia posto in essere con coscienza e volontà», ciò che non può certamente dirsi per una semplice “dimenticanza”.

 

    Deduce, infine, il giudice a quo che nella eventualità in cui il proprietario – il quale pure non sia stato il conducente del veicolo – corrispondesse «la sanzione pecuniaria in misura ridotta, non potrebbe proporre ricorso in quanto gli viene impedito dallo stesso art. 126-bis»; ciò che induce il rimettente ad eccepire «la violazione del diritto di difesa (art. 24 Cost.)».

 

    1.3.- Il Giudice di pace di Ficarolo (r.o. n. 465 del 2004) ha sollevato, del pari, questione di legittimità costituzionale – per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost. – dell’art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992, «nella parte in cui dispone la decurtazione del punteggio della patente di guida nei confronti del proprietario del veicolo nei cui riguardi è stato accertato il superamento dei limiti di velocità, qualora non risulti identificato colui che si trovava alla guida del veicolo al momento in cui fu commessa l’infrazione contestata».

 

    Il rimettente – ricostruita la fattispecie concreta sottoposta al suo esame – ipotizza, innanzitutto, da parte della disposizione impugnata, la «violazione del principio “nemo tenetur se detegere” che discende, quale corollario, da quanto stabilito dall’art. 24 della legge fondamentale». Il comma 2 del citato art. 126-bis, nel richiedere, infatti, al proprietario del veicolo di comunicare i dati personali e della patente del conducente (non identificato al momento dell’accertamento dell’illecito amministrativo), «non distingue (…) tra i possibili destinatari della delazione che viene imposta», di talché, ove la persona del conducente e del proprietario coincidessero, quest’ultimo «sarebbe obbligato a confessare la propria colpa».

 

    «Ne deriva», prosegue il giudice a quo, «il contrasto dell’art. 126-bis» con il principio sopra richiamato (nemo tenetur se detegere), «e quindi con l’art. 24» della Costituzione.

 

    In relazione, invece, all’ipotizzata violazione dell’art. 3 della Costituzione, il rimettente sottolinea che la sanzione della decurtazione dei punti dalla patente «viene applicata in modo diverso» nei confronti delle persone giuridiche rispetto alle persone fisiche, posto che nel primo caso «si applica la sanzione pecuniaria di cui all’articolo 180» del codice della strada, «mentre nel secondo la decurtazione dei punti della patente di guida», dando così luogo ad una «ingiustificata disparità di trattamento» tra le due ipotesi.

 

    1.4.- Dubita, altresì, della legittimità costituzionale della medesima disposizione – giacché in contrasto con gli articoli 24 e 27 della Costituzione – anche il Giudice di pace di Bra (r.o. n. 503 del 2004).

 

    La previsione – da parte dell’art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 – di una «sanzione accessoria personale» a carico del proprietario del veicolo, che ometta di comunicare chi effettivamente fosse alla guida del veicolo in occasione della violazione di norme del codice della strada, sarebbe – secondo il rimettente – in «evidente contrasto con il principio della responsabilità personale dettato dall’art. 27, primo comma, della Costituzione», giacché, «pur essendo tale norma riferita alla responsabilità penale, essa è uniformemente interpretata come estensibile a tutte le sanzioni che colpiscono la persona».

 

    Evidenzia, inoltre, il giudice a quo come il suddetto art. 126-bis del codice della strada preveda anche, per l’omessa comunicazione di cui sopra, «il pagamento di una sanzione amministrativa ai sensi dell’art. 180, comma 8, del medesimo codice». Dall’applicazione di tale previsione deriverebbe per il proprietario del veicolo – allorché questi non sia in grado di comunicare i dati relativi alla persona ed alla patente del conducente (come avviene, sottolinea il rimettente, «in quasi tutte le famiglie, in caso di uso promiscuo del mezzo») – una situazione «paradossale», giacché egli sarebbe, di fatto, costretto ad «autodenunciarsi», per evitare almeno il pagamento della sanzione pecuniaria suddetta.  Si verrebbe, in tal modo, a realizzare una lesione del «suo diritto di difesa – rectius: autodifesa – sancito dall’art. 24 Cost.», in «spregio al principio del nemo tenetur se detegere».

 

    Infine, secondo il Giudice di pace di Bra, essendo di soli 30 giorni il termine per effettuare la comunicazione contemplata dalla norma sospettata di costituzionalità, e dunque «nettamente inferiore al termine di 60 giorni per proporre ricorso al Giudice di pace o al Prefetto» (ai sensi degli articoli 203 e 204-bis del d.lgs. n. 285 del 1992), da ciò «consegue il paradosso per cui potrebbe venire irrogata una sanzione accessoria in mancanza di un giudicato sulla sanzione principale, in palese contrasto con il principio, logico prima ancora che giuridico, secondo cui la sanzione accessoria non ha ragione di esistere quando manchi ab origine o venga successivamente meno quella principale».

 

    Su tali basi – e non senza porre in luce, conclusivamente, come, obbligando il proprietario del veicolo a comunicare il nominativo del conducente responsabile dell’accertata infrazione stradale, la norma de qua lascerebbe «in capo al cittadino e non allo Stato la decisione su chi debba subire la sanzione» – il rimettente ha concluso per l’accoglimento della questione di costituzionalità sollevata.

 

    1.5.- Il contrasto tra l’art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992 e gli articoli 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione è ipotizzato dal Giudice di pace di Montefiascone (r.o. n. 575 del 2004).

 

    Riassume, in primo luogo, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di essere investito di un ricorso proposto avverso un verbale di contestazione dell’infrazione stradale di cui all’art. 142, comma 8, del codice della strada.

 

    Nel precisare che il ricorrente – non essendo «in grado, dato il tempo trascorso, di indicare la persona fisica al volante al momento dell’accertamento dell’infrazione» – ha provveduto «al pagamento della sanzione pecuniaria», eccependo però l’incostituzionalità «della sanzione amministrativa della decurtazione» del punteggio dalla patente, il Giudice di pace di Montefiascone ha sollevato – in relazione ai parametri summenzionati – questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 126-bis «nella parte in cui pone a carico del proprietario del veicolo la decurtazione dei punti della patente connessa a violazioni commesse da terzi».

 

    Ad avviso del rimettente, difatti, «il sistema sanzionatorio testé indicato crea un’ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni sostanzialmente identiche», giacché esso può «applicarsi soltanto ai proprietari muniti di patente di guida», mandando invece «esenti da sanzione coloro che ne sono sprovvisti», così incentivando – oltretutto – la «diseducativa tendenza a intestare le vetture ai non patentati».

 

    Accanto all’ipotizzata violazione dell’art. 3 Cost., il rimettente – non senza evidenziare come la prassi, originata dall’applicazione della norma impugnata, di denunciare un prossimo congiunto quale conducente responsabile dell’infrazione darebbe luogo ad una situazione di «contrasto con la tutela dei vincoli familiari costituzionalmente protetti» – prospetta, quale ulteriore censura, la violazione dell’art. 27 della Carta fondamentale. Tale articolo, difatti, «enuncia il principio della personalità della pena», valevole anche per una «sanzione afflittiva che limita la libertà personale e l’autonomia di locomozione» (qual è la decurtazione dei punti dalla patente), non a caso «intrasmissibile ad altri soggetti come previsto dall’art. 210» del medesimo d.lgs. n. 285 del 1992.

 

    1.6.- Con due distinte ordinanze (r.o. nn. 643 e 658 del 2004), il Giudice di pace di Lanciano ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis del d.lgs. n. 285 del 1992.

 

    1.6.1.- Nel primo caso (r.o. n. 643 del 2004), è ipotizzata la violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione ad opera della suddetta disposizione di legge, «nella parte in cui prevede che la decurtazione dei punti avviene al proprietario del veicolo quando il conducente rimane sconosciuto», nonché là dove stabilisce che «se proprietario è una persona giuridica questa può liberarsi pagando solo una somma di denaro».

 

    Il rimettente – nel premettere che la risoluzione della questione di legittimità costituzionale è rilevante ai fini della definizione del giudizio di cui esso è investito, giacché, «dati tutti gli elementi della fattispecie concreta», la norma impugnata è tra quelle «di cui non è da escludere l’applicazione per la risoluzione della causa», poiché nel caso di specie «non è stata identificata la conducente dell’auto de qua» – deduce la violazione degli articoli 3 e 24 della Costituzione.

 

    A suo dire, infatti, per effetto della previsione contenuta nell’impugnata disposizione, «non tutti i cittadini avrebbero pari dignità sociale e sarebbero eguali davanti alla legge», né tutti «potrebbero agire per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi». La norma de qua – prosegue il rimettente – «introduce una singolare sanzione a carattere intermittente o eventuale a secondo di chi sia il proprietario del mezzo» (essendo essa «applicabile solo nel caso in cui il titolare del mezzo sia patentato»), dando, inoltre, luogo, «all’interno dei destinatari patentati», ad un (ulteriore) «discrimine non ragionevole» a carico di chi «non vuole indicare chi tra i familiari ha preso l’auto oppure non sa, non conosce chi ha utilizzato l’auto».

 

    Ipotizza, infine, il giudice a quo un’ulteriore violazione degli stessi parametri costituzionali (artt. 3 e 24 Cost.), sotto altro profilo.

 

    Qualora, difatti, il proprietario del veicolo risulti una persona giuridica, a carico del suo legale rappresentante che ometta di comunicare i dati personali e della patente del conducente si applicherebbe esclusivamente la sanzione amministrativa prevista dall’art. 180 comma 8 del codice della strada (e cioè una sanzione solo pecuniaria), con «evidente (…) discriminazione tra il proprietario di un’autovettura che sia persona giuridica e chi non lo è, in quanto il legale rappresentante ha la possibilità di effettuare il pagamento in denaro senza alcuna decurtazione di punteggio», evenienza non prevista, invece, nell’altra ipotesi.

 

    In forza di tali rilevi – nonché conclusivamente osservando come «la possibilità di irrogare sanzioni senza la contestazione immediata, anche se prevista dalla legge» (ed alla base della possibilità di punire il proprietario del veicolo in luogo del conducente rimasto sconosciuto), costituirebbe «di per sé una compromissione del diritto di difesa, in contrasto con quanto statuito dall’art. 24, secondo comma, della Costituzione» – il rimettente ha chiesto la declaratoria d’incostituzionalità della disposizione impugnata.  

 

    1.6.2.- Con la seconda ordinanza (r.o. n. 658 del 2004), lo stesso  Giudice di pace di Lanciano deduce il contrasto con gli artt. 24 e 27 della Costituzione dell’art. 126-bis, comma 2, del d.lgs. n. 285 del 1992.

 

    Il giudice a quo deduce, in primo luogo, l’esistenza di un contrasto tra la disposizione impugnata e l’art. 24 Cost., giacché quest’ultimo – «in ossequio all’antico brocardo nemo tenetur se detegere» – sancisce «il diritto a non fornire elementi in proprio danno e, più in generale, a non collaborare con l’Autorità per la propria incriminazione», diritto, viceversa, pregiudicato dalla norma suddetta.

 

    Quanto, invece, alla prospettata violazione dell’art. 27 Cost., il rimettente osserva che con «l’introduzione della perdita dei punti sulla patente» l’illecito amministrativo, consistente nell’inosservanza delle regole sulla circolazione stradale, avrebbe acquistato «la configurazione di un vero e proprio reato con sanzione anche di carattere afflittivo oltre che pecuniaria», di talché, a causa dell’applicazione della sanzione de qua, «il reato-contravvenzione verrebbe addebitato per responsabilità oggettiva violando l’art. 27 della nostra Costituzione».

 

    Rileva, inoltre, il Giudice di pace di Lanciano come la disposizione impugnata si presenti in contrasto con la configurazione che alla responsabilità amministrativa è stata conferita dalla già ricordata legge n. 689 del 1981.

 

    Se è vero, difatti, che il suo art. 6 (con disposizione che risulta, per così dire, “doppiata” – nella materia delle infrazioni stradali – da quella contenuta nell’art. 196 del d.lgs. n. 285 del 1992) ha «introdotto l’istituto della solidarietà, di derivazione civilistica, prevedendo la responsabilità in solido, con l’autore dell’illecito, del proprietario della cosa che servì a commettere la violazione», deve, però, riconoscersi che siffatta “solidarietà” «comporta il pagamento della somma pecuniaria scaturita dalla violazione amministrativa, e non invece l’assoggettamento ad altra sanzione di carattere affittivo, ma non pecuniario, come quella della detrazione dei punti della patente prevista dall’art. 126-bis».  

 

    1.7.- Deduce, altresì, il contrasto con gli articoli 3, 24 e 25 della Costituzione dell’art. 126-bis del codice della strada, anche il Giudice di pace di Carrara (r.o. n. 701 del 2004).

 

    Ricostruisce, in primis, il rimettente i termini del giudizio a quo, sottolineando di essere stato adito per l’annullamento di un verbale di accertamento «riferito alla violazione relativa all’uso di telefono cellulare durante la guida», verbale «notificato alla ricorrente in quanto proprietaria del veicolo e “responsabile in solido” della violazione». Deduce, inoltre, che l’interessata – nel proprio ricorso – assumeva «che non era lei opponente alla guida», essendo, in ogni caso, «impossibile per gli accertatori rilevare la circostanza contestata» (e cioè l’uso dell’apparecchio telefonico, atteso che la vettura di sua proprietà «sarebbe dotata di vetri oscurati»), e che comunque l’automobile «non era stata usata dalla ricorrente nelle circostanze di tempo e di luogo contestate», né «prestata ad alcuno».

 

    Chiesto, su tali basi, l’accoglimento dell’opposizione, la ricorrente «eccepiva anche questione di legittimità costituzionale dell’art. 126-bis» del codice della strada, questione che l’adito giudicante ha reputato rilevante, giacché solamente ove tale norma «fosse conforme a Costituzione si dovrebbe applicare, all’esito sfavorevole per l’opponente del giudizio, anche la sanzione accessoria della perdita di cinque punti della patente di guida all’opponente».

 

    In ordine, poi, alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente premette la necessità di chiarire la «natura giuridica della decurtazione dei punti della patente», contestando la ricostruzione proposta dal Ministero dell’Interno attraverso apposite circolari, essendo tale istituto «contraddittoriamente definito, da un lato, come misura avente “carattere cautelare” e dall’altro misura che “integra il sistema delle sanzioni pecuniarie accessorie” previste dal Codice della Strada». La constatazione che si è in presenza di un «istituto di natura afflittiva e per

Lunedì, 24 Gennaio 2005
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