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Corte di Cassazione 11/10/2005

Il giudice italiano deve solo verificare la motivazione e le fonti di prova Arresto europeo senza valutazione sui gravi indizi

(Cassazione 33642/2005)
da "Europa Lex"
Il giudice italiano deve solo verificare la motivazione e le fonti di prova
Arresto europeo senza valutazione sui gravi indizi
(Cassazione 33642/2005)
Per concedere il mandato di arresto europeo il giudice italiano non deve operare una valutazione sui gravi indizi di colpevolezza, ma solo verificare le fonti di prova. Lo ha stabilito la Sezione Feriale Penale della Corte di Cassazione respingendo il ricorso della difesa di un cittadino marocchino indiziato per gli attentati di Londra della scorsa estate, che chiedeva l’integrazione delle fonti di prova non concessa dalla Corte di Appello. La Cassazione ha affermato che la disposizione della legge sul mandato d’arresto europeo che prevede che la corte di Appello pronunci sentenza con cui dispone la consegna della persona ricercata "se sussistono gravi indizi di colpevolezza", deve essere interpretata nel senso che non compete alla corte di Appello la valutazione della gravità degli indizi su cui si fonda il provvedimento cautelare straniero, dovendo il controllo ad essa affidato essere limitato alla verifica della sussistenza della motivazione o della presenza di una motivazione meramente apparente; in risposta alla difesa dell’imputato, che chiedeva l’espletamento di una perizia, la Suprema Corte ha chiarito che la richiesta di acquisizione di prove non eseguite è incompatibile con il principio di sovranità dei singoli Stati e con i tempi della procedura di consegna. (08 ottobre 2005)
 
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Feriale Penale, sentenza n.33642/2005 (Presidente: Morgigni; Relatore: Corradini)

CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

 

SEZIONE FERIALE PENALE

 

SENTENZA

 

Osserva in fatto e in diritto

Con sentenza in data 17 agosto 2005 la Corte d’Appello di Roma ha disposto la consegna all’Autorità giudiziaria del Regno Unito di H. O., nato in Eritrea ovvero in Somalia il 23/7/1978, alias I. A. H., nato in Etiopia nel 1978, nei cui confronti la "The Commission of the peace for England ed Wales Bow Street Magistrates Court" aveva emesso in data 29/7/2005 mandato d’arresto europeo[1]. La Corte territoriale ha altresì rinviato la consegna al termine di 35 giorni dalla data della sentenza, al fine di consentire alla autorità giudiziaria italiana di completare le investigazioni in corso per i reati di cui agli artt. 270-bis e 497-bis Codice Penale in ordine ai quali il GIP del Tribunale di Roma il 1ƒ agosto 2005 ha emesso ordinanza di custodia cautelare.

La Questura di Roma aveva proceduto in data 30 luglio 2005, in via provvisoria, all’arresto di O. H. alias I. A. H., perché ricercato in campo internazionale dalle autorità del Regno Unito, a seguito dei fatti verificatisi a Londra il 21 luglio 2005, subito dopo i quali il suddetto si era allontanato da quella città, recandosi in Italia dove aveva già dimorato in passato.

Il mandato di arresto europeo conteneva la seguente descrizione dei fatti:

"Giovedì 21 luglio 2005 si verificavano più tentativi volti a provocare delle esplosioni in tre luoghi della metropolitana di Londra e una sull’autobus n. 26.

L’indiziato H. O. alias H. si rendeva autore dell’attentato su un treno della linea Hammersmith & City della metropolitana di Londra quando il treno si trovava poco distante dalla stazione di Shepherds Bush.

Alle ore 12,25 circa del 21 luglio 2005, tre uomini entravano nella stazione di Stockwell della metropolitana di Londra. Ognuno di loro portava uno zaino contenente degli ordigni esplosivi che i tre hanno tentato di fare detonare in luoghi diversi.

Il primo uomo ha tentato di far detonare un ordigno esplosivo fuori dalla stazione di Oval alle ore 12,33, circa.

Il secondo uomo ha tentato di far detonare il suo ordigno esplosivo sul piano superiore di un autobus della linea n. 26 che si trovava nella Shoreditch High Street alle ore 12,33 circa.

Il terzo uomo, identificato successivamente in Yasin Omar e arrestato, ha tentato di fare detonare il suo pacco esplosivo alla stazione di Warren Street.

Gli spostamenti dei tre uomini sono stati ripresi dalle videocamere dalla CCTV.

Il quarto uomo è stato identificato in H. O. alias H.. è entrato verso le ore 12,20 alla stazione di Westbourne Park. Portava uno zaino che conteneva un ordigno esplosivo. è stato ripreso dalla videocamera CCTV alle 12,21 quando si trovava sul binario della stazione direzione ovest prima di salire su un treno alle 12,24. Salito sul treno viene ancora ripreso dalla videocamera CCTV, allorché tenta di fare detonare il suo ordigno esplosivo.

I testimoni hanno detto che, subito dopo l’esplosione, l’indiziato veniva visto in piedi vicino alla porta all’altra estremità della carrozza, con un buco carbonizzato nello zaino e da questo fuoriuscivano delle perdite. I testimoni vedevano cadere a terra l’indiziato. Dopo la detonazione è scattato l’allarme del treno ed i passeggeri si sono spostati nelle altre carrozze. Il treno è quindi entrato nella stazione di Shepherds Bush. L’indiziato ha abbassato il finestrino della porta che da accesso alla carrozza accanto ed è sceso dal treno sulle rotaie avviandosi verso la stazione di Latimer Road da dove proveniva il treno. Un testimone ha seguito gli spostamenti dell’indiziato da quando era sul treno a quando, camminando lentamente sulle rotaie per 200 o 300 metri, girava a destra, sparendo. Un altro testimone ha tentato di filmare l’indiziato con il suo telefonino cellulare. Un altro testimone ancora ha visto lo zaino precedentemente portato dall’indiziato, a terra nella carrozza del treno".

Con il detto mandato la autorità giudiziaria emittente aveva contestato a H. O. sette capi di incolpazione, che prevedevano pene da un minimo di dieci anni al massimo dell’ergastolo, del seguente tenore:

1. Avere attentato il 21 luglio 2005 alla vita dei passeggeri nella metropolitana di Londra in violazione della sezione 1 della "Criminal Attemps Act", legge sul tentato reato del 1981;

2. Avere concorso con altre persone sconosciute, prima del 21 luglio 2005, in un attentato alla vita dei passeggeri della metropolitana di Londra in violazione della sezione 1 della "Criminal Law Act", legge sulla criminalità del 1977;

3. Avere concorso con altre persone sconosciute, prima del 21 luglio 2005, utilizzando una sostanza esplosiva in un tentativo di provocare una esplosione tale da mettere in pericolo la vita altrui ovvero provocare danni alle proprietà in violazione della sezione 3 "Esplosive Substances Act", legge sulle sostanze esplosive del 1883;

4. Preparazione in data 21 luglio 2005 di, in modo illegale e con dolo, oppure detenzione di o l’aver sotto il suo controllo, una sostanza esplosiva con l’intenzione di utilizzarla per mettere in pericolo la vita altrui, oppure provocare gravi danni alle proprietà in violazione della sezione 3 della "Esplosive Substances Act", legge sulle sostanze esplosive del 1883;

5. Preparazione in data 21 luglio 2005 di una sostanza esplosiva in circostanze tali da destare sospetto ragionevole che la persona non deteneva ne aveva sotto il suo controllo tale sostanza per uno scopo lecito, in violazione della sezione 4 della "Esplosive Substances Act", legge sulle sostanze esplosive del 1883;

6. Detenzione, in data 21 luglio 2005, oppure l’avere sotto il suo controllo consapevolmente in circostanze tali da destare sospetto ragionevole che la persona non deteneva né aveva sotto il suo controllo tale sostanza per uno scopo lecito, in violazione della sezione 4 della "Esplosive Substances Act", legge sulle sostanze esplosive del 1883;

7. Detenzione, in data 21 luglio 2005, di un prodotto, cioè di una sostanza esplosiva, in circostanze tali da destare sospetto ragionevole che la detenzione della cosa era finalizzata alla commissione, alla preparazione oppure alla istigazione di un attentato per finalità terroristiche, in violazione della sezione 57 della "Terrorism Act", legge sul terrorismo del 2000.

Il mandato di arresto precisava che "Una perizia precoce degli ordigni trovati nei quattro luoghi delle esplosioni del 21 luglio indica che il tipo di materiale esplosivo TAPT o HMTD è stato utilizzato per il meccanismo di detonazione. Entrambi questi materiali sono a base di perossido".

Inoltre il giudice richiedente, con dichiarazione in data 11/8/2005, trasmessa il 12/8/2005, contenente informazioni da allegare al mandato originale, precisava: "A Londra sono stati ritrovati cinque ordigni esplosivi in connessione con gli incidenti avvenuti il 21 luglio 2005, quattro dei quali parzialmente esplosi, mentre un quinto, ritrovato nei giardini di Little Wormwood Srubs, è intatto ed inesploso. Gli ordigni, improvvisati e tutti di fattura simile, sono stati consegnati alla Polizia scientifica che sta esaminando i reperti. Una analisi preliminare dei campioni di materiale operato dagli ordigni improvvisati indica che il materiale contenuto ha proprietà esplosive. In aggiunta bisogna considerare che, sebbene questo sia il risultato di un esame preliminare, un campione della polvere bianca ritrovata dal detonatore improvvisato dell’ordigno inesploso, trovato nei giardini di Little Wormwood Srubs, è stato identificato come TAPT (triacetone triperoxide)".

L’arrestato non acconsentiva alla consegna richiesta dalle Autorità del Regno Unito.

Ammetteva di avere commesso la azione contestata e di avere partecipato, sotto la direzione di certo M., indicato come l’ideatore del piano, al confezionamento del contenuto dello zaino da lui indossato al momento del fatto e degli altri contenitori, composto da un liquido solitamente usato per decolorare i capelli, farina e chiodi ed alla applicazione del detonatore contenente della polvere, che poi era esploso mediante il contatto manuale dei fili elettrici, ma sosteneva che la sua intenzione non era peraltro quella di uccidere i passeggeri della metropolitana, bensì di compiere un atto dimostrativo, consistente in un botto ed in una vampata, contro la partecipazione del Governo inglese alla guerra in Iraq e di protesta nei confronti degli episodi di maltrattamento che le donne mussulmane avevano subito a Londra dopo gli attentati della metropolitana del 7 luglio precedente.

La difesa dell’arrestato, all’udienza fissata in camera di consiglio per la decisione davanti alla Corte d’Appello di Roma, eccepiva il mancato rispetto delle costituzionali ai sensi dell’art. 2 della legge italiana 22 aprile 2005 n. 69 (in G.U. n. 98 del 29 aprile 2005, nonché la presenza di condizioni ostative alla consegna dell’H. di cui all’art. 18 lett. a) della stessa legge ("rifiuto di consegna se vi sono motivi oggettivi per ritenere che il mandato di arresto europeo è stato emesso al fine di perseguire penalmente o di punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, della sua religione, della sua origine etnica, della sua nazionalità della sua lingua, delle sue opinioni politiche"), alla stregua dello stato di allarme ricollegabile agli eventi luttuosi di matrice terroristica che avevano colpito il Regno Unito. Sosteneva, altresì la necessità di acquisizione di una perizia sulla potenzialità offensiva dei pretesi ordigni.

La Corte di Appello, con la sentenza impugnata, su tali punti, ai limitati effetti di cui all’art. 17 n. 4 della legge de qua ("In assenza di cause ostative la corte di appello pronuncia sentenza con cui dispone la consegna della persona ricercata se sussistono gravi indizi di colpevolezza..."), ha rilevato che:

- doveva ritenersi la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell’arrestato alla stregua della documentazione principale ed aggiuntiva trasmessa dal Regno Unito, della prova della sua fuga immediatamente successiva al fatto ed anche delle sue ammissioni, senza che potesse invece trovare ingresso nel procedimento, finalizzato alla consegna della persona ricercata, l’accertamento peritale sulla idoneità dello strumentum sceleris ovvero sulle ragioni del mancato esito ferale della detonazione e sulla esistenza o meno di una organizzazione sovversiva con finalità di terrorismo a cui H. alias I. fosse associato;

- dovevano essere considerati idonei gli elementi prospettati d’autorità richiedente in relazione ai materiali esplosivi rinvenuti e sequestrati ed alla vita ed alla attività dell’arrestato il quale, dopo avere ottenuto nel Regno Unito lo stato di rifugiato politico ed il sussidio governativo, assumendo una falsa identità, aveva poi utilizzato tale stato per l’esercizio di atti violenti in un contesto ambientale già scosso dagli attentati del 7 luglio 2005, che aveva colpito la intera comunità internazionale.

Ha, poi, aggiunto che non erano stati comunque indicati elementi specifici sulla base dei quali ritenere che la posizione dell’arrestato potesse essere pregiudicata ai sensi del menzionato 18 lett. a), mentre l’Autorità richiedente aveva fornito le garanzie di cui all’art. 19 lett. b) della stessa legge ("se il reato in base al quale il mandato di arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà personale a vita, l’esecuzione di tale mandato è subordinata alla condizione che lo Stato membro di emissione preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena comminata, su richiesta o entro venti anni, oppure l’applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro di emissione, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite") attraverso il richiamo al "Royal Pardon".

Ha proposto ricorso per cassazione in data 25 agosto 2005 il sedicente I. A. H. con riferimento ai punti della sentenza riguardanti il mancato accoglimento da parte della Corte di Appello della sua richiesta di integrazione delle fonti di prova e la decisione di dare esecuzione alla consegna dell’indagato, chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata per mancata assunzione di una prova decisiva e comunque la declaratoria di rifiuto di consegna dell’indagato.

Ha all’uopo dedotto, con due separati motivi:

- Violazione dell’art. 6 commi 4, lett. a) e 5 e 6 della legge n. 69 del 2005, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. d) e c) cod. proc. pen., per avere la Corte d’Appello ritenuti sufficienti, ai fini del contenuto del mandato di arresto europeo, alcuni riferimenti descrittivi concernenti la presenza dell’indagato, nella data del 21 luglio 2005, all’interno di una carrozza della metropolitana di Londra, munito di uno zaino, che, dopo lo scoppio, aveva abbandonato sul posto, circostanza questa ammessa dallo stesso I. H., in assenza peraltro di un accertamento tecnico peritale avente ad oggetto l’analisi di quanto contenuto all’interno dello zainetto in possesso dell’indagato, al fine di avere una conoscenza scientifica del materiale presente, del quantitativo di esplosivo e delle ragioni per cui la detonazione si era limitata ad una esplosione minima ed innocua, al pari di quanto avvenuto con riguardo agli esplosivi collocati quello stesso giorno in altri punti della città di Londra; in assenza, cioè di un accertamento tecnico, costituente il punto di partenza per una decisione fondata sulle norme che regolano il nostro ordinamento costituzionale, i diritti fondamentali dell’uomo ed i principi consacrati nei Trattati Internazionali, accertamento che l’Autorità inglese non aveva ritenuto di inviare, benché in sede di interrogatorio dell’indagato, alla presenza di tale Autorità, ne fosse stato sollecitato l’invio da parte della difesa dello stesso, e che neppure la Corte di Appello aveva ritenuto di richiedere, pur trattandosi di accertamento attinente alle condizioni necessarie per la emissione del mandato ed alle fonti di prova relative alle contestazioni, ai sensi dell’art. 6, comma 4, lett. a) della legge n. 69 del 2005;

- sussistenza di un elemento ostativo alla consegna, ai sensi dell’art. 18, comma 1, lett. a), della legge n. 69 del 2005, essendo l’indagato un mussulmano di nazionalità etiope e cioè una persona percepita nel territorio inglese, nell’attuale momento storico, per ragioni legate al terrorismo, con diffidenza e riluttanza con conseguente pericolo che l’aspra campagna di stampa inglese possa influire sulla libera determinazione dell’organo giudicante, pregiudicando la indipendenza e la oggettività del giudizio e comunque influire negativamente sulla posizione processuale dell’indagato, come dimostrato dalla uccisione, da parte della polizia, di un brasiliano, dopo i noti attentati a Londra del 7 luglio 2005, rivelatosi poi estraneo alla vicenda.

Il Governo del Regno Unito ha depositato in data 30 agosto 2005 una memoria difensiva chiedendo il rigetto del ricorso. Ha rilevato che il mandato di arresto emesso dalla Corte dei Magistrati di Bow Street, costituente l’autorità con competenza di estradizione attiva e passiva per il Regno Unito, con cui si chiedeva la consegna di O. H. alias I. H., quale ricercato, insieme ad altre persone, per i fatti del 21 luglio 2005, composto da undici pagine e conteneva tutti gli elementi previsti dall’art. 6 della legge italiana n. 69 del 2005 ed in particolare a pagine 3, 4 e 5, l’elenco delle fonti di prova a carico della persona, di cui è richiesta la consegna, e consistenti nel rilevamento con sistemi audiovisivi a circuito chiuso CCTV con i quali si identificava la persona richiesta sui luoghi del fatto, in decine di riferimenti testimoniali diretti ed indiretti in ordine al comportamento della persona richiesta, nonché nel sequestro di corpi del reato costituiti da più di cento chili di perossido e dei componenti realizzati per perpetrare gli attentati, utilizzati in precedenti atti terroristici ed identificati con le denominazioni di TATP (triacetone triperoxide) e HMTD, costituenti esplosivi ad alta potenzialità che potevano essere fabbricati facilmente in modo artigianale e che da sempre erano utilizzati da appartenenti ad associazioni terroristiche.

Ha aggiunto che tali elementi dovevano ritenersi sufficienti, ai sensi della decisione Quadro del Consiglio dell’unione Europea del 13 giugno 2002 e delle normative di attuazione, senza necessità di alcun accertamento peritale, sia perché la valutazione sulla consistenza e fondatezza degli elementi probatori spettava soltanto allo stato richiedente, sia per la dilatazione dei termini di consegna che avrebbe richiesto una perizia, con conseguente vanificazione della finalità di bilaterale fiducia, collaborazione fra gli stati europei e tempestività perseguita dalla legge quadro, ma anche e soprattutto per l’assorbente rilievo che il reato di strage, contestato all’indagato, era un reato di condotta a consumazione anticipata ove il tentativo era impossibile, il che rendeva irrilevante qualsiasi accertamento sulla potenzialità dell’esplosivo e sull’elemento psicologico relativo alla previsione dell’evento.

Ha altresì precisato che non esisteva pregiudizio nei confronti dell’indagato da parte dell’autorità giudiziaria inglese, poiché il Regno Unito concede un’adeguata difesa a carico dello Stato a scelta del prevenuto ed ha ratificato da tempo la Convenzione dei Diritti dell’Uomo del 4/11/1950, riconoscendo la giurisdizione della Corte di Strasburgo, ed addirittura, con la promulgazione dell’Human Rights Act del 1998, ha conferito prevalenza alla detta Convenzione sulla legislazione ordinaria e sulla giurisprudenza delle Corti Superiori.

Infine, ha escluso pure la violazione dell’art. 18 lettera o) della legge n. 69 del 2005 (che riporta un principio ricorrente nella Convenzione sulla estradizione del 1957 ed in tutti i trattati bilaterali, diretto ad evitare sia contrasti di giudicati che violazioni del principio del ne bis in idem), poiché: a) i fatti attribuiti all’indagato con il mandato in esame sono diversi da quelli per cui sono state avviate le indagini da parte della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma e che riguardano i reati di cui all’art. 270-bis e 497-bis del codice penale italiano; b) gli accordi bilaterali internazionali e soprattutto la Convenzione di New York del 15/12/1997 per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di eplosivo, sottoscritta sia dall’Italia che dal Regno Unito, stabiliscono agli artt. 8 e 9, Persino nel caso in cui due paesi procedano per lo stesso fatto-reato, un criterio di competenza esclusiva e prioritaria appartenente allo stato membro maggiormente colpito dall’atto terroristico (d’uopo menziona la sentenza pronunciata da Corte Suprema in data 3/12/2004 nel caso R. O.).

Ha depositato in data 7/9/2005 una memoria anche il Procuratore Generale presso questa Corte concludendo per il rigetto del ricorso.

Ha rilevato che la denunciata violazione dell’art. 606, lett. d), cod. proc. pen. non si attaglia al caso in esame in quanto proponibile soltanto avverso un provvedimento emesso a conclusione di un procedimento di cognizione e che non può parlarsi neppure di violazione dell’art. 16 della legge 22 aprile 2005 n. 69, apparendo sufficienti le analisi preliminari sui campioni effettuate dalle autorità inglesi e non essendo neppure ipotizzabile il compimento di attività di indagine da parte dell’autorità giudiziaria italiana, che sarebbe lesivo degli accordi internazionali, oltre che della sovranità dello stato estero.

Ha aggiunto che nel mandato sono contenute sufficienti informazioni sulla natura e sulla qualificazione giuridica dei fatti, non sindacabili dalla autorità giudiziaria italiana, tranne il caso che siano palesemente arbitrarie e che non sussiste neppure il rischio, paventato dal ricorrente, di un processo non equo nel Regno Unito ovvero di un condizionamento da parte delle autorità di quello Stato ed, infine, che i fatti per cui si procede in Italia sono diversi da quelli per cui si procede a carico del ricorrente nel Regno Unito.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Con il primo motivo il ricorrente si duole sostanzialmente del rigetto della sua richiesta di una perizia integrativa, da eseguirsi da parte della Autorità del Regno Unito, in ordine alla idoneità del materiale in sequestro a provocare la morte dei passeggeri della metropolitana, rigetto che renderebbe gli indizi di colpevolezza a carico dell’indagato privi del carattere di gravità richiesto dalla legge italiana sul mandato di arresto europeo (art. 6, comma 4, lett. a, della legge n. 69 del 2005) ai fini della possibilità di consegna del ricercato allo Stato richiedente e che integrerebbe altresì la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen., trattandosi della mancata assunzione di una prova decisiva.

La violazione dell’art. 606, comma 1, lett. d) cod. proc. pen. non è invocabile in questa sede, in quanto, come ritenuto dalla giurisprudenza costante, a fondamento della misura cautelare adottata nel corso delle indagini non si richiede l’allegazione di prove decisive, non essendo il provvedimento privativo della libertà personale equiparabile alla decisione di merito sulla fondatezza dell’accusa, cosicché la verifica degli indizi in sede cautelare resta sottratta alla disciplina riguardante la prova, prevista dall’art. 495 cod. proc. pen. (v. per tutte Cass. Sez. 3 n. 3603 del 15/11/1999 rv 216441; Cass, sez. 6 n. 113 del 18/1/1993 rv 193345 e n. 2667 dell’1/10/1993 rv 196598) il vizio sopra indicato comunque non può avere ad oggetto una perizia, che costituisce un mezzo di prova per sua natura neutro, non classificabile né a carico né a discarico dell’accusato, oltretutto rimesso essenzialmente al potere discrezionale del giudice e sottratto al potere dispositivo delle parti cui si richiama la disposizione citata facendo riferimento all’art. 495 comma 2 cod. proc. pen. e cioè alle prove legalmente e tempestivamente richieste nel dibattimento (v., per tutte, Cass. 28/10/1998, Patrizi; Cass. 6/4/1999, Mandalà).

Non sussiste neppure la violazione dell’art. 6, coma 4, lett. a) della legge n. 69 del 2005, poiché al mandato di arresto è stata regolarmente allegata una compiuta relazione sui fatti contenente altresì la specifica indicazione delle fonte di prova; il mandato, inoltre, è congruamente motivato e contiene la indicazione del provvedimento cautelare con il dettaglio degli elementi cui è fondato. Il ricorrente ha, però, rilevato che aveva richiesto nel procedimento davanti alla Corte di Appello di Roma una integrazione probatoria riguardante la natura e la pericolosità del materiale esplosivo in sequestro, ai sensi dell’art. 16 della legge citata, la cui mancanza impedirebbe la consegna dell’arrestato allo stato richiedente per difetto dei gravi indizi di colpevolezza, in effetti menzionati dall’art. 17, comma 4, che subordina la consegna della persona ricercata alla sussistenza di gravi indizi.

Occorre premettere che la Decisione Quadro del Consiglio dell’Unione Europea 13 giugno 2002 n. 2002/584/GAI, in applicazione del Trattato dell’Unione Europea ed in particolare degli artt. 31 lettere a) e b) e dell’art. 34, paragrafo 2, lettera b), al fine dichiarato di facilitare la estradizione fra gli stati membri e di prevenire i conflitti di giurisdizione, ha rilevato che il meccanismo del mandato europeo si basa su un elevato livello di fiducia tra gli stati membri ed è teso a superare l’istituto estradizionale per sostituirlo con la consegna delle persone ricercate (secondo una procedura che risulta semplificata rispetto a quella in vigore precedentemente) nell’ambito della realizzazione del principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giurisdizionali straniere, in uno spazio comune fondato su principi condivisi di civiltà giuridica.

In tale ambito si inquadra la legge italiana n. 69 del 2005, la quale, nel richiamare e recepire la Decisione Quadro, cui dà attuazione, dispone, onde assicurare una piena collaborazione tra gli stati membri (art. 16, chiaramente collegato all’art. 6 comma 2 ed al corrispondente art. 15 della Decisione Quadro), che possano essere richieste della autorità emittente informazioni integrative occorrenti ai fini della decisione.

Orbene, la formulazione della norma, che richiama le informazioni di cui alle lettere a), c), d), e) ed f) del comma 1 dell’art. 6, con chiaro riferimento ad informazioni e documentazione già in possesso dello stato richiedente, non può essere interpretata nel senso che possa essere richiesta alla autorità straniera la assunzione di una nuova prova non acquisita o non ancora acquisita, essendo ciò incompatibile con il principio di sovranità dei singoli stati ed anche con i tempi occorrenti per la assunzione di una prova.

Deve anzi ritenersi che non competa alla autorità giudiziaria di esecuzione neppure la "valutazione" della gravità degli indizi su cui si fonda il provvedimento cautelare straniero. Infatti l’art. 9, comma 5, della legge n. 69, sia pure ai fini delle misure cautelari da emettere nel procedimento di ricezione del mandato di arresto, esclude espressamente dalle disposizioni della legge italiana applicabili, in materia cautelare, gli artt. 273, commi 1 e 1-bis e gli artt. 274, comma 1, lett. a) e c) e 280 cod. proc. pen. e cioè, in particolare, la valutazione della gravità degli indizi di colpevolezza che deve essere compiuta nell’ordinamento interno ai fini della emissione di una misura cautelare, ma che, nel caso di un mandato europeo, spetta alla autorità giudiziaria di emissione. Il che appare del tutto in linea con l’obiettivo dell’Unione Europea di diventare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, con la soppressione dell’estradizione fra gli stati membri e la sua sostituzione con un sistema di consegna tra autorità giudiziarie, al fine di eliminare le complessità ed i potenziali ritardi connessi alla disciplina attuale in materia di estradizione (punto 5 dei "Consideranda" del preambolo della Decisione Quadro).

D’altronde, già nella precedente disciplina estradizionale disegnata dal nostro codice di rito, gli elementi probatori posti a fondamento del titolo estradizionale assumevano rilevanza solo nei casi residuali di cooperazione non convenzionata, mentre nel quadro della cooperazione estradizionale fra i paesi UE, fondata sulla Convenzione Europea di Estradizione di Parigi del 1957, resa esecutiva in Italia con legge 30 gennaio1963 n. 300, non era previsto l’esame degli indizi di reità che avevano giustificato l’emissione del titolo estradizionale (art. 12, 2ƒ comma, lett. a), né era applicabile, ai fini della emissione della misura cautelare, l’art. 273 del codice di rito, per espressa esclusione del successivo art. 714, essendo invece previsto soltanto l’accertamento della identità dell’estradando e della esistenza del titolo su cui si fonda la domanda attraverso l’esame degli atti trasmessi a corredo della stessa (v. per tutte Cass. sez. 6 n. 1118 del 27 marzo 2000, rv 215851, Odigie Obeide; Cass. Sez. 6, n. 47039 dell’1/12/2004 n. 47039 rv 230498, Rabei Osman).

è vero che l’art. 17, comma 4, della legge n. 69 richiama, ai fini della pronuncia di consegna del ricercato alla autorità straniera la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza, ma tale disposizione, che è stata oggetto di vari emendamenti in sede dei plurimi passaggi parlamentari e che ha poi assunto la formulazione definitiva al fine di rispettare i limiti imposti dalla nostra Costituzione, specie in tema di giusto processo, deve essere interpretata in base al criterio logico e sistematico, con riferimento al menzionato art. 9, nel senso che la autorità giudiziaria italiana è tenuta a controllare che sussista la motivazione in ordine al provvedimento cautelare in base al quale è stato emesso il mandato di arresto europeo (come disposto dall’art. 18, lett. t, della legge) ed alle esigenze cautelari che si assumono sussistenti, nonché in ordine alle fonti di prova su cui è basato il mandato, ma non anche nel senso che spetti alla autorità giudiziaria italiana una nuova pregnante valutazione di tali fonti analoga a quella spettante nell’ordinamento interno al Tribunale del riesame. Ciò costituirebbe un passo indietro rispetto addirittura al procedimento estradizionale e sarebbe comunque impedito dalla mancanza degli atti del procedimento.

Si deve quindi ritenere che il controllo affidato all’autorità giudiziaria di esecuzione sia limitato alla sussistenza della motivazione, cui deve essere equiparata la mera apparenza della stessa, dovendo il mandato di arresto europeo essere fornito di argomentazioni adeguate e controllabili.

Nel caso in esame correttamente la Corte di Appello ha ritenuto che esiste una adeguata motivazione e tale giudizio è del tutto condivisibile alla stregua delle indicazioni degli elementi specificati dalla autorità emittente, dotati di congruità logica e di compiutezza e ciò anche con riguardo agli accertamenti tecnici, pur se necessariamente preliminari e sommari, sulle sostanze in sequestro, provenienti dalla autorità di polizia del Regno Unito.

Va altresì constatato che questi ultimi, ai limitati fini cautelari, avrebbero valore gravemente indiziario anche nell’ordinamento interno italiano.

La prima doglianza è quindi infondata, poiché basata su una interpretazione non corretta dei poteri della autorità giudiziaria di esecuzione del mandato di arresto europeo.

è infondato anche il secondo motivo di gravame con cui il ricorrente si duole dell’ordine di consegna all’autorità emittente, nonostante la presenza dei motivi ostativi previsti dall’art. 18, comma 1 , lett. a, della legge n. 69 del 2005, con specifico riguardo alla seconda parte della disposizione, laddove vieta la consegna se la posizione della persona, a causa della sua razza, della sua religione, della sua origine etnica o delle sue opinioni politiche possa essere pregiudicata nello Stato emittente.

Tale disposizione ripete pedissequamente il punto 12 dei "Consideranda" del Preambolo della Decisione Quadro e si riallaccia all’art. 2 della stessa legge, laddove prevede il rifiuto di consegna dell’imputato o del condannato in caso di persistente violazione, da parte dello stato richiedente, constatata dal Consiglio dell’Unione Europea, dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo firmata a Roma il 4 novembre 1950 ed in particolare dell’art. 5 (diritto alla libertà ed alla sicurezza) e dall’art. 6 (diritto ad un processo equo), nonché dei Protocolli addizionali alla Convenzione stessa.

Anche in tal caso non si tratta di una novità poiché già la Convenzione Europea di estradizione prevedeva all’art. 3 un caso analogo di rifiuto della estradizione, richiamato comunque anche dall’art. 698, comma 1, del cod. proc. pen. vigente.

Si tratta però di situazione che non ricorre nel caso in esame, poiché la norma prevede che il possibile pregiudizio della persona richiesta per motivi religiosi o etnici o politici debba risultare da circostanze oggettive e nella specie nessuna di tali circostanze è stata indicata dal ricorrente, il quale si è limitato a richiamare l’allarme sociale provocato dagli attentati di Londra ed il singolo episodio di uccisione di un cittadino brasiliano, ritenuto coinvolto negli attentati e risultato poi estraneo alla vicenda. Questi elementi non sono di per sé significativi dell’esistenza di un pregiudizio, da parte della autorità giudiziaria del Regno Unito, con riferimento al successivo procedimento giudiziario: l’allarme è correlato alla gravità dei fatti ed è presente in tutti i paesi; la morte del cittadino brasiliano è una vicenda isolata frutto di una reazione abnorme di un componente della polizia e non certo ascrivibile ai vari gradi della giurisdizione.

D’altronde la tradizione civile dello Stato richiedente, la cui legislazione vieta la sottoposizione ad atti persecutori e discriminatori, e che, con la promulgazione dell’Human Rights Act 1998, ha conferito prevalenza sulla legislazione ordinaria e sulla stessa giurisprudenza delle Corti Superiori alla Convenzione dei Diritti dell’uomo del 4 novembre 1950, costituisce ampia garanzia della esclusione di qualsiasi pregiudizio della posizione del ricorrente nel Regno Unito a causa delle sue caratteristiche personali e della ininfluenza di una eventuale opinione pubblica esacerbata dagli attentati terroristici sulle decisioni della autorità giudiziaria. Né in tal senso può essere interpretata la mancata trasmissione, da parte del Regno Unito, di una perizia immediata sui materiali in sequestro, richiesta dalla difesa del ricorrente nel corso dell’udienza in camera di consiglio davanti alla Corte di Appello di Roma, poiché, se la perizia non esisteva, non poteva essere trasmessa, costituendo pura illazione il collegamento della mancata trasmissione di una perizia inesistente ad un comportamento discriminatorio.

Come già rilevato dalla sentenza impugnata, non sussistono poi altri elementi ostativi alla consegna del ricercato allo stato emittente, comunque non indicati con il ricorso per cassazione dalla difesa dell’H. ed affacciati invece - per escluderli - dalla difesa del Regno Unito nella memoria depositata il 3 agosto 2005, sotto il profilo (previsto dalla lett. o dell’art. 18) della identità del fatto per cui è stato emesso il mandato d’arresto europeo rispetto a quello per cui si procede in Italia. Sul punto va infatti rilevato che i fatti per cui si procede nel Regno Unito sono diversi per oggettività giuridica e tipologia di reato da quelli per cui si procede in Italia: nel Regno Unito, infatti, le imputazioni attengono alle ipotesi di "attentato alla vita dei passeggeri" (capi 1, 2, 3), alla preparazione e detenzione di esplosivi (capi 4, 5, 6 e 7); in Italia, invece, si procede per i delitti di "associazione con finalità di terrorismo internazionale" (art. 270-bis cod. pen) e "frode nel farsi rilasciare certificati del casellario giudiziale e uso indebito di tali certificati" (art. 497 cod. pen.).

Tale diversità comporta che, stante il principio di specialità ribadito dall’art. 26 della legge n. 69 del 2005, il Regno Unito non potrà procedere penalmente nei confronti del ricercato per fatti anteriori e diversi da quelli per cui viene effettuata la consegna.

In definitiva il ricorso di H. O. alias I. A. H. è infondato sotto tutti i profili addotti e deve essere respinto.

La cancelleria provvederà agli adempimenti previsti dall’art. 94 disp. att. C.P.P. e dall’art. 22, comma 5, della legge n. 69 del 2005.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.



Martedì, 11 Ottobre 2005
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