Il
decreto che dispone il giudizio immediato è nullo nel caso di omissione
o insufficienza dell’avviso circa la facoltà per l’imputato di chiedere
i riti alternativi.
Lo ha stabilito la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 148 del 25
maggio 2004, precisando che l’art. 456 cod. proc. pen. deve essere applicato,
in combinato disposto con l’art. 178, comma 1, lettera c), cod.
proc. pen., nel senso che l’omissione o l’insufficienza dell’avviso circa
la facoltà di chiedere i riti alternativi determina una nullità di ordine
generale.
(Altalex, 31 maggio 2004)
SENTENZA
N.148 ANNO 2004
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL
POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gustavo ZAGREBELSKY Presidente
- Valerio ONIDA Giudice
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfonso QUARANTA "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 456 del codice di
procedura penale, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dalla
Corte di appello di Palermo con ordinanza del 24 marzo 2003, iscritta
al n. 406 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 marzo 2004 il Giudice relatore
Guido Neppi Modona.
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza del 24 marzo 2003 la Corte di appello di Palermo ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione
di legittimità costituzionale dell’art. 456 del codice di procedura penale,
nella parte in cui non prevede la nullità del decreto che ha disposto
il giudizio immediato nel caso di mancanza, insufficienza o inesattezza
dell’avviso di cui al comma 2 del medesimo articolo.
La rimettente premette che, con decreto depositato il 12 settembre 2001,
era stato disposto il giudizio immediato nei confronti di un soggetto
imputato di resistenza a pubblico ufficiale, lesioni aggravate e danneggiamento.
Il decreto, nel quale il termine per la richiesta del giudizio abbreviato
o dell’applicazione della pena era erroneamente indicato in sette giorni
anziché in quindici, era stato notificato all’imputato il 17 settembre
2001; l’avviso della data fissata per il giudizio era stato notificato
al difensore il 9 ottobre 2001, quando anche il termine di quindici giorni
era comunque già decorso.
Nella fase degli atti introduttivi del giudizio di primo grado la difesa
dell’imputato aveva eccepito la nullità del decreto di giudizio immediato
per l’erronea indicazione del termine, chiedendo altresì che l’imputato
fosse rimesso in termini per la richiesta di patteggiamento o di giudizio
abbreviato; entrambe le richieste erano state respinte dal primo giudice
con ordinanza del 19 novembre 2001 e poi con sentenza del 24 giugno 2002,
con la quale l’imputato era stato condannato a sette mesi di reclusione.
L’imputato aveva interposto appello riproponendo l’eccezione di nullità
del decreto di giudizio immediato ed aveva dedotto a tal proposito che
la ´indebita compressioneª del termine indicato nell’avviso prescritto
dall’art. 456, comma 2, cod. proc. pen., costituiva ´violazione di una
disposizione concernente l’intervento dell’imputatoª, con conseguente
nullità del decreto stesso a norma dell’art. 178, comma 1, lettera c),
cod. proc. pen., essendo evocabile nel caso in esame la sentenza della
Corte costituzionale n. 497 del 1995, secondo cui l’avviso concernente
la facoltà di ricorrere ai riti alternativi è funzionale al tempestivo
esercizio del diritto di difesa. Decorso il termine di sette giorni indicato
nel decreto, l’imputato poteva infatti essersi determinato a contattare
il proprio difensore solo in prossimità della data dell’udienza fissata
per il giudizio, sulla base dell’erroneo convincimento di non avere alcuna
alternativa al dibattimento. Nel caso di specie, poi, la gravità della
violazione era ´ancora più evidente, posto che il decreto era stato notificato
al difensore quando erano già decorsi i quindici giorni utiliª e che,
secondo la pacifica interpretazione data alla norma in questione dalla
Corte di cassazione, prima che la Corte costituzionale ne dichiarasse
la incostituzionalità con la sentenza n. 120 del 2002, depositata il 16
aprile, il termine di quindici giorni per optare per i riti alternativi
decorreva dalla notifica del decreto all’imputato e non dall’avviso al
difensore.
2.- Ciò premesso, la Corte di appello osserva che, in punto di fatto,
le prospettazioni dell’appellante sono esatte, essendo certa, in particolare,
l’erronea indicazione del termine di sette giorni, evidentemente frutto
di un omesso aggiornamento del già predisposto modello di decreto dopo
che il termine era stato aumentato a quindici giorni dall’art. 14 della
legge 1° marzo 2001, n. 63, e che tale inesattezza aveva determinato ´una
situazione di insufficienza dell’avviso di cui all’art. 456, comma 2,
cod. proc. pen., avendo compresso il termine dilatorio previsto (peraltro,
a pena di decadenza) dall’art. 458 cod. proc. pen. per fare valere la
scelta per i riti alternativi ed avendo, comunque, al riguardo, fornito
al destinatario una indicazione fuorviante, suscettibile di incidere sulle
sue determinazioniª. Decorsi i sette giorni menzionati nel decreto, l’imputato
era infatti ´autorizzato a ritenere, erroneamente, ormai precluso il ricorso
ai riti alternativi e conseguentemente inutile la presentazione di una
istanza in tal sensoª.
L’eccezione di nullità, prosegue la rimettente, era stata rigettata dal
primo giudice in base al duplice rilievo che tra le ipotesi di nullità
del decreto di giudizio immediato non è prevista la omessa indicazione
dell’avviso in questione e che l’art. 456 cod. proc. pen. non contempla
la necessità di menzionare anche il termine entro il quale far valere
l’opzione per i riti alternativi.
La Corte di appello ritiene invece che ´nel valutare la materia l’interprete
non può non considerare i principi dettati da altra norma che regola un
caso del tutto analogoª, e cioè il comma 2 dell’art. 552 cod. proc. pen.,
´che ha riformulato il precedente art. 555 cod. proc. pen. e, recependo
il principio affermato, in relazione a quest’ultima disposizione, dalla
sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1995ª, ha previsto la nullità
del decreto di citazione per la mancanza o la insufficienza dell’avviso
che, qualora ne ricorrano i presupposti, l’imputato, prima della dichiarazione
di apertura del dibattimento di primo grado, può presentare le richieste
previste dagli artt. 438 e 444 cod. proc. pen., ovvero domanda di oblazione.
Applicando lo stesso principio si dovrebbe dunque ritenere che il decreto
introduttivo del giudizio sia nullo, posto che l’erronea menzione del
termine ´radica una insufficiente ed, anzi, fuorviante formulazione del
prescritto avvisoª. Tuttavia secondo la Corte di appello non sarebbe possibile
addivenire alla declaratoria di nullità in via interpretativa, in quanto,
da un lato la stessa sentenza della Corte costituzionale dichiarativa
dell’illegittimità costituzionale dell’art. 555, comma 2, cod. proc. pen.,
nella parte in cui non prevedeva specificamente tale causa di nullità,
impone di ritenere che l’ipotesi in questione non integra una nullità
di ordine generale desumibile sistematicamente dall’applicazione dell’art.
178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., dall’altro il regime
di tassatività delle nullità non consente di fare applicazione analogica
della ipotesi di nullità delineata dalla Corte costituzionale, da ritenere,
per quanto ora detto, ìspecificaî.
Ad avviso della Corte rimettente, non resterebbe perciò altra soluzione
che sollevare la questione di legittimità costituzionale della disposizione
in esame. Essa infatti, non prevedendo la nullità del decreto che dispone
il giudizio immediato in caso di mancanza, insufficienza o inesattezza
della indicazione dell’avviso circa la facoltà di chiedere riti alternativi,
reca un potenziale pregiudizio all’esercizio di tale facoltà. Alla stregua
della sentenza della Corte costituzionale n. 497 del 1995, risulterebbero
perciò violati: l’art. 3 Cost., a causa della difformità di disciplina
per casi - quello regolato dall’art. 552, comma 2, cod. proc. pen. e quello
in esame - che ´presentano natura sostanzialmente identicaª; il diritto
inviolabile della difesa in ogni stato e grado del procedimento sancito
dall’art. 24 Cost.; l’art. 111 Cost., che riconosce all’imputato il diritto
di disporre ´del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua
difesaª.
3.- E’ intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato
in diritto
1.- La Corte di appello di Palermo dubita della legittimità costituzionale
dell’art. 456 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede
la nullità del decreto che ha disposto il giudizio immediato nel caso
di mancanza, insufficienza o inesattezza dell’avviso che l’imputato può
chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena.
Nel ripercorrere le vicende processuali del giudizio di primo grado, la
Corte di appello rimettente aderisce, in punto di fatto, alle argomentazioni
svolte dall’imputato appellante nei confronti della sentenza di condanna,
rilevando che l’erronea indicazione del termine di sette giorni, anziché
di quindici giorni, entro cui l’imputato, a norma del combinato disposto
degli artt. 456, comma 2, e 458, comma 1, cod. proc. pen., può chiedere
il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena, ha determinato ´una
insufficiente ed, anzi, fuorviante formulazione del prescritto avvisoª.
Secondo il rimettente, la situazione sarebbe del tutto analoga a quella
esaminata da questa Corte nella sentenza n. 497 del 1995, che ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale del previgente art. 555, comma 2, cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevedeva la nullità del decreto di
citazione a giudizio davanti al pretore in caso di mancanza o insufficienza
dell’avviso circa la facoltà dell’imputato di ricorrere ai riti alternativi.
A seguito di tale sentenza il legislatore aveva poi introdotto la sanzione
di nullità nel comma 2 dell’art. 552 cod. proc. pen., che disciplina il
decreto di citazione a giudizio davanti al tribunale in composizione monocratica.
Secondo la difesa della parte privata nel giudizio a quo, l’ipotesi
in esame dovrebbe dunque integrare una nullità di ordine generale relativa
all’intervento dell’imputato ex art. 178, comma 1, lettera c),
cod. proc. pen.
Il rimettente esclude peraltro di poter pervenire in via interpretativa
a tale soluzione: dalla stessa sentenza n. 497 del 1995 si desumerebbe
infatti che la Corte costituzionale si è risolta a dichiarare l’illegittimità
costituzionale della norma allora censurata proprio sul presupposto che
l’omissione o l’insufficienza dell’avviso non integra una nullità di ordine
generale ricavabile direttamente dall’art. 178, comma 1, lettera c),
cod. proc. pen.
La Corte di appello solleva pertanto questione di legittimità costituzionale
dell’art. 456 cod. proc. pen. per contrasto con l’art. 3 Cost., a causa
della difformità di disciplina rispettivamente riservata dall’art. 552,
comma 2, cod. proc. pen. e dalla norma in esame a casi che ´presentano
natura sostanzialmente identicaª; con l’art. 24 Cost., per violazione
del diritto di difesa; con l’art. 111 Cost., nella parte in cui sancisce
il diritto dell’imputato di disporre del tempo e delle condizioni necessari
per preparare la difesa.
2.- La questione non è fondata nei termini di seguito precisati.
3.- Non vi è dubbio che la sentenza n. 497 del 1995 ha preso in esame
un dato normativo ñ la mancata previsione della sanzione di nullità in
caso di omissione dell’avviso del termine stabilito a pena di decadenza
dall’allora vigente art. 555, comma 2, cod. proc. pen. per presentare
richiesta di giudizio abbreviato ñ corrispondente a quello dell’art. 456
cod. proc. pen., che contempla anch’esso l’avviso che l’imputato può esercitare
la facoltà di chiedere il patteggiamento o il giudizio abbreviato entro
un termine stabilito a pena di decadenza, ma non prevede espressamente
alcuna sanzione processuale in caso di mancanza o insufficienza dell’avviso.
In effetti, tenuto conto della natura di atto complesso del decreto di
citazione a giudizio davanti al pretore e della struttura bifasica che
connotava il relativo procedimento, la sanzione di nullità introdotta
dalla sentenza n. 497 del 1995 in caso di omissione dell’avviso trovava
´la sua ragione essenzialmente nella perdita irrimediabile della facoltà
di chiedere il giudizio abbreviatoª entro il termine di quindici giorni
stabilito a pena di decadenza (v. sentenza n. 101 del 1997), in un contesto
processuale del tutto omogeneo alla disciplina oggi censurata.
Anche nell’ipotesi in esame il termine di decadenza entro cui chiedere
l’applicazione della pena o il giudizio abbreviato è anticipato rispetto
alla fase dibattimentale, sicché la mancanza o l’insufficienza del relativo
avvertimento può determinare la perdita irrimediabile della facoltà di
accedere a tali procedimenti speciali. La violazione della regola processuale
che impone di dare all’imputato (esatto) avviso della sua facoltà comporta
perciò anche in questo caso la violazione del diritto di difesa.
Al riguardo, questa Corte ha più volte ribadito che la richiesta di riti
alternativi costituisce una modalità di esercizio del diritto di difesa
(cfr., tra molte, oltre alla sentenza n. 497 del 1995, le sentenze n.
76, n. 101 e n. 214 del 1993, n. 265 del 1994, n. 70 del 1996, tutte nel
senso che sarebbe lesivo del diritto di difesa precludere all’imputato
l’accesso ai riti speciali per un errore a lui non imputabile). Da ultimo
nella sentenza n. 120 del 2002, proprio in relazione al termine per presentare
richiesta di giudizio abbreviato dopo la notificazione del decreto di
giudizio immediato, la Corte ha puntualizzato che il diritto di difesa
va qui inteso come possibilità di ricorrere anche all’assistenza tecnica
del difensore, stabilendo che il termine deve decorrere dall’ultima notificazione,
all’imputato o al difensore, del decreto ovvero dell’avviso della data
fissata per il giudizio immediato.
Tuttavia non è esatto ritenere, come fa il rimettente, che l’ordinamento
vigente non preveda, nell’ipotesi in esame, la nullità del decreto per
mancanza o insufficienza dell’avviso. L’effettivo esercizio della facoltà
di chiedere i riti alternativi costituisce infatti una delle più incisive
forme di ìinterventoî dell’imputato, cioè di partecipazione ìattivaî alle
vicende processuali, con la conseguenza che ogni illegittima menomazione
di tale facoltà, risolvendosi nella violazione del diritto sancito dall’art.
24, secondo comma, Cost., integra la nullità di ordine generale sanzionata
dall’art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen.
Contrariamente all’assunto del giudice rimettente, questa conclusione
non è smentita dalla sentenza n. 497 del 1995, il cui reale valore prescrittivo
risiede nella affermazione che il diritto di difesa è suscettibile di
essere leso ogni volta che l’omissione o l’insufficienza dell’avvertimento
circa la facoltà di chiedere i riti alternativi, tale da pregiudicarne
irreparabilmente l’esercizio, non sia sanzionata con la nullità.
La norma censurata deve perciò essere applicata, in combinato disposto
con l’art. 178, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., nel senso
che l’omissione o l’insufficienza dell’avviso circa la facoltà di chiedere
i riti alternativi determina una nullità di ordine generale.
Per
questi motivi
LA
CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
di legittimità costituzionale dell’art. 456 del codice di procedura penale,
sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dalla
Corte di appello di Palermo, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, palazzo della
Consulta, il 13 maggio 2004.
Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente
Guido NEPPI MODONA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 25 maggio 2004
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