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Decisa l’illegittimità dell’articolo 458 comma 1 del Codice di procedura penale Incostituzionale la procedura del rito abbreviato

(Corte costituzionale, n. 120 del 16 aprile 2002)

CASSETTO: GIURIDICO/CORTE-COSTITUZ
FILE:            2002-N.120
WEB:           0003

Decisa l’illegittimità dell’articolo 458 comma 1 del Codice di procedura penale

Incostituzionale la procedura del rito abbreviato

(Corte costituzionale, n. 120 del 16 aprile 2002)

 


L’articolo 458 (comma 1) del codice di procedura penale non è in linea con la logica del nostro ordinamento. Ne dà atto la Corte Costituzionale, decidendo la sua illegittimità, nella parte ove prevede la decorrenza del termine per la richiesta del "giudizio abbreviato" dalla notificazione del decreto di "giudizio immediato" fatta alla persona dell’imputato, ancorché detenuto. Una tale previsione, a parere della Corte, darebbe adito a un’eventualità pregiudizievole, dal momento che la medesima notificazione potrebbe raggiungere il difensore solo successivamente a quella del cliente, quindi con grave ritardo rispetto alla scadenza del termine per ricorrere al "giudizio abbreviato". Da qui, la minaccia di violazione del diritto alla difesa "tecnica". Infatti, l’imputato rischierebbe di apprendere dalla voce competente di un legale le proprie "opzioni difensive", quando ormai il decorso del tempo ha già compromesso la loro scelta. Perciò, sarebbe messo in condizione di non potere discutere "tecnicamente", con il proprio avvocato, e di non potere valutare opportunamente tutte quelle alternative procedurali e sostanziali, che certo sono indispensabili alla sua decisione, ma altrettanto certamente non appartengono al suo personale "patrimonio di conoscenze". In riferimento all’art. 24 della Costituzione, la disposizione in questione va dunque riformata. E il termine di decorrenza, ai fini della richiesta del "giudizio abbreviato", sarà l’ultima notificazione, vuoi all’imputato, vuoi al difensore, "rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio immediato". Solo così, il legislatore potrà essere certo di avere rispettato ogni cautela per rendere all’interessato la possibilità di una difesa completa e tempestiva.



SENTENZA della Corte costituzionale n. 120 del 16 aprile 2002

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

(…)

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura penale [1], promossi nell’ambito di diversi procedimenti penali con ordinanze emesse il 1° dicembre 2000 dal Tribunale di Busto Arsizio, il 14 febbraio 2001 dal Tribunale di Latina, il 16 maggio 2001 dal Tribunale di Savona e il 17 luglio 2001 dal Tribunale di Bergamo, rispettivamente iscritte ai nn. 98, 310, 655 e 793 del registro ordinanze 2001 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 7, 18, 36 e 40, prima serie speciale, dell’anno 2001.

 

Visto l’atto di costituzione degli imputati nel procedimento relativo al giudizio promosso con l’ordinanza iscritta al n. 310 del registro ordinanze 2001, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 26 febbraio 2002 e nella camera di consiglio del 27 febbraio 2002 il Giudice relatore Guido Neppi Modona;

uditi l’avvocato Pasquale Ciampa per le parti private e l’Avvocato dello Stato per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza del 14 febbraio 2001 (r.o. n. 310 del 2001) il Tribunale di Latina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede, ai fini della richiesta di giudizio abbreviato, che il termine di sette giorni decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato e non invece anche dalla notificazione al difensore dell’avviso della data fissata per il giudizio, nonché nella parte in cui prevede il medesimo termine per l’imputato detenuto e per l’imputato libero.

Il Tribunale rimettente premette che gli imputati, entrambi detenuti, hanno proposto richiesta di giudizio abbreviato oltre il termine di sette giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato, e che soltanto l’accoglimento della questione di costituzionalità consentirebbe loro di godere dei benefici sostanziali scaturenti dal rito richiesto.

Nel merito, il rimettente rileva che, nonostante con la ordinanza n. 36 del 1994 la Corte costituzionale abbia dichiarato infondata un’analoga questione, la norma censurata deve ritenersi in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in quanto, pur essendo quella di richiedere il giudizio abbreviato "una scelta in gran parte tecnica che non può essere adottata senza la consultazione del difensore", essa è di fatto affidata esclusivamente all’imputato, atteso che la possibilità che l’imputato ha di consultarsi con il suo difensore è "ristretta in un termine decisamente breve [...] ulteriormente ridotto se si considera che con la richiesta deve essere data la prova della avvenuta notifica al pubblico ministero".

L’imputato detenuto, che neppure è in condizione di verificare se i suoi messaggi siano stati tempestivamente ricevuti dal difensore, subisce inoltre un trattamento sicuramente deteriore rispetto all’imputato libero che ha invece ampia facoltà di contattare il difensore e maggiori possibilità, dunque, di rispettare il termine fissato dalla norma.

1.1. - E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

Ad avviso dell’Avvocatura, infatti, da un canto il termine assegnato all’imputato - unico titolare del diritto di chiedere il giudizio abbreviato – può ritenersi "ampio a sufficienza per consentire al destinatario, sia esso libero o detenuto, di consultarsi con il proprio difensore prima della scadenza", dall’altro una regolamentazione e una delimitazione delle modalità dell’esercizio del diritto di difesa non possono reputarsi idonee a menomare l’esistenza stessa del diritto, "allorché di esso vengano assicurati lo scopo e la funzione di effettiva assistenza tecnica e professionale (sentenze n. 46 del 1957 e n. 16 del 1970)".

1.2. - Si sono costituiti gli imputati nel procedimento a quo, rappresentati e difesi dall’avvocato Pasquale Ciampa, chiedendo che sia dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il termine entro il quale può chiedersi il giudizio abbreviato decorre dalla sola data di notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato.

Il difensore premette che: i suoi assistiti erano stati arrestati l’11 dicembre 2000; interrogati e convalidato l’arresto nei termini di legge, era stata loro applicata la misura cautelare della custodia in carcere; successivamente, a seguito di richiesta del pubblico ministero, il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il giudizio immediato con decreto notificato agli imputati il 10 gennaio 2001, mentre l’avviso della data fissata per il giudizio era stato notificato al difensore il 22 gennaio. Il 24 gennaio, dopo essersi consultati con il difensore, gli imputati presentavano richiesta di giudizio abbreviato, che veniva dichiarata inammissibile, perché tardiva, dal giudice per le indagini preliminari con ordinanza del 26 gennaio 2001.

Con riferimento al quadro normativo precedente alle modifiche recate dalla legge n. 63 del 2001, il difensore rileva come il presupposto interpretativo da cui muove il rimettente - e cioè che il termine di cui al comma 1 dell’art. 458 cod. proc. pen. decorre dalla sola data della notificazione del decreto all’imputato - è assolutamente pacifico, sulla base del diritto vivente: può dunque accadere che il difensore riceva la notifica dell’avviso del giudizio immediato - in relazione al quale non è neppure previsto l’obbligo di preventiva notifica dell’avviso di chiusura delle indagini preliminari ex art. 415-bis cod. proc. pen. - quando il termine di sette giorni è già scaduto.

La parte privata sottolinea inoltre che, a differenza della situazione presa in esame dalla Corte con l’ordinanza n. 588 del 1990 e con le successive che a quella si richiamavano, la questione di costituzionalità prospettata dal Tribunale di Latina concerne imputati detenuti, per i quali le possibilità di comunicare tempestivamente con il difensore non sono agevoli. Inoltre, dovendo indubitabilmente ritenersi che "fra le condizioni necessarie al fine di individuare quale rito processuale scegliere - attività sicuramente rientranti nell’accezione "preparare la propria difesa" - vi siano quelle di potere consultare il fascicolo processuale e di consultare il proprio difensore", la norma censurata priverebbe l’imputato detenuto del diritto di disporre "del tempo e delle condizioni necessari per preparare la difesa".

Il termine per chiedere il giudizio abbreviato non sarebbe dunque adeguato all’effettivo esercizio del diritto di difesa e si porrebbe in contrasto non solo con i parametri evocati dal rimettente, ma anche con gli artt. 2 e 10 Cost. - perché menoma il diritto inviolabile all’equo processo assicurato dall’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali - nonché con l’art. 111 Cost.

Con memoria depositata il 27 settembre 2001 il difensore degli imputati, in replica alle deduzioni dell’Avvocatura, ha sviluppato le argomentazioni già illustrate nell’atto di costituzione, ed ha sottoposto ad esame critico le argomentazioni svolte nella sentenza di questa Corte n. 122 del 1997.

1.3. – Nella discussione in pubblica udienza le parti costituite hanno ribadito le argomentazioni già svolte nelle memorie; in particolare, la difesa degli imputati ha messo in rilievo le importanti modifiche intervenute nel quadro normativo di riferimento, sia processuale che costituzionale, successivamente alle decisioni della Corte su analoghe questioni e segnatamente dopo la sentenza n. 122 del 1997, sottolineando il valore precettivo dei principi enunciati nel nuovo art. 111 Cost. e l’aumentato tecnicismo della scelta del rito conseguente al mutamento della disciplina del giudizio abbreviato per effetto della legge 16 dicembre 1999, n. 479.

2. - Con ordinanza del 1° dicembre 2000 (r.o. n. 98 del 2001) il Tribunale di Busto Arsizio ha sollevato analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 458 cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma, Cost.

Il Tribunale ritiene che la questione sia rilevante atteso che l’imputato, a seguito del decreto di giudizio immediato, ha avanzato al giudice per le indagini preliminari istanza di ammissione al giudizio abbreviato, respinta proprio perché tardiva.

Ad avviso del rimettente la norma censurata si porrebbe in contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto determina un’irragionevole disparità di trattamento dell’imputato nei cui confronti si procede con giudizio immediato, rispetto all’imputato citato a giudizio a seguito di udienza preliminare o con citazione diretta ovvero tratto a giudizio direttissimo, situazioni nelle quali sono previsti termini ben più ampi per la richiesta di giudizio abbreviato e l’esercizio della relativa facoltà è garantita fino alla comparizione davanti all’organo giudicante.

Sarebbero inoltre violati gli art. 24 e 111, terzo comma, Cost., in quanto la scelta di chiedere il giudizio abbreviato presuppone specifiche cognizioni tecnico-giuridiche e una capacità di analisi del materiale probatorio raccolto dal pubblico ministero tali da rendere indispensabile l’apporto del difensore, mentre questi, anche quando sia munito di procura speciale preventiva, non può, di fatto, presentare richiesta di rito abbreviato se l’avviso della data fissata per il giudizio immediato gli è notificato dopo lo spirare del termine. La brevità del termine concesso all’imputato per chiedere il giudizio abbreviato dà pertanto luogo ad una "ingiustificata compressione del diritto di difesa, inteso nella sua completezza ovvero quale possibilità di operare consapevoli e mirate scelte processuali, di rito oltre che di merito".

3. – Questione di costituzionalità affatto analoga alle precedenti è stata sollevata con ordinanza del 16 maggio 2001 (r.o. n. 655 del 2001) dal Tribunale di Savona.

Il Tribunale premette che il 6 novembre 2000 era stato emesso il decreto di giudizio immediato per l’udienza del 13 dicembre, notificato all’imputato il 9 novembre 2000; il relativo avviso veniva notificato al difensore il 15 novembre. Il 18 novembre l’imputato avanzava richiesta di rito abbreviato, dichiarata inammissibile dal giudice per le indagini preliminari perché proposta oltre il termine, previsto a pena di decadenza, di sette giorni decorrenti dalla notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato. Poiché il provvedimento del giudice per le indagini preliminari era stato preso in data successiva a quella fissata per il giudizio immediato, questo subì dei ritardi, di talché intervenne, nelle more, la legge n. 63 del 2001, ampliando a quindici giorni il termine previsto dalla disposizione impugnata: peraltro il Tribunale rimettente osserva che, in applicazione del principio tempus regit actum, tale modifica normativa non rileva nella fattispecie del giudizio a quo.

L’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nel testo precedente alle modifiche recate dall’art. 14, comma 2, della legge n. 63 del 2001, sarebbe dunque, ad avviso del rimettente, in contrasto con l’art. 24, secondo comma, Cost.: la scelta del giudizio abbreviato presupporrebbe infatti adeguate conoscenze tecniche anche con riferimento alla particolare disciplina "del materiale utilizzabile ai fini probatori, del trattamento sanzionatorio e dei limiti all’appello", mentre la decorrenza del termine dalla sola notifica del decreto all’imputato non consente un’effettiva assistenza difensiva.

3.1 - E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Desta perplessità, a parere dell’Avvocatura, la "qualificazione del carattere esclusivamente tecnico della scelta del rito abbreviato", in quanto se "è vero che occorre professionalità per valutare gli effetti della scelta di rito speciale", è comunque "di primaria importanza la decisione finale dell’imputato". Inoltre l’Avvocatura ritiene che sarebbe improprio ed inverosimile far decorrere il termine per effettuare una scelta dalla comunicazione a "persona diversa da quella che la scelta deve operare", anche nel caso in cui la persona diversa sia il difensore di fiducia dell’imputato.

4. - Il Tribunale di Bergamo, con ordinanza del 17 luglio 2001 (r.o. n. 793 del 2001), solleva infine, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, Cost., questione di costituzionalità concernente la decorrenza del termine previsto dall’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nel testo modificato dall’art. 14, comma 2, della legge 1° marzo 2001, n. 63.

Il Tribunale premette che procede nei confronti di imputato tratto in arresto il 15 marzo 2001 per il delitto di importazione di stupefacenti; che il 17 marzo l’arresto era stato convalidato ed era stata applicata all’imputato la misura cautelare della custodia in carcere. Il 13 aprile il giudice per le indagini preliminari aveva disposto il giudizio immediato per l’udienza del 26 giugno 2001; il decreto era stato notificato all’imputato detenuto il 14 aprile, mentre l’avviso al difensore di fiducia era stato dato il 26 aprile 2001. Il 9 maggio il difensore aveva depositato richiesta di giudizio abbreviato, condizionato all’esame di due testimoni, richiesta dichiarata, in pari data, inammissibile perché formulata oltre la scadenza del termine di quindici giorni, decorrente dalla notificazione all’imputato del decreto che dispone il giudizio immediato.

Ad avviso del rimettente, la norma censurata, non prevedendo "che il termine di quindici giorni per la proposizione della richiesta di giudizio abbreviato decorra dall’ultima delle notificazioni: del decreto, ex art. 456, comma 3, cod. proc. pen. all’imputato o dell’avviso, ex art. 456, comma 5, al difensore", violerebbe gli artt. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, Cost., perché, in un sistema improntato ad elevato tecnicismo, determina "un vuoto nella difesa tecnica", proprio nel momento in cui l’imputato deve, a pena di decadenza, esercitare la scelta di chiedere un rito alternativo cui conseguono benefici sostanziali rilevanti e non gli assicura quindi di disporre "del tempo e delle condizioni necessarie per preparare la sua difesa".

Né il preventivo rilascio di una procura speciale al difensore sarebbe sufficiente a risolvere il problema quando è lo stesso difensore che riceve in ritardo la notificazione dell’avviso di giudizio immediato.

4.1 - E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, riportandosi alla memoria depositata nel giudizio avente a oggetto la questione sollevata con l’ordinanza n. 655 del 2001.

 

Considerato in diritto

 

1 - Con quattro ordinanze emesse dai Tribunali di Latina (r.o. n. 310 del 2001), Busto Arsizio (r.o. n. 98 del 2001), Savona (r.o. n. 655 del 2001) e Bergamo (r.o. n. 793 del 2001) è stata sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che il termine per proporre richiesta di giudizio abbreviato decorra, anziché dalla notificazione del decreto di giudizio immediato all’imputato, dall’ultima delle notificazioni, all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio.

Poiché le ordinanze hanno per oggetto la medesima disposizione ed hanno contenuti analoghi, va disposta la riunione dei relativi giudizi.

2. – La questione è sostanzialmente nuova, in quanto si inserisce su di un contesto normativo segnato dalle profonde modifiche apportate alla disciplina del giudizio abbreviato dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 (v., al riguardo, sentenza n. 115 del 2001). Non soccorrono pertanto le precedenti pronunce di questa Corte sul medesimo comma 1 dell’art. 458 cod. proc. pen. (sentenza n. 122 del 1997, ordinanze n. 36 del 1994, n. 335 e n. 225 del 1991 e n. 588 del 1990), che si collocavano in un quadro normativo affatto diverso, nel quale le scelte dell’imputato non erano connotate dalla attuale rilevante complessità delle valutazioni connesse alla richiesta del giudizio abbreviato.

3. - L’art. 458, comma 1, cod. proc. pen. stabilisce che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato, a pena di decadenza, entro quindici giorni dalla notificazione del decreto di giudizio immediato (tale termine è stato così modificato dall’art. 14, comma 2, della legge 1° marzo 2001, n. 63, che ha sostituito l’originario termine di sette giorni: tre delle quattro ordinanze si riferiscono a situazioni in cui era ancora operante il termine di sette giorni). Dal canto suo, il comma 3 dell’art. 456 cod. proc. pen. prevede che il decreto che dispone il giudizio immediato venga notificato all’imputato almeno trenta giorni prima della data fissata per il giudizio e il comma 2 precisa che il decreto contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena. Il comma 5 dispone, infine, che al difensore è notificato l’avviso della data fissata per il giudizio entro il medesimo termine previsto per l’imputato.

Da tale disciplina emerge che all’imputato e al difensore vengono notificati due atti distinti e che la scansione temporale delle relative notifiche è lasciata all’iniziativa dell’ufficio giudiziario che procede. Può quindi avvenire – come è accaduto nei giudizi a quibus - che il difensore riceva l’avviso della data fissata per il giudizio immediato in un momento in cui il termine per presentare la richiesta di giudizio abbreviato sia già scaduto o sia prossimo alla scadenza.

4. - Il nucleo centrale della questione di legittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen. attiene appunto alla violazione del diritto alla difesa tecnica, in quanto la disciplina censurata è congegnata in maniera tale che il termine stabilito a pena di decadenza per presentare richiesta di giudizio abbreviato può scadere senza che il difensore abbia potuto illustrare al proprio assistito le opzioni difensive rispettivamente collegate al giudizio abbreviato e alla celebrazione del dibattimento.

In effetti, l’essenziale funzione della difesa tecnica (sentenze n. 80 del 1984 e n. 125 del 1979), che postula il diritto dell’imputato di conferire con il difensore per predisporre le più opportune strategie difensive (cfr. sentenze n. 212 del 1997 e n. 216 del 1996), assume particolare incidenza in relazione ad una scelta - quale quella di percorrere la via del giudizio abbreviato - che implica, specie dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 479 del 1999, cognizioni e valutazioni squisitamente tecnico-giuridiche, estranee al patrimonio di conoscenze dell’imputato.

In primo luogo, la decisione se accedere o meno al rito abbreviato presuppone la conoscenza del fascicolo delle indagini preliminari, di cui, a norma dell’art. 139 disp. att. cod. proc. pen., le parti e i difensori hanno facoltà di prendere visione, ed eventualmente estrarre copia, durante il breve termine previsto per presentare la relativa richiesta.

Tali attività richiedono necessariamente l’intervento della difesa tecnica, perché solo il difensore può valutare, dopo avere esaminato il fascicolo, se sia conveniente per l’imputato prestare il consenso, mediante la richiesta di giudizio abbreviato, a che gli atti delle indagini vengano utilizzati come prova. Tanto più che, rispetto alla disciplina vigente prima della legge n. 479 del 1999, l’imputato è ora posto di fronte all’alternativa tra una richiesta di definizione del processo allo stato degli atti ex art. 438, comma 1, cod. proc. pen. e una richiesta subordinata ad una integrazione probatoria a norma del comma 5, destinata ad essere accolta solo ove il giudice ritenga che l’integrazione probatoria sia necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili.

Inoltre, nel decidere se optare per il rito abbreviato, l’imputato dovrà in ogni caso valutare l’eventualità che il giudice assuma anche d’ufficio, a norma dell’art. 441, comma 5, cod. proc. pen., gli elementi necessari ai fini della decisione, e tenere presente, ove la richiesta sia subordinata ad una integrazione probatoria, che il pubblico ministero può chiedere l’ammissione di prova contraria ex art. 438, comma 5, cod. proc. pen.

L’imputato viene cioè chiamato a compiere valutazioni che, coinvolgendo i poteri dispositivi sulla prova e implicando una peculiare esperienza professionale e processuale, esigono l’apporto della difesa tecnica (cfr., di recente, ordinanza n. 182 del 2001), in quanto solo il difensore, sulla base della conoscenza degli atti del fascicolo del pubblico ministero, può a ragion veduta valutare la completezza delle indagini e gli effetti dell’utilizzazione in giudizio degli atti già acquisiti.

5. - Il diritto di difesa, inteso come effettiva possibilità di ricorrere all’assistenza tecnica del difensore, risulta violato, come questa Corte ha avuto ripetutamente occasione di affermare, in ogni caso in cui, ai fini dell’esercizio di facoltà processuali che comportano "la cognizione di elementi tecnici rientranti nelle specifiche competenze professionali del difensore", venga posto a pena di decadenza un termine decorrente dalla notificazione all’imputato, anziché al difensore, dell’atto da cui tali facoltà conseguono (v., con riferimento al termine per dedurre eccezioni di nullità, sentenza n. 162 del 1975, nonché, in relazione al termine per proporre richiesta di riesame, decorrente dalla conoscenza del provvedimento da parte dell’imputato, anziché dalla notifica dell’atto al difensore, la già menzionata sentenza n. 80 del 1984).

Va pertanto dichiarata, in riferimento all’art. 24 Cost., l’illegittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il termine entro cui l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall’ultima notificazione, all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio immediato.

Rimangono così assorbite le censure riferite agli altri parametri costituzionali evocati dai rimettenti.

6. - Nell’ordinanza r.o. n. 310 del 2001 il rimettente solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, cod. proc. pen. anche nella parte in cui non prevede un termine maggiore per l’imputato in stato di detenzione.

La censura risulta superata dall’accoglimento della questione principale di legittimità costituzionale nei termini sopra precisati, in quanto il difensore è comunque posto in condizione di conferire tempestivamente con il proprio assistito, anche se detenuto, al fine di fornirgli l’assistenza tecnico-giuridica necessaria per adottare la strategia difensiva più consona alla sua posizione processuale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi,

 

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 458, comma 1, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede che il termine entro cui l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato decorre dalla notificazione del decreto di giudizio immediato, anziché dall’ultima notificazione, all’imputato o al difensore, rispettivamente del decreto ovvero dell’avviso della data fissata per il giudizio immediato.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 aprile 2002.

 

F.to:

 

Cesare RUPERTO, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 16 aprile 2002.

 

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

 

 


Domenica, 19 Maggio 2002
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