Ritenuto
in fatto e diritto quanto segue:
1) La decisione appellata, emessa in forma semplificata a tenore dell’art.
26, comma quarto, della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, come sostituito
dall’art.9, comma primo, della legge 21 luglio 2000 n.205, ha accolto
il ricorso proposto in primo grado dalla Società attuale appellata
per l’annullamento delle determinazioni nn.36104, 36102, 36103,
36090 e 36091 del 26 febbraio 2003 con le quali è stato negato
il rinnovo delle autorizzazioni per il mantenimento di altrettanti cartelli
pubblicitari bifacciali situati su strade di competenza provinciale
in quanto “allo stato attuale il posizionamento risulta contrastare
con il regolamento provinciale n. 214 del 21 marzo 1990 art.1”
(distanza minima da altri cartelli pubblicitari fissata dal citato regolamento
in 500 metri).
Il giudice di primo grado ha ritenuto, con motivazione invero molto
stringata, che la Provincia di Verona fosse tenuta a rispettare rigorosamente
il limite fissato dall’art. 23, quarto comma, del D Lvo n. 285
del 30 aprile 1992 in raccordo con il secondo comma, lett. b) dell’art.
51 del D.P.R. n. 195 del 16 dicembre 1992, di 100 metri di distanza
da un cartello all’altro non potendo indicare una maggiore distanza
sia pure per motivi di sicurezza della circolazione o ambientali.
Si deve precisare che nella sentenza, si deve ritenere per mero errore
materiale, la distanza prevista dalle nome qui riportate è determinata
in 150 metri, ma questo non rileva ai fini del decidere in quanto la
Provincia appellante ha posto un diverso limite di 500 metri superiore
comunque a quello previsto a livello legislativo nazionale.
In fatto è, altresì, utile precisare che l’interesse
all’appello residua solo per l’annullamento dei dinieghi di
rinnovo contraddistinti dai numeri n.36090 e 36091 relativi a due cartelli
pubblicitari situati su un tratto stradale (della ex S.S. 500 di Lonigo)
rimasto nella competenza della Provincia appellante anche dopo il passaggio
alla Regione Veneto delle competenze relative alla gestione di numerosi
tratti stradali come si evince dalla deliberazione della Giunta Provinciale
n. 20 del 3 marzo 2003.
2) Nell’atto di appello la Provincia di Verona sostiene che non
vi è stata alcuna deroga alle disposizioni statali di livello
primario e secondario ricordate nella decisione appellata che si riferiscono
solo al rispetto di distanze minime da osservare nel posizionamento
dei cartelli ma non implicano che non possano essere dettate norme diverse,
e, quindi, distanze maggiori tra un cartello e l’altro, per esigenze
di sicurezza o anche paesaggistiche ed ambientali.
In altri termini,secondo questa tesi, le norme del Codice della Strada
e del relativo regolamento attuativo fisserebbero solo dei limiti minimi
al disotto dei quali non sarebbe possibile scendere se non nei casi
espressamente previsti dalle stesse norme (ad esempio per i Comuni nei
casi contemplati dal quarto comma dell’art. 51 soprarichiamato)
ma non escluderebbero la possibilità di fissare limiti più
rigorosi (primo motivo). Si osserva, inoltre, che il giudice di primo
grado ha letto erroneamente le norme in questione che non prevedono
un dovere da parte degli Enti gestori di autorizzare il posizionamento
dei cartelli che rispettino le distanze minime ma solo la loro autorizzazione
con la conseguenza che sarebbe possibile dettare norme diverse e più
rigorose da osservare poi in sede di rilascio delle singole autorizzazioni
(secondo motivo) e che, comunque la decisione non è adeguatamente
motivata (terzo motivo).
3) Sia la Società appellata che l’Associazione interveniente
“ad opponendum” hanno confutato tale tesi difensiva con ampie
memorie in cui essenzialmente si osserva che: a) vi è stata deroga
perché in sostanza nella Provincia di Verona i cartelli pubblicitari
non possono essere esposti ad una distanza pari a quella valida in tutto
il territorio comunale; b) la Provincia non è dotata di tale
potere regolamentare che è attribuito solo ai Comuni per restringere
e non ampliare ulteriormente la distanza minima consentita; c) ammettendo
la configurabilità del potere esercitato in concreto dalla Provincia
appellante vi sarebbe una limitazione non consentita del diritto costituzionalmente
garantito alla libertà di iniziativa economica con prescrizioni
incisive di detto diritto che può, invece, essere limitato in
via generale ed esclusiva solo con poteri normativi esercitati a livello
nazionale. In definitiva, secondo le parti resistenti, dove non esistano
norme specifiche di livello primario (e dettate in via generale per
tutto il territorio nazionale) di segno contrario l’attività
espositiva sulle strade deve essere considerata libera e non vietata.
4) Ritiene il Collegio che l’appello sia meritevole di accoglimento.
In primo luogo non può non rilevarsi che la censura svolta con
il terzo motivo, di incongruità della motivazione della sentenza
appellata, appare fondata se solo si considera che il giudice di primo
grado, in disparte la lettura non precisa del limite fissato normativamente
come distanza minima per il posizionamento dei cartelli pubblicitari,
ha ritenuto che vi fosse un obbligo di autorizzare l’ esposizione
di ogni singolo cartello che rispetti detta distanza mentre la norma
richiamata prevede si il regime autorizzatorio senza porre, però,
alcun vincolo sul contenuto dei singoli provvedimenti da adottare in
concreto.
Peraltro l’effetto devolutivo proprio dell’appello nel giudizio
amministrativo consente a questo giudice di valutare nel merito la questione
di diritto che viene qui posta all’attenzione.
Il primo ed il secondo motivo di appello, che possono essere esaminati
congiuntamente per ragioni logiche, sono fondati.
La formulazione delle norme su cui si fonda la tesi accolta dal primo
giudice e ribadita in questa sede con ulteriori argomenti dalle parti
resistenti, consente di giungere a conclusioni opposte nel senso che
una volta che sia fissato il limite al disotto del quale non è
consentito scendere nel determinare la distanza del posizionamento tra
i cartelli pubblicitari sulle strade, limite definito espressamente
minimo a livello di legislazione nazionale, e giustificato dal rispetto
di esigenze di sicurezza della circolazione valide per tutto il territorio
nazionale e per tutte le condizioni di fatto in cui la circolazione
si svolge, la funzione normativa del Codice della Strada e del suo regolamento
attuativo sia compiuta e deve essere riconosciuto agli Enti proprietari
il potere di disciplinare la distanza dei cartelli pubblicitari sulle
strade di proprietà in modo più rispondente alle esigenze
concrete di sicurezza della circolazione che una certa comunità
territoriale, attraverso i suoi eletti che saranno chiamati a rispondere
della correttezza delle scelte effettuate anche in sede politica, intenda
garantire ai suoi appartenenti.
La qualificazione delle distanze prevista dalle norme del DPR 495/1992
contenute nell’art. 51, come” minime” assume proprio
il significato di garantire una soglia di garanzia, appunto mimima,di
sicurezza oltre la quale si riespande il potere degli enti proprietari
di garantire condizioni di sicurezza maggiori e più rispondenti
alle condizioni di circolazione dei singoli tratti stradali.
La tesi delle resistenti potrebbe avere un fondamento solo se il legislatore
non avesse aggiunto alla indicazione delle distanze consentite l’aggettivazione
“minima” che, logicamente, prima che letteralmente, implica
che fermo il rispetto di quella stabilita come minima ogni altra diversa
e superiore può essere legittimamente fissata dagli organi a
ciò deputati.
In ciò non vi è alcuna violazione del diritto di libera
iniziativa economica garantito da norme costituzionali che ne consentono
l’esercizio libero ma nel rispetto ed in raccordo con altri interessi
costituzionalmente protetti (come la vita, la sicurezza e la salute
dei cittadini).
Anche l’argomento secondo cui le Provincie non sarebbero dotate
di un potere regolamentare per disciplinare la materia di cui trattasi
non può essere assecondato.
Ed invero, una volta che sia chiarito che le norme statali non disciplinano
direttamente l’aspetto delle distanze tra i cartelli pubblicitari
se superiori alle distanze minime comunque da garantire, si riespande
il potere anche normativo dei singoli Enti proprietari.
Non è esatto quindi definire queste regole speciali di livello
locale come deroghe alla disciplina generale perché costituiscono,invece,
mere integrazioni della stessa ed hanno anche la funzione di evitarne
una applicazione, per così dire residuale, nel caso di inesistenza
di disposizioni integrative di livello locale.
Questo potere regolamentare era attivabile da parte degli Enti locali
anche solo sulla base dell’art. 7 del D.Lvo n. 267 del 18 agosto
2000, in quanto è riconducibile al potere di organizzazione delle
funzioni amministrative proprie di tali enti ma, dopo l’entrata
in vigore della legge costituzionale n.3 del 18 ottobre 2001, che ha
ridisegnato completamente l’ambito dei poteri regolamentari degli
Enti locali assegnando loro anche i poteri normativi secondari relativi
all’esercizio delle loro attribuzioni non può, oggettivamente,
essere posto in dubbio. Il regolamento provinciale di cui alla deliberazione
n. 214 del 21 marzo 1990 è, quindi, legittimo.
Alla stregua delle considerazioni che precedono l’appello va accolto.
Sussistono, tuttavia, ragioni per compensare tra le parti le spese del
giudizio.
PQM
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione quinta, definitivamente
pronunciando sul ricorso in appello di cui in epigrafe lo accoglie con
riforma della sentenza appellata e reiezione del ricorso proposto in
primo grado .
Spese compensate.