Non
è costituzionalmente illegittima la normativa che disciplina
il processo dinnanzi al Giudice di Pace laddove esclude i riti alternativi
nel procedimento penale, non sussistendo alcuna violazione dell’art.
3 cost.
La Corte Costituzionale, nella fattispecie, precisa che il giudice
di pace, da un lato, può escludere la procedibilità
per la particolare tenuità del fatto, ex art. 34, comma 2,
(se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione
del procedimento) e, dall’altro, può pronunciare l’estinzione
del reato conseguente a condotte riparatorie, ex art. 35, commi 1
e 5, (dopo aver sentito la persona offesa).
Pertanto, le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di
pace “consentono di ritenere che l’esclusione dell’applicabilità
dei riti alternativi sia frutto di una scelta non irragionevole del
legislatore delegato, comunque tale da non determinare una ingiustificata
disparità di trattamento”.
(Altalex, 20 giugno 2005. Nota di Giuseppe Buffone)
Corte
costituzionale
Ordinanza
8 giugno 2005, n. 228
[...]
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468), nonché dell’art. 44 del decreto legislativo
30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma
del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera
c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione
dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in
relazione all’art. 726 del codice penale, promossi, nell’ambito di
diversi procedimenti penali, dal Giudice di pace di Pavia con ordinanza
del 9 maggio 2003, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto con ordinanze
del 30 ottobre 2003 e del 5 febbraio 2004, dal Giudice di pace di
Conegliano con ordinanze del 14 e 21 novembre 2003 e del 13 febbraio
2004, rispettivamente iscritte al n. 554 del registro ordinanze 2003
e ai numeri 19, 324, 668, 669 e 670 del registro ordinanze 2004 e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima
serie speciale, dell’anno 2003 e nn. 8, 17 e 33, prima serie speciale,
dell’anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2005 il Giudice relatore
Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 9 maggio 2003 (r.o. n. 554 del 2003)
il Giudice di pace di Pavia ha sollevato, su eccezione della difesa,
in riferimento agli artt. 3, 76 e 77, primo comma, della Costituzione,
questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto
legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24
novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non consente il ricorso
ai riti alternativi e in particolare all’applicazione della pena su
richiesta nel procedimento davanti al giudice di pace;
che il giudice rimettente rileva che la legge-delega 24 novembre 1999,
n. 468, «nulla dispone circa l’applicabilità dei riti
alternativi nel processo davanti al giudice di pace e che l’esclusione
dei medesimi (e, in particolare, del patteggiamento) [...] non appare
ragionevolmente riconducibile ai principi generali ispiratori della
legge di riforma né chiaramente funzionale allo scopo di massima
semplificazione da questa perseguito»;
che ad avviso del rimettente le motivazioni addotte nella Relazione
al decreto legislativo n. 274 del 2000 a sostegno dell’esclusione
dei riti alternativi «appaiono poco persuasive, se non addirittura
inconferenti, in relazione ai reati di pericolo - tra i quali è
inquadrabile il reato di guida in stato di ebbrezza» oggetto
del giudizio a quo - visto che per detti reati, da un lato, non si
pone l’esigenza di «assicurare un’adeguata tutela delle ragioni
della persona offesa» e, dall’altro, non si può ravvisare
il rischio di «un aumento del contenzioso civile» come
effetto della possibilità di ricorrere al patteggiamento;
che il giudice a quo ritiene che la disposizione censurata violi anche
l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ingiustificata disparità
di trattamento di «situazioni analoghe», in quanto solo
nei procedimenti davanti al tribunale è possibile usufruire
della riduzione di pena collegata al patteggiamento;
che la disparità di trattamento non potrebbe ritenersi «compensata»
dalle peculiarità del processo penale davanti al giudice di
pace, quali la particolare tipologia (e mitezza) delle sanzioni applicabili
e le forme di definizione alternativa del procedimento: da un lato,
infatti, le pene sono sì meno afflittive, ma caratterizzate
dall’effettività, in quanto non è ammessa la sospensione
condizionale; dall’altro, l’esclusione della procedibilità
nei casi di particolare tenuità del fatto è statisticamente
di portata assai marginale e l’estinzione del reato conseguente a
condotte riparatorie non ha un ambito di applicazione generale;
che con ordinanza del 30 ottobre 2003 (r.o. n. 19 del 2004) il Giudice
di pace di Vittorio Veneto ha sollevato, su eccezione della difesa,
in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la medesima questione di legittimità
costituzionale;
che il giudice rimettente rileva che l’esclusione dell’applicazione
della pena su richiesta sembra imposta dalla necessità di assicurare
una adeguata tutela delle ragioni della persona offesa e di assecondare
la funzione conciliativa del giudice di pace, ma tali esigenze non
eliminano la disparità di trattamento derivante dalla diversità
della disciplina processuale rispetto a quella prevista per i reati
di competenza del giudice ordinario;
che la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con il principio
di ragionevolezza, in quanto l’istituto del patteggiamento risulta
ammesso per i reati di maggiore gravità attribuiti alla competenza
del tribunale mentre non lo è per i reati ’minori’ di competenza
del giudice di pace, nonché con l’art. 24 Cost., posto che
«non è possibile sottrarre all’imputato il suo fondamentale
diritto alla difesa»;
che ad avviso del rimettente l’irragionevolezza della disciplina e
la lesione del principio di eguaglianza sono particolarmente evidenti
nei casi in cui reati di competenza del giudice di pace sono giudicati
dal tribunale per connessione e risultano pertanto applicabili il
patteggiamento e gli altri riti alternativi, «con tutti i relativi
benefici per l’imputato sul piano sanzionatorio»;
che con ordinanza del 5 febbraio 2004 (r.o. n. 324 del 2004) il medesimo
Giudice di pace di Vittorio Veneto ha sollevato, su eccezione della
difesa, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., analoga questione
di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo
n. 274 del 2000, riproponendo, quanto all’art. 3 Cost., censure sostanzialmente
corrispondenti a quelle svolte nell’ordinanza n. 19 del registro ordinanze
del 2004;
che il rimettente ritiene che la disposizione in esame violi anche
l’art. 76 Cost. per eccesso di delega in relazione al criterio direttivo
posto dall’art. 17 della legge 24 novembre 1999, n. 468, secondo il
quale «il procedimento penale davanti al giudice di pace è
disciplinato tenendo conto delle norme del Libro VIII del codice di
procedura penale riguardanti il procedimento davanti al tribunale
in composizione monocratica, con le massime semplificazioni rese necessarie
dalla competenza dello stesso giudice», rilevando che nel Libro
VIII è compreso il Titolo III, relativo ai procedimenti speciali,
e che, in particolare, il patteggiamento consente la massima semplificazione
ed economia processuale;
che nei giudizi relativi alle ordinanze iscritte al n. 554 del registro
ordinanze del 2003 e ai numeri 19 e 324 del registro ordinanze del
2004 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo
che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate;
che ad avviso dell’Avvocatura rientrerebbe infatti nella discrezionalità
del legislatore «l’estensione o meno di una particolare disciplina,
per di più speciale, [...] in una determinata area giurisdizionale»;
che, in ogni caso, l’esclusione del patteggiamento sarebbe «immediatamente
desumibile dalla legge-delega», in quanto gli istituti individuati
dall’art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, e segnatamente
il patteggiamento, sono «estranei alla natura» del procedimento
davanti al giudice di pace;
che il rispetto del criterio della massima semplificazione, la vocazione
conciliativa del giudice di pace, la modesta gravità dei fatti
devoluti alla sua cognizione, nonché la natura delle relative
sanzioni, comunque non detentive, hanno appunto indotto il legislatore
a non prevedere riti alternativi «al di fuori dei meccanismi
di improcedibilità per tenuità del fatto, nonché
di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie e all’oblazione»;
che il Giudice di pace di Conegliano, con ordinanze del 14 novembre
2003 (r.o. n. 668 del 2004) e del 21 novembre 2003 (r.o. n. 669 del
2004), ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli
artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale
dell’art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, sulla base di
considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nell’ordinanza
n. 19 del registro ordinanze del 2004;
che, infine, con ordinanza del 13 febbraio 2004 (r.o. n. 670 del 2004)
il Giudice di pace di Conegliano ha sollevato, in riferimento all’art.
3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art.
2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, riproponendo le stesse
argomentazioni svolte nelle ordinanze numeri 668 e 669 del registro
ordinanze del 2004;
che inoltre il giudice a quo, nel prendere in esame il reato di atti
contrari alla pubblica decenza (art. 726 cod. pen.), per cui procede,
rileva che tra tale fattispecie e quella di atti osceni (art. 527
cod. pen.) intercorre un rapporto di genere a specie, in quanto il
delitto di atti osceni «offende più intensamente ed in
modo più grave il pudore sessuale»; ciononostante, l’art.
44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione
dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), che ha depenalizzato
l’ipotesi colposa disciplinata dal capoverso dell’art. 527 cod. pen.,
ha mantenuto la punibilità, a titolo di colpa, per la fattispecie
prevista dall’art. 726 cod. pen.;
che, alla luce di tali considerazioni, il giudice a quo solleva, su
eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione
di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo
n. 507 del 1999 e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge
25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione
dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in
relazione all’art. 726 cod. pen. (Atti contrari alla pubblica decenza),
nella parte in cui non prevedono la depenalizzazione, «sotto
il profilo della colpa», della contravvenzione descritta da
tale norma;
che, in particolare, l’art. 3 Cost. sarebbe violato per irragionevolezza
e per disparità di trattamento, in quanto «se un soggetto
commette atti indecenti (colposi) è punito con sanzione penale,
mentre se commette atti osceni (colposi) va esente da pena»;
che per gli stessi motivi sarebbero violati il principio di colpevolezza
e la finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.).
Considerato che tutti i rimettenti sollevano questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace,
a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella
parte in cui non consente il ricorso ai riti alternativi e, in particolare,
all’applicazione della pena su richiesta delle parti nel procedimento
davanti al giudice di pace;
che deve pertanto essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che le questioni sono sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione
da tutti i rimettenti, in riferimento anche all’art. 24 Cost. nelle
ordinanze numeri 19, 668 e 669 del registro ordinanze del 2004, e
in riferimento altresì agli artt. 76 e 77 Cost. nelle ordinanze
n. 554 del registro ordinanze del 2003 e n. 324 del registro ordinanze
del 2004;
che, quanto alla violazione dell’art. 3 Cost., i rimettenti in sostanza
lamentano l’ingiustificata disparità di trattamento riservata
agli autori dei reati di competenza del giudice di pace, per i quali
soltanto è esclusa la possibilità di accedere al patteggiamento,
nonché l’irragionevolezza di una disciplina che consente l’applicazione
della pena su richiesta in relazione a reati di maggiore gravità,
attribuiti alla competenza del tribunale o della corte d’assise, e
la preclude, invece, per violazioni di minore gravità, di competenza
del giudice di pace;
che la lesione del principio di eguaglianza e l’irragionevolezza della
disciplina sarebbero particolarmente evidenti quando, verificandosi
ipotesi di connessione ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo
n. 274 del 2000, reati di competenza del giudice di pace vengono ad
essere giudicati dal giudice ordinario, con conseguente possibilità
per l’imputato di patteggiare anche con riferimento a tali reati;
che ad avviso del Giudice di pace di Vittorio Veneto e del Giudice
di pace di Conegliano l’impossibilità di fruire del patteggiamento
violerebbe altresì il diritto di difesa dell’imputato;
che, in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., i Giudici di pace di
Pavia e di Vittorio Veneto (r.o. n. 554 del 2003 e n. 324 del 2004)
lamentano che, in assenza di un’espressa esclusione dei riti alternativi
nella legge-delega, la scelta operata dal legislatore delegato non
appare conforme ai principî ispiratori del procedimento davanti
al giudice di pace e, soprattutto, al principio della massima semplificazione,
posto che proprio il ricorso al patteggiamento contribuirebbe ad assicurare
tale obiettivo;
che, quanto alle censure mosse in riferimento all’art. 3 Cost., si
deve tenere presente, da un punto di vista generale, che il procedimento
davanti al giudice di pace presenta caratteri assolutamente peculiari,
di per sé non comparabili con la struttura del procedimento
davanti al tribunale e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni
rispetto al modello ordinario (per analoghe considerazioni, rispetto
a vari istituti non previsti nel procedimento davanti al giudice di
pace, v. da ultimo ordinanze numeri 349 e 201 del 2004, numeri 290
e 231 del 2003);
che il decreto legislativo n. 274 del 2000 contempla forme alternative
di definizione, non previste dal codice di procedura penale, che si
innestano in un procedimento che concerne reati di minore gravità,
con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo, in cui il giudice
deve favorire la conciliazione tra le parti (artt. 2, comma 2, e 29,
commi 4 e 5) e in cui la citazione a giudizio può avvenire
anche su ricorso della persona offesa (art. 21);
che, in particolare, l’istituto del patteggiamento, così come
delineato nel codice di procedura penale, mal si concilierebbe con
il costante coinvolgimento della persona offesa nel procedimento davanti
al giudice di pace, anche con riferimento alle forme alternative di
definizione del procedimento;
che, infatti, il giudice, da un lato, può escludere la procedibilità
per la particolare tenuità del fatto, ex art. 34, comma 2,
solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione
del procedimento e, dall’altro, può pronunciare l’estinzione
del reato conseguente a condotte riparatorie, ex art. 35, commi 1
e 5, solo dopo aver sentito la persona offesa;
che le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace
consentono di ritenere che l’esclusione dell’applicabilità
dei riti alternativi sia frutto di una scelta non irragionevole del
legislatore delegato, comunque tale da non determinare una ingiustificata
disparità di trattamento;
che tali conclusioni non sono inficiate dal dato che in caso di connessione
- peraltro circoscritta dall’art. 6 del decreto legislativo n. 274
del 2000 alla sola ipotesi di concorso formale di reati - è
consentito il ricorso al patteggiamento anche in relazione ai reati
attratti nella competenza del giudice ’superiore’;
che, infatti, le situazioni addotte dai rimettenti a sostegno della
supposta disparità di trattamento sono tra loro affatto diverse
e non possono essere oggetto di comparazione al fine del giudizio
di costituzionalità;
che le considerazioni esposte valgono anche per i profili di illegittimità
riferiti all’art. 24 Cost., posto che le ragioni che giustificano
l’omessa previsione del patteggiamento a loro volta escludono che
sia ravvisabile una violazione del diritto di difesa;
che, quanto alle censure mosse in relazione agli artt. 76 e 77, primo
comma, Cost., per costante giurisprudenza di questa Corte i principî
e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati
sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega,
sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico
tema, che le scelte operate dal legislatore delegato non siano in
contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega (v.,
ex plurimis, ordinanza n. 248 del 2004, nonché sentenze n.
308 del 2002, n. 96 del 2001 e n. 230 del 1991);
che, nella specie, l’art. 17, comma 1, della legge n. 468 del 1999
si limita a raccomandare al legislatore delegato di «tenere
conto», quale modello di riferimento, del procedimento davanti
al tribunale in composizione monocratica, nonché a prevedere
lo svolgimento del giudizio in forma semplificata (lettera l), la
introduzione di forme di definizione del procedimento nei casi di
particolare tenuità del fatto e di occasionalità della
condotta e di ipotesi di estinzione del reato conseguente a condotte
riparatorie o risarcitorie, nonché l’obbligo del giudice di
procedere al tentativo di conciliazione (lettere f, g e h);
che in attuazione di tali principî il legislatore delegato ha
delineato un procedimento già di per sé caratterizzato
da una accentuata semplificazione rispetto al procedimento davanti
al giudice monocratico;
che è proprio la struttura complessiva del procedimento davanti
al giudice di pace, accompagnata da specifiche forme di definizione
alternativa, che consente di escludere che la omessa previsione del
patteggiamento integri una violazione della legge-delega;
che le questioni devono pertanto essere dichiarate manifestamente
infondate in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati
dai rimettenti;
che nell’ordinanza n. 670 del registro ordinanze del 2004 il Giudice
di pace di Conegliano ha anche sollevato questione di legittimità
costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999,
n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio),
e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999,
n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori
e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all’art.
726 del codice penale (Atti contrari alla pubblica decenza), nella
parte in cui non prevedono la depenalizzazione della contravvenzione
descritta da tale norma, limitatamente all’ipotesi di condotta colposa;
che il rimettente lamenta che la disciplina censurata abbia depenalizzato
la forma colposa del più grave delitto di atti osceni, prevista
dall’art. 527, secondo comma, cod. pen., mentre continua a costituire
reato la meno grave ipotesi contravvenzionale, attribuita alla competenza
del giudice di pace, degli atti contrari alla pubblica decenza, punita
anche a titolo di colpa;
che pertanto la disciplina censurata violerebbe l’art. 3 Cost. sotto
il duplice profilo della irragionevolezza e della disparità
di trattamento, nonché l’art. 27 Cost. per contrasto con la
funzione rieducativa della pena;
che il rimettente, pur avendo espressamente enunciato nella parte
motiva la questione di legittimità costituzionale e indicato
i relativi parametri di riferimento, nel dispositivo ha sollevato
questione di legittimità solo in relazione all’art. 2 del decreto
legislativo n. 274 del 2000;
che inoltre il giudice a quo richiede alla Corte un intervento volto
a eliminare la sola ipotesi colposa della contravvenzione prevista
dalla norma incriminatrice, ma non fornisce alcuna indicazione da
cui desumere la natura meramente colposa della fattispecie sottoposta
al suo esame, così omettendo di motivare in ordine alla rilevanza
della questione;
che sotto entrambi i profili la questione va pertanto dichiarata manifestamente
inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87,
e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte
costituzionale.
P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti
i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità
costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000,
n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace,
a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate,
in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77, primo comma, della Costituzione,
dal Giudice di pace di Pavia, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto
e dal Giudice di pace di Conegliano, con le ordinanze in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999,
n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio),
e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999,
n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori
e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all’art.
726 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27
della Costituzione, dal Giudice di pace di Conegliano, con l’ordinanza
in epigrafe.