Italia
condannata per inadempimento della direttiva europea sul trasporto e la
raccolta dei rifiuti. Con il decreto legislativo n. 22/1997 furono recepite
tre direttive europee sui rifiuti (ordinari, pericolosi, imballaggi e
rifiuti di imballaggio). La legge 426/1998 ne ha però modificato
l’articolo 30, escludendo dal previsto regime autorizzatorio le aziende
che esercitano le attività di raccolta e di trasporto in proprio.
La Commissione ha quindi contestato all’Italia una deroga alla normativa
comunitaria di riferimento (direttiva 91/156/CEE). La modifica apportata
con la legge 426/1998 specifica che l’obbligo di iscrizione all’Albo
nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti riguarda
i rifiuti ordinari prodotti da terzi e quelli pericolosi che eccedono
la misura di 30 litri / chili al giorno. In pratica, la locuzione “prodotti
da terzi” si sostituisce a quella che in origine designava l’attività
delle imprese operanti “a titolo professionale”. La Corte ha
riconosciuto che le due espressioni non possono in alcun modo coincidere.
La normativa europea non consente comunque delle deroghe basate sulla
quantità o sulla natura dei rifiuti. Sebbene la direttiva 91/156/CEE
non faccia esplicito riferimento alla gestione dei rifiuti in proprio,
è pur vero che modifica sostanzialmente la precedente direttiva
75/442/CEE. Il fatto che abbia introdotto un più elevato ed esteso
livello di controllo da parte delle autorità è chiaramente
incompatibile con un’interpretazione che esclude la vigilanza su
ogni tipo di rifiuto gestito in proprio dalle stesse aziende che lo producono.
La sentenza di condanna è dipesa anche da una precedente ordinanza
della Corte secondo la quale la nozione di trasporto di rifiuti a titolo
professionale deve tener conto sia dei soggetti che operano per conto
terzi, sia di quelli che, pur non essendo trasportatori, gestiscono in
proprio la raccolta e il trasporto dei rifiuti. (13 giugno 2005)
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) 9 giugno 2005
"Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Gestione dei rifiuti
– Direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE
– Trasporto e raccolta dei rifiuti – Art. 12"
Nella causa C-270/03,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art.
226 CE, proposto il 23 giugno 2003,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg.
L. Visaggio e R. Amorosi, in qualità di agenti, con domicilio eletto
in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in
qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello
Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J.-P. Puissochet
(relatore), S. von Bahr, J. Malenovsk? e U. Lõhmus, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza del
22 febbraio 2005,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza
del 14 aprile 2005,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1. Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede
alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, permettendo alle
imprese, in forza dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo
5 febbraio 1997, n. 22[1], che ha trasposto le direttive 91/156/CEE,
relativa ai rifiuti, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e 94/62/CE,
sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio [2] (Supplemento ordinario
alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997), come modificato dall’art.
1, comma 19, della legge 9 dicembre1998, n. 426 [3] (GURI n. 291 del 14
dicembre 1998; in prosieguo: il "decreto legislativo"):
– di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non
pericolosi, come attività ordinaria e regolare, senza obbligo di
essere iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi
di smaltimento rifiuti, e
– di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità che
non eccedano i 30 chilogrammi e i 30 litri al giorno, senza obbligo di
essere iscritte al medesimo Albo,
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art.
12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE [4], relativa
ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio
18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la "direttiva").
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2. La direttiva definisce il rifiuto, all’art. 1, lett. a), primo
comma, come "qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie
riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia
deciso o abbia l’obbligo di disfarsi ".
3. L’art. 1, lett. c), della direttiva definisce il "detentore"
come "il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che
li detiene".
4. L’art. 4 della direttiva dispone quanto segue:
"Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che
i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo
e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio
all’ambiente e in particolare:
– senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per
la fauna e la flora;
– senza causare inconvenienti da rumori od odori;
– senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono,
lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti".
5. L’art. 8 della direttiva così recita:
"Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché
ogni detentore di rifiuti:
– li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa
che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B, oppure
– provveda egli stesso al ricupero o allo smaltimento, conformandosi
alle disposizioni della presente direttiva".
6. Ai sensi dell’art. 9 della direttiva, ai fini, in particolare,
dell’applicazione dell’art. 4, tutti gli stabilimenti o le imprese
che effettuano le operazioni di smaltimento dei rifiuti elencate nell’allegato
II A debbono ottenere un’autorizzazione dall’autorità
competente. Tale autorizzazione riguarda, segnatamente, i tipi ed i quantitativi
di rifiuti, i requisiti tecnici, le precauzioni da prendere in materia
di sicurezza, il luogo di smaltimento, il metodo di trattamento.
7. L’art. 12 della direttiva stabilisce quanto segue:
"Gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al
trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento
o al ricupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari),
devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non
siano soggetti ad autorizzazione".
La normativa nazionale
8. Ai sensi dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo:
"Le imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto
di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono
e trasportano rifiuti pericolosi, esclusi i trasporti di rifiuti pericolosi
che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi al giorno o
di trenta litri al giorno effettuati dal produttore degli stessi rifiuti
(…) devono essere iscritte all’Albo (nazionale delle imprese
esercenti servizi di smaltimento rifiuti)".
Fase precontenziosa
9. Ritenendo che l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo fosse
in contrasto con l’art. 12 della direttiva, la Commissione, con lettera
di diffida 24 ottobre 2001, ha chiesto alla Repubblica italiana di presentare
entro due mesi le sue osservazioni in proposito.
10. Con lettera 27 febbraio 2002, le autorità italiane hanno risposto
a tale diffida. Nella lettera esse hanno contestato l’opinione della
Commissione basandosi, segnatamente, su una nota del 25 gennaio 2002 del
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio.
11. Il 27 giugno 2002 la Commissione, non convinta da tale argomentazione,
ha inviato alla Repubblica italiana un parere motivato, concedendole un
termine di due mesi dalla notifica per conformarvisi.
12. Non avendo ottenuto risposta al detto parere, la Commissione ha proposto
alla Corte il ricorso oggetto della presente causa.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
13. La Commissione afferma, come già aveva avuto modo di esporre
nella causa che ha dato origine all’ordinanza della Corte 29 maggio
2001, causa C-311/99, Caterino (non pubblicata nella Raccolta), che la
nozione di impresa che provvede "a titolo professionale" alla
raccolta o al trasporto di rifiuti, di cui all’art. 12 della direttiva,
non è limitata alle imprese che esercitano tali attività
per conto di terzi. Questa nozione ricomprenderebbe anche le imprese che
svolgono le dette attività in proprio qualora tale trasporto o
tale raccolta costituisca, insieme ai loro altri compiti, una delle attività
ordinarie da cui esse traggono un reddito o un altro vantaggio economico.
Tale interpretazione sarebbe in linea con gli obiettivi di protezione
dell’ambiente perseguiti dalla direttiva, con il dodicesimo ‘considerando’
della direttiva 91/156, con l’art. 8 della direttiva, che si applica
ad ogni "detentore di rifiuti", e sarebbe stata confermata dalla
Corte, incidenter tantum, al punto 25 della citata ordinanza Caterino.
14. Orbene, da una parte, utilizzando, per quanto riguarda i rifiuti non
pericolosi, l’espressione "prodotti da terzi" invece dell’espressione
"a titolo professionale" di cui all’art. 12 della direttiva,
l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo escluderebbe dall’obbligo
dell’iscrizione, in violazione della direttiva, le imprese che raccolgono
e trasportano rifiuti per conto proprio nell’esercizio della loro
specifica attività professionale. Queste due espressioni si riferirebbero
necessariamente a nozioni diverse e non potrebbero coincidere.
15. D’altra parte, l’art. 12 della direttiva disporrebbe che
tutte le imprese che svolgono, a titolo professionale, attività
di raccolta o di trasporto di rifiuti, a prescindere dalla quantità
e dalla pericolosità di tali rifiuti, devono essere iscritte presso
le competenti autorità, qualora non siano soggette ad autorizzazione.
L’art. 30, comma 4, del decreto legislativo violerebbe quindi la
direttiva, introducendo una deroga a tale obbligo a favore delle imprese
che trasportano meno di 30 litri o di 30 chilogrammi di rifiuti al giorno.
16. Nel controricorso, il governo italiano sostiene che nessuna norma
comunitaria prescrive che la raccolta ed il trasporto di rifiuti avvengano
per mezzo di operatori che siano terzi rispetto ai produttori dei rifiuti.
Al fine di conseguire gli obiettivi della direttiva, consistenti nella
prevenzione e nella gestione integrata dei rifiuti, l’essenziale
sarebbe garantire un controllo del ciclo dei rifiuti. La normativa comunitaria
stabilirebbe la responsabilità del produttore di rifiuti sino al
momento in cui egli se ne disfa in vista del loro riutilizzo, recupero
o smaltimento. L’art. 12 della direttiva riguarderebbe quindi il
controllo dei rifiuti allorché essi escono dall’ambito di
responsabilità del produttore.
17. Il produttore di rifiuti che trasporti direttamente i rifiuti al suo
stabilimento di recupero o di smaltimento si "disfarebbe" di
essi solo al momento della consegna a tale stabilimento. Pertanto, egli
non dovrebbe affatto iscriversi all’Albo, l’obbligo d’iscrizione
dovendosi applicare solamente ad imprese che svolgono attività
di trasporto o di raccolta di rifiuti a titolo professionale, ossia come
"attività abituale".
18. L’art. 30, comma 4, del decreto legislativo non pregiudicherebbe
quindi le finalità della direttiva.
Giudizio della Corte
19. Le disposizioni della direttiva devono essere interpretate alla luce
della sua finalità – che, ai sensi del terzo ‘considerando’,
è la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli
effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso
e del deposito dei rifiuti – nonché alla luce dell’art.
174, n. 2, CE, secondo il quale la politica della Comunità in materia
ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata, in
particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva
(v. in tal senso, in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C-9/00,
Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus,
Racc. pag. I-3533, punto 23).
20. Nella sua versione iniziale la direttiva prevedeva, all’art.
10, che le imprese che provvedevano al trasporto di rifiuti fossero soggette
a una semplice "vigilanza" da parte dell’autorità
competente, a prescindere dal fatto che tale trasporto fosse effettuato
per proprio conto o per conto di terzi. Tale disposizione faceva eco al
settimo ‘considerando’ della stessa direttiva, ai sensi del
quale, "per assicurare la protezione dell’ambiente, occorre
prevedere (…) la sorveglianza delle imprese che smaltiscono i propri
rifiuti e di quelle che raccolgono i rifiuti altrui (…)".
21. La direttiva 91/156 ha avuto, segnatamente, lo scopo di rafforzare
il controllo da parte delle autorità. In tal senso, al dodicesimo
‘considerando’ essa enuncia che, "per assicurare il controllo
continuo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento definitivo, occorre
anche sottoporre ad autorizzazione o iscrizione e ad un adeguato controllo
altre imprese che si occupano di rifiuti, come gli operatori intermedi
addetti alla raccolta, al trasporto e alla mediazione". A tal fine,
nuove disposizioni sono state introdotte all’art. 12 della direttiva.
In particolare tali disposizioni stabiliscono, da un lato, che le imprese
che provvedono al trasporto di rifiuti, qualora non siano soggette ad
autorizzazione, devono essere iscritte e, d’altro lato, che le imprese
destinatarie di tale obbligo sono quelle che provvedono al trasporto "a
titolo professionale". La direttiva 91/156 ha così sostituito
l’obbligo d’iscrizione alla semplice "vigilanza",
che non compare più in quanto tale nella direttiva.
22. Considerato che la direttiva 91/156 ha inteso garantire un livello
più elevato di controllo, da parte delle autorità, sulle
attività di trasporto di rifiuti rispetto a quello risultante dalla
direttiva nella sua versione iniziale, sarebbe in contrasto con tale finalità
interpretare la nozione di "impresa che provvede al trasporto di
rifiuti a titolo professionale", di cui all’art. 12 della direttiva,
in modo da escluderne le imprese che provvedono, nell’ambito della
loro attività professionale, al trasporto di rifiuti per conto
proprio. Ove fosse accolta un’interpretazione del genere, tali imprese
sarebbero sottratte a qualunque controllo nelle loro attività di
trasporto di rifiuti.
23. La Corte ha peraltro già avuto modo di dichiarare che la nozione
di trasporto di rifiuti a titolo professionale contenuta nell’art.
12 si riferisce non solo a coloro che trasportano, nell’esercizio
della loro attività professionale di trasportatori, rifiuti prodotti
da terzi, ma anche a coloro che, pur non esercitando la professione di
trasportatori, nondimeno trasportino nell’ambito della loro attività
professionale rifiuti da essi stessi prodotti (ordinanza Caterino, citata,
punto 25).
24. Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, la finalità
di vigilanza sul ciclo dei rifiuti, perseguita dalla direttiva, implica
il controllo continuo dei rifiuti fin dal momento in cui sono stati prodotti
e, in particolare, come dispone l’art. 12 della direttiva, il controllo
delle condizioni in cui sono raccolti e trasportati. Se, in taluni casi,
è vero che il produttore dei rifiuti può provvedere egli
stesso alla loro raccolta o al loro trasporto e disfarsene effettivamente
soltanto alla fine dell’operazione di raccolta o trasporto, tale
circostanza è irrilevante ai fini della qualifica come rifiuti
delle sostanze o degli oggetti raccolti o trasportati nonché, di
conseguenza, ai fini dell’obbligo d’iscrizione gravante sul
produttore in ragione di un’operazione del genere.
25. L’art. 12 della direttiva non ricomprende, tuttavia, tutte le
imprese che, nell’ambito della loro attività professionale,
trasportino i rifiuti da esse prodotti.
26. Anzitutto, la locuzione "a titolo professionale", impiegata
in tale articolo, non è sinonimo delle espressioni "nell’ambito
delle loro attività professionali" o "nello svolgimento
delle loro attività professionali", alle quali probabilmente
il legislatore comunitario avrebbe fatto ricorso ove avesse inteso riferirsi
a tutte le imprese che, nell’ambito della loro attività professionale,
trasportino i rifiuti da esse prodotti.
27. Risulta, poi, dal dodicesimo ‘considerando’ della direttiva
91/156 che i nuovi obblighi di autorizzazione e d’iscrizione previsti
da tale direttiva si applicano alle "imprese che si occupano di rifiuti,
come gli operatori intermedi addetti alla raccolta, al trasporto e alla
mediazione". L’uso del verbo "occuparsi" nonché
l’elenco indicativo di professioni specializzate nel settore dei
rifiuti indicano che l’art. 12 della direttiva si applica alle imprese
che svolgono a titolo abituale la raccolta o il trasporto di rifiuti.
28. Infine, la previsione che il trasporto sia effettuato "a titolo
professionale" significa che l’attività di trasporto
di rifiuti, sebbene l’art. 12 non disponga che essa deve costituire
l’attività esclusiva, e neppure principale, delle imprese
di cui trattasi, deve rappresentare un’attività ordinaria
e regolare di tali imprese.
29. Dalle considerazioni che precedono risulta che l’art. 12 della
direttiva assoggetta a un obbligo d’iscrizione gli stabilimenti o
le imprese che, nell’ambito delle loro attività, provvedono
in via ordinaria e regolare al trasporto di rifiuti, a prescindere dal
fatto che tali rifiuti siano prodotti da terzi o da esse stesse. Non risulta,
peraltro, da alcuna disposizione della direttiva che tale obbligo ammetta
deroghe fondate sulla natura o sulla quantità dei rifiuti.
30. Orbene, l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo fissa obblighi
d’iscrizione che variano a seconda della pericolosità o meno
dei rifiuti raccolti o trasportati.
31. Per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, tale norma impone un
obbligo d’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese esercenti
servizi di smaltimento rifiuti soltanto alle imprese dedite ad attività
di raccolta e trasporto di rifiuti prodotti da terzi, con ciò escludendo
le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti propri.
32. Vero è che, per quanto riguarda i rifiuti pericolosi, l’art.
30, comma 4, del decreto legislativo dispone che sono soggette a tale
obbligo d’iscrizione tutte le imprese che raccolgono e trasportano
rifiuti del genere. Questa norma non comporta alcuna restrizione in ordine
al carattere professionale di tali attività di raccolta e di trasporto
ed ha, pertanto, sotto questo profilo, un ambito di applicazione più
ampio di quello dell’art. 12 della direttiva.
33. Tuttavia, la detta norma dispensa dall’obbligo d’iscrizione
ivi istituito "i trasporti di rifiuti pericolosi che non eccedano
la quantità di 30 chilogrammi al giorno o di 30 litri al giorno
effettuati dal produttore degli stessi rifiuti", così configurando
deroghe non previste da alcuna disposizione della direttiva. Il governo
italiano non ha peraltro spiegato quali siano le considerazioni sottese
alla fissazione di tale quantità minima.
34. Discende da quanto precede che l’art. 30, comma 4, del decreto
legislativo contravviene al disposto dell’art. 12 della direttiva.
Ciò considerato, il ricorso della Commissione va considerato fondato.
35. Occorre pertanto dichiarare che la Repubblica italiana, permettendo
alle imprese, in forza dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo:
– di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non
pericolosi come attività ordinaria e regolare senza obbligo di
essere iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi
di smaltimento rifiuti, e
– di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità che
non eccedano i 30 chilogrammi e i 30 litri al giorno, senza obbligo di
essere iscritte al medesimo Albo,
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art.
12 della direttiva.
Sulle spese
36. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la
parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata
fatta domanda. Poiché la Commissione ha concluso per la condanna
della Repubblica italiana, quest’ultima, rimasta soccombente, dev’essere
condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in forza dell’art.
30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che ha trasposto
le direttive 91/156/CEE, relativa ai rifiuti, 91/689/CEE, relativa ai
rifiuti pericolosi, e 94/62/CE, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio,
come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n.
426:
– di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non
pericolosi come attività ordinaria e regolare senza obbligo di
essere iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi
di smaltimento rifiuti, e
– di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità che
non eccedano i 30 chilogrammi e i 30 litri al giorno, senza obbligo di
essere iscritte al medesimo Albo,
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art.
12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa
ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991,
91/156/CEE.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
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