Il
consumo di alcolici non è cosa recente e fa parte a pieno
titolo della storia e della tradizione di ciascun popolo. In ogni
cultura, infatti, sono sempre esistite sostanze in grado di alterare
lo stato psico-fisico della persona e l’alcol è fra
queste sostanze, il cui capostipite è senza ombra di dubbio
il vino.
Non è un caso se la “passione” per questa bevanda
era già in uso ai tempi dei Sumeri, ma anche di Egizi ed
Ebrei, per non parlare dei cristiani che l’hanno inserita nella
liturgia ecclesiale a pieno titolo e non solo simbolico. Nel più
antico poema al mondo che si conosca, Utnapishtim, colui che potremmo
definire il Noè dei Sumeri, voleva salvare il genere umano
da morte certa e per questo offrì vino bianco e rosso ai
carpentieri che stavano costruendo l’arca per accelerarne il
lavoro. Sarà pure una strana coincidenza, ma anche nella
Bibbia cristiana la scoperta del vino è attribuita proprio
a Noé. Molti teologi si sono domandati se dietro questa inconsueta
casualità vi fosse qualcosa di più arcaico e profondo.
Persino Socrate e Platone ne facevano abbondante uso e questo perché
nell’antichità si pensava che il vino potesse “aprire
le menti” e per lo stesso motivo doveva essere privilegio di
pochi. Senza poi considerare il fatto che alcune religioni vedevano
nell’ubriacatura il modo migliore per raggiungere l’estasi
mistica.
In Europa il vino giunse dalla Mesopotamia prima e dall’Egitto
poi, tanto che lo storico greco Erodoto ne attribuì la conoscenza
alla festa che si svolgeva ogni anno nella città sacra di
Bubasti, sulle rive del Nilo. In quel contesto uomini e donne giungevano
già ubriachi e festanti e si continuava così per diversi
giorni come fosse l’anticipazione della più moderna
ma ugualmente frastornante “Oktoberfest” bavarese.
Al dio egiziano Dioniso, inoltre, erano consacrate le “baccanti”,
cioè le sacerdotesse che dopo essersi ubriacate danzavano
ed organizzavano orge rituali. Anche nell’Odissea si parla
di vino, anzi di “nettare degli Dei” e Ulisse lo offrì
a Polifemo per poterlo colpire nell’unico occhio che sotto
i lumi dell’alcol non poteva vedere le sue abili mosse. Si
potrebbe proprio dire che l’alcol toglie il lume dagli occhi.
I greci, dunque, ben conoscevano gli effetti deleteri di questa
bevanda e non è un caso se la storia ci insegna che persino
i Pitagorici si riunivano per bere e discutere, senza però
mai esagerare per conservare un poco di lucidità. Anche la
filosofia diede il suo contributo di pensiero, in quanto si racconta
che Platone beveva ma non si ubriacava, pensando che il vino fosse
un mezzo per pensare al di fuori dagli inganni del corpo, facendo
così emergere le verità nascoste. In sostanza, secondo
Platone, l’alcol era una sorta di banco di prova, nel quale
si poteva capire se una persona era in grado di non farsi travolgere
dalle vaghe emozioni, rappresentando nel contempo come egli era
realmente attraverso l’accentuazione dei pregi e dei difetti.
Di parere opposto Aristotele, che fu invece il primo studioso degli
effetti deleteri dell’alcol e fondò persino una corrente
critica a quanti consumavano vino. Quanto più si diffondeva
la bevanda, infatti, tanto più si formava una morale di contrasto.
In Italia la vite fu diffusa dai Greci e gli Etruschi ed i Romani
ne fecero immediato uso (quale farmaco e persino doping) per i soldati
in battaglia. Per Orazio il vino alleggeriva l’esistenza ed
era una comoda “via di fuga”. Attenzione però…
nell’antichità nessuno guidava la macchina!
Con l’avvento del Cristianesimo, invece, il vino assume una
forte valenza simbolica che si tradusse poi in qualcosa di ancor
più importante: dalle parabole sulla vite, al miracolo delle
nozze di Cana, fino all’ultima cena, il vino dei cristiani
si tramuta nel sangue di Cristo. Un vero miracolo su cui fondare
la Fede. Un uso simile a quello dei Romani avvenne
nel Medioevo, quando le masse contadine assunsero il vino come alimento
per alleviare la dura fatica dei campi, mentre col successivo Razionalismo
esso divenne una sostanza inebriante da evitare a tutti i costi
per far risaltare il primato dell’uomo. A rivalutarlo sarà
il Romanticismo fino ai giorni nostri, quando al vino e più
in generale agli alcolici, sarà dato un significato festante
e di allegria: lo dimostra il fatto che si consumano vino, birra,
spumanti e champagne in occasione di battesimi, matrimoni, feste
e persino per augurare ogni buon auspicio a Capodanno.
Infine, appare curioso e divertente terminare l’analisi storica
sul consumo di alcolici e del vino in particolare, con le massime
di alcuni importanti scrittori e persino di premi Nobel.
Alessandro Manzoni: “Alle volte quando il vino va giù
è lui che parla e non l’uomo che lo beve”.
Giacomo Leopardi: “Il vino è il più grande ed
efficace consolatore”.
Lord Byron: “Non esistono donne brutte, dipende solo da quanta
wodka bevi”.
Oscar Wilde: “In casa della gente sposata lo champagne raramente
è di marca”.
Francis Scott Fitzgerald: “Prima prendi un drink, poi il drink
ne prende un altro e infine prende te”.
Allora molta attenzione all’alcol e sempre assolutamente lontano
dalla guida!
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