La
sospensione della patente conseguente al reato di guida in stato di
ebbrezza è espressamente qualificata dal legislatore come sanzione
amministrativa accessoria (art. 186 c.s.) e non può, conseguentemente,
essere legittimamente irrogata al conducente (pur sorpreso in stato
di ebbrezza) di un ciclomotore per la guida del quale non sia necessaria
la patente (Nuovo c.s., art. 205; nuovo c.s., art. 223; L. 24 novembre
1981, n. 689)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO. – Con provvedimento del 4 luglio
1999 il Commissario del Governo per la Provincia di Trento procedeva,
ai sensi dell’art. 186 c.d.s. approv. Con D.L.vo 285/92, a sospendere
la patente di guida a C.G. che era stato colto a guidare il suo ciclomotore
in stato di ebbrezza alcolica.
L’adito Tribunale di Rovereto accoglieva il ricorso del C. ed
annullava la sanzione accessoria adottata sull’assunto, confortato
da pronunzia del S.C. per il quale la sanzione de qua discendeva dall’abuso
– per assunzione di alcool – nell’esercizio dell’autorizzazione
amministrativa alla guida e non poteva accedere all’ipotesi in
cui per la guida (del ciclomotore) non fosse stata richiesta dalla
norma alcuna autorizzazione.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso il Commissariato
del Governo notificando l’atto il 21 novembre 2000. L’intimato
non ha svolto difese.
MOTIVI DELLA DECISIONE. – Ad avviso del ricorrente Commissario,
poiché gli artt. 97 e 115 del c.d.s. impongono svariate prescrizioni
per il legittimo esercizio della guida del ciclomotore (la detenzione
del certificato di idoneità tecnica rilasciato dalla D.G. della
M.C.T.C., l’età minima di anni quattordici, l’uso
obbligatorio del casco di protezione), non avrebbe dovuto il tribunale
richiamare, a sostegno della sua errata decisione, il precedente di
legittimità afferente un caso di guida di bicicletta, nel mentre
avrebbe dovuto rilevare come la norma aveva di mira la tutela della
sicurezza degli utenti della strada, sicuramente pregiudicata dalla
guida, nella condizione di ebbrezza alcolica, di un ciclomotore. La
prospettazione del ricorrente – certamente dettata da condivisibili
esigenze sostanziali - va respinta perché priva di alcuna base
normativa. Come esattamente affermato dal Giudice del merito, sulla
scorta della pronunzia 202/97 della 4 sezione penale di questa Corte,
l’art. 186 c.d.s. espressamente qualifica la sanzione de qua
come sanzione accessoria (cfr. Cass. 1 sez. civ. n. 5036/99), una
misura, cioè, che accede ad altra sanzione (nella specie quella
penale prevista nello stesso comma per la guida di veicolo "in
stato di ebbrezza") incidendo sull’utilizzazione del titolo
abilitativo del quale l’autore del reato (o dell’infrazione)
abbia con il suo contegno abusato. E se la ratio della norma , e correlativamente
la condizione per affermare la sua ragionevolezza, sta proprio nell’intento
di colpire siffatto abuso (con una sanzione che è affittiva
ed "educativa" allo stesso tempo), non si vede come potrebbesi
scorgere il predetto nesso le volte in cui il veicolo guidato in stato
di ebbrezza non richieda alcuna patente di guida (a ben diverse esigenze
rispondendo le prescrizioni sul certificato di conformità o
sul casco da indossare obbligatoriamente) e ben possa essere condotto
da persona, anche maggiorenne, che di quel titolo sia affatto privo
(e che, pertanto, se colto in stato di ebbrezza alla guida di quel
ciclomotore non sarebbe certamente, quanto irragionevolmente, sottoposto
alla sanzione de qua). Ma poiché a siffatta interpretazione
irrazionale nulla obbliga a pervenire (e spettando al legislatore
adottare, per l’ipotesi in discorso, altre, diverse e pertinenti
sanzioni accessorie), non resta che respingere il ricorso (non provvedendo
sulle spese in assenza di difese dell’intimato). [RIV-1104].