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Giudice di pace penale: l’esclusione di riti alternativi non viola la Costituzione

Corte Costituzionale , ordinanza 08.06.2005 n° 228
da "Altalex"

Giudice di pace penale: l’esclusione di riti alternativi non viola la Costituzione
Corte Costituzionale , ordinanza 08.06.2005 n° 228
(Giuseppe Buffone)

Non è costituzionalmente illegittima la normativa che disciplina il processo dinnanzi al Giudice di Pace laddove esclude i riti alternativi nel procedimento penale, non sussistendo alcuna violazione dell’art. 3 cost.
La Corte Costituzionale, nella fattispecie, precisa che il giudice di pace, da un lato, può escludere la procedibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 34, comma 2, (se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento) e, dall’altro, può pronunciare l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ex art. 35, commi 1 e 5, (dopo aver sentito la persona offesa).
Pertanto, le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace “consentono di ritenere che l’esclusione dell’applicabilità dei riti alternativi sia frutto di una scelta non irragionevole del legislatore delegato, comunque tale da non determinare una ingiustificata disparità di trattamento”.
(Altalex, 20 giugno 2005. Nota di Giuseppe Buffone)

Corte costituzionale
Ordinanza 8 giugno 2005, n. 228

[...] nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nonché dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 del codice penale, promossi, nell’ambito di diversi procedimenti penali, dal Giudice di pace di Pavia con ordinanza del 9 maggio 2003, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto con ordinanze del 30 ottobre 2003 e del 5 febbraio 2004, dal Giudice di pace di Conegliano con ordinanze del 14 e 21 novembre 2003 e del 13 febbraio 2004, rispettivamente iscritte al n. 554 del registro ordinanze 2003 e ai numeri 19, 324, 668, 669 e 670 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2003 e nn. 8, 17 e 33, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2005 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.
Ritenuto che con ordinanza del 9 maggio 2003 (r.o. n. 554 del 2003) il Giudice di pace di Pavia ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non consente il ricorso ai riti alternativi e in particolare all’applicazione della pena su richiesta nel procedimento davanti al giudice di pace;
che il giudice rimettente rileva che la legge-delega 24 novembre 1999, n. 468, «nulla dispone circa l’applicabilità dei riti alternativi nel processo davanti al giudice di pace e che l’esclusione dei medesimi (e, in particolare, del patteggiamento) [...] non appare ragionevolmente riconducibile ai principi generali ispiratori della legge di riforma né chiaramente funzionale allo scopo di massima semplificazione da questa perseguito»;
che ad avviso del rimettente le motivazioni addotte nella Relazione al decreto legislativo n. 274 del 2000 a sostegno dell’esclusione dei riti alternativi «appaiono poco persuasive, se non addirittura inconferenti, in relazione ai reati di pericolo - tra i quali è inquadrabile il reato di guida in stato di ebbrezza» oggetto del giudizio a quo - visto che per detti reati, da un lato, non si pone l’esigenza di «assicurare un’adeguata tutela delle ragioni della persona offesa» e, dall’altro, non si può ravvisare il rischio di «un aumento del contenzioso civile» come effetto della possibilità di ricorrere al patteggiamento;
che il giudice a quo ritiene che la disposizione censurata violi anche l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento di «situazioni analoghe», in quanto solo nei procedimenti davanti al tribunale è possibile usufruire della riduzione di pena collegata al patteggiamento;
che la disparità di trattamento non potrebbe ritenersi «compensata» dalle peculiarità del processo penale davanti al giudice di pace, quali la particolare tipologia (e mitezza) delle sanzioni applicabili e le forme di definizione alternativa del procedimento: da un lato, infatti, le pene sono sì meno afflittive, ma caratterizzate dall’effettività, in quanto non è ammessa la sospensione condizionale; dall’altro, l’esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto è statisticamente di portata assai marginale e l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie non ha un ambito di applicazione generale;
che con ordinanza del 30 ottobre 2003 (r.o. n. 19 del 2004) il Giudice di pace di Vittorio Veneto ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., la medesima questione di legittimità costituzionale;
che il giudice rimettente rileva che l’esclusione dell’applicazione della pena su richiesta sembra imposta dalla necessità di assicurare una adeguata tutela delle ragioni della persona offesa e di assecondare la funzione conciliativa del giudice di pace, ma tali esigenze non eliminano la disparità di trattamento derivante dalla diversità della disciplina processuale rispetto a quella prevista per i reati di competenza del giudice ordinario;
che la disciplina censurata si porrebbe in contrasto con il principio di ragionevolezza, in quanto l’istituto del patteggiamento risulta ammesso per i reati di maggiore gravità attribuiti alla competenza del tribunale mentre non lo è per i reati ’minori’ di competenza del giudice di pace, nonché con l’art. 24 Cost., posto che «non è possibile sottrarre all’imputato il suo fondamentale diritto alla difesa»;
che ad avviso del rimettente l’irragionevolezza della disciplina e la lesione del principio di eguaglianza sono particolarmente evidenti nei casi in cui reati di competenza del giudice di pace sono giudicati dal tribunale per connessione e risultano pertanto applicabili il patteggiamento e gli altri riti alternativi, «con tutti i relativi benefici per l’imputato sul piano sanzionatorio»;
che con ordinanza del 5 febbraio 2004 (r.o. n. 324 del 2004) il medesimo Giudice di pace di Vittorio Veneto ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 76 Cost., analoga questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, riproponendo, quanto all’art. 3 Cost., censure sostanzialmente corrispondenti a quelle svolte nell’ordinanza n. 19 del registro ordinanze del 2004;
che il rimettente ritiene che la disposizione in esame violi anche l’art. 76 Cost. per eccesso di delega in relazione al criterio direttivo posto dall’art. 17 della legge 24 novembre 1999, n. 468, secondo il quale «il procedimento penale davanti al giudice di pace è disciplinato tenendo conto delle norme del Libro VIII del codice di procedura penale riguardanti il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, con le massime semplificazioni rese necessarie dalla competenza dello stesso giudice», rilevando che nel Libro VIII è compreso il Titolo III, relativo ai procedimenti speciali, e che, in particolare, il patteggiamento consente la massima semplificazione ed economia processuale;
che nei giudizi relativi alle ordinanze iscritte al n. 554 del registro ordinanze del 2003 e ai numeri 19 e 324 del registro ordinanze del 2004 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate inammissibili e comunque infondate;
che ad avviso dell’Avvocatura rientrerebbe infatti nella discrezionalità del legislatore «l’estensione o meno di una particolare disciplina, per di più speciale, [...] in una determinata area giurisdizionale»;
che, in ogni caso, l’esclusione del patteggiamento sarebbe «immediatamente desumibile dalla legge-delega», in quanto gli istituti individuati dall’art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, e segnatamente il patteggiamento, sono «estranei alla natura» del procedimento davanti al giudice di pace;
che il rispetto del criterio della massima semplificazione, la vocazione conciliativa del giudice di pace, la modesta gravità dei fatti devoluti alla sua cognizione, nonché la natura delle relative sanzioni, comunque non detentive, hanno appunto indotto il legislatore a non prevedere riti alternativi «al di fuori dei meccanismi di improcedibilità per tenuità del fatto, nonché di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie e all’oblazione»;
che il Giudice di pace di Conegliano, con ordinanze del 14 novembre 2003 (r.o. n. 668 del 2004) e del 21 novembre 2003 (r.o. n. 669 del 2004), ha sollevato, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, sulla base di considerazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte nell’ordinanza n. 19 del registro ordinanze del 2004;
che, infine, con ordinanza del 13 febbraio 2004 (r.o. n. 670 del 2004) il Giudice di pace di Conegliano ha sollevato, in riferimento all’art. 3 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000, riproponendo le stesse argomentazioni svolte nelle ordinanze numeri 668 e 669 del registro ordinanze del 2004;
che inoltre il giudice a quo, nel prendere in esame il reato di atti contrari alla pubblica decenza (art. 726 cod. pen.), per cui procede, rileva che tra tale fattispecie e quella di atti osceni (art. 527 cod. pen.) intercorre un rapporto di genere a specie, in quanto il delitto di atti osceni «offende più intensamente ed in modo più grave il pudore sessuale»; ciononostante, l’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), che ha depenalizzato l’ipotesi colposa disciplinata dal capoverso dell’art. 527 cod. pen., ha mantenuto la punibilità, a titolo di colpa, per la fattispecie prevista dall’art. 726 cod. pen.;
che, alla luce di tali considerazioni, il giudice a quo solleva, su eccezione della difesa, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo n. 507 del 1999 e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 cod. pen. (Atti contrari alla pubblica decenza), nella parte in cui non prevedono la depenalizzazione, «sotto il profilo della colpa», della contravvenzione descritta da tale norma;
che, in particolare, l’art. 3 Cost. sarebbe violato per irragionevolezza e per disparità di trattamento, in quanto «se un soggetto commette atti indecenti (colposi) è punito con sanzione penale, mentre se commette atti osceni (colposi) va esente da pena»;
che per gli stessi motivi sarebbero violati il principio di colpevolezza e la finalità rieducativa della pena (art. 27 Cost.).
Considerato che tutti i rimettenti sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non consente il ricorso ai riti alternativi e, in particolare, all’applicazione della pena su richiesta delle parti nel procedimento davanti al giudice di pace;
che deve pertanto essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
che le questioni sono sollevate in riferimento all’art. 3 della Costituzione da tutti i rimettenti, in riferimento anche all’art. 24 Cost. nelle ordinanze numeri 19, 668 e 669 del registro ordinanze del 2004, e in riferimento altresì agli artt. 76 e 77 Cost. nelle ordinanze n. 554 del registro ordinanze del 2003 e n. 324 del registro ordinanze del 2004;
che, quanto alla violazione dell’art. 3 Cost., i rimettenti in sostanza lamentano l’ingiustificata disparità di trattamento riservata agli autori dei reati di competenza del giudice di pace, per i quali soltanto è esclusa la possibilità di accedere al patteggiamento, nonché l’irragionevolezza di una disciplina che consente l’applicazione della pena su richiesta in relazione a reati di maggiore gravità, attribuiti alla competenza del tribunale o della corte d’assise, e la preclude, invece, per violazioni di minore gravità, di competenza del giudice di pace;
che la lesione del principio di eguaglianza e l’irragionevolezza della disciplina sarebbero particolarmente evidenti quando, verificandosi ipotesi di connessione ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo n. 274 del 2000, reati di competenza del giudice di pace vengono ad essere giudicati dal giudice ordinario, con conseguente possibilità per l’imputato di patteggiare anche con riferimento a tali reati;
che ad avviso del Giudice di pace di Vittorio Veneto e del Giudice di pace di Conegliano l’impossibilità di fruire del patteggiamento violerebbe altresì il diritto di difesa dell’imputato;
che, in riferimento agli artt. 76 e 77 Cost., i Giudici di pace di Pavia e di Vittorio Veneto (r.o. n. 554 del 2003 e n. 324 del 2004) lamentano che, in assenza di un’espressa esclusione dei riti alternativi nella legge-delega, la scelta operata dal legislatore delegato non appare conforme ai principî ispiratori del procedimento davanti al giudice di pace e, soprattutto, al principio della massima semplificazione, posto che proprio il ricorso al patteggiamento contribuirebbe ad assicurare tale obiettivo;
che, quanto alle censure mosse in riferimento all’art. 3 Cost., si deve tenere presente, da un punto di vista generale, che il procedimento davanti al giudice di pace presenta caratteri assolutamente peculiari, di per sé non comparabili con la struttura del procedimento davanti al tribunale e comunque tali da giustificare sensibili deviazioni rispetto al modello ordinario (per analoghe considerazioni, rispetto a vari istituti non previsti nel procedimento davanti al giudice di pace, v. da ultimo ordinanze numeri 349 e 201 del 2004, numeri 290 e 231 del 2003);
che il decreto legislativo n. 274 del 2000 contempla forme alternative di definizione, non previste dal codice di procedura penale, che si innestano in un procedimento che concerne reati di minore gravità, con un apparato sanzionatorio del tutto autonomo, in cui il giudice deve favorire la conciliazione tra le parti (artt. 2, comma 2, e 29, commi 4 e 5) e in cui la citazione a giudizio può avvenire anche su ricorso della persona offesa (art. 21);
che, in particolare, l’istituto del patteggiamento, così come delineato nel codice di procedura penale, mal si concilierebbe con il costante coinvolgimento della persona offesa nel procedimento davanti al giudice di pace, anche con riferimento alle forme alternative di definizione del procedimento;
che, infatti, il giudice, da un lato, può escludere la procedibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 34, comma 2, solo se non risulta un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento e, dall’altro, può pronunciare l’estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie, ex art. 35, commi 1 e 5, solo dopo aver sentito la persona offesa;
che le caratteristiche del procedimento davanti al giudice di pace consentono di ritenere che l’esclusione dell’applicabilità dei riti alternativi sia frutto di una scelta non irragionevole del legislatore delegato, comunque tale da non determinare una ingiustificata disparità di trattamento;
che tali conclusioni non sono inficiate dal dato che in caso di connessione - peraltro circoscritta dall’art. 6 del decreto legislativo n. 274 del 2000 alla sola ipotesi di concorso formale di reati - è consentito il ricorso al patteggiamento anche in relazione ai reati attratti nella competenza del giudice ’superiore’;
che, infatti, le situazioni addotte dai rimettenti a sostegno della supposta disparità di trattamento sono tra loro affatto diverse e non possono essere oggetto di comparazione al fine del giudizio di costituzionalità;
che le considerazioni esposte valgono anche per i profili di illegittimità riferiti all’art. 24 Cost., posto che le ragioni che giustificano l’omessa previsione del patteggiamento a loro volta escludono che sia ravvisabile una violazione del diritto di difesa;
che, quanto alle censure mosse in relazione agli artt. 76 e 77, primo comma, Cost., per costante giurisprudenza di questa Corte i principî e i criteri direttivi della legge di delegazione devono essere interpretati sia tenendo conto delle finalità ispiratrici della delega, sia verificando, nel silenzio del legislatore delegante sullo specifico tema, che le scelte operate dal legislatore delegato non siano in contrasto con gli indirizzi generali della stessa legge-delega (v., ex plurimis, ordinanza n. 248 del 2004, nonché sentenze n. 308 del 2002, n. 96 del 2001 e n. 230 del 1991);
che, nella specie, l’art. 17, comma 1, della legge n. 468 del 1999 si limita a raccomandare al legislatore delegato di «tenere conto», quale modello di riferimento, del procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, nonché a prevedere lo svolgimento del giudizio in forma semplificata (lettera l), la introduzione di forme di definizione del procedimento nei casi di particolare tenuità del fatto e di occasionalità della condotta e di ipotesi di estinzione del reato conseguente a condotte riparatorie o risarcitorie, nonché l’obbligo del giudice di procedere al tentativo di conciliazione (lettere f, g e h);
che in attuazione di tali principî il legislatore delegato ha delineato un procedimento già di per sé caratterizzato da una accentuata semplificazione rispetto al procedimento davanti al giudice monocratico;
che è proprio la struttura complessiva del procedimento davanti al giudice di pace, accompagnata da specifiche forme di definizione alternativa, che consente di escludere che la omessa previsione del patteggiamento integri una violazione della legge-delega;
che le questioni devono pertanto essere dichiarate manifestamente infondate in relazione a tutti i parametri costituzionali evocati dai rimettenti;
che nell’ordinanza n. 670 del registro ordinanze del 2004 il Giudice di pace di Conegliano ha anche sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 del codice penale (Atti contrari alla pubblica decenza), nella parte in cui non prevedono la depenalizzazione della contravvenzione descritta da tale norma, limitatamente all’ipotesi di condotta colposa;
che il rimettente lamenta che la disciplina censurata abbia depenalizzato la forma colposa del più grave delitto di atti osceni, prevista dall’art. 527, secondo comma, cod. pen., mentre continua a costituire reato la meno grave ipotesi contravvenzionale, attribuita alla competenza del giudice di pace, degli atti contrari alla pubblica decenza, punita anche a titolo di colpa;
che pertanto la disciplina censurata violerebbe l’art. 3 Cost. sotto il duplice profilo della irragionevolezza e della disparità di trattamento, nonché l’art. 27 Cost. per contrasto con la funzione rieducativa della pena;
che il rimettente, pur avendo espressamente enunciato nella parte motiva la questione di legittimità costituzionale e indicato i relativi parametri di riferimento, nel dispositivo ha sollevato questione di legittimità solo in relazione all’art. 2 del decreto legislativo n. 274 del 2000;
che inoltre il giudice a quo richiede alla Corte un intervento volto a eliminare la sola ipotesi colposa della contravvenzione prevista dalla norma incriminatrice, ma non fornisce alcuna indicazione da cui desumere la natura meramente colposa della fattispecie sottoposta al suo esame, così omettendo di motivare in ordine alla rilevanza della questione;
che sotto entrambi i profili la questione va pertanto dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 2 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 76 e 77, primo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Pavia, dal Giudice di pace di Vittorio Veneto e dal Giudice di pace di Conegliano, con le ordinanze in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 44 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio), e degli artt. 1 e 7, comma 1, lettera c), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche del sistema penale e tributario), in relazione all’art. 726 del codice penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, dal Giudice di pace di Conegliano, con l’ordinanza in epigrafe
.



Martedì, 21 Giugno 2005
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