Cassazione
, SS.UU. penali, sentenza 30.03.2005 n° 12283 () Ricevuta
la richiesta di rinvio a giudizio, il g.i.p. non può, in presenza
di una causa di non punibilità, pronunciare sentenza ex art. 129 c.p.p.
de plano, omettendo di fissare l’udienza preliminare; è, infatti,
necessario che il g.i.p. dia comunque impulso al rito tipico della
fase in corso (ovvero quello camerale dell’udienza preliminare), dove,
ricorrendone le condizioni, potrà emettere la detta declaratoria di
non punibilità, nel contraddittorio tra le parti.
Lo ha stabilito la Cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia n.
12283/2005, precisando che la definizione della controversia su iniziativa
"improvvisa" del giudice e senza avere posto le parti processuali
nella condizione di interloquire sull’oggetto della stessa penalizza
la partecipazione del P.M. al procedimento, precludendogli l’esercizio
di quelle facoltà tese eventualmente a meglio definire e supportare
l’accusa e viola il diritto di difesa dell’imputato, aspetto quest’ultimo
che, pur non dedotto dalla parte direttamente interessata, ben può
essere rilevato d’ufficio.
(Altalex,
5 aprile 2005. Nota di Luigi Viola)
CASSAZIONE
SEZIONI
UNITE PENALI
Sentenza
25 gennaio 2005 - 30 marzo 2005 n. 12283
Svolgimento
del processo
1-
Al termine delle indagini preliminari, il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Napoli richiedeva il rinvio a giudizio di De Rosa
Michele per i reati di cui agli art. 648 bis, 648, 81 cpv.-110-476-482-468
c.p., in relazione al possesso di un’autovettura di provenienza furtiva
e alla contraffazione della relativa carta di circolazione, anch’essa
di provenienza furtiva, e dei segni di identificazione del veicolo.
Il Gup dello stesso Tribunale, con sentenza 9/8/2004 emessa de plano,
ritenendo evidente - sulla base degli atti - la completa estraneità
dell’imputato alle accuse formulate, dichiarava non doversi procedere
nei confronti del medesimo "per non avere commesso il fatto"
ai sensi del primo comma dell’art. 129 c.p.p..
2- Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore
Generale presso la Corte d’Appello di Napoli, deducendo l’inosservanza
e l’erronea applicazione di legge, con riferimento agli art. 129, 416
e ss. c.p.p., per essere stato il proscioglimento adottato de plano e
non in sede di udienza preliminare e nel pieno rispetto del principio
del contraddittorio.
3- Il ricorso, assegnato alla Seconda Sezione Penale, è stato trasmesso
al Primo Presidente sul rilievo dell’esistenza, sul punto, di orientamenti
giurisprudenziali contrastanti.
Il Primo Presidente, con decreto 5/11/2004, ha assegnato il ricorso alle
Sezioni Unite per la trattazione all’odierna udienza camerale.
Motivi
della decisione
1-
Il ricorso è fondato e va accolto.
Preliminarmente deve rilevarsi che correttamente il ricorrente P.G. ha
impugnato la sentenza con ricorso per cassazione, che è l’unico
mezzo di gravame consentito nella specie dall’art. 568/2° c.p.p. (cfr.
Cass. Sez. III 15/11/1999, Grosso; Sez. VI 7/4/1998, Bove; SS. UU. 11/5/1993,
Amato, quest’ultima con riferimento al proscioglimento de plano ex art.
459/3° c.p.p.). La precisazione è opportuna per escludere l’appellabilità
della pronuncia in oggetto e la conseguente configurabilità della
proposta impugnazione come ricorso per saltum. La tesi contraria, che
pure -a volte- si è sostenuta (Cass. Sez. VI 20/1/1998, Palpacelli),
determinerebbe la destabilizzazione dei meccanismi impugnatori ed avrebbe
riverberi negativi sugli stessi diritti dell’imputato che, in caso di
riforma della sentenza proscioglitiva emessa de plano dal Gip e di rinvio
a giudizio disposto in sede d’appello, sarebbe irrimediabilmente privato
di facoltà esercitabili nell’ambito dell’udienza preliminare.
2- La questione sottoposta all’esame delle Sezioni Unite può essere
così sintetizzata: "se il giudice per le indagini preliminari,
investito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio, possa in applicazione
dell’art. 129 c.p.p. immediatamente pronunciare, in presenza di una causa
di non punibilità, sentenza di non luogo a procedere senza fissare
l’udienza preliminare".
Sul punto, vi sono contrastanti indirizzi interpretativi nella giurisprudenza
di legittimità.
2a- Un primo orientamento afferma: a) legittimamente può provvedersi
-senza fissare la relativa udienza- all’immediata declaratoria di non
punibilità dell’imputato, quando il Gip, a seguito della richiesta
del P.M. di rinvio a giudizio, rilevi dalla stessa formulazione dell’imputazione
o dagli atti contenuti nel fascicolo di cui all’art. 416/2° c.p.p.,
l’evidente sussistenza di una causa di non punibilità; b) la richiesta
di rinvio a giudizio chiude la fase delle indagini preliminari per cui
non v’è alcuna preclusione all’applicazione senza formalità
dell’art. 129, che legittima un provvedimento comunque favorevole all’imputato
e che opera in un campo distinto da quello dell’art. 425 c.p.p., rispondendo
le due norme a differenti esigenze processuali; c) il legislatore ha previsto
un compiuto sistema con riguardo alla ricorrenza delle cause di non punibilità,
dettando una serie di disposizioni applicabili nelle varie fasi del processo
e conseguenti alle differenti esigenze sequenziali (artt. 425, 469, 529
e ss. c.p.p.) ed una norma, appunto l’art. 129 c.p.p., applicabile nelle
ipotesi residuali; d) a favore della "immediata" pronuncia de
plano ex art. 129 militano il principio del favor rei ed evidenti ragioni
di economia processuale, in ossequio al dettato dell’art. 111 della Costituzione,
che impone la più rapida definizione del processo (cfr. Cass. Sez.
III 5/10/1993, Rendina; Sez. VI 28/6/1995, Sculli; Sez. III 15/1/1998,
Siccardi; Sez. V 25/11/2003, Berlusconi; Sez. IV 30/11/1995, Dal Pont
sul giudizio minorile).
2b- Altro orientamento propende per la tesi che il Gip, investito della
richiesta del P.M. di rinvio a giudizio, può adottare la declaratoria
di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. soltanto con il rito tipico della
fase in corso, cioè quello camerale dell’udienza preliminare, e
ciò per assicurare il rispetto del principio del contraddittorio,
che caratterizza la fase processuale introdotta con l’esercizio dell’azione
penale (cfr. Cass. Sez. VI 16/2/1996, Mazzocchi; Sez. I 12/10/1998, Mulazzani;
Sez. VI 15/6/1998, Amroun Belahcene; Sez. I 22/4/1998, Motika; Sez. VI
3/2/1998, Bove; Sez. VI 23/1/1998, Riciputi; Sez. VI 20/1/1998, Palpacelli;
Sez. I 1/12/1997, Vito; Sez. III 26/4/1998, Romano; Sez. VI 26/2/1999,
Tota; Sez. IV 31/5/2000, Battista; Sez. IV 21/5/1995, Zannini sul giudizio
minorile).
2c- Il contrasto verte non sull’esistenza del potere del giudice di prosciogliere
in ogni stato e grado del processo, ogniqualvolta ravvisi le condizioni
di una delle soluzioni decisorie indicate dall’art. 129, ma sul rito da
seguire per pervenire a tale epilogo e, quindi, sull’interpretazione delle
espressioni "immediata declaratoria", "in ogni stato e
grado" e "di ufficio", presenti nella rubrica e nel testo
della norma in esame.
3- Ritiene il Collegio corretta la scelta ermeneutica del secondo indirizzo
giurisprudenziale, per altro maggioritario, e devono, pertanto, essere
approfondite ed illustrate le ragioni che la giustificano.
3a- L’art. 129 c.p.p., riedizione -soltanto nella formulazione delle ipotesi
di proscioglimento- dell’art. 152 del codice del 1930, ha, in aderenza
alla struttura del vigente processo, un campo di operatività più
circoscritto rispetto alla vecchia norma, nel senso che trova applicazione
in ogni stato e grado non "del procedimento" ma "del processo",
adeguandosi così alla natura bifasica del modello senza istruzione
istituito con il codice del 1988, che ha eliminato la omogeneità
tra la fase delle indagini e quella del processo vero e proprio, posto
che nella prima assume preminente rilievo l’attività del P.M. finalizzata
a creare le premesse per l’eventuale esercizio dell’azione penale e l’intervento
della giurisdizione, mancando ancora una imputazione, non è volto
all’accertamento del fatto, ma spiega una mera funzione di garanzia nella
risoluzione dei conflitti intersoggettivi tra P.M. e indagato, mentre
soltanto nella seconda la giurisdizione assume la funzione di accertamento
del fatto, sia pure con le diversificazioni valutative connesse alla peculiarità
del singolo momento processuale, in quanto l’attività compiuta
dalle parti in contraddittorio è sottoposta al vaglio del giudice
terzo ed imparziale, che decide, secondo la mutevole prospettiva funzionale
ancorata alla dinamica del processo, sulla fondatezza o meno dell’imputazione.
L’operatività dell’art. 129, implicando comunque un accertamento
sul fatto, presuppone necessariamente un’azione penale già esercitata
e, pertanto, non può essere attivata nel corso delle indagini preliminari,
proprio perché manca l’imputazione, la quale soltanto investe il
giudice dei relativi poteri cognitivi e decisori sul fatto. Nella fase
delle indagini preliminari, le situazioni ipotizzate dalla norma in esame
trovano soluzione nel diverso istituto dell’archiviazione.
3b- L’art. 129 c.p.p. è, innanzi tutto, attuazione della prima
direttiva programmatica dell’art. 2 della legge delega n. 81/1987: "massima
semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni
atto o attività non essenziale". L’intero sistema codicistico,
infatti, è ispirato al principio di economia processuale, strettamente
legato alla finalità, costituzionalmente presidiata (art. 111/2°
Cost.), di raggiungere un accettabile risultato in punto di ragionevole
durata del procedimento penale (exitus processus). La disposizione persegue,
inoltre, la finalità di fornire il normotipo utile a tutelare l’innocenza
dell’imputato, in piena corrispondenza con il dettato dell’art. 27/2°
della Costituzione, che offre giustificazione assiologia soprattutto al
secondo comma dell’art. 129 (favor innocentiae, quale specificazione del
favor rei).
Chiarite le finalità della norma, ne va individuata la natura in
relazione ai contenuti che essa esprime.
Si può agevolmente affermare che l’art. 129, collocato sistematicamente
nel titolo II del libro secondo del codice tra gli "atti e provvedimenti
del giudice", non attribuisce a costui un potere di giudizio ulteriore,
inteso quale occasione -per così dire- "atipica" di decidere
la res iudicanda, rispetto a quello che gli deriva dalle specifiche norme
che disciplinano i diversi segmenti processuali (art. 425 per l’udienza
preliminare; art. 469 per la fase preliminare al dibattimento; artt. 529,
530 e 531 per il dibattimento), ma, nel rispetto del principio della libertà
decisoria, detta una regola di condotta o di giudizio, la quale si affianca
a quelle proprie della fase o del grado in cui il processo si trova e
alla quale il giudice, in via prioritaria, deve attenersi nell’esercizio
dei poteri decisori che già gli competono come giudice dell’udienza
preliminare o del dibattimento di ogni grado. Tale regola prevede l’obbligo
(recte dovere) dell’immediata declaratoria, d’ufficio, di determinate
cause di non punibilità che il giudice "riconosce" come
già acquisite agli atti.
Si è di fronte ad una prescrizione generale di tenuta del sistema,
nel senso che, nella prospettiva di privilegiare l’exitus processus ed
il favor rei, s’impone al giudice il proscioglimento immediato dell’imputato,
ove ricorrano determinate e tassative condizioni, che svuotano di contenuto
-per ragioni di merito- l’imputazione o ne fanno venire meno -per la presenza
di ostacoli processuali (difetto di condizioni di procedibilità)
o per l’avverarsi di una causa estintiva- la effettiva ragion d’essere.
Così chiarite la ratio e la natura della norma, è evidente
che la stessa s’inserisce armonicamente nel sistema, non è alternativa
ad altre previsioni di analoghi effetti, né entra in conflitto
con queste e, in particolare, con la sentenza di non luogo a procedere
di cui all’art. 425 c.p.p., ma, affiancando e integrando tali previsioni,
definisce meglio, per tempi e modalità, i poteri decisori del giudice,
con la conseguenza che va escluso -come pure, specie in passato, si era
sostenuto- il carattere di norma speciale dell’art. 425 c.p.p. rispetto
a quella di cui all’art. 129 s.c., avuto riguardo agli epiloghi preliminari
attualmente previsti dalla prima disposizione a seguito degli interventi
riformatori di cui all’art. 1 della legge n. 105/’93 e all’art. 23 della
legge n. 479/’99.
In sostanza e con specifico riferimento al caso in esame, l’orizzonte
entro il quale deve muoversi il giudice dell’udienza preliminare è
rappresentato sempre dall’art. 425 c.p.p., opportunamente integrato dalla
regola -che in esso viene trasfusa- contenuta nell’art. 129. E del resto,
il capoverso di quest’ultima norma, a conferma della bontà di tale
conclusione, fa espresso riferimento alla decisione di "non luogo
a procedere" (oltre che a quella di "assoluzione" per il
dibattimento), senza che si possa pervenire a conclusione diversa in relazione
al primo comma nel quale questa specifica indicazione è assorbita
nella più generica ed onnicomprensiva indicazione di "sentenza".
3c- E’ sintomatico che l’art. 129 c.p.p. si limita a prevedere la citata
regola di condotta o di giudizio e ne impone al giudice l’osservanza "in
ogni stato e grado del processo", senza nulla disporre in ordine
al rito da seguire per la "immediata declaratoria di determinate
cause di non punibilità". Ciò conferma che tale norma,
sotto il profilo dei tempi e dei modi di applicazione, deve trovare attuazione
nel corso delle fasi e dei gradi del processo e nell’ambito della corrispondente
disciplina prevista, alla quale deve uniformarsi.
Ciò posto, a seguito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio
dell’imputato, si passa dalla fase procedimentale a quella processuale
e il giudice può senz’altro adottare, ricorrendone le condizioni,
la declaratoria ex art. 129, ma ciò non può fare con provvedimento
de plano, bensì osservando il rito tipico a sua disposizione, che
è quello camerale dell’udienza preliminare.
Il contrario assunto, che ravvisa nell’art. 129 la fonte per il giudice
di un generale potere di proscioglimento, ulteriore rispetto a quello
ordinariamente previsto dalle specifiche norme di giudizio relative ai
vari momenti processuali, e che individua, stante il silenzio della norma,
nel procedimento de plano lo strumento più idoneo a soddisfare
le esigenze di celerità e snellezza delle forme, fa leva su due
argomenti: uno di carattere letterale, rappresentato dall’uso dell’espressione
"immediata declaratoria", che viene interpretata come "immediatezza
temporale", nel senso di "subito", "senza indugio",
sì da legittimare l’iniziativa autonoma del giudice ("di ufficio")
di porre termine, in un qualsiasi momento della sequenza processuale ("in
ogni stato e grado del processo"), alla controversia; l’altro di
carattere logico, costituito dal rilievo dell’asserita superfluità
della disposizione, ove interpretata nel senso di potere rilevare la causa
di non punibilità nella fase dell’udienza preliminare, nel dibattimento
di primo grado o di secondo grado o di cassazione, posto che sarebbe una
inutile ripetizione di forme e poteri decisori già previsti dal
sistema per ognuna di tali fasi.
Tali argomenti non sono, però, convincenti.
Considerato, infatti, che l’art. 129 c.p.p. si limita ad imporre al giudice
una "regola di condotta", è agevole comprendere che tale
regola deve essere modellata e adeguata, di volta in volta, ai caratteri
e alle peculiarità delle fasi processuali in cui essa è
chiamata ad operare e non può legittimarsene l’applicazione tout
court, svincolata dalle forme e dai principi che presidiano il processo
e in spregio alla fondamentale garanzia del contraddittorio.
L’espressione "immediata declaratoria", presente soltanto nella
rubrica dell’art. 129, assume una valenza diversa da quella percepibile
prima facie: non denuncia una connotazione di "tempestività
temporale" assoluta, fino a legittimare, pur nel silenzio della norma,
il rito c.d. de plano, per il quale il legislatore adotta -in genere-
l’espressione "senza formalità" (per es., art. 667/4°
c.p.p.); ma evidenzia la precedenza che tale declaratoria deve avere,
ove ne ricorrano le condizioni, su altri eventuali provvedimenti decisionali
adottabili dal giudice, il quale, individuata -allo stato degli atti-
la causa di non punibilità, non deve dare corso a nessuna, ulteriore
attività istruttoria, e quindi neppure per accertare la sussistenza
di un’altra eventuale causa di proscioglimento che possa essere preliminare
o addirittura più favorevole all’imputato.
Il meccanismo liberatorio prefigurato dall’art. 129 c.p.p. deve inserirsi
nelle regole che disciplinano il vaglio giurisdizionale in sede preliminare
(o dibattimentale), deve "saldarsi con la specificità della
sede processuale in cui lo stesso si iscrive, così da assegnare
al giudice una sfera di attribuzioni coerente rispetto al momento in cui
il relativo munus deve essere esercitato" (C.Cost. sent. n. 91/’92),
e si concreta in una previsione che impone, in via prioritaria, la definizione
anticipata e, quindi, immediata del processo, sempre che il decidente
venga a trovarsi nella condizione di potere decidere allo stato degli
atti.
Ne consegue che, a seguito della richiesta del P.M. di rinvio a giudizio
dell’imputato, aprendosi la fase processuale informata al principio del
contraddittorio, diventa ineludibile la fissazione dell’udienza preliminare,
imposta dalle precise scansioni di cui all’art. 418 c.p.p., e il giudice,
se rileva -nel corso di tale udienza- una causa di non punibilità
emergente dagli atti, non potrà avvalersi dei poteri istruttori
conferitigli dall’art. 422 c.p.p. e neppure di quelli che gli sono trasmessi
dall’art. 421 bis c.p.p., con l’effetto che l’ambito della sua cognizione
deve rimanere cristallizzato allo stato degli atti esistente al momento
processuale della rilevata causa di non punibilità, con preclusione
di un ulteriore approfondimento del thema decidendum (stesso discorso,
con gli opportuni adattamenti, vale per la fase dibattimentale).
La condizione per la pronuncia ex art. 129 è la cristallizzazione
dell’accertamento -tipica dei provvedimenti allo stato degli atti- la
quale si caratterizza o per la individuazione dell’esistenza di una causa
di non punibilità di rito (non procedibilità) o estranea
al merito della vicenda (prescrizione, amnistia) ovvero per la specifica
evidenza probatoria di una ragione di merito.
Non è, quindi, superflua la previsione di cui all’art. 129, che
non è ripetitiva di forme e poteri decisori previsti, nella sede
specifica (arte. 425, 469, 529 e ss. c.p.p.), dal sistema e funzionali
all’opzione proscioglitiva che può definire la fase o il grado
del processo, ma è integrativa -sotto il profilo modale- di tali
forme e poteri, che, pur nel contemperamento di valori concorrenti, devono
tendenzialmente assicurare la semplificazione del processo e il favor
rei.
Interpretata nel senso precisato l’immediatezza della pronuncia de qua,
la stessa non può e non deve penalizzare il principio del contraddittorio,
apprezzato come esigenza preminente sul piano dei valori da tutelare e
inteso non solo come metodo di formazione della prova, ma anche come diritto
delle parti all’ascolto.
E’ certamente l’esigenza dell’ascolto che impone la fissazione dell’udienza
preliminare, atteso che è soltanto in tale contesto che potranno
trovare sfogo pretese di diverso tipo, non azionabili prima: si pensi
all’esigenza dell’imputato, in presenza di cause estintive rinunciabili,
di essere posto in grado di manifestare la volontà di vedere valutata
nel merito la propria posizione, al diritto del medesimo imputato di chiedere
il giudizio abbreviato o il giudizio immediato, alla facoltà di
tutte le parti di presentare memorie e produrre documenti (artt. 121,
419/2°-3°, 421/3° c.p.p.), di richiedere un incidente probatorio
(sent. n. 77/’94 C.Cost.), di sollecitare una sia pure limitata integrazione
probatoria su temi nuovi o incompleti al fine di meglio precisare il thema
decidendum, nonché all’esclusiva potestà del P.M. di modificare
l’imputazione. Prescindere dall’udienza preliminare significherebbe anche
privare la persona offesa, della quale è legislativamente prevista
la citazione (art. 419/1° c.p.p.), della possibilità di costituirsi
parte civile in tale udienza, di rappresentare la propria valutazione
della vicenda per fare valere le sue legittime aspettative.
E’ la particolare forza propulsiva della richiesta di rinvio a giudizio
a rendere incompatibile una pronuncia di non luogo a procedere adottata
de plano. Detta richiesta, infatti, prima che domanda di instaurazione
del giudizio, è domanda di fissazione dell’udienza preliminare,
quale momento di garanzia per tutte le parti e, in particolare, per l’imputato,
unico soggetto abilitato, ex art. 419/5° c.p.p., a rinunciarvi (Cass.
Sez. VI 20/1/1998, Palpacelli).
In un sistema processuale modellato sullo schema accusatorio, il confronto
tra le diverse parti processuali assume un’importanza centrale e deve
essere garantito soprattutto quando si tratta di emettere un provvedimento
definitorio, come la sentenza ex art. 129 c.p.p., che non può prescindere
dal necessario contributo dialettico delle parti nel processo.
Non è superfluo, peraltro, sottolineare che la sesta subdirettiva
del n. 52 dell’art. 2 della legge delega n. 81/’87, nel prevedere le modalità
con cui il Gup definisce il processo davanti a sé, dispone che
la sentenza di non luogo a procedere, che è un mezzo di definizione
del processo, è emessa "sentite le parti comparse".
4- La conferma che la regola di cui all’art. 129 c.p.p. deve essere -di
norma- veicolata nel rito tipico della fase o del grado in cui il processo
si trova e che la sua operatività prioritaria (immediata) non può
in ogni caso eludere il contraddittorio è offerta da alcune previsioni
normative per casi particolari.
L’art. 469 c.p.p. consente, in via eccezionale e tassativa, il "proscioglimento
prima del dibattimento" soltanto nell’ipotesi in cui sussista una
causa d’improcedibilità dell’azione penale o di estinzione del
reato, e sempre che il P.M. e l’imputato, sentiti in camera di consiglio,
non si oppongano (anche in tale ipotesi eccezionale, si garantisce il
contraddittorio). Non residua altro spazio per una sentenza predibattimentale
di proscioglimento, allo stato degli atti, ai sensi dell’art. 129, norma
che, con riferimento ai più ampi poteri di declaratoria di cause
di non punibilità estesi anche al merito, deve trovare -dopo l’avvenuto
rinvio a giudizio- fisiologicamente applicazione nella fase dibattimentale,
ove ben altra è la capacità cognitiva del giudice (cfr.
SS.UU. 19/12/2001, Angelucci).
4a- Significativa è anche l’attribuzione al Gip del potere-dovere
di pronunciare, ex art. 444/2° c.p.p., sentenza di proscioglimento
immediato quando la richiesta di applicazione della pena concordata viene
formulata nel corso delle indagini preliminari (art. 447 c.p.p.). Tale
richiesta, contrariamente a quello che può apparire, "finisce
per determinare l’apertura di una fase incidentale con i caratteri della
giurisdizionalità e, pertanto, si deve affermare che l’art. 129
opera, anche in questo caso, in ambito esclusivamente processuale",
con conseguente garanzia del contraddittorio, attraverso la fissazione
di apposita udienza camerale (art. 447/1°-2° c.p.p.). Ed invero,
a norma degli art. 60/1°, 405, 447 c.p.p., la richiesta concordata
di applicazione della pena, pur se formulata nel corso delle indagini
preliminari, implica l’esercizio dell’azione penale e dunque l’inizio
del processo.
4b- Né va sottaciuta la previsione di cui agli art. 68 e 69 c.p.p.,
secondo cui, in caso di errore sull’identità fisica dell’imputato
o di morte di costui, il giudice "sentiti il P.M. e il difensore,
pronuncia sentenza a norma dell’art. 129". Il tenore letterale delle
citate norme, pur inducendo a ritenere che, per le particolari ipotesi
citate, il proscioglimento possa essere pronunciato hic et nunc, interrompendo
perentoriamente lo svolgimento dell’attività processuale in corso,
garantisce comunque il contraddittorio tra le parti processuali ed esclude,
anche in questi casi, l’adozione di un provvedimento senza formalità.
4c- Soltanto la disposizione dell’art. 459/3° c.p.p. consente al giudice
per le indagini preliminari di pronunciare sentenza di proscioglimento
ai sensi dell’art. 129 con procedura de plano. Trattasi chiaramente di
eccezione al sistema, giustificata dalla particolare tipologia del rito
che governa il procedimento per decreto, contrassegnato dall’assenza di
contraddittorio (soltanto eventuale, in caso di opposizione) per il provenire
la richiesta dal P.M. senza la partecipazione di altri soggetti processuali.
Tale previsione, per altro, è stata più volte sottoposta
all’attenzione della Consulta, che ha ritenuto non in contrasto con la
Carta Fondamentale gli art. 459 e 460 c.p.p. anche sotto il profilo della
mancanza del contraddittorio in ordine alla sussistenza delle condizioni
di proscioglimento ai sensi dell’art. 129 c.p.p. e, richiamando l’indirizzo
in precedenza espresso, ha ribadito che "il dettato costituzionale,
da un lato, non impone che il contraddittorio si esplichi con le medesime
modalità in ogni tipo di procedimento e, soprattutto, che debba
essere collocato nella fase iniziale del procedimento stesso, dall’altro
non esclude che il diritto dell’indagato di essere informato nel più
breve tempo possibile dei motivi dell’accusa a suo carico possa essere
variamente modulato in relazione alla peculiare struttura dei singoli
riti alternativi" (ord, n. 8 del 2003 C.Cost.).
5- Alla luce delle esposte argomentazioni e in applicazione del disposto
dell’art. 173/3° disp. att. c.p.p., vanno enunciati i seguenti principi
di diritto:
"L’art. 129 c.p.p. non attribuisce al giudice un potere di giudizio
ulteriore ed autonomo rispetto a quello già riconosciutogli dalle
specifiche norme che regolano l’epilogo proscioglitivo delle varie fasi
e dei diversi gradi del processo (artt. 425, 469, 529, 530, 531 c.p.p.),
ma enuncia una regola di condotta rivolta al giudice, il quale, di fronte
ad una riconosciuta causa di non punibilità, deve adottare la corrispondente
decisione allo stato degli atti, senza che possa trovare spazio una qualsiasi
altra attività non essenziale."
"La regola di cui all’art. 129 c.p.p., operando in ogni stato e grado
del processo, presuppone un esercizio della giurisdizione con effettiva
pienezza del contraddittorio tra le parti e trova attuazione secondo le
forme e i tempi di volta in volta previsti dal codice per la fase in corso."
"Nella fase interinale che va dalla ricezione della richiesta di
rinvio a giudizio allo svolgimento dell’udienza preliminare, non può
il giudice adottare con provvedimento de plano l’immediata declaratoria
di determinate cause di non punibilità ex art. 129 c.p.p., ma deve
dare impulso al rito tipico della fase in corso che è quello camerale
dell’udienza preliminare e solo nell’ambito di questa può emettere,
ricorrendone le condizioni, la detta declaratoria."
6- Il provvedimento impugnato, come correttamente rilevato dal P.G. presso
questa Suprema Corte, non è affetto da abnormità genetica,
rientrando nel potere del Gup la pronuncia della sentenza di proscioglimento,
né da abnormità funzionale, non determinando tale atto tipico
alcuna situazione di stallo processuale, ma è illegittimo, perché
viziato da nullità di ordine generale, ai sensi dell’art. 178 lett.
b) e c) c.p.p.: la definizione della controversia su iniziativa "improvvisa"
del giudice e senza avere posto le parti processuali nella condizione
di interloquire sull’oggetto della stessa penalizza la partecipazione
del P.M. al procedimento, precludendogli l’esercizio di quelle facoltà
tese eventualmente a meglio definire e supportare l’accusa e viola il
diritto di difesa dell’imputato, aspetto quest’ultimo che, pur non dedotto
dalla parte direttamente interessata, ben può essere rilevato d’ufficio.
Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio e gli
atti vanno trasmessi al Tribunale di Napoli per l’ulteriore corso: il
Gup di detto Tribunale, in persona diversa da quella che ha pronunciato
la decisione che si annulla, dovrà procedere agli adempimenti di
cui agli art. 418 e ss. c.p.p. e, nell’ambito dell’udienza preliminare,
adotterà, in piena libertà di giudizio, il provvedimento
che riterrà più opportuno.
PER QUESTI MOTIVI
Annulla senza rinvio l’impugnata sentenza e ordina trasmettersi gli atti
al Tribunale di Napoli per l’ulteriore corso.
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