Il
diritto al risarcimento da fatto illecito concretatosi in un evento
gravemente invalidante va riconosciuto (con riguardo sia al danno
morale, sia a quello patrimoniale) anche al convivente more uxorio
della vittima primaria, il quale deve dimostrare l’esistenza
e la portata dell’equilibrio affettivo - patrimoniale instaurato
con la medesima. Per poter esser ravvisato il vulnus ingiusto a tale
stato di fatto, deve esser dimostrata l’esistenza e la durata
di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole assistenza
materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine la prova di
una relazione amorosa, per quanto possa esser caratterizzata da serietà
di impegno e regolarità di frequentazione nel tempo, perché
soltanto la prova della assimilabilità della convivenza di
fatto a quella stabilita dal legislatore per i coniugi può
legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica di fronte ai
terzi.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8976 del
29 aprile 2005, sottolineando che, come emerge dalla legislazione
vigente e dalle pronunce giurisprudenziali, la convivenza assume rilevanza
sociale, etica e giuridica in quanto somiglia al rapporto di coniugio,
anche nella continuità nel tempo.
La Suprema Corte precisa inoltre che la prova degli elementi strutturali
e qualificativi, concreti e riconoscibili all’esterno, presupposti
dell’esistenza della convivenza more uxorio, può esser fornita
con qualsiasi mezzo (articolo 2697 Cc), mentre il certificato anagrafico
(Dpr 223/89) può tutt’al più provare la coabitazione,
essendo però insufficiente a provare la condivisione di pesi
e oneri di assistenza personale e di contribuzione e collaborazione
domestica analoga a quella matrimoniale.
(Altalex, 26 maggio 2005)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
SENTENZA 29 aprile 2005, n. 8976
(Presidente Giuliano – relatore Chiarini)
Svolgimento
del processo
Con citazione notificata il 16 aprile 1996 O. Bruno, unitamente a
M. Anna e al figlio di costei, M. Antonio, convenivano dinanzi al
tribunale dì Milano R. Renato, R. Renzo e la Ras Assicurazioni
Spa chiedendone la condanna al risarcimento dei danni da essi subiti
a seguito dell’incidente verificatosi il 27 dicembre 1992, in
cui l’auto dell’O., condotta dalla sua convivente M. Anna,
era stata investita dall’auto condotta da R. Renato, di proprietà
di R. Renzo.
A causa della collisione la M. riportava gravi lesioni e fratture,con
conseguente invalidità temporanea totale per quindici mesi,
e postumi permanenti del 50%, incidenti sulla capacità lavorativa
al 100%, si che ad esso O. erano derivati, di riflesso, gravi danni,
morale e biologico, per complessive lire 250.000.000, oltre al danno
patrimoniale per l’autovettura.
Con sentenza dell’11 marzo 1998 il tribunale di Milano rigettava
la domanda dell’O. perché sfornita di prova in mancanza
di indicazione del periodo di convivenza, delle conseguenze su di
essa e sull’O. dopo l’incidente, nonché dell’anno
di immatricolazione e dello stato di conservazione dell’auto.
La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 29 settembre 2000,
accoglieva l’appello dell’O. limitatamente al risarcimento
del danno all’auto.
Confermava per il resto il rigetto del gravame sulla considerazione
che la convivenza con la M. aveva avuto inizio da breve tempo - nell’anno
dell’incidente - e difettavano altri elementi probatori in ordine
ad aspetti rilevanti del rapporto, incidenti sui lamentati danni,
non avendo l’O. neppure dedotto una sua patologia conseguita
alle lesioni della sua convivente. Analoghe considerazioni valevano
per la richiesta di risarcimento del danno morale.
Avverso questa sentenza ricorre per due motivi l’O., cui resiste
la Spa Riunione Adriatica di Sicurtà. Entrambe le parti hanno
depositato memoria. Gli altri intimati non hanno svolto attività
difensiva.
Motivi
dalla decisione
Preliminarmente
va disposto lo stralcio dei documenti allegati alla memoria dell’O.
perché in Cassazione la produzione dei documenti è ammissibile
soltanto nei limiti indicati dall’articolo 372 Cpc e con le formalità
previste da detta norma.
Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce: “violazione
e falsa applicazione degli articoli 2059, 2043 Cc; violazione degli
articoli 2697 e 143 Cc, in relazione agli articoli 360 nn 3 e 5 Cpc”.
L’O. ha dimostrato la convivenza con la M. e tale stato è
rilevante per il nostro ordinamento ai fini anche del risarcimento
del danno, si che aver condizionato questo diritto alla durata della
convivenza o ad altri aspetti del rapporto, viola gli articoli 2043
e 2059 Cc. Il convivente more uxorio ha infatti diritto ad ottenere
il risarcimento del danno morale (analogo a quello della famiglia
legittima: articolo 2059 Cc), patrimoniale (per il contributo alla
vita quotidiana: articolo 2043 Cc), e biologico, come quello sofferto
per la morte o lesioni di prossimi congiunti.
2.-Con il secondo motivo l’O. deduce: “Violazione e falsa
applicazione degli articoli 2043 e 2059 Cc sotto un ulteriore profilo:
diritto dell’O. ad ottenere il risarcimento del danno biologico;
violazione dell’articolo 360 n. 5 Cpc”.
La Corte d’appello ha negato il risarcimento del danno biologico
che può sussistere tutte le volte che l’evento incide
sull’integrità psichica e sulle manifestazioni della vita,
incrinando l’equilibrio personale, e certamente il grado di invalidità
residuato alla M. (60%), ha leso lo status complessivo di convivente
di esso ricorrente.
I due motivi, che possono trattarsi congiuntamente perché connessi,
sono infondati.
Occorre preliminarmente considerare che, dalla libera determinazione
dei conviventi di fatto di non contrarre il vincolo del matrimonio,
e quindi di non assumere gli obblighi che l’ordinamento impone
vicendevolmente ai coniugi (coabitazione, fedeltà, solidarietà,
assistenza materiale e morale), consegue l’inesistenza di qualsiasi
diritto, sia di natura personale che patrimoniale, di un convivente
verso l’altro, ed infatti è pacifico che qualsiasi prestazione
patrimoniale fra loro, se non costituisce adempimento di una regolamentazione
negoziale, non può esser pretesa, ma determina soltanto l’effetto
della soluti retentio (articolo 2034 Cc). Da qui la difficoltà
per l’interprete, in assenza di disciplina normativa di carattere
generale sui requisiti indispensabili affinché un’unione
di fatto - anche nell’ipotesi in cui i conviventi, o uno di essi,
non sia libero di stato - sia meritevole di tutela giuridica di fronte
ai terzi, di enucleare un modello di convivenza dalla disciplina dettata
da ragioni dì solidarietà sociale (quali ad esempio
i decreti luogotenenziali 968/16, articolo 8 e 1726/18, articolo 12,
ispiratori della legge 313/68 in materia di pensioni di guerra; il
decreto luogotenenziale 1450/17, articolo 1, lett. b, in tema di assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni in agricoltura, il Dpr 1124/65,
in tema dì assicurazione obbligatoria contro gli infortuni
sul lavoro, norme peraltro emanate in un’epoca in cui nel nostro
ordinamento non vi era il divorzio, ancorché le ragioni dì
solidarietà sociale a cui esse sono ispirate hanno indotto
il giudice delle leggi - sentenza 404/88 - a dichiarare l’illegittimità
costituzionale dell’ articolo 6, comma 1, legge 392/78 nella
parte in cui non prevedeva, tra gli altri successibili nella titolarità
del contratto di locazione di immobile ad uso abitativo, in caso di
morte del conduttore, il convivente more uxorio, al quale peraltro
già la legislazione vincolistica aveva esteso la fruibilità
di alcuni benefici).
In relazione alla disciplina della responsabilità civile dalla
circolazione dei veicoli non è superfluo rilevare che il legislatore,
nell’estendere l’assicurazione obbligatoria per la RCA al
convivente, aveva previsto la risarcibilità del danno patrimoniale
e morale soltanto per il convivente superstite della vittima deceduta
- così regolamentando un’ipotesi che da tempo aveva trovato
riconoscimento giuridico nella giurisprudenza - ed aveva a tal fine
disciplinato i requisiti della convivenza (articolo 20 legge 12 gennaio
1992, tra cui la durata di essa per un periodo non inferiore a cinque
anni) - in tal modo consentendo all’interprete di superare ogni
questione scaturente dalla necessità di raccordare i principi
in tema di responsabilità civile, tra cui quello secondo il
quale il fatto dannoso, a norma dell’articolo 2043 Cc, deve essere
contra ius e cioè deve ledere un diritto, e l’esigenza
sociale di riconoscere rilevanza giuridica ad interessi e ragionevoli
aspettative non in contrasto con la legge, derivanti dalla convivenza
- ma la legge non fu promulgata proprio per la mancanza di criteri
obbiettivi per la liquidazione del danno biologico.
Comunque il dato comune che emerge dalla legislazione vigente e dalle
pronunce giurisprudenziali, è che la convivenza assume rilevanza
sociale, etica e giuridica in quanto somiglia al rapporto di coniugio,
anche nella continuità nel tempo.
Ne consegue che colui che chiede il risarcimento dei danni derivatigli,
quale vittima secondaria, dalla lesione materiale, cagionata alla
persona con cui convive dalla condotta illecita del terzo, deve dimostrare
l’esistenza e la portata dell’equilibrio affettivo - patrimoniale
instaurato con la medesima, e perciò, per poter esser ravvisato
il vulnus ingiusto a tale stato di fatto, deve esser dimostrata l’esistenza
e la durata di una comunanza di vita e di affetti, con vicendevole
assistenza materiale e morale, non essendo sufficiente a tal fine
la prova di una relazione amorosa, per quanto possa esser caratterizzata
da serietà di impegno e regolarità di frequentazione
nel tempo, perché soltanto la prova della assimilabilità
della convivenza di fatto a quella stabilita dal legislatore per i
coniugi può legittimare la richiesta di analoga tutela giuridica
di fronte ai terzi.
Quanto poi alla prova di tali elementi strutturali e qualificativi,
concreti e riconoscibili all’esterno, presupposti dì esistenza
della convivenza more uxorio e parametri caratterizzanti la stessa,
può esser fornita con qualsiasi mezzo (articolo 2697 Cc), mentre
il certificato anagrafico (Dpr 223/89) può tutt’al più
provare la coabitazione, insufficiente a provare altresì la
condivisione di pesi e oneri di assistenza personale e di contribuzione
e collaborazione domestica analoga a quella matrimoniale.
I giudici di appello, nel confermare il rigetto della domanda risarcitoria
dell’O. in conseguenza delle lesioni riportate dalla M., non
si sono discostati da tali principi avendo riscontrato la mancanza
di prova su alcuni requisiti indispensabili, tra cui la stabilità
della convivenza e la durata della medesima al momento del fatto dannoso,
la cui prova era altresì necessaria per determinare il danno
biologico e morale dell’O., perché la liquidazione dei
predetti tipi di danno deve esser personalizzata, e quindi va tenuto
conto di tutte le particolarità del caso concreto.
Quanto al danno patrimoniale dell’O., è appena il caso
di aggiungere che dalla sentenza impugnata si desume che esso nei
precedenti gradi è stato chiesto limitatamente ai danni all’auto,
e quindi in ogni caso non può esser ampliato in questa sede.
Concludendo, il ricorso va respinto.
Sussistono giusti motivi per dichiarare compensate le spese del giudizio
di Cassazione tra le parti costituite.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del giudizio
di Cassazione tra le parti costituite.
Così deciso in Roma il 14 gennaio 2005.
Depositato
in cancelleria il 29 aprile 2005.