Sabato 23 Novembre 2024
area riservata
ASAPS.it su
Corte di Cassazione 24/03/2005

Giurisprudenza di legittimità - L’omicidio di Tortona è doloso perché esiste la consapevolezza di gravi conseguenze Chi lancia sassi dal cavalcavia accetta il rischio di uccidere

(Cassazione 5436/2005)
da "CittadinoLex"
L’omicidio di Tortona è doloso perché esiste la consapevolezza di gravi conseguenze
Chi lancia sassi dal cavalcavia accetta il rischio di uccidere
(Cassazione 5436/2005)

Chi lancia sassi da un cavalcavia sulle auto sottostanti è consapevole del rischio di potere causare gravi incidenti, e quindi risponde di omicidio volontario se dalla sua condotta derivi la morte di una persona. Lo ha stabilito la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione respingendo il ricorso di un uomo imputato di tentato omicidio per aver lanciato sassi dal cavalcavia di Tortona colpendo un’autovettura; in quell’occasione era stata solo l’abilità del guidatore ad evitare il peggio.

La difesa dell’imputato aveva sostenuto che l’omicidio era stata una conseguenza non voluta e pertanto non sussisteva il dolo diretto, cioè la volontarietà. Ma la Suprema Corte non è stata dello stesso avviso, e ha spiegato che il lancio di sassi da un cavalcavia è un comportamento volontario e consapevole, e pertanto, qualora sia univocamente diretta a colpire le auto che transitano nella sottostante autostrada e a creare di conseguenza il concreto pericolo di incidenti anche mortali, sussiste l’elemento doloso, consistente nell’accettare il rischio di poter uccidere qualcuno, evento nella fattispecie non verificatosi per cause indipendenti dalla volontà dell’autore. (24 marzo 2005)

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Penale, sentenza n.5436/2005 (Presidente: R. Teresi; Relatore: G. Corradini)



LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I PNALE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con sentenza 14/6/2004 la Corte d’Appello di Torino confermò la sentenza emessa a seguito di rito abbreviato dal Tribunale di Tortona in data 11/7/2003 con cui M. S. era stato ritenuto colpevole dei reati di tentato omicidio ai danni di S. S. e di attentato alla sicurezza dei trasporti, per avere, l’8 luglio 2003, in Castelnuovo Scrivia, lanciato un sasso dal diametro di dodici centimetri dal cavalcavia n. 49 sulle autovetture che transitavano sulla sottostante autostrada A7 in direzione di Milano, così colpendo l’autovettura Mercdes condotta da S. S. e ponendo in pericolo la sicurezza dei trasporti, non riuscendo nell’intento per la pronta reazione della persona offesa che riusciva a controllare l’autovettura e ad arrestare la cosa, e, ritenuta la continuazione fra i due reati contestati, lo aveva condannato alla pena di anni quattro e mesi quattro di reclusione, con la concessione delle attenuanti generiche e della diminuente per il rito.

Nella mattinata dell’8 luglio 2003 erano giunte ai Carabinieri alcun segnalazioni da parte di automobilisti che transitavano sulla A7 i quali avevano notato un giovane, accuratamente descritto dai segnalanti, posto a fianco di una autovettura di piccola cilindrata, che aveva appena lanciato un sasso sulla autostrada sottostante dal cavalcavia n. 4.

Altra segnalazione proveniente da una insegnante, M. E., specificava che il giovane che aveva lanciato il sasso era un suo ex alunno, certo S. M., che era stato visto nella circostanza dalla M. mentre si sforzava, essendo di bassa statura, alla fine comunque riuscendoci, di fare superare al sasso una rete di recinzione, alta m. 1,80, che era stata posta sul cavalcavia proprio per evitare il lancio di sassi in quanto, qualche anno prima, vi era stato un episodio mortale nel vicino cavalcavia della Callosa che aveva avuto grande eco giornalistica.

La M. aveva visto bene in viso il giovane allorché si era voltato verso di lei, dopo il fatto, mentre si puliva le mani ed aveva visto la macchina del giovane, una Punto grigia.

I carabinieri, giunti sul posto, avevano rinvenuto una Mercedes con un ce4rchione ed un pneumatico rotto, il cui conducente, S. S., al contrario di altri conducenti di autovetture in transito in quel momento, non era riuscito ad evitare un sasso, dal diametro di 12 cm. Circa e del peso di circa 3 kg., che si trovava al centro della sua corsia di percorrenza.

Sul cavalcavia furono rinvenuti un paio di occhiali che in seguito risultarono appartenere al M. e che il ragazzo aveva dimenticato sul luogo del fatto.

Il M. era stato rintracciato dopo circa un’ora alla guida della Punto grigia con cui era andato nel frattempo a prendere sul posto di lavoro la propria madre, che aveva a bordo, proprio mentre stava tornando sul cavalcavia alla ricerca degli occhiali li dimenticati.

La perquisizione immediatamente eseguita sulla vettura aveva consentito di rinvenire altri nove sassi delle stesse dimensioni di quello lanciato sull’autostrada.

L’imputato aveva ammesso la condotta sostenendo che aveva prelevato il sasso dai dieci che aveva in macchina, a suo dire li collocati per difesa personale, e di averlo lanciato dopo aver guardato bene la strada stando attento a non colpire nessuno, aggiungendo che però, essendo diagnosticato che ho colpito la macchina, ammetto di aver sbagliato.

Aveva altresì sostenuto di avere agito a causa delle sue condizioni di infelicità e solitudine dovute a problemi di disoccupazione e familiari collegati anche alla morte di suo padre avvenuta dodici anni prima.

In sede di appello fu disposta una perizia psichiatrica sull’imputato, sollecitata dalla sua difesa e motivata d alcuni episodi della vita del giovane M. che avevano anche determinato un trattamento terapeutico presso il Servizio psichiatrico di base di Voghera, ma il perito concluse nel senso che l’imputato, pur risultando affetto da ritardo mentale lieve e da disturbo passivo, aggressivo di personalità, era soggetto capace pienamente di intendere e di volere all’epoca dei fatti e capace di stare in giudizio in quanto i predetti disturbi avevano, per entità ed essenza, rilevanza unicamente clinica e non anche psichiatrica, forense.

La Corte di Appello, investita dall’appello del M., confermò pertanto il giudizio di imputabilità ma anche quello di colpevolezza espresso dai giudici di primo grado, rilevando in particolare che sussisteva la idoneità e la univocità degli atti posti in essere dall’imputato a provocare la morte dell’automobilista che transitava nella sottostante autostrada, avendo egli lanciato, in corrispondenza della corsia di scorrimento delle auto, un sasso di rilevante massa da un punto del cavalcavia da cui, come era stato accertato, non era possibile vedere le auto che transitavano in basso e che in quel momento erano numerose, essendo notoriamente quella autostrada a quell’ora notevolmente trafficata, addirittura sforzandosi per superare con il lancio la rete metallica posta proprio per impedire che un sasso lanciato da quel punto potesse provocare la morte degli automobilisti in transito, così evidenziando la volontà di cagionare la morte, almeno sotto il profilo del dolo alternativo essendosi posto quanto meno in una posizione di indifferenza rispetto alle possibili conseguenze del suo gesto così accettando una altissima probabilità che la massa del sasso scagliato colpisse una vettura in transito provocando la morte degli occupanti nonostante la residua possibilità di un evento diverso.

Nel contempo la Corte di Appello ritenne che la mancata reiterazione del lancio di sassi, pur presenti nella vettura del M., non escludesse il dolo omicidiario considerato che era comparsa sulla scena la sua insegnante M e che comunque quell’unico lancio già integrava gli estremi del reato contestato.

Ha proposto ricorso per cassazione la difesa dell’imputato chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata e lamentando con due motivi distinti: erronea applicazione degli artt. 56 e 575 c.p. [1] laddove la sentenza aveva ritenuto la sussistenza del tentativo di omicidio, in assenza del dolo diretto di tale reato, avendo la dottrina dominante e la giurisprudenza consolidata escluso la compatibilità del dolo eventuale con il tentativo e dovendosi nella specie escludere che l’imputato volesse uccidere il S. che neppure conosceva o qualsiasi altro automobilista in transito, posto che aveva lanciato il sasso, senza poter vedere le autovetture in transito, dalla parte opposta del cavalcavia rispetto alla direzione di marcia della sottostante autostrada e che il sasso non aveva colpito direttamente la vettura del S., bensì era caduto sulla carreggiata dove era stato schivato da due autovetture mentre il S. non era stato capace di evitarlo e lo aveva urtato con una ruota, riuscendo comunque ad arrestare la marcia; manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata laddove, ai fini della valutazione della sussistenza o meno del dolo omicidiario, non aveva considerato la particolare situazione di anormalità psicologica dell’imputato e la irrazionalità del suo gesto e della condotta successiva che lo aveva portato a tornare verso il luogo del fatto insieme alla madre, al fine di escludere la coscienza e la volontà del fatto quanto meno sotto il profilo dell’elemento psicologico.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha concluso per il rigetto del ricorso.



MOTIVI DELLA DECISIONE



Il primo motivo di gravame attiene alla individuazione dell’elemento psicologico del reato contestato che, ad avviso della difesa dell’imputato, non potrebbe essere caratterizzato come dolo diretto, bensì, al massimo, come dolo eventuale, in quanto tale incompatibile con oil tentativo di omicidio, come ormai ritenuto da tempo dalla giurisprudenza consolidata.

Secondo la difesa del ricorrente il dolo diretto dovrebbe essere escluso poiché l’imputato non conosceva neppure la persona offesa e non aveva quindi alcun motivo per ucciderla e comunque aveva lanciato il sasso senza poter vedere le autovetture in transito, dal lato del cavalcavia opposto rispetto alla direzione di marcia delle vetture sulla sottostante autostrada, così rivelando che la sua volontà non era quella di uccidere il S. o qualunque altro automobilista in transito.

La doglianza è infondata.

La giurisprudenza di questa Corte è nel senso che costituisce tentativo di omicidio il lancio di sassi da un cavalcavia sulla sottostante autostrada in quanto tale azione, seppure non diretta, in ipotesi, a colpire singoli autoveicoli, è idonea, per la non facile avvisabilità degli oggetti che cadono all’improvviso dall’alto o che comunque siano già giunti al suolo sulla carreggiata mentre i conducenti sono intenti ad osservare le macchine che precedono e seguono e per la consistente velocità tenuta generalmente dai conducenti in autostrada, a creare il concreto pericolo di incidenti stradali, anche mortali, al cui verificarsi, quindi, sotto il profilo soggettivo, deve intendersi diretta la volontà dell’agente (cfr. Cass. 30/4/2003 n. 1989).

A tali corretti principi si è attenuto il giudice di merito il quale ha ritenuto che il lancio di sassi da un cavalcavia, oltretutto protetto da uno sbarramento laterale alto un metro e ottanta centimetri proprio per impedire qual lancio che aveva provocato poco tempo prima un evento mortale su quella stessa autostrada, evento che aveva suscitato grande allarme pubblico anche per la tragica emulazione che ne era seguita, costituisse una specifica condotta per ritenere che l’imputato volesse provocare la morte degli automobilisti che transitavano sulla sottostante autostrada, alla stregua degli elementi sintomatici solitamente indicati dalla giurisprudenza per la individuazione del dolo diretto omicidiario, ed in particolare della raccolta di un rilevante numero di grossi sassi, rinvenuti all’interno della sua macchina, dell’impiego di un sasso del peso di ben 3 kg., che, lanciato dall’alto sulle auto in corsa, avrebbe certamente sfondato il parabrezza o quanto meno provocato la fuoriuscita di una vettura dalla sede stradale, dello specifico e ripetuto sforzo fatto dall’imputato, vista la sua bassa statura, per raggiungere tale risultato, della precedente morte di altra persona per una azione analoga con quelle stesse modalità, ben nota all’imputato, nonché della accertata mancanza di visuale sulla autostrada dal cavalcavia , che non consentiva di verificare visivamente se in quel momento giungessero o meno delle macchine, anche se a quell’ora l’autostrada era notoriamente trafficata in modo notevole per cui le autovetture arrivavano in continuazione ed era praticamente impossibile che una autovettura non finisse colpita dal sasso ovvero vi finisse sopra subito dopo la sua caduta.

Ne rileva a tal fine che l’imputato non conoscesse la vittima ne le altre persone che in quel momento circolavano sull’autostrada Milano- Genova, poiché all’imputato non interessava uccidere una specifica persona, essendo per lui indifferente, vista anche la sua struttura di personalità, ben delineata nella perizia psichiatrica, che morisse una o altra persona.

Si tratta eventualmente di inadeguatezza della causale alla stregua del sentire dell’uomo comune che però non incide sulla sussistenza o meno della volontà omicida, essendo varie per intensità le ragioni di ciascun individuo e potendosi uccidere anche per un futile motivo, essendo l’omicidio di per se un gesto sempre irrazionale che non può quindi essere giudicato alla stregua di criteri razionali.

Ugualmente non rileva che l’imputato potesse o meno vedere le auto in transito, poiché sapeva benissimo che sotto il cavalcavia, sulla autostrada Milano- Genova, con direzione verso Milano, transitava a quell’ora una fila continua di autovetture e proprio per questo aveva scelto quel luogo e quell’ora per il lancio dei sassi, correndo il rischio di essere visto e riconosciuto (come poi è stato in effetti visto e riconosciuto dalla sua ex insegnante) ed anzi proprio la circostanza, accertata positivamente, che non potesse vedere dal cavalcavia le macchine in corsa sulla sottostante autostrada, dimostra la sua totale indifferenza verso la vita delle persone che transitavano in quel momento dirette verso Milano.

Si ha invero dolo eventuale allorquando l’agente, ponendo in essere una condotta diretta ad altri scopi, si rappresenti la concreta possibilità del verificarsi di una diversa conseguenza della propria condotta e, ciononostante, agisca accettando il rischio di cagionarla, mentre il dolo alternativo sussiste qualora l’agente si rappresenta e vuole indifferentemente, al momento della realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, che si verifichi l’uno o l’altro degli elementi casualmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria (nella specie che muoia una persona o più persone ovvero che una o più vetture finiscano fuori strada), sicché, attesa la sostanziale equivalenza dell’uno o dell’altro, egli risponde per quello effettivamente realizzato (cfr. per tutte Cass. 10/4/2003 n. 16976).

Orbene, è di tutta evidenza che, come giustamente ritenuto dai giudici di merito, nel caso in esame si sarebbe perciò trattato non già di dolo eventuale bensì di dolo alternativo, non potendo il lancio di sassi diretto ad un fine diverso da quello di colpire una macchina in transito, ne l’imputato stato in grado di indicare un diverso fine, con la conseguenza che deve ritenersi, anche in tal caso, configurabile il reato di tentato omicidio poiché la particolare manifestazione di volontà dolosa definita dolo alternativo deve qualificarsi come diretta, attesa la sostanziale equivalenza dell’uno o dell’altro evento (v. Cass. 14/1/2000 n. 385).

È infondata anche la seconda doglianza diretta ad escludere il dolo sotto il diverso profilo della mancanza di coscienza o volontà collegata alla anormalità psicologica dell’imputato.

La difesa dell’imputato ha accettato il giudizio di sussistenza della imputabilità emergente dalla perizia psichiatrica disposta in grado di appello, dovendo convenire sulla sussistenza della capacità di intendere e di volere dell’imputato, nonostante i disturbi di personalità di cui è affetto, che sono di indubbia gravità e che hanno già portato i giudici di merito a collocare il giovane M. in una struttura protetta diversa dal carcere, ma che non escludono ne fanno grandemente scemare la sua imputabilità ai sensi e per gli effetti di cui agli artt. 88 e 89 c.p.; però ha ritenuto che tali disturbi psicologici potessero escludere la coscienza e volontà del fatto illecito e quindi la sussistenza del dolo ai sensi dell’art. 43 c.p.

L’argomentazione non è condivisibile poiché nei rapporti fra imputabilità e dolo, l’indagine sul primo dei suddetti elementi va tenuta ben distinta d quella del secondo, essendo quest’ultimo (il dolo) un elemento costitutivo del delitto, la cui sussistenza va in ogni caso accertata secondo le regole generali, e ciò con riferimento all’ipotesi di un soggetto dotato di normale capacità di intendere e di volere, mentre l’imputabilità costituisce semplicemente il presupposto per l’affermazione delle responsabilità in ordine al reato commesso, il quale dovrà pertanto essere già stato compiutamente qualificato nelle sue connotazioni soggettive ed oggettive.

L’imputabilità, quale capacità di intendere e di volere, e la colpevolezza, quale coscienza e volontà del fatto illecito, esprimono quindi concetti diversi ed operano anche su piani diversi, cosicché neppure la mancanza di imputabilità impedisce la sussistenza del dolo, dovendosi prima accertare, alla stregua delle regole di comune esperienza, se l’evento sia stato prodotto secondo l’intenzione, oltre l’intenzione o contro l’intenzione, per poi passare a verificare se e come il soggetto debba penalmente rispondere di tale evento in ragione del suo stato di mente; con la conseguenza che la colpevolezza anche del soggetto disturbato ed addirittura quella del soggetto infermo di mente deve essere valutata alla stregua delle regole di cui agli artt. 42 e 43 c.p., indipendentemente dalla perturbazione psichica e dalla riduzione del senso critico collegata alla malattia ovvero al disturbo di personalità.

In tal modo hanno correttamente operato i giudici di merito i quali hanno valutato la sussistenza del dolo in base al parametro normativo ed alla stregua dei principi giurisprudenziali consolidati, per cui il ricorso dell’imputato, siccome totalmente infondato, deve essere respinto, con le conseguenze di legge.



PQM



Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.



Roma, 25 gennaio 2005.

Depositata in Cancelleria l’11 febbraio 2005.


Giovedì, 24 Marzo 2005
stampa
Condividi


Area Riservata


Attenzione!
Stai per cancellarti dalla newsletter. Vuoi proseguire?

Iscriviti alla Newsletter
SOCIAL NETWORK