Il
delitto di furto, in quanto reato contro il patrimonio, postula
pur sempre un’apprezzabile, anche se irrisoria, deminutio patrimonii.
Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Trento, con la sentenza 12
dicembre 2003, che, riformando la sentenza di condanna da parte
del Giudice di primo grado.
Secondo la sentenza che si commenta a fondamento del nostro sistema
penale si pone una concezione dell’illecito penale che contrappone
una antigiuridicità formale, risultante dal rapporto tra il fatto
concreto e lo schema normativo astratto, ad una antigiuridicità
materiale, secondo cui si rende necessario che il fatto conforme
al tipo descrittivo sia altresì idoneo a ledere l’interesse a tutela
del quale è stata posta la norma incriminatrice (cd. princpio di
offensività o di necessaria lesività).
Il dato normativo che consente di dare rilievo penale a questa differenza
è rappresentato dall’art. 49, co.2, c.p., il quale esclude la punibilità
del c.d. reato impossibile, che si ha quando "per la inidoneità
dell’azione ..... è impossibile l’evento dannoso o pericoloso".
Secondo una diffusa giurisprudenza, la previsione della fattispecie
in parola svolge l’autonoma funzione di codificare il principio
di offensività, anche se soltanto come canone ermeneutico (Grasso,
Mantovani, Vannini, Gallo, Siniscalco, Fiorella, Neppi Modena, Bricola,
Vassalli; per la giurisprudenza: Cass. Pen. 28/10/77, 15/05/89).
Non si può escludere infatti la rilevanza di possibili disfunzioni
tra atto conforme al tipo e offesa all’interesse tutelato. L’ipotesi
di illecito codificata, infatti, non può essere in grado di scontare
tutte le varianti del caso concreto, le quali possono rendere i
singoli elementi nel contesto della fattispecie concretamente inoffensivi.
Cosicché perché si realizzi la fattispecie di reato è necessario,
non solo che la condotta dell’agente sia conforme al comportamento
tipizzato dalla norma penale, e quindi antigiuridica, ma deve necessariamente
realizzarsi anche l’effettiva lesione del bene protetto. Nel caso
in cui il fatto non sia capace di offendere il bene tutelato dalla
norma, esso dovrà considerarsi solo in apparenza conforme al tipo
di reato: in realtà tale conformità manca (Pagliaro e Fiore).
Nei delitti contro il patrimonio, necessariamente ancorati ad un’offesa
patrimoniale dotata di un minimo di significatività, secondo la
sentenza in commento le offese di valore minimale non possono essere
considerate rilevanti sul terreno della lesione del bene protetto.
Ne consegue che, nel caso esaminato, in cui gli imputati hanno sottratto
un bene senza valore né oggettivamente né soggettivamente, non è
possibile sostenere l’esistenza della lesione del bene giuridico
del patrimonio protetto dall’art. 624 c.p., per cui gli imputati
devono essere assolti perché il fatto non sussiste.
(Altalex, 28 gennaio 2004. Nota a cura di Nicola
Canestrini, avvocato in Rovereto)
La
Corte di Appello di Trento
Sezione Penale
563/03 Reg. sentenze
data della sentenza 12 dicembre 2003
depositata in cancelleria il 18 dicembre 2003
composta dai signori
Dr. Carmine Pagliuca (Presidente), Dr. Guglielmo Avolio, Dr. Luca
Perilli
ha pronunciato alla pubblica udienza la seguente
SENTENZA
nei confronti di
omissis
IMPUTATI
del reato p.e.p. dagli artt. 110, 624, 625 n. 5 c.p. perché al fine
di trarne profitto, in concorso tra di loro e con il minore *** si
impossessavano di un’insegna pubblicitaria luminosa che asportavano
dalla parete dell’esercizio commerciale "Bar Smile" di Riva del Garda.
Fatto commesso il 15/09/2001.
APPELLANTE
il difensore degli imputati avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto
in comp. monocratica n. 273/02 del 02/07/2002 che li dichiarava colpevoli
del reato loro ascritto e concesse a tutti le circostanze attenuanti
generiche e l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità
prevalenti alla contestata aggravante li condannava alla pena di mesi
tre di reclusione e euro 80,00 di multa ciascuno oltre al pagamento
delle spese processuali. Concedeva a tutti il beneficio della sospensione
condizionale della pena.
Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dal Consigliere
Dott. Guglielmo Avolio.
Sentito il Procuratore Generale dr. Giuseppe Maria Fontana che ha
concluso per la conferma della sentenza di primo grado.
Sentito il difensore di fiducia avv. Nicola Canestrini, di Rovereto
per tutti gli imputati che richiede l’accoglimento dell’appello e
in principalità, per il *** l’assoluzione per non aver commesso il
fatto, in subordine minimo della pena con sospensione condizionale
della pena e non menzione; per gli altri imputati disporsi la conversione
della pena detentiva in pena pecuniaria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La sera del 15/9/2001 i giovani XXX e YYY, per loro stessa ammissione
incuranti dell’opposizione del loro amico ZZZ, si impossessarono di
una insegna pubblicitaria di una marca di birra precariamente fissata
alla recinzione esterna del giardino di un bar di Riva d/G, venendo
però subito dopo bloccati dai CC, fatti intervenire da un tassista
che, transitando nei pressi, aveva notato dei movimenti, da lui definiti
come sospetti, nei pressi dell’esercizio.
La titolare del locale, ***, ha dichiarato in udienza che l’insegna
in questione, tempo addietro consegnatale gratuitamente per motivi
pubblicitari da una ditta fornitrice di birra, era in realtà del tutto
priva di valore, ed anzi la sua asportazione non avrebbe (né aveva
in concreto) comportato alcun tipo di danno (cfr. sub foll. 3 e 4
della trascrizione).
Va pertanto accolto nella sua articolazione principale l’appello interposto
dalla difesa avverso l’affermazione di penale responsabilità operata
in prime cure, posto che il delitto di furto, i quanto reato contro
il patrimonio, postula pur sempre un’apprezzabile,anche se irrisoria,
deminutio patrimonii, mentre nel caso di specie l’avente diritto ha
ribadito la totale inesistenza di qualsiasi tipo di danno.
La decisione assolutoria per insussistenza del fatto è conseguente,
ad esime dalla trattazione delle questioni - ivi compresa quella della
riferibilità o meno anche al ZZZ della condotta concorsualmente attribuita
ai coimputati - sviluppate in via logicamente subordinata.
Viene fissato il termine di giorni 30 per i deposito della sentenza,
in considerazione della relativa complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Visto l’art. 605 c.p.p.
In riforma della sentenza impugnata assolve gli imputati dal reato
loro ascritto perché il fatto non sussiste.
Fissa il termine di giorni 30 per il deposito della sentenza.
Trento, 12 dicembre 2003
Lo ha stabilito la Corte d’Appello di Trento, con la sentenza 12 dicembre 2003, che, riformando la sentenza di condanna da parte del Giudice di primo grado.
Secondo la sentenza che si commenta a fondamento del nostro sistema penale si pone una concezione dell’illecito penale che contrappone una antigiuridicità formale, risultante dal rapporto tra il fatto concreto e lo schema normativo astratto, ad una antigiuridicità materiale, secondo cui si rende necessario che il fatto conforme al tipo descrittivo sia altresì idoneo a ledere l’interesse a tutela del quale è stata posta la norma incriminatrice (cd. princpio di offensività o di necessaria lesività).
Il dato normativo che consente di dare rilievo penale a questa differenza è rappresentato dall’art. 49, co.2, c.p., il quale esclude la punibilità del c.d. reato impossibile, che si ha quando "per la inidoneità dell’azione ..... è impossibile l’evento dannoso o pericoloso".
Secondo una diffusa giurisprudenza, la previsione della fattispecie in parola svolge l’autonoma funzione di codificare il principio di offensività, anche se soltanto come canone ermeneutico (Grasso, Mantovani, Vannini, Gallo, Siniscalco, Fiorella, Neppi Modena, Bricola, Vassalli; per la giurisprudenza: Cass. Pen. 28/10/77, 15/05/89).
Non si può escludere infatti la rilevanza di possibili disfunzioni tra atto conforme al tipo e offesa all’interesse tutelato. L’ipotesi di illecito codificata, infatti, non può essere in grado di scontare tutte le varianti del caso concreto, le quali possono rendere i singoli elementi nel contesto della fattispecie concretamente inoffensivi.
Cosicché perché si realizzi la fattispecie di reato è necessario, non solo che la condotta dell’agente sia conforme al comportamento tipizzato dalla norma penale, e quindi antigiuridica, ma deve necessariamente realizzarsi anche l’effettiva lesione del bene protetto. Nel caso in cui il fatto non sia capace di offendere il bene tutelato dalla norma, esso dovrà considerarsi solo in apparenza conforme al tipo di reato: in realtà tale conformità manca (Pagliaro e Fiore).
Nei delitti contro il patrimonio, necessariamente ancorati ad un’offesa patrimoniale dotata di un minimo di significatività, secondo la sentenza in commento le offese di valore minimale non possono essere considerate rilevanti sul terreno della lesione del bene protetto. Ne consegue che, nel caso esaminato, in cui gli imputati hanno sottratto un bene senza valore né oggettivamente né soggettivamente, non è possibile sostenere l’esistenza della lesione del bene giuridico del patrimonio protetto dall’art. 624 c.p., per cui gli imputati devono essere assolti perché il fatto non sussiste.
(Altalex, 28 gennaio 2004. Nota a cura di Nicola Canestrini, avvocato in Rovereto)
Sezione Penale
563/03 Reg. sentenze
data della sentenza 12 dicembre 2003
depositata in cancelleria il 18 dicembre 2003
composta dai signori
Dr. Carmine Pagliuca (Presidente), Dr. Guglielmo Avolio, Dr. Luca Perilli
ha pronunciato alla pubblica udienza la seguente
SENTENZA
nei confronti di
omissis
IMPUTATI
del reato p.e.p. dagli artt. 110, 624, 625 n. 5 c.p. perché al fine di trarne profitto, in concorso tra di loro e con il minore *** si impossessavano di un’insegna pubblicitaria luminosa che asportavano dalla parete dell’esercizio commerciale "Bar Smile" di Riva del Garda. Fatto commesso il 15/09/2001.
APPELLANTE
il difensore degli imputati avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto in comp. monocratica n. 273/02 del 02/07/2002 che li dichiarava colpevoli del reato loro ascritto e concesse a tutti le circostanze attenuanti generiche e l’attenuante del danno patrimoniale di speciale tenuità prevalenti alla contestata aggravante li condannava alla pena di mesi tre di reclusione e euro 80,00 di multa ciascuno oltre al pagamento delle spese processuali. Concedeva a tutti il beneficio della sospensione condizionale della pena.
Udita la relazione della causa fatta alla pubblica udienza dal Consigliere Dott. Guglielmo Avolio.
Sentito il Procuratore Generale dr. Giuseppe Maria Fontana che ha concluso per la conferma della sentenza di primo grado.
Sentito il difensore di fiducia avv. Nicola Canestrini, di Rovereto per tutti gli imputati che richiede l’accoglimento dell’appello e in principalità, per il *** l’assoluzione per non aver commesso il fatto, in subordine minimo della pena con sospensione condizionale della pena e non menzione; per gli altri imputati disporsi la conversione della pena detentiva in pena pecuniaria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La sera del 15/9/2001 i giovani XXX e YYY, per loro stessa ammissione incuranti dell’opposizione del loro amico ZZZ, si impossessarono di una insegna pubblicitaria di una marca di birra precariamente fissata alla recinzione esterna del giardino di un bar di Riva d/G, venendo però subito dopo bloccati dai CC, fatti intervenire da un tassista che, transitando nei pressi, aveva notato dei movimenti, da lui definiti come sospetti, nei pressi dell’esercizio.
La titolare del locale, ***, ha dichiarato in udienza che l’insegna in questione, tempo addietro consegnatale gratuitamente per motivi pubblicitari da una ditta fornitrice di birra, era in realtà del tutto priva di valore, ed anzi la sua asportazione non avrebbe (né aveva in concreto) comportato alcun tipo di danno (cfr. sub foll. 3 e 4 della trascrizione).
Va pertanto accolto nella sua articolazione principale l’appello interposto dalla difesa avverso l’affermazione di penale responsabilità operata in prime cure, posto che il delitto di furto, i quanto reato contro il patrimonio, postula pur sempre un’apprezzabile,anche se irrisoria, deminutio patrimonii, mentre nel caso di specie l’avente diritto ha ribadito la totale inesistenza di qualsiasi tipo di danno.
La decisione assolutoria per insussistenza del fatto è conseguente, ad esime dalla trattazione delle questioni - ivi compresa quella della riferibilità o meno anche al ZZZ della condotta concorsualmente attribuita ai coimputati - sviluppate in via logicamente subordinata.
Viene fissato il termine di giorni 30 per i deposito della sentenza, in considerazione della relativa complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
Visto l’art. 605 c.p.p.
In riforma della sentenza impugnata assolve gli imputati dal reato loro ascritto perché il fatto non sussiste.
Fissa il termine di giorni 30 per il deposito della sentenza.
Trento, 12 dicembre 2003