Storica
decisione della Consulta sul ricorso di una signora che voleva entrare
in Finanza
Uomini e donne sposati possono
arruolarsi
(Corte costituzionale 445/2002)
Abolito
il divieto di sposarsi per uomini e donne che aspirano ad arruolarsi nella
Guardia di finanza, nei Carabinieri, nella Marina militare, nell’Esercito
e nell’Aeronautica: con una storica decisione ‚ la sentenza 445 del 2002)
che cancella un’antica tradizione, la Corte costituzionale ha dichiarato
illegittimo il decreto legislativo 24 del gennaio 2000 nella parte in
cui vieta ai cittadini di entrambi i sessi la partecipazione ai concorsi
per l’ammissione a quelle forze armate, salvo che non siano “celibi, nubili,
vedovi e vedove”. L’eccezione di costituzionalità era stata sollevata
dal Tar del Lazio nel corso di una causa nata da un ricorso di una signora
aspirante alla partecipazione al concorso per l’arruolamento di 200 allievi
nella Finanza. Per non creare disparità, la Consulta ha esteso l’illegittimità
delle analoghe disposizioni che riguardavano anche le altre quattro Armi.
La limitazione dei concorsi a persone non sposate e senza prole è apparsa
ai giudici di piazza del Quirinale “del tutto estranea e contrastante
con i principi della Costituzione”. Ormai deve rientrare nelle libere
scelte del singolo “valutare se e come conciliare situazioni e le esigenze
derivanti dal matrimonio con le esigenze, gli impegni e i doveri discendenti
dallo status militare cui egli aspira”. (12 novembre 2002) Ý
SENTENZA della Corte costituzionale N. 445 dell’anno 2002 Ý
LA CORTE COSTITUZIONALE
(...)
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 7, numero 3, della
legge 29 gennaio 1942, n. 64 [1] (Modificazioni alle leggi di ordinamento
della regia Guardia di finanza), e 2, comma 2, del d.lgs. 31 gennaio 2000,
n. 24 [2] (Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria,
stato giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze
armate e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell’art. 1, comma
2, della legge 20 ottobre 1999, n. 380), promosso con ordinanza del 15
gennaio 2002 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, iscritta
al n. 126 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2002.
Udito nella camera di consiglio del 25 settembre 2002 il Giudice relatore
Valerio Onida.
Ritenuto in fatto
1.- Nel corso del giudizio amministrativo, promosso da una aspirante al
concorso per l’arruolamento di duecento allievi nel Corpo della guardia
di finanza, per l’annullamento del provvedimento del Comando provinciale
di Napoli della Guardia di finanza di "archiviazione" della domanda per
difetto del requisito del nubilato o della vedovanza, nonché del relativo
bando di concorso, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 1° settembre
2000, che tale requisito stabilisce all’art. 2, punto 10, il Tribunale
amministrativo regionale del Lazio, con ordinanza del 15 gennaio 2002,
pervenuta il 27 febbraio 2002, ha sollevato, su eccezione della ricorrente,
questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2,
3, 4, 29, 30, 31, 35, 51 e 97 della Costituzione, degli artt. 7, numero
3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi di ordinamento
della regia Guardia di finanza), e 2, comma 2, del d.lgs. 31 gennaio 2000,
n. 24 (Disposizioni in materia di reclutamento su base volontaria, stato
giuridico e avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate
e nel Corpo della guardia di finanza, a norma dell’art. 1, comma 2, della
legge 20 ottobre 1999, n. 380).
La prima disposizione censurata pone tra i requisiti per il reclutamento
nel Corpo della "regia guardia di finanza" l’essere celibe o vedovo senza
prole; la seconda, contenuta nell’art. 2 del d.lgs. n. 24 del 2000, in
tema di reclutamento del personale femminile delle Forze armate e del
Corpo della guardia di finanza, stabilisce che è consentita la partecipazione
ai concorsi per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e a quelli
degli istituti e delle scuole di formazione "ai cittadini e alle cittadine
italiane, celibi o nubili, vedovi o vedove".
Il remittente premette, in ordine alla rilevanza, che le questioni di
legittimità costituzionale prospettate dalla ricorrente vanno esaminate
con priorità rispetto agli altri motivi di impugnazione dedotti (riguardanti
la perplessità del provvedimento di "archiviazione" adottato e l’incompetenza
della autorità amministrativa procedente), in quanto nelle disposizioni
legislative indicate trovano il presupposto logico e giuridico, nonché
l’esclusivo fondamento positivo, sia il bando di concorso che il provvedimento
di esclusione.
Quanto alla non manifesta infondatezza, osserva anzitutto che l’art. 7,
numero 3, della legge n. 64 del 1942, nell’includere fra i requisiti necessari
per il reclutamento nel Corpo della guardia di finanza lo stato di "celibe
[o nubile] o vedovo", impone una decisiva limitazione al diritto di contrarre
matrimonio, priva di ragionevole giustificazione, che costituisce grave
interferenza nella sfera privata e familiare di chi aspiri all’ammissione
nella struttura militare; l’altra norma denunciata, dettata dall’art.
2, comma 2, del d.lgs. n. 24 del 2000 ed avente contenuto analogo, apparterrebbe,
secondo il remittente, al "novero di una serie di disposizioni legislative"
"tralatiziamente iterative del requisito" in esame.
Una siffatta limitazione, che, sia pure ai soli fini dell’arruolamento
militare, si risolve in un divieto di contrarre il vincolo coniugale,
si porrebbe in contrasto con i fondamentali diritti della persona, sia
come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità,
garantiti dall’art. 2 della Costituzione, diritti insuscettibili di essere
degradati da esigenze, sia pur socialmente rilevanti, come quelle connaturate
alla delicata fase del reclutamento e dell’addestramento militare.
In proposito, il giudice a quo ricorda che questa Corte, con la sentenza
n. 332 del 2000, avente ad oggetto le medesime disposizioni ora denunciate
ma nella parte in cui includevano tra i requisiti necessari per il reclutamento
"l’essere senza prole", ha affermato che la compressione della sfera privata
e familiare della persona non può, "sul piano dei principi costituzionali,
ritenersi giustificata dall’intensità e dall’esigenza di tendenziale esclusività
del rapporto di dedizione che deve legare il militare in fase di istruzione
al corpo di appartenenza"; che "la Costituzione repubblicana supera radicalmente
la logica istituzionalistica dell’ordinamento militare e riconduce anche
quest’ultimo nell’ambito del generale ordinamento statale, particolarmente
rispettoso e garante dei diritti sostanziali e processuali di tutti i
cittadini" (sentenza n. 278 del 1987); e che "la garanzia dei diritti
fondamentali di cui sono titolari i singoli "cittadini militari" non recede
di fronte alle esigenze della struttura militare" (sentenza n. 449 del
1999).
Osserva il remittente che, per un verso, il livello di evoluzione sociale
ha raggiunto un grado di maturazione tale da superare logiche e impostazioni
tradizionali che pongano una qualche limitazione alla concreta possibilità
per le donne coniugate, madri e non, di esercitare attività pubbliche,
e che, per altro verso, l’incompatibilità dello stato di coniugato non
può ritenersi rispondente ad un’esigenza di razionalità del sistema normativo
inteso a garantire l’inserimento del neo-arruolato in una realtà peculiare
come quella militare.
Sarebbe, infatti, da dimostrare, sotto il profilo della logica comune,
prima che giuridica, che l’assenza di legami familiari possa costituire
un requisito tipico della formazione e dell’addestramento iniziale del
personale militare, dovendo la pur affermata e necessaria continuità nella
frequenza dei corsi di addestramento trovare assicurazione e garanzia
in regole e rimedi diversi dalla limitazione al diritto di contrarre matrimonio.
Nella richiamata sentenza n. 332 del 2000, prosegue il remittente, nell’espungere
dalle disposizioni in esame, ai fini del reclutamento nel Corpo della
guardia di finanza, il requisito dell’essere senza prole, questa Corte
ha fatto esplicito riferimento anche alla legittimità costituzionale dell’ulteriore
"requisito del celibato o dello stato di vedovo", escludendo tuttavia
di poter estendere la pronuncia di incostituzionalità "all’intera disposizione
denunciata", in quanto il giudice a quo, in quell’occasione, non "aveva
prospettato dubbi di costituzionalità in merito".
Ciò autorizzerebbe a ritenere, secondo il remittente, che le argomentazioni
di fondo svolte allora dal Giudice delle leggi siano riferibili in toto
alle medesime disposizioni legislative anche nella specifica parte ora
denunciata. Tanto nella fattispecie in esame, quanto nella precedente
fatta oggetto di scrutinio di costituzionalità, è posta, infatti, una
grave limitazione di status al cittadino, la quale, lungi dall’apparire
come ragionevole requisito attitudinario ai fini dell’arruolamento nell’istituzione
militare, si traduce in un’indebita limitazione dei fondamentali diritti
della persona e della sua libertà di autodeterminarsi nella vita privata.
2.- Non vi è stata costituzione di parti né intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri.
Considerato in diritto
1.‚ Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio solleva questione
di legittimità costituzionale di due disposizioni legislative ‚ l’articolo
7, numero 3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi
di ordinamento della regia Guardia di finanza), e l’articolo 2, comma
2, del decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni in materia
di reclutamento, su base volontaria, stato giuridico e avanzamento del
personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della guardia
di finanza, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 20 ottobre 1999,
n. 380) ‚ le quali, rispettivamente, prevedono il requisito dell’essere
celibe o vedovo per essere reclutati nel Corpo della guardia di finanza
(eccetto che nel caso di riammissione di militari del corpo in congedo
che abbiano superato i ventotto anni di età), e che la partecipazione
ai concorsi per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e degli
istituti e delle scuole di formazione della Guardia di finanza "è consentita
ai cittadini e alle cittadine italiani, celibi o nubili, vedovi o vedove".
Le disposizioni in questione, secondo il remittente, prevedendo una limitazione,
priva di ragionevole giustificazione, del diritto di contrarre matrimonio,
sia pure al solo fine dell’arruolamento nella Guardia di finanza, contrasterebbero
con i diritti fondamentali della persona e con la libertà di autodeterminazione
nella vita privata e familiare; né l’assenza di legami familiari potrebbe
costituire un requisito per la formazione iniziale del personale militare,
dovendo la continuità nella frequenza dei corsi di addestramento trovare
garanzia in regole diverse dalla limitazione del diritto di contrarre
matrimonio. Di qui il contrasto con i principi desumibili dagli articoli
2, 3, 4, 29, 30, 31, 35, 51 e 97 della Costituzione.
2. ‚ La prima delle due disposizioni denunciate - l’articolo 7, numero
3, della legge n. 64 del 1942 - stabilisce (come già prima l’articolo
9, secondo comma, lettera b, del regio decreto legge 14 giugno 1923, n.
1281) il requisito dell’essere celibe o vedovo ai fini, genericamente,
del reclutamento nel Corpo della guardia di finanza. Ad essa hanno fatto
seguito, per quanto attiene all’ammissione ai concorsi pubblici per l’accesso
ai ruoli "appuntati e finanzieri" e "ispettori"della Guardia di finanza,
gli articoli 6, comma 1, lettera c, e 36, comma 1, lettera b, numero 3,
del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199 (modificati poi, rispettivamente, dall’articolo
2, comma 2, e dall’articolo 5, comma 5, del d.lgs. n. 67 del 2001); per
quanto riguarda i concorsi di ammissione al corso di reclutamento dell’Accademia
della Guardia di finanza, l’articolo 4, lettera a, della legge n. 371
del 1967 (lettera ora abrogata dall’articolo 67, comma 3, del d.lgs. n.
69 del 2001); per quanto riguarda in generale i concorsi per l’ammissione
ai corsi regolari delle accademie e a quelli degli istituti e delle scuole
di formazione delle Forze armate e del Corpo della guardia di finanza
(e nel contesto del provvedimento che ha disciplinato il reclutamento
di personale femminile nelle Forze armate e nella Guardia di finanza),
l’articolo 2, comma 2, del d.lgs. n. 24 del 2000, vale a dire la seconda
delle disposizioni denunciate. Tutte le statuizioni sopravvenute alle
pi˜ antiche hanno confermato o stabilito, per uomini e donne, il requisito
del celibato o nubilato o vedovanza per l’accesso ai concorsi in questione.
A prescindere, dunque, dalla esatta individuazione della o delle disposizioni
applicabili nella specie dedotta davanti al giudice a quo (il legislatore
ha infatti per lo pi˜ omesso di coordinare formalmente fra loro le numerose
disposizioni succedutesi nel tempo; a sua volta il bando di arruolamento
impugnato davanti al giudice a quo cita nelle premesse solo il secondo
dei provvedimenti legislativi censurati dal Tribunale), non vi sono dubbi
sulla esistenza e sulla applicabilità alla specie della norma denunciata,
che riserva il diritto di accedere ai concorsi in questione a uomini e
donne celibi o nubili o vedovi o vedove, escludendone i soggetti, come
la ricorrente nel giudizio a quo, che siano sposati. Ed è su tale norma
che deve appuntarsi lo scrutinio di costituzionalità, salvo poi riferire
la pronuncia, anche ai sensi dell’articolo 27 della legge 11 marzo 1953,
n. 87, a tutte le disposizioni in cui questa regola è incorporata, con
riguardo vuoi alla Guardia di finanza, vuoi ad altri corpi militari.
3. ‚ La questione è fondata, per ragioni analoghe a quelle che hanno già
condotto la Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale di queste
e di altre disposizioni nella parte in cui richiedevano come requisito
di accesso a corpi militari l’essere "senza prole" (sentenza n. 332 del
2000, nella quale la Corte non estese la dichiarazione di illegittimità
al requisito dell’essere celibe o nubile o vedovo sol perché il giudice
allora remittente non aveva prospettato dubbi in merito: cfr. punto n.
2.4 del Considerato in diritto).
La norma ora censurata, stabilendo il celibato o nubilato o la vedovanza
come requisito per il reclutamento nella Guardia di finanza, viola il
diritto di accedere in condizioni di eguaglianza agli uffici pubblici,
secondo i requisiti stabiliti dalla legge (articolo 51, terzo comma, della
Costituzione), poiché l’assenza di vincolo coniugale non può configurarsi
come legittimo requisito attitudinale per l’accesso agli impieghi in questione.
Essa incide altresÏ indebitamente, in via indiretta ma non meno effettiva,
sul diritto di contrarre matrimonio, discendente dagli articoli 2 e 29
della Costituzione, ed espressamente enunciato nell’articolo 16 della
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 e nell’articolo
12 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo
e delle libertà fondamentali, resa esecutiva in Italia con la legge 4
agosto 1955, n. 848 (e vedi oggi anche l’articolo 9 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000).
L’uso della discrezionalità del legislatore nella determinazione dei requisiti
per l’accesso ai pubblici uffici deve essere soggetto a scrutinio pi˜
stretto di costituzionalità quando non è in discussione solo la generica
ragionevolezza delle scelte legislative, in relazione ai caratteri dell’ufficio,
ma l’ammissibilità di un requisito la cui imposizione si traduce, indirettamente,
in una limitazione all’esercizio di diritti fondamentali: quali, nella
specie, oltre al diritto di contrarre matrimonio, quello di non essere
sottoposti ad interferenze arbitrarie nella vita privata (proclamato nell’articolo
12 della Dichiarazione universale e nell’articolo 8 della Convenzione
europea; e vedi oggi anche l’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione europea).
4. ‚ La previsione, tralaticia ma costantemente confermata anche dal legislatore
del 2000 e del 2001, del requisito dell’assenza di vincolo coniugale per
accedere a impieghi militari ‚ come pure le norme che, in passato, sottoponevano
ad autorizzazione il matrimonio dei militari (poi abrogate dall’articolo
unico, primo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 908), e che tuttora
stabiliscono speciali requisiti di età o di anzianità di servizio per
il matrimonio dei militari ‚ appaiono il residuo di una concezione tradizionale,
per cui il giovane che accede ad una carriera nell’ambito di un corpo
armato metterebbe, almeno in un primo tempo, tutta la sua persona, per
cosÏ dire, a totale disposizione della istituzione militare, la quale
potrebbe avvalersi della totalità del suo tempo e delle sue energie e
capacità, con conseguente tendenziale "incompatibilità" di tale posizione
con la sussistenza di impegni e responsabilità familiari. Ma si tratta,
come ha osservato la Corte nella sentenza n. 332 del 2000, di una concezione
dell’ordinamento militare del tutto estranea e contrastante con i principi
della Costituzione, nel cui ambito la garanzia dei diritti fondamentali
della persona "non recede (...) di fronte alle esigenze della struttura
militare" (sentenza n. 449 del 1999).
Superata siffatta concezione, non è pi˜ possibile configurare lo stato
di celibe o nubile o vedovo come un "requisito attitudinale" per l’accesso
a impieghi militari: rientra nelle libere scelte del singolo valutare
se e come conciliare le situazioni e le esigenze derivanti dal matrimonio
con le esigenze, gli impegni e i doveri discendenti dallo status militare
cui egli aspira. Onde la norma che dispone nel senso che si è detto deve
essere dichiarata costituzionalmente illegittima. Con riguardo all’art.
7 della legge n. 64 del 1942, la dichiarazione di illegittimità costituzionale
deve investire l’intero testo del numero 3, come risultante dopo la parziale
caducazione disposta con la sentenza n. 332 del 2000.
5. ‚ Stante l’ampia portata del principio riaffermato nella presente sentenza,
la Corte ritiene, come già ha fatto nella sentenza n. 332 del 2000 per
quanto riguarda il requisito dell’assenza di prole, di estendere, ai sensi
dell’articolo 27 della legge n. 87 del 1953, la dichiarazione di illegittimità
costituzionale a disposizioni, diverse da quelle impugnate, recanti norme
di analogo contenuto: l’art. 11, primo comma, lettera b, della legge 10
giugno 1964, n. 447 (Norme per i volontari dell’Esercito, della Marina
e dell’Aeronautica e nuovi organici dei sottufficiali in servizio permanente
delle stesse forze armate), relativa al trattenimento o richiamo in servizio
a domanda dei sergenti di complemento dell’esercito, nonché l’art. 35,
primo comma, della stessa legge n. 447 del 1964, relativo ai vincoli annuali
di ferma degli avieri in servizio di leva; l’art. 11, comma 2, lettera
a, numero 3, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 196 (Attuazione
dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei
ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale
non direttivo delle Forze armate), relativa al concorso per il reclutamento
nel ruolo dei marescialli dell’esercito; l’art. 5, comma 1, lettera e,
del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge
6 marzo 1992, n. 216, in materia di riordino dei ruoli e modifica delle
norme di reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo
e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), come sostituito dall’art.
2 del decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 83 (Disposizioni integrative
e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 198, in materia di riordino
dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento, stato ed avanzamento del
personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei carabinieri), relativa
all’arruolamento volontario come carabiniere, nonché l’art. 15, comma
2, lettera b, numero 4, dello stesso decreto legislativo n. 198 del 1995,
relativa al concorso per l’ammissione al corso di ispettore; l’art. 6,
comma 1, lettera c, del decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 199 (Attuazione
dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia di nuovo inquadramento
del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di
finanza), come modificato dall’art. 2, comma 2, lettera b, del d.lgs.
28 febbraio 2001, n. 67 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs.
12 maggio 1995, n. 199, in materia di nuovo inquadramento del personale
non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di finanza), relativa
all’ammissione al corso per la promozione a finanziere, nonché l’art.
36, comma 1, lettera b, numero 3, dello stesso decreto legislativo n.
199 del 1995, come modificato dall’art. 5, comma 5, del decreto legislativo
n. 67 del 2001, relativa al concorso per l’ammissione al corso di ispettore.
Per quanto riguarda le disposizioni di cui agli artt. 5, comma 1, lettera
e, e 15, comma 2, lettera b, numero 4, del decreto legislativo n. 198
del 1995, la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve estendersi
all’intero testo, comprensivo della parte di esse che richiede, come requisito
alternativo all’essere celibe o nubile o vedovo, quello, nel caso di persona
coniugata, di avere compiuto ventisei anni di età. Infatti, nel contesto
di tali disposizioni, lo speciale limite minimo di età aveva senso solo
in presenza dell’altra norma che stabiliva il requisito del celibato,
nubilato o vedovanza.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 7,
numero 3, della legge 29 gennaio 1942, n. 64 (Modificazioni alle leggi
di ordinamento della regia Guardia di finanza);
b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo
2, comma 2, del decreto legislativo 31 gennaio 2000, n. 24 (Disposizioni
in materia di reclutamento su base volontaria, stato giuridico e avanzamento
del personale militare femminile nelle Forze armate e nel Corpo della
guardia di finanza, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 20 ottobre
1999, n. 380), nella parte in cui limita ai cittadini o cittadine italiani
"celibi o nubili, vedovi o vedove" la partecipazione ai concorsi
per l’ammissione ai corsi regolari delle accademie e a quelli degli istituti
e delle scuole di formazione;
c) dichiara, in applicazione dell’articolo 27 della legge 11 marzo
1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale delle seguenti disposizioni:
‚ art. 11, primo comma, lettera b, della legge 10 giugno 1964, n. 447
(Norme per i volontari dell’Esercito, della Marina e dell’Aeronautica
e nuovi organici dei sottufficiali in servizio permanente delle stesse
forze armate);
‚ art. 35, primo comma, della predetta legge n. 447 del 1964, nella parte
in cui richiede, come condizione per l’ammissione ai vincoli annuali di
ferma, l’essere celibi o vedovi;
‚ art. 11, comma 2, lettera a, numero 3, del decreto legislativo 12 maggio
1995, n. 196 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216,
in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di reclutamento,
stato ed avanzamento del personale non direttivo delle Forze armate);
‚ art. 5, comma 1, lettera e, del decreto legislativo 12 maggio 1995,
n. 198 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia
di riordino dei ruoli e modifica delle norme di reclutamento, stato ed
avanzamento del personale non direttivo e non dirigente dell’Arma dei
carabinieri), come sostituito dall’art. 2 del decreto legislativo 28 febbraio
2001, n. 83 (Disposizioni integrative e correttive del d.lgs. 12 maggio
1995, n. 198, in materia di riordino dei ruoli, modifica alle norme di
reclutamento, stato ed avanzamento del personale non direttivo e non dirigente
dell’Arma dei carabinieri);
‚ art. 15, comma 2, lettera b, numero 4, del predetto decreto legislativo
n. 198 del 1995;
‚ art. 6, comma 1, lettera c, del decreto legislativo 12 maggio 1995,
n. 199 (Attuazione dell’art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in materia
di nuovo inquadramento del personale non direttivo e non dirigente del
Corpo della Guardia di finanza), come modificato dall’art. 2, comma 2,
lettera b, del d.lgs. 28 febbraio 2001, n. 67 (Disposizioni integrative
e correttive del d.lgs. 12 maggio 1995, n. 199, in materia di nuovo inquadramento
del personale non direttivo e non dirigente del Corpo della Guardia di
finanza);
‚ art. 36, comma 1, lettera b, numero 3, del predetto decreto legislativo
n. 199 del 1995, come modificato dall’art. 5, comma 5, del decreto legislativo
n. 67 del 2001.
CosÏ deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 24 ottobre 2002.
F.to:
Cesare RUPERTO, Presidente
Valerio ONIDA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 12 novembre 2002.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA
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