IL DIRITTO DI ACCESSO AGLI ATTI AMMINISTRATIVI
1. Natura e generalità.
1.1. Il diritto di accesso è stato disciplinato in via generale dagli artt. 22 e seguenti della legge n. 241 del 7.8.90; articoli la cui entrata in vigore è stata differita (dall’art. 31) all’entrata in vigore dei “decreti governativi” di cui all’art. 24 (su cui si dirà in seguito).E’ noto che solo nel ’92, è stato emanato il primo dei suddetti decreti governativi (D.P.R. 27.6.92 n. 352) avente carattere attuativo della suddetta disciplina legislativa sull’accesso.Già prima della L. 241/90, diverse altre disposizioni normative avevano previsto ipotesi di accesso a particolari atti giuridici. Si pensi al regolamento attuativo della L. 10.1.57 n. 3 sui dipendenti pubblici, alla legge sulle autonomie locali 816 del 27.12.85 (che prescriveva l’accesso agli atti dei consigli comunali e provinciali, delle U.S.L. e delle comunità montane), all’art. 14, L. 8.7.86 n. 349 (in virtù del quale chiunque vi abbia interesse, ha titolo ad ottenere dalle autorità competenti le informazioni relative all’ambiente), all’art. 7, L. 8.6.90 n. 142 (che, in sostanza, ribadisce il principio sancito dalla suddetta L. 816/85).
1.2. La ratio dell’istituto del diritto di accesso è quella di: - allestire meccanismi di tutela per il cittadino (rectius: amministrato) nei confronti dalla P.A., al fine di consentire la tutela di posizioni soggettive giuridicamente rilevanti coinvolte nei procedimenti amministrativi; - garantire la trasparenza e l’imparzialità dell’azione amministrativa. La dottrina ha, dunque, individuato la ratio costituzionale dell’istituto in esame, negli artt. 1 Cost. (che sancisce il principio della sovranità popolare, di cui costituisce corollario il diritto del popolo di conoscere il contenuto degli atti degli amministratori), 21 Cost. (che implicitamente prevede e tutela il diritto all’informazione) e, infine, 97 Cost. (che è fonte dei principi della trasparenza e dell’imparzialità dell’azione amministrativa).
1.3. Per quanto concerne il diritto di accesso nell’Ordinamento dell’U.E., si può dire che esso non ha trovato riscontro nel diritto comunitario, sfornito di una disciplina organica sulla materia, fino all’emanazione delle direttive 95/46/CE, prima, e 97/66/CE, poi. Già prima dell’entrata in vigore di tali direttive, il Consiglio e la Commissione dell’U.E. si erano, tuttavia, “autoregolamentati”, approvando un cosiddetto codice di condotta che tendeva a garantire l’accessibilità ai propri atti, attraverso una normativa che il Tribunale di I grado (nel 1995) e la Corte di Giustizia (nel 1996) ritennero idonea a far sorgere posizioni tutelabili a favore dei richiedenti. Con l’entrata in vigore delle direttive citate si è voluto, da parte comunitaria, armonizzare le varie (e spesso differenti) normative nazionali inerenti la protezione dei dati personali, garantendo uno standard minimo di tutela. La direttiva 95/46/CE costituisce fonte normativa principale in materia di tutela comunitaria dei dati personali. Essa stabilisce, tra le altre cose, che i dati personali possono essere principalmente utilizzati solo: - in maniera legale e per gli scopi per cui sono stati acquisiti; - se vi è stato consenso dell’interessato, all’uopo adeguatamente informato; - se il trattamento dei dati è necessario per l’esecuzione di un contratto o l’adesione ad un contratto richiesto dall’interessato; - se il trattamento è imposto dalla legge o dalla necessità di eseguire attività di interesse pubblico. Per quanto concerne, invece, la direttiva 97/66/CE, va detto che essa si occupa specificamente della protezione della vita privata nel campo delle telecomunicazioni. Tale direttiva impone, infatti, agli Stati membri l’adozione di norme volte a garantire la riservatezza delle comunicazioni, con la prescrizione dell’illiceità dell’ascolto, l’intercettazione, la memorizzazione o altri tipi di interferenza o sorveglianza delle linee di comunicazione, non autorizzati in conformità alla legge. La direttiva stabilisce, tra le altre cose, che laddove sia possibile l’identificazione della linea chiamante, il chiamante deve comunque avere la possibilità di non essere identificato e il chiamato la facoltà di rifiutare le comunicazioni provenienti da chiamanti non identificati. È, inoltre, prescritta la facoltà per le persone di essere omesse dagli elenchi di telecomunicazioni. Va, infine, segnalato il grosso impulso innovativo recentissimamente dato alla legislazione europea inerente il tema in oggetto, dallo schema di raccomandazione elaborato in data 17.05.2001 nel seno dell’Autorità dei Garanti europei, sotto la presidenza del Garante italiano (Stefano Rodotà). Tra le innovazioni fondamentali introdotte da tale raccomandazione, si ricordino le seguenti: - viene vietata la raccolta indiscriminata, e soprattutto, “indiretta” o “occulta” dei dati dei navigatori; - i siti che prevedono la raccolta dei dati personali degli utenti dovranno indicare in maniera “chiara”: 1) l’identità del titolare; 2) le finalità del trattamento; 3) la obbligatorietà o meno delle informazioni richieste all’utente (differenziando dati necessari e dati opzionali); 4) le modalità di esercizio del diritto di recesso, cancellazione, rettifica e opposizione al trattamento, nonché i destinatari eventuali delle informazioni raccolte; 5) l’indicazione dell’eventuale utilizzo di “procedure automatiche per la raccolta dei dati” , tra cui anche i famosi cookies; 6) le misure di sicurezza adottate per salvaguardare i dati richiesti.
1.4. Ancor oggi si controverte sulla natura del cosiddetto diritto di accesso. Al di là infatti della denominazione, l’istituto pertiene ad una posizione soggettiva avente natura molto controversa. In un primo momento, la Corte di Cassazione – adeguandosi all’orientamento dottrinale seguito da SANDULLI, PALEOLOGO, NOBILE E MORBIDELLI - sostenne che, essendo la pretesa di accesso agli atti amministrativi, soggetta ad un apprezzamento della P.A. (la quale può – ex art. 24, VI co., L. 241/90 – rifiutare, differire o limitare, con provvedimento motivato, l’esercizio dell’accesso), essa costituisce oggetto di una posizione soggettiva avente consistenza di interesse legittimo (v. Cass. Civ., S.U., 27.5.94 n. 5216). Successivamente, invece, si è ritenuto – seguendo l’orientamento dottrinale prevalente, affermato, tra gli altri, da QUOCOLO, D’ALBERTI, FIGURILLI, BERLUCCHI, PASTORI E LUCIANI - di dover riconoscere alla pretesa di accesso, il carattere di vero e proprio diritto (autonomo e soggettivo) all’informazione (C.S., IV Sez., 20.2.95 n. 108 e 15.1.98 n. 14), con un orientamento avversato però da una recente giurisprudenza tornata ad affermare il carattere di interesse legittimo (C.S., Ad. Plen., 24.6.99 n. 16).
1.5. Il diritto di accesso è riconosciuto, dall’art. 22, L. 241/90, «a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti». La giurisprudenza ha chiarito che non è necessaria la sussistenza di un interesse legittimo o di un diritto soggettivo veri e propri, essendo invece sufficiente, ai fini della spettanza della pretesa alla visione degli atti amministrativi, la titolarità di situazioni soggettive, anche diverse da quelle suddette ma, qualificate dall’Ordinamento come meritevoli di tutela: «L’interesse che legittima alla richiesta deve essere personale e concreto, quindi serio, non emulativo, né riducibile a mera curiosità, e ricollegabile alla persona dell’istante da uno specifico nesso» (C.S., Sez. VI, 19.7.94 n. 1243). Quanto or ora detto, ci consente di introdurre il concetto di legittimazione a richiedere l’accesso, la quale spetta al soggetto che è parte nel procedimento amministrativo cui si riferiscono i documenti richiesti in esibizione, nonché al soggetto comunque titolare di un interesse meritevole di tutela, ai fini dell’accesso stesso. Bisogna, inoltre, precisare che mentre «Il soggetto che è parte del procedimento amministrativo è per ciò solo legittimato a richiedere l’accesso ai documenti allo stesso relativi, senza che sia necessario l’accertamento della sussistenza di un suo interesse all’accesso per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti», anche in virtù del disposto dell’art. 10, L. 241/90 (C.S., Sez. VI, 11.2.97 n. 260), per il soggetto che, pur non essendo parte in senso formale del procedimento, abbia un interesse proprio all’accesso agli atti della P.A., è necessaria la dimostrazione dell’esistenza di un interesse “meritevole di tutela per l’Ordinamento giuridico”. Occorre evidenziare che la legittimazione all’esercizio concreto del diritto in esame può essere trasferita mediante atto formale, con cui si dà incarico ad un soggetto terzo di provvedere all’accesso in luogo del titolare della situazione giuridica rilevante ai fini dell’accesso stesso.
1.6. Il diritto in esame spesso si contrappone con i diritti di soggetti diversi dal richiedente l’accesso. Tra tali diritti, in particolare, si ricordi il diritto alla riservatezza. Nel conflitto tra i contrapposti interessi del richiedente l’accesso e del soggetto terzo che ha interesse alla non esibizione degli atti richiesti, la dottrina prevalente e la giurisprudenza assolutamente dominante sostengono il primato dell’interesse pretensivo alla esibizione degli atti amministrativi salva l’ipotesi di sussistenza di uno dei casi di esclusione dell’ostensibilità degli atti amministrativi, tassativamente stabiliti dalla legge o da appositi regolamenti emanati dall’Esecutivo, a norma dell’art. 24, I co., L. 241/90. «Il bilanciamento tra il diritto di accesso degli interessati e il diritto alla riservatezza dei terzi non è stato rimesso alla potestà regolamentare o alla discrezionalità delle singole amministrazioni, ma è stato compiuto direttamente dalla legge che, nel prevedere la tutela della riservatezza dei terzi, ha fatto salvo il diritto degli interessati alla visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici» (C.S., Sez. IV, 4.2.97 n. 82). E ancora. «Ai sensi dell’art. 24 comma 2, lett. d), L. 7.8.90 n. 241, nel conflitto tra il diritto di accesso ed esigenze di tutela della riservatezza, il primo prevale ogniqualvolta l’accesso viene in rilievo per la cura e la difesa di propri interessi giuridici» (C.S., Sez. IV, 18.5.98 n. 840). E inoltre «Qualora l’accesso ai documenti amministrativi sia motivato dalla cura o la difesa di propri interessi giuridici, prevale sull’esigenza di riservatezza del terzo; pertanto, l’interesse alla riservatezza, tutelato dalla L. 7 agosto 1990 n. 241 mediante una limitazione del diritto di accesso, recede quando l’accesso stesso sia esercitato per la difesa di un interesse giuridico, nei limiti in cui esso è necessario alla difesa di quell’interesse» (C.S., Ad. Plen., 4.2.97, n. 5). È noto che la riservatezza (o privacy) dell’individuo costituisce oggetto di specifica disciplina e tutela, ad opera della legge 31.12.96 n. 675. Tale legge richiama due diverse categorie di dati inerenti l’individuo. Tra esse si ricordi, in particolare, quella sui cosiddetti «dati sensibili», di cui agli artt. 22 ss., per la cui trattazione è prescritto uno specifico iter autorizzativo che prevede, oltre al consenso scritto dell’interessato, anche l’assenso dell’Authority, garante della privacy. Nonostante il dissenso di una parte della dottrina, l’orientamento prevalente dei Giudici amministrativi sembra essere, anche in tal caso, nel senso di ritenere prevalente l’interesse del richiedente l’accesso, rispetto all’interesse del terzo cui si riferiscono le informazioni del tipo “dati sensibili” contenute nell’atto di cui si richiede l’esibizione, ogniqualvolta la cognizione di questi ultimi dovesse risultare necessaria per la tutela giurisdizionale degli interessi del primo (v. T.A.R. Abbruzzo, Sez. Pescara, 5.12.97 n. 681).
1.7. La L. 241/90 prevede alcune ipotesi di non ostensibilità dell’atto amministrativo. Disciplina fondamentale, al riguardo, risulta essere quella contenuta nell’art. 24, a mente del quale il diritto di accesso è escluso nei casi di documenti od atti coperti dal «segreto di Stato», ovvero da segreto altrimenti imposto dall’Ordinamento normativo. L’art. in oggetto contiene, inoltre, l’autorizzazione al Governo ad emanare uno o più decreti intesi a disciplinare «gli altri casi di esclusione del diritto di accesso in relazione alla esigenza di salvaguardare: a) la sicurezza, la difesa nazionale e le relazioni internazionali; b) la politica monetaria e valutaria; c) l’ordine pubblico e la prevenzione e repressione della criminalità; d) la riservatezza di terzi, persone, gruppi ed imprese, garantendo peraltro agli interessati la visione degli atti relativi ai procedimenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i loro interessi giuridici» (art. 24, II co., L. 241/90). Proprio da queste ultime statuizioni può, con chiarezza, desumersi che – come si accennava poc’anzi - il legislatore ha imposto un “bilanciamento” dei contrastanti interessi (del richiedente l’accesso, da un lato, e del terzo coinvolto dall’atto amministrativo, dall’altro) nel senso di “favorire” l’interesse del primo, ritenuto prevalente perché espressione dell’esigenza - di carattere generale - di garantire l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa, preminente rispetto all’esigenza - riguardante l’interesse del singolo - di tutelare la privacy dell’individuo. In ottemperanza al dettato normativo, il Governo ha emanato una serie di disposizioni regolamentari, tra cui si ricordi in particolare quella contenuta nell’art. 8, V co., lett. d), D.P.R. n. 352 del 27.6.92, secondo cui «quando i documenti riguardino la vita privata o la riservatezza di persone fisiche, di persone giuridiche, gruppi, imprese e associazioni, con particolare riferimento agli interessi epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale di cui siano in concreto titolari (…). Deve comunque essere garantita ai richiedenti la visione dei procedimenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i loro stessi interessi giuridici». È facile notare che il regolamento esecutivo dell’art. 24 L. 241/90, ha ribadito quanto lo stesso legislatore del ‘90 aveva statuito circa il detto bilanciamento di interessi – con un discorso che va analogamente fatto anche per il regolamento attuativo di cui al D.M. (dell’Interno) 10.5.94 n. 415 -. Il regolamento attuativo del ’92 ha determinato il differimento dell’effettiva entrata in vigore della disciplina sul diritto di accesso; l’art. 31, L. 241/90 prescriveva l’emanazione di regolamenti attuativi degli artt. 22 e ss, subordinando la concreta operatività della disciplina contenuta in tali ultimi artt., all’emanazione di detti regolamenti. Il regolamento 352/92 è entrato in vigore il 13.8.92. Da questa data è concretamente sorto il diritto di accesso, con la conseguente tutelabilità ex art. 25, L. 241 cit.. Il citato regolamento ha previsto la possibilità per le varie P.A. di emanare, in considerazione delle proprie esigenze precipue, ulteriori regolamenti disciplinanti le modalità di esercizio del diritto in esame, il tutto entro un anno dall’entrata un vigore (13.8.92). Tale ultimo termine annuale è stato poi prorogato al 30.5.94 (ex lege 448 del 12.11.93) e considerato, da dottrina e giurisprudenza, a carattere ordinatorio, con la conseguente possibilità per le P.A. di dotarsi di propri regolamenti anche successivamente al decorso del termine stesso. Si segnala, infatti, che le P.A. ancora oggi continuano ad emanare i regolamenti per l’accesso ai propri atti.
L’esistenza di terzi coinvolti dall’atto amministrativo di cui si richiede l’esibizione, non è, comunque priva di effetti, comportando, al contrario, rilevanti conseguenze di ordine pratico. Nel caso, infatti, in cui l’atto richiesto dovesse contenere informazioni riguardanti interessi epistolari, sanitari, professionali, finanziari, industriali e commerciali, il terzo assume le vesti di controinteressato in termini processuali, con la conseguenza che il ricorso proposto – ex art. 25 L. 241/90, di cui si dirà in seguito – contro il diniego di esibizione dell’atto amministrativo richiesto, risulterebbe inammissibile per difetto di completo contraddittorio, qualora dovesse essere stato notificato alla sola P.A. e non anche ad almeno uno dei soggetti coinvolti dall’atto amministrativo (C.S., Sez. V, 2.12.98 n. 1725).
2. LA TUTELA DEL DIRITTO DI ACCESSO.
Al fine di garantire il diritto di accesso, la legge (art. 25, IV e V co., L. 241/90) prevede due diversi strumenti di tutela, azionabili da parte del soggetto che abbia subito l’illegittima lesione del diritto stesso, in virtù di diniego della P.A. o di silenzio serbato da questa sull’istanza di accesso, per un periodo (fissato dalla legge – art. 25, IV co., L. 241/90 – in 30 gg) sufficiente a far maturare il silenzio-rifiuto.
2.1. Il primo e più agile strumento di tutela consiste nel richiedere, nel termine di 30 giorni dalla conoscenza del provvedimento lesivo, al competente difensore civico il riesame dell’istanza e del conseguente provvedimento privativo della facoltà di visione degli atti richiesti. A seguito della richiesta di riesame, il difensore civico provvede, allorquando dovesse ritenere illegittimo il provvedimento di risposta della P.A., ad adire nuovamente la P.A. interessata, la quale dovrà ripronunciarsi sulla vicenda entro 30 giorni dal ricevimento del provvedimento sollecitativo del difensore civico, essendo prescritto che, in caso contrario, «l’accesso è consentito» (art. 25, IV co., seconda parte, L. 241/90).
2.2. Il secondo dei suddetti strumenti di tutela consiste nel ricorso giurisdizionale avverso il diniego o il silenzio serbato, dalla P.A. interessata, sull’istanza di accesso. Trattasi di ricorso da proporsi, nel termine di 30 giorni dalla conoscenza del provvedimento che in sostanza nega l’accesso, dinanzi al T.A.R. «il quale decide in camera di consiglio entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne abbiano fatto richiesta», con una pronuncia appellabile dinanzi al Consiglio di Stato, «il quale decide con le medesime modalità e negli stessi termini» (art. 25, V co., L. cit.). Il ricorso in parola, introduce un’ipotesi di giurisdizione esclusiva (come hanno precisato, ex multis, C.S., Sez. IV, 29.4.97 n. 433 e Cass. Civ., S.U., 28.5.98 n. 5292), e di merito, dal momento che il diritto di accesso è tutelabile – a norma dell’art. 25, L. cit. - dinanzi al G.A., a prescindere dalle diverse situazioni soggettive cui è connesso e con l’attribuzione al Giudice (amministrativo) adito della facoltà di pronunciarsi valutando la sussistenza dei presupposti di legge per l’accesso, ossia valutando il merito della vicenda. Va, inoltre, precisato che il carattere perentorio del suddetto termine di 30 gg dalla formazione del silenzio rifiuto dell’Amministrazione o dalla comunicazione del diniego, implica che «chi abbia chiesto l’accesso ai documenti in relazione ad una determinata situazione giuridicamente rilevante, ha l’onere di proporre il ricorso entro trenta giorni dalla formazione del silenzio o dalla conoscenza del diniego. (…). Una volta che tale termine sia decorso, l’ingresso dell’azione giurisdizionale a tutela di quella stessa posizione deve intendersi precluso, sia (…) perché è carattere intrinseco della decadenza che il diritto si estingua dopo l’inutile decorso del termine, sia perché, se così non fosse, la previsione del termine di cui al citato art. 25 sarebbe priva di efficacia precettiva, giacché con la ripresentazione dell’istanza di accesso l’azione processuale risulterebbe proponibile ad arbitrio dell’interessato, senza alcun limite temporale» (C.S., Sez. V, 17.12.97 n. 1537). E ancora. «Deve conseguentemente considerarsi inammissibile il ricorso avanzato dal cittadino interessato, rimasto inerte dinanzi all’originario diniego, avverso il rinnovato rifiuto opposto dall’Amministrazione, in via confermativa, a fronte di una sua successiva istanza di accesso» (C.S., Sez. V, 17.12.97 n. 1537, conformi T.A.R. Lazio, Sez. I, 10.6.94 n. 949; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 10.11.94 n. 509; T.A.R. Lombardia-Milano, Sez. III, 22.3.95 415). Può, in conclusione, dirsi che una volta decorso il termine perentorio dei trenta giorni, all’interessato rimane solo la facoltà di rinnovare l’istanza di accesso alla P.A. detentrice dei documenti richiesti, ma non anche il potere di adire il G.A., salva l’ipotesi in cui l’ulteriore istanza di accesso comporti l’emanazione di un provvedimento di risposta della richiesta P.A., che non sia meramente confermativo del precedente diniego, ma al contrario comporti una nuova istruttoria e sia fondato su motivazioni nuove rispetto al precedente (cfr. T.A.R. Liguria, Sez. I, 28.6.94 n. 289; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 14.10.93 n. 307). A tal riguardo, il Consiglio di Stato ha, però, precisato che il provvedimento esplicito di diniego adottato dalla P.A. non può essere considerato atto meramente confermativo del rifiuto tacito precedentemente intervenuto e pertanto, comportando tale provvedimento un quid novi rispetto al silenzio-rifiuto, è ammissibile la relativa impugnazione anche in assenza di ricorso avverso il pregresso silenzio-rifiuto (C.S., Sez. V, 8.9.95 n. 688).
2.3. Per ciò che concerne la motivazione dell’istanza di accesso, la dottrina e la giurisprudenza hanno precisato che essa risulta assolutamente fondamentale nella materia de qua, non solo perché imposta espressamente dall’art. 24, II co., L. 241/90, ma anche perché costituisce lo strumento necessario per consentire alla P.A. richiesta, la valutazione della sussistenza del diritto di accesso del richiedente, nonché la valutazione comparativa degli interessi dell’istante, da un lato, e del terzo eventuale titolare dell’interesse alla non esibizione dell’atto amministrativo, dall’altro. È ovvio, inoltre, che anche il provvedimento con cui la P.A. interessata, decide sull’istanza di accesso, deve – in conformità al generale principio di cui all’art 3, L. 241/90 – essere congruamente motivato, salve le ipotesi in cui una disposizione normativa espressamente escluda l’accesso ai documenti richiesti, caso questo in cui l’espresso riferimento alla normativa stessa, di per sé costituisce congrua motivazione, non essendo necessaria, in tali ipotesi, una puntuale esposizione delle ragioni giustificative del diniego opposto dall’Amministrazione (cfr. C.S., Sez. IV, 30.6.98 n. 1006; C.S., Sez. VI, 5.6.98 n. 936).
2.4. Per ciò che attiene alle modalità di svolgimento del giudizio promosso ex art. 25, L. cit., la giurisprudenza ha chiarito che esso segue tette le regole ed i principi propri dell’ordinario giudizio dinanzi al G.A., salvo che per quegli aspetti espressamente disciplinati in senso diverso dalla legge (e si allude, in particolare, al dimezzamento dell’ordinario termine di 60 gg prescritto dall’art. 21 L. 1034/71, per la proposizione del ricorso al G.A.). Può, dunque, dirsi che «L’art. 25 L. 241 del 1990, nel disciplinare, sommariamente, lo speciale procedimento relativo alle impugnazioni proposte contro le determinazioni concernenti il diritto di accesso, introduce alcune deroghe alle regole generali processuali, da considerarsi di carattere eccezionale. Ne deriva che, non essendo prevista alcuna deroga al termine relativo al deposito del ricorso, trova applicazione il termine ordinario di 30 gg dall’ultima notifica, con conseguente impossibilità di porre in decisione il ricorso prima dello spirare di detto termine» (C.S., Sez. VI, 8.7.98 n. 1051).
2.5. Per quanto concerne gli effetti della decisione emessa dal T.A.R. adito ex art. 25, L. cit., va detto che, al pari di tutte le altre pronunce emesse dal Giudice amministrativo di I grado, esse risultano immediatamente esecutive (ex art. 33, L. 1034/71), salva sospensiva concessa dal Giudice d’appello. Nel caso di accoglimento del ricorso proposto ex art. 25, L. cit., il Giudice adito ordina, nei limiti ritenuti opportuni, l’esibizione dei documenti richiesti dal ricorrente (art. 25, VI co., L. cit.).
3. CASISTICA.
3.1. Accesso agli atti inerenti prove concorsuali e scrutini scolastici.
a- I componenti delle commissioni di esame a prove concorsuali, determinati a priori i criteri valutativi da seguire, sono tenuti a non discostarsi dagli stessi nella valutazione degli elaborati realizzati dai candidati. A questi ultimi è, dunque, accordato il diritto di accesso a detti elaborati, allo scopo di verificare l’esatta osservanza e l’uniforme applicazione dei criteri suddetti, attraverso il raffronto (v. C.S., Sez. VI, 25.11.94 n. 1715). Va, inoltre, aggiunto che «…i giudici affermano che non sussiste alcuna esigenza di tutela della riservatezza dei soggetti partecipanti a procedure concorsuali pubbliche, sicchè essi non assumono la posizione di controinteressati nei giudizi proposti ex art. 25 della legge 241/90 per ottenere l’accesso agli atti relativi alle procedure della specie. Ne consegue che il ricorso proposto da un concorrente avverso il diniego di accesso agli atti di tali procedure non deve essere notificato, (…), agli altri partecipanti» (C.S., Sez. VI, 11.2.97 n. 260). b- In materia scolastica, è ormai pacifico che il genitore del minore bocciato possa ottenere copia degli scrutini e delle valutazioni riportate durante l’anno scolastico nei registri degli insegnanti, per le sole parti concernenti il minore stesso. Non può, invece, chiedersi copia degli atti riguardanti gli altri alunni (v., ex multis, Cons.giust.amm. Sicilia, 25 ottobre 1996, n. 384).
3.2. Accesso agli atti delle Authorities.
L’accesso agli atti delle Autorità Indipendenti presenta alcune peculiarità idonee a giustificare uno specifico richiamo. La giurisprudenza ha, infatti, fornito al riguardo importanti chiarimenti, in virtù dei quali può dirsi che, per quanto riguarda l’accessibilità agli atti delle cd Authorities, bisogna distinguere gli atti delle stesse in due categorie: gli atti idonei a produrre effetti nei confronti del singolo (soggetti alla disciplina dell’art. 22 L. 241/90, in assenza di diversa disposizione normativa) e gli atti aventi fini di indagine e, quindi, di ausilio strumentale all’azione parlamentare e governativa (atti non soggetti alla pretesa di accesso da parte dei terzi coinvolti: T.A.R. Lazio, Sez. I, 16.9.96 n. 1548). Tale orientamento è stato, inoltre, confermato dal recentissimo “Regolamento concernente l’accesso ai documenti formati o stabilmente detenuti dall’Autorità”, approvato dall’Autorità stessa (deliberazione 24.5.01, n. 217) e pubblicato sulla G.U. (serie generale, n. 141) del 20.6.01. In tale regolamento, infatti, viene ribadita la non ostensibilità degli atti scaturenti dall’”elaborazione delle unità organizzative con funzione di studio”, nonché “gli atti e i documenti concernenti l’attività di segnalazione al Governo” (v. art. 4, I co., lettere a) e c), Regolamento cit.).
3.3. Gli atti preparatori e il diritto di accesso.
L’art. 24, VI co., II parte, L. 241/90 dispone che «Non è comunque ammesso l’accesso agli atti preparatori nel corso della formazione dei provvedimenti (…), salvo diverse disposizioni di legge». La disposizione in oggetto riguarda le ipotesi in cui l’istanza di accesso riguardi effettivamente documenti amministrativi ancora soggetti all’attività elaborativa della P.A. procedente. Il Supremo Consesso amministrativo ha precisato, al riguardo, che «In applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 13 e 24, comma 6, L. 7.8.90 n. 241, l’esclusione dell’accesso ai documenti amministrativi è riferita agli atti preparatori allorché sia ancora in corso il procedimento; pertanto, deve riconoscersi il diritto all’accesso sul solo presupposto che l’Amministrazione abbia concluso il procedimento, con l’emanazione del provvedimento» (C.S., Sez. IV, 3.11.97 n. 1254). La P.A. può, in altri termini, ammettere, l’avente diritto, alla visione degli atti richiesti, osservando la condizione della conclusione dell’iter procedimentale.
3.4. Accesso agli atti della P.A. aventi natura privatistica.
È noto che il diritto di accesso riguarda l’«attività amministrativa» (v. art. 22, L. cit.). In questa, la giurisprudenza, ritiene debbano farsi rientrare, non solo gli atti amministrativi veri e propri, ma anche gli atti di diritto privato che la P.A. emana per il perseguimento dei propri fini istituzionali-pubblici. Va, al riguardo, precisato che il Consiglio di Stato, sovvertendo una precedente sua giurisprudenza (C.S., 5.6.95 n. 412) ha affermato che «Ai fini dell’accesso ai documenti amministrativi, previsto dalla legge 7.8.90 n. 241, l’attività amministrativa, alla quale il diritto di accesso è correlato, comprende sia l’attività di diritto amministrativo sia l’attività di diritto privato, che come la prima costituisce cura concreta di interessi della collettività. Pertanto, può essere escluso il diritto di accesso solo nei casi di attività di tipo puramente privatistico, ancorché svolta dalla P.A., e del tutto disancorata dall’interesse pubblico di settore istituzionalmente rimesso alle cure dell’apparato amministrativo» (C.S., Sez. IV, 15.1.98 n. 14). E ancora: «Posto che la L. 7.8.90 n. 241 correla il diritto di accesso non agli atti ma all’attività della P.A., ne consegue che l’accesso ai documenti può essere esercitato tanto nei confronti degli atti amministrativi quanto nei confronti degli atti di diritto privato comunque utilizzati ai fini dell’attività amministrativa e, dunque, anche nei confronti di atti formati da soggetti privati» (C.S., Sez. IV, 4.2.97 n. 82; conforme C.S., Sez. VI, 5.10.95 n. 1083). Può, dunque concludersi che «Il diritto di accesso può essere esercitato non solo nei confronti degli atti amministrativi che integrano un’attività di tipo provvedimentale o autoritativo, ma nei confronti dell’attività amministrativa nel suo complesso, che si sostanzia sia in atti amministrativi sia in atti di natura privatistica, anch’essi volti, non meno dei primi, alla cura di interessi della collettività» (C.S., Sez. IV, 18.5.98 n. 840). La questione è stata, da ultimo, valutata anche in sede di Ad. Plen., dove si è sostenuto che«Ai sensi dell’art. 22 L. 7 agosto n. 241, sono soggette all’accesso tutte le tipologie di attività delle Pubbliche Amministrazioni e quindi anche gli atti disciplinati dal diritto privato, atteso che essi rientrano nell’attività di amministrazione in senso stretto degli interessi della collettività e che la legge non ha introdotto alcuna deroga alla generale operatività dei principi della trasparenza e dell’imparzialità e non ha garantito alcuna “zona franca” nei confronti dell’attività disciplinata dal diritto privato» (C.S., Ad. Plen., 22.4.99, n. 4).
3.5. Il diritto di accesso dei consiglieri comunali e provinciali.
Il diritto di accesso agli atti del Comune e della Provincia da parte dei consiglieri comunali e provinciali è disciplinato dall’art. 43, II co., D.Lgs. 18.08.2000, n. 267, il quale riprende fedelmente quanto già affermato dall’art. 31, V co., L. 8.6.90, n. 142, che a sua volta aveva ripreso il disposto (di contenuto analogo) dell’art. 24, L. 27.12.85, n. 816. Secondo la richiamata normativa, «I consiglieri comunali e provinciali (sia di Maggioranza che di Minoranza, vista l’assenza di differenziazioni in merito da parte del legislatore) hanno diritto di ottenere dagli uffici, rispettivamente, del comune e della provincia, nonché dalle loro aziende ed enti dipendenti, tutte le notizie e le informazioni in loro possesso, utili all’espletamento del proprio mandato. Essi sono tenuti al segreto nei casi specificamente determinati dalla legge» (art. 43, II co., D.Lgs. 267/00). In tema di accesso agli atti comunali da parte dei consiglieri, la giurisprudenza ha chiarito che: - il diritto di accesso in esame integra ma non sostituisce quello previsto dagli artt. 22 ss, L. 241/90 (T.A.R. Lombardia – Milano, Sez. III, 2.12.97, n. 2151); - la normativa relativa va letta «nel senso più ampio possibile» (C.S., Sez. V, 21.2.94, n. 119; T.A.R. Veneto, 11.2.97, n. 371; T.A.R. Liguria, Sez. I, 28.6.94, n. 289); - la richiesta di accesso da parte di un consigliere non abbisogna di specifica motivazione, essendo essa giustificata dal generale potere-dovere di gestione e controllo che compete ai consiglieri stessi, circa l’operato dell’Ente di appartenenza (C.S., Sez. I, parere 25.6.97, n. 1316); - il diritto del consigliere non può ritenersi limitato alle sole materie di stretta competenza del Consiglio, estendendosi invece anche a tutti gli atti (siano essi a carattere “politico”, siano essi a carattere prettamente “gestionale-amministrativo”) in possesso degli uffici comunali (o provinciali), compresi gli atti cosiddetti «prodromici», ossia antecedenti, presupposti e preparativi rispetto ad altri atti (C.S., Sez. V, 21.2.94, n. 119, 8.9.94, n. 976; T.A.R. Liguria, Sez. I, 3.12.94, n. 448 ; T.A.R. Lombardia – Brescia, 13.12.93, n. 1041). Per quanto concerne il rapporto tra il diritto di accesso dei consiglieri e il diritto alla riservatezza dei terzi coinvolti dall’atto amministrativo, può dirsi che, anche in tal caso, la giurisprudenza (v, ex multis, T.A.R. Abruzzo, 3.11.95, n. 696), nonché le decisioni dell’Autorità Garante della privacy (v. decisione 9.6.98) hanno chiarito che il secondo non può limitare il primo, anche perché si versa sicuramente in uno dei casi in cui il consigliere è tenuto - ex art. 43, II co., ultima parte, D.Lgs. 267/00 – al segreto d’ufficio.
DATA DI ULTIMAZIONE RELAZIONE: 22.06.01
DATA DI AGGIORNAMENTO: 25.07.01 Avv.
EMILIO FERRARO
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