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Autorizzazione necessaria anche per le aziende che provvedono in proprio Raccolta e trasporto dei rifiuti, mal recepita la direttiva comunitaria

(Corte di Giustizia Ue 9.06.2005)

Autorizzazione necessaria anche per le aziende che provvedono in proprio
Raccolta e trasporto dei rifiuti, mal recepita la direttiva comunitaria
(Corte di Giustizia Ue 9.06.2005)

Italia condannata per inadempimento della direttiva europea sul trasporto e la raccolta dei rifiuti. Con il decreto legislativo n. 22/1997 furono recepite tre direttive europee sui rifiuti (ordinari, pericolosi, imballaggi e rifiuti di imballaggio). La legge 426/1998 ne ha però modificato l’articolo 30, escludendo dal previsto regime autorizzatorio le aziende che esercitano le attività di raccolta e di trasporto in proprio. La Commissione ha quindi contestato all’Italia una deroga alla normativa comunitaria di riferimento (direttiva 91/156/CEE). La modifica apportata con la legge 426/1998 specifica che l’obbligo di iscrizione all’Albo nazionale delle imprese che effettuano la gestione dei rifiuti riguarda i rifiuti ordinari prodotti da terzi e quelli pericolosi che eccedono la misura di 30 litri / chili al giorno. In pratica, la locuzione “prodotti da terzi” si sostituisce a quella che in origine designava l’attività delle imprese operanti “a titolo professionale”. La Corte ha riconosciuto che le due espressioni non possono in alcun modo coincidere. La normativa europea non consente comunque delle deroghe basate sulla quantità o sulla natura dei rifiuti. Sebbene la direttiva 91/156/CEE non faccia esplicito riferimento alla gestione dei rifiuti in proprio, è pur vero che modifica sostanzialmente la precedente direttiva 75/442/CEE. Il fatto che abbia introdotto un più elevato ed esteso livello di controllo da parte delle autorità è chiaramente incompatibile con un’interpretazione che esclude la vigilanza su ogni tipo di rifiuto gestito in proprio dalle stesse aziende che lo producono. La sentenza di condanna è dipesa anche da una precedente ordinanza della Corte secondo la quale la nozione di trasporto di rifiuti a titolo professionale deve tener conto sia dei soggetti che operano per conto terzi, sia di quelli che, pur non essendo trasportatori, gestiscono in proprio la raccolta e il trasporto dei rifiuti. (13 giugno 2005)

SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) 9 giugno 2005
"Inadempimento di uno Stato – Ambiente – Gestione dei rifiuti – Direttiva 75/442/CEE, come modificata dalla direttiva 91/156/CEE – Trasporto e raccolta dei rifiuti – Art. 12"
Nella causa C-270/03,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 23 giugno 2003,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dai sigg. L. Visaggio e R. Amorosi, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito dal sig. M. Fiorilli, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,


LA CORTE (Terza Sezione),


composta dal sig. A. Rosas, presidente di sezione, dai sigg. J.-P. Puissochet (relatore), S. von Bahr, J. Malenovsk? e U. Lõhmus, giudici,
avvocato generale: sig.ra C. Stix-Hackl
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e a seguito dell’udienza del 22 febbraio 2005,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 aprile 2005,
ha pronunciato la seguente

 

Sentenza


1. Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di dichiarare che la Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in forza dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22[1], che ha trasposto le direttive 91/156/CEE, relativa ai rifiuti, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e 94/62/CE, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio [2] (Supplemento ordinario alla GURI n. 38 del 15 febbraio 1997), come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre1998, n. 426 [3] (GURI n. 291 del 14 dicembre 1998; in prosieguo: il "decreto legislativo"):
– di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi, come attività ordinaria e regolare, senza obbligo di essere iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti, e
– di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano i 30 chilogrammi e i 30 litri al giorno, senza obbligo di essere iscritte al medesimo Albo,
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE [4], relativa ai rifiuti (GU L 194, pag. 39), come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE (GU L 78, pag. 32; in prosieguo: la "direttiva").
Contesto normativo
La normativa comunitaria
2. La direttiva definisce il rifiuto, all’art. 1, lett. a), primo comma, come "qualsiasi sostanza od oggetto che rientri nelle categorie riportate nell’allegato I e di cui il detentore si disfi o abbia deciso o abbia l’obbligo di disfarsi ".
3. L’art. 1, lett. c), della direttiva definisce il "detentore" come "il produttore dei rifiuti o la persona fisica o giuridica che li detiene".
4. L’art. 4 della direttiva dispone quanto segue:
"Gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che i rifiuti siano ricuperati o smaltiti senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che potrebbero recare pregiudizio all’ambiente e in particolare:
– senza creare rischi per l’acqua, l’aria, il suolo e per la fauna e la flora;
– senza causare inconvenienti da rumori od odori;
– senza danneggiare il paesaggio e i siti di particolare interesse.
Gli Stati membri adottano inoltre le misure necessarie per vietare l’abbandono, lo scarico e lo smaltimento incontrollato dei rifiuti".
5. L’art. 8 della direttiva così recita:
"Gli Stati membri adottano le disposizioni necessarie affinché ogni detentore di rifiuti:
– li consegni ad un raccoglitore privato o pubblico, o ad un’impresa che effettua le operazioni previste nell’allegato II A o II B, oppure
– provveda egli stesso al ricupero o allo smaltimento, conformandosi alle disposizioni della presente direttiva".
6. Ai sensi dell’art. 9 della direttiva, ai fini, in particolare, dell’applicazione dell’art. 4, tutti gli stabilimenti o le imprese che effettuano le operazioni di smaltimento dei rifiuti elencate nell’allegato II A debbono ottenere un’autorizzazione dall’autorità competente. Tale autorizzazione riguarda, segnatamente, i tipi ed i quantitativi di rifiuti, i requisiti tecnici, le precauzioni da prendere in materia di sicurezza, il luogo di smaltimento, il metodo di trattamento.
7. L’art. 12 della direttiva stabilisce quanto segue:
"Gli stabilimenti o le imprese che provvedono alla raccolta o al trasporto di rifiuti a titolo professionale, o che provvedono allo smaltimento o al ricupero di rifiuti per conto di terzi (commercianti o intermediari), devono essere iscritti presso le competenti autorità qualora non siano soggetti ad autorizzazione".
La normativa nazionale
8. Ai sensi dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo:
"Le imprese che svolgono attività di raccolta e trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti pericolosi, esclusi i trasporti di rifiuti pericolosi che non eccedano la quantità di trenta chilogrammi al giorno o di trenta litri al giorno effettuati dal produttore degli stessi rifiuti (…) devono essere iscritte all’Albo (nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti)".
Fase precontenziosa
9. Ritenendo che l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo fosse in contrasto con l’art. 12 della direttiva, la Commissione, con lettera di diffida 24 ottobre 2001, ha chiesto alla Repubblica italiana di presentare entro due mesi le sue osservazioni in proposito.
10. Con lettera 27 febbraio 2002, le autorità italiane hanno risposto a tale diffida. Nella lettera esse hanno contestato l’opinione della Commissione basandosi, segnatamente, su una nota del 25 gennaio 2002 del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del territorio.
11. Il 27 giugno 2002 la Commissione, non convinta da tale argomentazione, ha inviato alla Repubblica italiana un parere motivato, concedendole un termine di due mesi dalla notifica per conformarvisi.
12. Non avendo ottenuto risposta al detto parere, la Commissione ha proposto alla Corte il ricorso oggetto della presente causa.
Sul ricorso
Argomenti delle parti
13. La Commissione afferma, come già aveva avuto modo di esporre nella causa che ha dato origine all’ordinanza della Corte 29 maggio 2001, causa C-311/99, Caterino (non pubblicata nella Raccolta), che la nozione di impresa che provvede "a titolo professionale" alla raccolta o al trasporto di rifiuti, di cui all’art. 12 della direttiva, non è limitata alle imprese che esercitano tali attività per conto di terzi. Questa nozione ricomprenderebbe anche le imprese che svolgono le dette attività in proprio qualora tale trasporto o tale raccolta costituisca, insieme ai loro altri compiti, una delle attività ordinarie da cui esse traggono un reddito o un altro vantaggio economico. Tale interpretazione sarebbe in linea con gli obiettivi di protezione dell’ambiente perseguiti dalla direttiva, con il dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 91/156, con l’art. 8 della direttiva, che si applica ad ogni "detentore di rifiuti", e sarebbe stata confermata dalla Corte, incidenter tantum, al punto 25 della citata ordinanza Caterino.
14. Orbene, da una parte, utilizzando, per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, l’espressione "prodotti da terzi" invece dell’espressione "a titolo professionale" di cui all’art. 12 della direttiva, l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo escluderebbe dall’obbligo dell’iscrizione, in violazione della direttiva, le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti per conto proprio nell’esercizio della loro specifica attività professionale. Queste due espressioni si riferirebbero necessariamente a nozioni diverse e non potrebbero coincidere.
15. D’altra parte, l’art. 12 della direttiva disporrebbe che tutte le imprese che svolgono, a titolo professionale, attività di raccolta o di trasporto di rifiuti, a prescindere dalla quantità e dalla pericolosità di tali rifiuti, devono essere iscritte presso le competenti autorità, qualora non siano soggette ad autorizzazione. L’art. 30, comma 4, del decreto legislativo violerebbe quindi la direttiva, introducendo una deroga a tale obbligo a favore delle imprese che trasportano meno di 30 litri o di 30 chilogrammi di rifiuti al giorno.
16. Nel controricorso, il governo italiano sostiene che nessuna norma comunitaria prescrive che la raccolta ed il trasporto di rifiuti avvengano per mezzo di operatori che siano terzi rispetto ai produttori dei rifiuti. Al fine di conseguire gli obiettivi della direttiva, consistenti nella prevenzione e nella gestione integrata dei rifiuti, l’essenziale sarebbe garantire un controllo del ciclo dei rifiuti. La normativa comunitaria stabilirebbe la responsabilità del produttore di rifiuti sino al momento in cui egli se ne disfa in vista del loro riutilizzo, recupero o smaltimento. L’art. 12 della direttiva riguarderebbe quindi il controllo dei rifiuti allorché essi escono dall’ambito di responsabilità del produttore.
17. Il produttore di rifiuti che trasporti direttamente i rifiuti al suo stabilimento di recupero o di smaltimento si "disfarebbe" di essi solo al momento della consegna a tale stabilimento. Pertanto, egli non dovrebbe affatto iscriversi all’Albo, l’obbligo d’iscrizione dovendosi applicare solamente ad imprese che svolgono attività di trasporto o di raccolta di rifiuti a titolo professionale, ossia come "attività abituale".
18. L’art. 30, comma 4, del decreto legislativo non pregiudicherebbe quindi le finalità della direttiva.
Giudizio della Corte
19. Le disposizioni della direttiva devono essere interpretate alla luce della sua finalità – che, ai sensi del terzo ‘considerando’, è la tutela della salute umana e dell’ambiente contro gli effetti nocivi della raccolta, del trasporto, del trattamento, dell’ammasso e del deposito dei rifiuti – nonché alla luce dell’art. 174, n. 2, CE, secondo il quale la politica della Comunità in materia ambientale mira a un elevato livello di tutela ed è fondata, in particolare, sui principi della precauzione e dell’azione preventiva (v. in tal senso, in particolare, sentenza 18 aprile 2002, causa C-9/00, Palin Granit e Vehmassalon kansanterveystyön kuntayhtymän hallitus, Racc. pag. I-3533, punto 23).
20. Nella sua versione iniziale la direttiva prevedeva, all’art. 10, che le imprese che provvedevano al trasporto di rifiuti fossero soggette a una semplice "vigilanza" da parte dell’autorità competente, a prescindere dal fatto che tale trasporto fosse effettuato per proprio conto o per conto di terzi. Tale disposizione faceva eco al settimo ‘considerando’ della stessa direttiva, ai sensi del quale, "per assicurare la protezione dell’ambiente, occorre prevedere (…) la sorveglianza delle imprese che smaltiscono i propri rifiuti e di quelle che raccolgono i rifiuti altrui (…)".
21. La direttiva 91/156 ha avuto, segnatamente, lo scopo di rafforzare il controllo da parte delle autorità. In tal senso, al dodicesimo ‘considerando’ essa enuncia che, "per assicurare il controllo continuo dei rifiuti, dalla produzione allo smaltimento definitivo, occorre anche sottoporre ad autorizzazione o iscrizione e ad un adeguato controllo altre imprese che si occupano di rifiuti, come gli operatori intermedi addetti alla raccolta, al trasporto e alla mediazione". A tal fine, nuove disposizioni sono state introdotte all’art. 12 della direttiva. In particolare tali disposizioni stabiliscono, da un lato, che le imprese che provvedono al trasporto di rifiuti, qualora non siano soggette ad autorizzazione, devono essere iscritte e, d’altro lato, che le imprese destinatarie di tale obbligo sono quelle che provvedono al trasporto "a titolo professionale". La direttiva 91/156 ha così sostituito l’obbligo d’iscrizione alla semplice "vigilanza", che non compare più in quanto tale nella direttiva.
22. Considerato che la direttiva 91/156 ha inteso garantire un livello più elevato di controllo, da parte delle autorità, sulle attività di trasporto di rifiuti rispetto a quello risultante dalla direttiva nella sua versione iniziale, sarebbe in contrasto con tale finalità interpretare la nozione di "impresa che provvede al trasporto di rifiuti a titolo professionale", di cui all’art. 12 della direttiva, in modo da escluderne le imprese che provvedono, nell’ambito della loro attività professionale, al trasporto di rifiuti per conto proprio. Ove fosse accolta un’interpretazione del genere, tali imprese sarebbero sottratte a qualunque controllo nelle loro attività di trasporto di rifiuti.
23. La Corte ha peraltro già avuto modo di dichiarare che la nozione di trasporto di rifiuti a titolo professionale contenuta nell’art. 12 si riferisce non solo a coloro che trasportano, nell’esercizio della loro attività professionale di trasportatori, rifiuti prodotti da terzi, ma anche a coloro che, pur non esercitando la professione di trasportatori, nondimeno trasportino nell’ambito della loro attività professionale rifiuti da essi stessi prodotti (ordinanza Caterino, citata, punto 25).
24. Contrariamente a quanto sostiene il governo italiano, la finalità di vigilanza sul ciclo dei rifiuti, perseguita dalla direttiva, implica il controllo continuo dei rifiuti fin dal momento in cui sono stati prodotti e, in particolare, come dispone l’art. 12 della direttiva, il controllo delle condizioni in cui sono raccolti e trasportati. Se, in taluni casi, è vero che il produttore dei rifiuti può provvedere egli stesso alla loro raccolta o al loro trasporto e disfarsene effettivamente soltanto alla fine dell’operazione di raccolta o trasporto, tale circostanza è irrilevante ai fini della qualifica come rifiuti delle sostanze o degli oggetti raccolti o trasportati nonché, di conseguenza, ai fini dell’obbligo d’iscrizione gravante sul produttore in ragione di un’operazione del genere.
25. L’art. 12 della direttiva non ricomprende, tuttavia, tutte le imprese che, nell’ambito della loro attività professionale, trasportino i rifiuti da esse prodotti.
26. Anzitutto, la locuzione "a titolo professionale", impiegata in tale articolo, non è sinonimo delle espressioni "nell’ambito delle loro attività professionali" o "nello svolgimento delle loro attività professionali", alle quali probabilmente il legislatore comunitario avrebbe fatto ricorso ove avesse inteso riferirsi a tutte le imprese che, nell’ambito della loro attività professionale, trasportino i rifiuti da esse prodotti.
27. Risulta, poi, dal dodicesimo ‘considerando’ della direttiva 91/156 che i nuovi obblighi di autorizzazione e d’iscrizione previsti da tale direttiva si applicano alle "imprese che si occupano di rifiuti, come gli operatori intermedi addetti alla raccolta, al trasporto e alla mediazione". L’uso del verbo "occuparsi" nonché l’elenco indicativo di professioni specializzate nel settore dei rifiuti indicano che l’art. 12 della direttiva si applica alle imprese che svolgono a titolo abituale la raccolta o il trasporto di rifiuti.
28. Infine, la previsione che il trasporto sia effettuato "a titolo professionale" significa che l’attività di trasporto di rifiuti, sebbene l’art. 12 non disponga che essa deve costituire l’attività esclusiva, e neppure principale, delle imprese di cui trattasi, deve rappresentare un’attività ordinaria e regolare di tali imprese.
29. Dalle considerazioni che precedono risulta che l’art. 12 della direttiva assoggetta a un obbligo d’iscrizione gli stabilimenti o le imprese che, nell’ambito delle loro attività, provvedono in via ordinaria e regolare al trasporto di rifiuti, a prescindere dal fatto che tali rifiuti siano prodotti da terzi o da esse stesse. Non risulta, peraltro, da alcuna disposizione della direttiva che tale obbligo ammetta deroghe fondate sulla natura o sulla quantità dei rifiuti.
30. Orbene, l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo fissa obblighi d’iscrizione che variano a seconda della pericolosità o meno dei rifiuti raccolti o trasportati.
31. Per quanto riguarda i rifiuti non pericolosi, tale norma impone un obbligo d’iscrizione all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti soltanto alle imprese dedite ad attività di raccolta e trasporto di rifiuti prodotti da terzi, con ciò escludendo le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti propri.
32. Vero è che, per quanto riguarda i rifiuti pericolosi, l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo dispone che sono soggette a tale obbligo d’iscrizione tutte le imprese che raccolgono e trasportano rifiuti del genere. Questa norma non comporta alcuna restrizione in ordine al carattere professionale di tali attività di raccolta e di trasporto ed ha, pertanto, sotto questo profilo, un ambito di applicazione più ampio di quello dell’art. 12 della direttiva.
33. Tuttavia, la detta norma dispensa dall’obbligo d’iscrizione ivi istituito "i trasporti di rifiuti pericolosi che non eccedano la quantità di 30 chilogrammi al giorno o di 30 litri al giorno effettuati dal produttore degli stessi rifiuti", così configurando deroghe non previste da alcuna disposizione della direttiva. Il governo italiano non ha peraltro spiegato quali siano le considerazioni sottese alla fissazione di tale quantità minima.
34. Discende da quanto precede che l’art. 30, comma 4, del decreto legislativo contravviene al disposto dell’art. 12 della direttiva. Ciò considerato, il ricorso della Commissione va considerato fondato.
35. Occorre pertanto dichiarare che la Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in forza dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo:
– di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare senza obbligo di essere iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti, e
– di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano i 30 chilogrammi e i 30 litri al giorno, senza obbligo di essere iscritte al medesimo Albo,
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 12 della direttiva.
Sulle spese
36. Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Commissione ha concluso per la condanna della Repubblica italiana, quest’ultima, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) La Repubblica italiana, permettendo alle imprese, in forza dell’art. 30, comma 4, del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22, che ha trasposto le direttive 91/156/CEE, relativa ai rifiuti, 91/689/CEE, relativa ai rifiuti pericolosi, e 94/62/CE, sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio, come modificato dall’art. 1, comma 19, della legge 9 dicembre 1998, n. 426:
– di esercitare la raccolta e il trasporto dei propri rifiuti non pericolosi come attività ordinaria e regolare senza obbligo di essere iscritte all’Albo nazionale delle imprese esercenti servizi di smaltimento rifiuti, e
– di trasportare i propri rifiuti pericolosi in quantità che non eccedano i 30 chilogrammi e i 30 litri al giorno, senza obbligo di essere iscritte al medesimo Albo,
è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti ai sensi dell’art. 12 della direttiva del Consiglio 15 luglio 1975, 75/442/CEE, relativa ai rifiuti, come modificata dalla direttiva del Consiglio 18 marzo 1991, 91/156/CEE.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.

Firme


Lunedì, 13 Giugno 2005
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