Inaspettata
la pronuncia del Tar Lazio 1 agosto 2005 n. 6068: il Collegio amministrativo
annulla la circolare emanata dal Ministero della Salute in data 17
dicembre 2004 recante “Indicazioni interpretative e attuative
dei divieti conseguenti all’entrata in vigore dell’articolo 51 della
legge 16 gennaio 2003, n. 3, sulla tutela della salute dei non fumatori”.
A scanso di equivoci, il Tar adito, preliminarmente, precisa come
l’oggetto della controversia non sia il divieto di fumo, “inteso
quale limite posto ai privati a tutela del diritto alla salute, bene
primario che assurge a diritto fondamentale della persona, ed impone
piena ed esaustiva tutela (Corte cost., 20 dicembre 1996, n. 399)”,
ma solamente “gli "obblighi positivi" (di ammonimento
e di segnalazione a pubblico ufficiale) che gli atti impugnati prevedono
in capo ai conduttori di locali privati aperti al pubblico.
Non ci contesta, quindi, il divieto di fumo (quale limite negativo),
ma l’obbligo positivo imposto ai conduttori dei locali privati
aperti al pubblico.
La circolare impugnata, al riguardo, prevedeva espressamente, tra
l’altro, che sui soggetti responsabili della struttura o sui
loro delegati ricadessero gli obblighi di:1) richiamare formalmente
i trasgressori all’osservanza del divieto di fumare;
2) segnalare, in caso di inottemperanza al richiamo, il comportamento
del o dei trasgressori, ai pubblici ufficiali e agenti ai quali competono
la contestazione della violazione del divieto e la conseguente redazione
del verbale di contravvenzione (vedi su Silpol.it il modello in .pdf);
3) esporre cartelli, come indicato nell’accordo stipulato in sede
di Conferenza Stato-regioni nella seduta del 16 dicembre 2004.
Tanto premesso, con il ricorso introduttivo, viene dedotta la violazione
del principio di legalità, e, “più pregnantemente,
della riserva di legge contenuta negli artt. 23, 25 e 41 della Costituzione,
nella considerazione che i doveri di vigilanza, di ammonizione e di
segnalazione agli agenti di polizia, prescritti dagli atti impugnati
ai conduttori dei locali privati (od ai collaboratori da essi formalmente
delegati), sono privi di base legislativa”.
A tal proposito, il Tar Lazio riconosce come venga ad essere imposta
una specifica prestazione personale che non ha alcun fondamento legislativo:
“appare dunque evidente in primo luogo la violazione della riserva
relativa di legge contenuta nell’art. 23 della Costituzione, alla
stregua del quale "nessuna prestazione personale o patrimoniale
può essere imposta se non in base alla legge".
Ne deriva, ad avviso del collegio giudicante, che occorreva una previsione
legislativa per imporre i descritti doveri di vigilanza a fini pubblici
nei confronti di soggetti che esercitano la propria libertà
di iniziativa economica privata nell’ambito di locali aperti al pubblico,
e che vengono, per effetto delle contestate prescrizioni, “ad
essere in qualche misura trasformati in incaricati di una pubblica
funzione, o, quanto meno, di un pubblico servizio; anche sotto tale
profilo appare dunque del tutto inidoneo il ricorso, nel caso di specie,
agli impugnati atti amministrativi, che vengono a svolgere non già
una funzione integrativa della disciplina sul divieto di fumo, ma,
in violazione della norma costituzionale attributiva della competenza
normativa, a regolamentare ex novo i doveri dei gestori privati, al
cospetto di un avventore (sia questo un utente, un collaboratore,
ovvero un fornitore), che trasgredisca all’osservanza del divieto”.
La materia de qua, pertanto, non poteva essere trasferita dalla sede
legislativa a quella amministrativa in assenza di uno specifico provvedimento
parlamentare in ottemperanza agli artt. 23 e 41 della Costituzione.
Peraltro, il Tar Lazio rileva il fondamento legislativo solamente
dell’obbligo di esporre i cartelli riproducenti il divieto di fumo,
e non anche degli ulteriori "obblighi positivi" illegittimamente
previsti dagli atti oggetto di gravame (in specie al punto n. 4 dell’Accordo,
ed ai punti nn. 4 - 5 della circolare).
In conclusione, dall’accoglimento del ricorso consegue l’annullamento
degli atti impugnati, “nella parte in cui impongono ai soggetti
responsabili di locali privati aperti al pubblico, o loro delegati,
l’obbligo di richiamare formalmente i trasgressori all’osservanza
del divieto di fumare, e di segnalare, in caso di inottemperanza al
richiamo, il comportamento dei trasgressori ai pubblici ufficiali
competenti a contestare la violazione e ad elevare il conseguente
verbale di contravvenzione”.
(Altalex, 5 agosto 2005. Nota di Giuseppe Buffone)
Tribunale
Amministrativo Regionale del Lazio
Sezione
III ter
Sentenza
1° agosto 2005, n. 6068
FATTO
Con atto
notificato in data 11 febbraio 2005 e depositato il successivo 24
febbraio il ricorrente, preposto alla società gestrice del
bar "Lo Scaletto" nei pressi del porto di Savona, premette
di essere stato sanzionato, in data 14 gennaio 2005, dalla Polizia
Municipale di Savona, quale coobbligato solidale, per la violazione
dell’art. 51, V comma, della legge n. 3/2003, al pagamento di euro
420,00 per avere omesso di "far rispettare la norma di cui sopra",
relativa al divieto di fumare in tutti i locali privati aperti al
pubblico.
Il suddetto art. 51 ha stabilito un generale divieto di fumare in
tutti i locali chiusi, salvo che si tratti di locali "privati
non aperti ad utenti o al pubblico", ovvero "riservati ai
fumatori e come tali contrassegnati", prevedendo un apparato
sanzionatorio.
In attuazione del settimo comma dello stesso art. 51 è stato
adottato, in sede di Conferenza Permanente per i rapporti tra lo Stato,
le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, un accordo
per definire "le procedure per l’accertamento delle infrazioni,
la relativa modulistica per il rilievo delle sanzioni, nonché
l’individuazione dei soggetti legittimati ad elevare i relativi processi
verbali, di quelli competenti a ricevere il rapporto sulle infrazioni
accertate ai sensi dell’art. 17 della legge 24 novembre 1981, n. 689,
e di quelli deputati a irrogare le relative sanzioni"; tale accordo
prevede l’obbligo dei conduttori dei predetti locali, o loro delegati,
ad operare una generale vigilanza ed a segnalare la trasgressione
ai soggetti pubblici indicati nello stesso accordo.
In particolare, sono enucleati obblighi "positivi" di ammonimento
(a non fumare) e di segnalazione a pubblico ufficiale, oltre che obblighi
strumentali (ad esempio, iscrizione dei nomi dei responsabili sul
cartello contenente il divieto di fumare) in capo a soggetti privati
(i conduttori di locali privati aperti al pubblico) che esercitano
una libertà costituzionalmente tutelata (la libertà
di iniziativa economica privata, di cui all’art. 41 della Costituzione).
L’illegittimità di tali obblighi, ed in particolare di quelli
prescritti dai punti nn. 4, 2.5 e 3 dell’Accordo impugnato, diviene
ancora più manifesta e conclamata nell’interpretazione che
degli stessi viene fornita dalla circolare emanata dal Ministero della
Salute in data 17 dicembre 2004, pure oggetto di gravame, la quale
stabilisce che il richiamo al trasgressore deve essere "formale".
Deduce a fondamento del ricorso i seguenti motivi di diritto:
1) Illegittimità degli atti impugnati per violazione del principio
di legalità (artt. 23, 25 e 41 Cost.; art. 51, VII comma, della
legge n. 3/2003) e per falsa applicazione delle disposizioni citate.
Il punto 4 dell’Accordo impugnato prevede che i conduttori dei locali
od i loro collaboratori formalmente delegati, cui spetta la vigilanza
sul rispetto del divieto di fumo, "richiamano i trasgressori
all’osservanza del divieto e curano che le infrazioni siano immediatamente
segnalate ai soggetti pubblici incaricati a norma dei punti 2.5 e
3".
Analoghe disposizioni sono formulate dalla circolare egualmente impugnata.
In sintesi, vengono addossati ai conduttori di locali privati tre
obblighi distinti, anche se coordinati: a) dovere di vigilanza generale
sul rispetto del divieto di fumo all’interno del locale privato da
essi gestito; b) dovere di richiamare i trasgressori all’osservanza
del divieto attraverso interventi attivi e formali di dissuasione
e di ammonizione; c) obbligo di curare che le eventuali infrazioni
siano immediatamente segnalate agli agenti o ai funzionari di polizia,
ovvero ai soggetti pubblici incaricati di accertare e di contestare
la violazione di legge, oltre che di applicare la relativa sanzione.
Viene dunque imposto un preciso dovere di vigilanza a fini pubblici
a soggetti privati, del tutto sfornito di base legale, e che dunque
è illegittimo anzitutto per violazione del principio di legalità.
Il predetto "dovere di vigilanza" rileva come "prestazione
personale" ai sensi dell’art. 23 della Costituzione, il quale
enuclea una riserva relativa di legge.
Ad analoga conclusione si perviene nella prospettiva dei limiti imposti
alla libertà di iniziativa economica privata, atteso che anche
questi sono apponibili soltanto nel rispetto della riserva relativa
di legge prevista dall’art. 41 della Costituzione.
Esiti ancora più rigorosi derivano dalla riconducibilità
anche delle "pene amministrative" all’art. 25 della Costituzione,
che enuclea una riserva di legge assoluta.
L’unica disposizione di legge astrattamente invocabile è quella
dell’art. 51, V e VII comma, della legge n. 3/2003; il comma VII rinvia
ad un accordo della Conferenza Stato - Regioni la specificazione delle
operazioni relative all’accertamento ed alla contestazione delle infrazioni
al divieto di fumo; in tale norma non si fa alcun riferimento al predetto
dovere di vigilanza in capo agli esercenti privati, concernendo la
stessa solamente le attività (di accertamento delle infrazioni
e relativa modulistica) che, in materia di infrazioni, spettano a
soggetti pubblici (agenti ed ufficiali di polizia).
2) Illegittimità degli atti impugnati per violazione del principio
di legalità (artt. 23, 25, 41 della Costituzione; art. 51,
V comma, della legge n. 3/2003 e artt. 7 e 21 della legge n. 584/1975),
nonché falsa applicazione delle disposizioni medesime.
Il dovere di vigilanza a fini pubblici, con i correlativi obblighi
imposti ai gestori di locali privati, viene giustificato dalla circolare
invocando come base legale l’art. 51, V comma, della legge n. 3/03,
il quale rinvia all’art. 7 della legge n. 584/1975, che, a sua volta,
rinvia all’art. 2 della medesima legge.
Quest’ultima norma si limita a stabilire che i gestori dei locali
"curano l’osservanza del divieto, esponendo, in posizione visibile,
cartelli riproducenti la norma con l’indicazione della sanzione comminata
ai trasgressori".
L’interpretazione seguita dalla circolare appare palesemente erronea
in quanto desume dall’art. 2 della legge n. 584/1975 (di cui è
dubbia la stessa sopravvivenza dopo l’entrata in vigore della legge
n. 3/2003) elementi precettivi insussistenti.
A ben vedere, degli obblighi positivi imposti ai gestori privati dalla
circolare non v’è traccia in alcuna disposizione di legge;
l’art. 2, III comma, della legge n. 584/1975 costituisce fondamento
legislativo soltanto dell’obbligo di esporre i cartelli riproducenti
il divieto di fumo.
3) Illegittimità del punto n. 4 dell’Accordo e, in parte qua,
della circolare del Ministro della Salute del 17 dicembre 2004, per
eccesso di potere, disparità di trattamento, sproporzionatezza,
contraddittorietà, incoerenza, sviamento del potere, erroneità
dei presupposti, falsa rappresentazione dei fatti, falsa applicazione
di legge).
Gli atti impugnati impongono ai gestori di un locale privato obblighi
positivi ricollegabili ad una posizione di vigilanza o di sorveglianza
a fini pubblici (tutela della salute pubblica).
Peraltro collegare alla posizione di un soggetto privato, considerato
nell’esercizio della sua libertà di iniziativa economica privata,
e perciò nel suo rapporto paritario (contrattuale) con gli
utenti e gli altri soggetti privati con i quali entra in relazione
(collaboratori, fornitori, etc.), una posizione, come quella di vigilanza
a fini pubblici, che comporta un rapporto di autorità e di
sovraordinazione (asimmetrico), evidenzia la arbitrarietà e
contraddittorietà degli atti impugnati; ed infatti il rapporto
paritario tra gestore e clienti non tollera, se non a pena di contraddizione
ed irrazionalità, che sia innestato su di esso una posizione
di autorità di un soggetto su di un altro.
L’irrazionalità dell’imposizione a privati degli obblighi in
questione evidenzia poi anche la contraddittorietà tra le finalità
pubbliche dei doveri conferiti ai gestori privati e la totale mancanza
in capo agli stessi soggetti dei corrispondenti poteri pubblici.
Va inoltre rilevato come, per effetto degli atti gravati, si determina
la surrettizia trasfigurazione giuridica di un soggetto privato (gestore)
in una figura pubblica, ovvero in un incaricato di pubblica funzione
o di pubblico servizio; il che è di per sé sintomo di
sviamento di potere.
4) Prospettazione, in via subordinata, della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 51 della legge n. 3/2003 e dell’art. 7 della
legge n. 584/1975, come sostituito dall’art. 52, XX comma, della legge
n. 448/2001, per violazione degli artt. 2, 3, 23, 25, 41 e 43 della
Costituzione.
Ove si assuma che gli atti amministrativi impugnati, da cui derivano
gli obblighi dei gestori privati di vigilanza e segnalazione qui contestati,
rappresentino una coerente applicazione dell’art. 51 della legge n.
3/2003 e delle altre norme nello stesso richiamate, deve allora essere
prospettata, per la sua rilevanza, la q.l.c. delle stesse disposizioni,
in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 25, 41 e 43 della Costituzione.
Con atto ritualmente notificato è intervenuta ad adiuvandum
la FIPE - Federazione Italiana Pubblici Esercizi, rassegnando le medesime
conclusioni del ricorrente.
Si sono costituite in giudizio le Amministrazioni intimate eccependo
l’inammissibilità del ricorso per carenza di legittimazione
attiva e di interesse del deducente, anche in considerazione della
natura degli atti impugnati, nonché per difetto di giurisdizione
dell’adito giudice amministrativo, e comunque la sua infondatezza
nel merito.
All’udienza del 7 luglio 2005 la causa è stata trattenuta in
decisione.
DIRITTO
1. -
Vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di inammissibilità
del ricorso svolte dalle Amministrazioni resistenti.
Deve essere anzitutto disattesa l’eccezione di carenza di legittimazione
attiva, desumendosi dalle allegazioni di parte ricorrente e dal verbale
di accertamento della Polizia Municipale di Savona che il sig. Massimiliano
Marzano è socio della società che gestisce il bar "Lo
Scaletto", e risulta coobbligato in via solidale con l’altro
socio, sig. Fabrizio Grossi, al pagamento della sanzione amministrativa
irrogata per la violazione della normativa sul divieto di fumo.
In tale veste è peraltro anche titolare di una posizione di
interesse qualificato ad impugnare gli atti che, in pretesa attuazione
dell’art. 51 della legge 16 gennaio 2003, n. 3, hanno disciplinato
il contenuto degli obblighi dei soggetti cui spetta la vigilanza sul
rispetto del divieto, la cui inosservanza schiude la strada all’irrogazione
delle sanzioni amministrative.
Non può infatti negarsi la configurabilità in capo ai
gestori di locali privati aperti al pubblico (ristoranti, bar, teatri,
cinematografi) di una situazione di interesse legittimo a fare verificare
la legittimità di una disciplina amministrativa direttamente
incidente sulla propria attività economica.
1.1.- Egualmente infondata è l’eccezione di inammissibilità
dell’impugnativa avverso la circolare del Ministero della Salute del
17 dicembre 2004.
Ed invero, nel caso di specie, non si è in presenza di una
mera circolare interpretativa, che è atto interno all’Amministrazione,
finalizzato essenzialmente ad indirizzare uniformemente l’azione dei
vari uffici od organi, contenendo la stessa, al contrario, anche "indicazioni
attuative dei divieti conseguenti all’entrata in vigore dell’art.
51 della legge 16 gennaio 2003, n. 3 ...".
Né rileva la circostanza che gli obblighi imposti ai soggetti
responsabili della struttura od ai loro delegati siano per la gran
parte previsti dall’accordo del 16 dicembre 2004 intervenuto in sede
di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e
le province autonome di Trento e Bolzano, od ancora della precedente
direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri in data 14 dicembre
1995, in quanto ciò non esclude che, dal punto di vista contenutistico,
la circolare, per ragioni di opportunità e chiarezza, riproduca
vincoli nei confronti di soggetti terzi, e cioè estranei all’Amministrazione,
e dunque presenti caratteri di lesività, che la rendono autonomamente
impugnabile.
1.2. - Allo stesso modo non sembra meritevole di positiva valutazione
l’eccezione di inammissibilità dell’impugnativa del (predetto)
accordo del 16 dicembre 2004, motivata con riguardo alla natura non
amministrativa, ma politica, di tale atto, intercorrente tra soggetti
aventi rilevanza costituzionale.
E’ opportuno al riguardo sottolineare come il modulo consensuale nei
rapporti tra Stato e regioni è espressione di quel principio
di leale collaborazione che la giurisprudenza costituzionale ha elaborato
come strumento da utilizzare nel caso in cui si verifichino interferenze
sia per la competenza legislativa, che per quella amministrativa.
Il d.lgs. 28 agosto 1997, n. 281, rafforzando i compiti della Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento e Bolzano, ha recepito il modulo patrizio, distinguendo
tra intese (art. 3) ed accordi (art. 4).
Questi ultimi, per quanto qui rileva, sembrano assumere collocazione
prevalente nel campo dell’attività amministrativa, come si
desume anche dalla littera legis, ove si fa riferimento ad accordi
conclusi in sede di Conferenza Stato - regioni, "nel perseguimento
di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia
dell’azione amministrativa", "al fine di coordinare l’esercizio
delle rispettive competenze e svolgere attività di interesse
comune".
La "dimensione amministrativa" che caratterizza tali accordi
induce ad escludere, già sul piano oggettivo, la natura di
atto politico.
Va aggiunto ancora che la Conferenza permanente per i rapporti tra
lo Stato, le regioni e le province autonome non è organo dell’Esecutivo,
e non appartiene né all’apparato statale, né a quello
delle regioni, trattandosi di un’istituzione che opera nell’ambito
della comunità nazionale, quale strumento per l’attuazione
della cooperazione (in termini Corte cost., 31 marzo 1994, n. 116).
Anche il profilo soggettivo depone dunque nel senso di escludere la
natura di atto politico dell’accordo, in conformità della giurisprudenza
formatasi sull’art. 31 del t.u.c.s. (r.d. 26 giugno 1924, n. 1054),
ritenuto ipotesi eccezionale di sottrazione al sindacato giurisdizionale
di atti soggettivamente e formalmente amministrativi, nel presupposto
che costituiscano espressione della fondamentale funzione di direzione
ed indirizzo politico del Paese.
In particolare, la giurisprudenza amministrativa ritiene che, per
integrare la nozione legislativa di atto politico, debbano concorrere
due requisiti, l’uno soggettivo e l’altro oggettivo: da un lato che
si tratti di atto o provvedimento emanato dal Governo, dall’altro
che si tratti di atto o provvedimento emanato nell’esercizio di potere
politico, anziché di attività meramente amministrativa
(Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 1996, n. 217).
Nessuno di tali due requisiti dell’atto politico sembra caratterizzare
l’accordo in tale sede gravato.
Si intende peraltro che ove anche, per mera ipotesi, voglia sostenersi
la natura di atto politico dell’accordo in questione, risulterebbe
comunque utilmente impugnata in questa sede la circolare, che è,
per quanto qui rileva, riproduttiva e specificativa del contenuto
del primo.
2. - Può dunque procedersi all’esame del merito del ricorso.
Non prima, peraltro, di avere chiarito come oggetto del medesimo non
sia il divieto di fumo, inteso quale limite posto ai privati a tutela
del diritto alla salute, bene primario che assurge a diritto fondamentale
della persona, ed impone piena ed esaustiva tutela (Corte cost., 20
dicembre 1996, n. 399), ma solamente gli "obblighi positivi"
(di ammonimento e di segnalazione a pubblico ufficiale) che gli atti
impugnati prevedono in capo ai conduttori di locali privati aperti
al pubblico.
Ciò precisato, giova ricordare che con il ricorso, le cui censure
possono essere esaminate congiuntamente, in quanto intimamente connesse,
scansione articolata di una medesima prospettazione giuridica, viene
dedotta la violazione del principio di legalità, e, più
pregnantemente, della riserva di legge contenuta negli artt. 23, 25
e 41 della Costituzione, nella considerazione che i doveri di vigilanza,
di ammonizione e di segnalazione agli agenti di polizia, prescritti
dagli atti impugnati ai conduttori dei locali privati (od ai collaboratori
da essi formalmente delegati), sono privi di base legislativa.
Il ricorso è fondato, e meritevole dunque di positiva valutazione.
Per chiarezza espositiva è opportuno ricordare, ancora una
volta, che gli obblighi ricadenti sui soggetti responsabili della
struttura o sui loro delegati sono essenzialmente quelli: a) di richiamare
formalmente i trasgressori all’osservanza del divieto di fumare; b)
di segnalare, in caso di inottemperanza al richiamo, il comportamento
del o dei trasgressori ai pubblici ufficiali od agenti ai quali competono
la contestazione della violazione del divieto e la conseguente redazione
del verbale di contravvenzione.
Viene dunque ad essere imposta una specifica prestazione personale
che non ha peraltro fondamento legislativo.
Ed invero, l’art. 51, VII comma, della legge n. 3/2003 si limta stabilire
che "entro 120 giorni dalla data di pubblicazione della presente
legge nella G.U., con accordo sancito in sede di Conferenza permanente
per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di
Trento e di Bolzano, su proposta del Ministro della Salute, di concerto
con i Ministri della Giustizia e dell’Interno, sono ridefinite le
procedure per l’accertamento delle infrazioni, la relativa modulistica
per il rilievo delle sanzioni nonché l’individuazione dei soggetti
legittimati ad elevare i processi verbali, di quelli competenti a
ricevere il rapporto sulle infrazioni accertate ai sensi dell’art.
17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, e di quelli deputati ad irrogare
le relative sanzioni".
Neppure il quinto comma dell’art. 51, che fa riferimento alle sanzioni
applicabili in caso di infrazioni al divieto di fumo, mediante rinvio
all’art. 7 della legge 11 novembre 1975, n. 584, contiene una disciplina
del contenuto degli obblighi gravanti sui soggetti preposti alla vigilanza.
Infatti l’art. 7 della legge n. 584/1975, al secondo comma, stabilisce
solamente l’importo della sanzione pecuniaria; l’art. 2 della legge
n. 584/1975, cui rimanda l’art. 7 dello stesso testo legislativo,
pur essendo l’unica norma "sostanziale", che cioè
disciplina il contenuto dell’obbligo dei conduttori dei locali, si
limita stabilire che costoro "curano l’osservanza del divieto,
esponendo, in posizione visibile, cartelli riproducenti la norma con
l’indicazione della sanzione comminata ai trasgressori".
Appare dunque evidente in primo luogo la violazione della riserva
relativa di legge contenuta nell’art. 23 della Costituzione, alla
stregua del quale "nessuna prestazione personale o patrimoniale
può essere imposta se non in base alla legge".
Ciò significa che prestazioni personali possono essere imposte
per la soddisfazione di interessi pubblici, ma solamente ope legis,
cui compete di indicare il soggetto pubblico abilitato ad imporre
la prestazione, nonché a fissare i limiti dell’imposizione
(rispettivamente, soggetto ed oggetto della prestazione imposta).
E’, del resto, proprio questo il quid proprium della riserva di legge,
esprimente la necessità che la legge disciplini effettivamente
la materia; la distinzione tra riserva assoluta e relativa si fonda
poi sull’intensità della disciplina legislativa, nel senso
che nella prima ipotesi la fonte primaria deve regolare compiutamente
la materia, mentre nel secondo caso detta la disciplina fondamentale,
rimettendone il dettaglio ad altre fonti del diritto, gerarchicamente
subordinate, anche formalmente amministrative.
In tale modo, la riserva di legge si sovrappone al principio di legalità
sostanziale, imponendo al legislatore l’individuazione dei limiti
contenutistici dell’azione amministrativa (in termini, Corte cost.,
5 febbraio 1986, n. 34).
Ne discende che la riserva (anche relativa) pone uno specifico vincolo
di contenuto a carico della legge, che nel caso di specie non risulta
essere stato rispettato, neppure nel suo limite negativo, volto a
circoscrivere la discrezionalità dell’Amministrazione.
Ciò sia nella prospettiva dell’art. 23 della Costituzione,
sia in quella dell’art. 41, che sancisce la libertà di iniziativa
economica privata, rispetto alla quale limiti sono configurabili solamente
nel rispetto della riserva relativa di legge.
Più precisamente, secondo l’insegnamento della giurisprudenza
costituzionale, l’art. 41 della Costituzione, nell’affermare la libertà
dell’iniziativa economica privata, consente l’apposizione di limiti
al suo esercizio subordinandola ad una duplice condizione, e cioè
richiedendo, sotto l’aspetto sostanziale, che essi corrispondano all’utilità
sociale, e, sotto quello formale, che ne sia effettuata la disciplina
per opera della legge (in termini Corte cost., 6 febbraio 1962, n.
4; 8 febbraio 1962, n. 5).
Ne deriva che occorreva una previsione legislativa per imporre i descritti
doveri di vigilanza a fini pubblici nei confronti di soggetti che
esercitano la propria libertà di iniziativa economica privata
nell’ambito di locali aperti al pubblico, e che vengono, per effetto
delle contestate prescrizioni, ad essere in qualche misura trasformati
in incaricati di una pubblica funzione, o, quanto meno, di un pubblico
servizio; anche sotto tale profilo appare dunque del tutto inidoneo
il ricorso, nel caso di specie, agli impugnati atti amministrativi,
che vengono a svolgere non già una funzione integrativa della
disciplina sul divieto di fumo, ma, in violazione della norma costituzionale
attributiva della competenza normativa, a regolamentare ex novo i
doveri dei gestori privati, al cospetto di un avventore (sia questo
un utente, un collaboratore, ovvero un fornitore), che trasgredisca
all’osservanza del divieto.
La violazione della riserva relativa di legge non descrive peraltro
un’ipotesi di atto adottato in carenza di potere, con conseguente
difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, secondo la prospettazione
dell’Amministrazione resistente.
Ed infatti si è al di fuori dell’ambito nozionale del difetto
assoluto di attribuzione (c.d. carenza in astratto), manifestandosi
piuttosto un cattivo uso del potere amministrativo, nei cui riguardi
il privato vanta una posizione giuridica di interesse legittimo, tutelabile
dinanzi al giudice amministrativo.
Non può inoltre essere condiviso l’assunto motivazionale contenuto
nel punto 5) della circolare del 17 dicembre 2004, secondo cui il
rinvio (indiretto) all’art. 2 della legge n. 584/1975, nell’assetto
prefigurato dalla legge n. 3/2003, preclude un’interpretazione restrittiva,
tale da limitare l’obbligo dei gestori soltanto alla materiale apposizione
del cartello recante il divieto di fumo, in quanto risulterebbe altrimenti
irragionevole l’applicazione delle severe misure sanzionatorie previste
dall’art. 7, II comma, della legge n. 584/1975 (nel testo sostituito
dall’art. 52 della legge 28 dicembre 2001, n. 448).
E’ evidente che in tale modo la circolare viene impropriamente a fornire
un’interpretazione "adeguatrice" della norma che contrasta
peraltro insanabilmente con la littera legis.
Seguendo il canone ermeneutico, sancito dall’art. 12 delle preleggi,
del significato grammaticale delle parole secondo la loro connessione,
anche a prescindere da varie altre questioni concernenti perfino l’ambito
soggettivo della prescrizione, non può sicuramente revocarsi
in dubbio che il contenuto dell’obbligo imposto ai conduttori dei
locali dall’art. 2, III comma, della legge n. 584/1975 sia solamente
quello di esporre, in posizione visibile, cartelli riproducenti il
divieto di fumo, con l’indicazione della sanzione comminata ai trasgressori,
atteso che l’uso del gerundio sta sintatticamente proprio a specificare
il contenuto dell’obbligo enunciato nella proposizione principale.
La norma ora indicata costituisce dunque fondamento legislativo solamente
dell’obbligo di esporre i cartelli riproducenti il divieto di fumo,
e non anche degli ulteriori "obblighi positivi" illegittimamente
previsti dagli atti oggetto di gravame (in specie al punto n. 4 dell’Accordo,
ed ai punti nn. 4 - 5 della circolare).
3. - In conclusione, dall’accoglimento del ricorso consegue l’annullamento
degli atti impugnati, nella parte in cui impongono ai soggetti responsabili
di locali privati aperti al pubblico, o loro delegati, l’obbligo di
richiamare formalmente i trasgressori all’osservanza del divieto di
fumare, e di segnalare, in caso di inottemperanza al richiamo, il
comportamento dei trasgressori ai pubblici ufficiali competenti a
contestare la violazione e ad elevare il conseguente verbale di contravvenzione.
Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione
delle spese di giudizio.
P.Q.M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio - Sezione III Ter,
definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso, e, per l’effetto,
annulla gli atti impugnati, nei sensi di cui alla motivazione.
Compensa tra le parti le spese di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità
amministrativa.