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Corte di Cassazione 17/02/2005

Giurisprudenza di legittimità - Danno da morte: per ogni congiunto, se agisce iure proprio, vale il massimale

Cassazione , sez. III civile, sentenza 09.02.2005 n° 2653
da "Altalex"
Danno da morte: per ogni congiunto, se agisce iure proprio, vale il massimale
Cassazione , sez. III civile, sentenza 09.02.2005 n° 2653
 
 

La qualificazione anche degli stretti congiunti della persona deceduta (o gravemente menomata a seguito dell’incidente) come possibili persone danneggiato è insita nel fatto stesso che, com’è assolutamente pacifico, anche a loro può essere riconosciuto il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dall’evento mortale.

 

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2637 del 9 febbraio 2005, precisando che quando gli stretti congiunti agiscono jure proprio per il risarcimento del danno derivato a loro stessi dalla morte (o dalle gravi menomazioni) il limite del risarcimento previsto dalla polizza assicurativa non è, cumulativamente per tutti, quello previsto per una sola persona danneggiata; ma è, distintamente per ognuno di loro, quello previsto per ciascuna persona danneggiata.

 

(Altalex, 16 febbraio 2005)

 
 

Cassazione
Sezione terza civile
Sentenza 13 gennaio - 9 febbraio 2005, n. 2653

 

(Presidente Fiduccia - relatore Amatucci - Pm Napoletano - parzialmente conforme - ricorrente D. ed altri - controricorrente Uniass Assicurazioni SpA)


Svolgimento del processo

 

1. Pasquale, Alessandro e Simonetta D. agirono giudizialmente per il risarcimento dei danni conseguiti all’incidente stradale verificatosi il 3 novembre 1985 per colpa esclusiva di Giorgio F. (condannato in sede penale per omicidio colposo), nel quale aveva trovato la morte Massimiliana S. (moglie del primo e madre degli altri due) ed avevano inoltre riportato lesioni Pasquale ed Alessandro D..

 

Con sentenza del 2 dicembre 1997 l’adito tribunale di Roma condannò solidalmente il F. e la sua assicuratrice Uniass Assicurazioni Spa (quest’ultima oltre il massimale di 100.000.000 per persona danneggiata e di 300.000.000 per sinistro) a pagare, anche per danni morali e detratte le somme già corrisposte, lire 415.000.000 a Pasquale D., 174.000.000 ad Alessandro D. e 197.000.000 a Simonetta D.

 

2. La decisione è stata parzialmente riformata dalla corte d’appello di Roma che, decidendo con sentenza 1575/00 sull’appello della Uniass (cui avevano resistito gli attori in primo grado, contumace il F.), ha ridotto nei limiti della somma di lire 100.000.000 (e, dunque a lire 71.000.000, tenuto conto dell’acconto di lire 29.000.000 già versato a titolo di provvisionale), oltre agli interessi ed alla svalutazione monetaria, la condanna della Uniass ìa titolo di risarcimento dei danni dagli stessi (n.d.e.: i D.) subiti in conseguenza del decesso di S. Massimilianaî.

 

Ha ritenuto la corte di merito che, mentre per i danni subiti direttamente da Pasquale ed Alessandro D. non si poneva un problema di superamento del massimale (essendo il danno da ciascuno di loro patito di molto inferiore a lire 100.000.000, costituente il massimale per ogni ìpersona danneggiataî), il massimale di lire 100.000.000 fosse invece insuperabile, salvo che per interessi e maggior danno da svalutazione monetaria, per i danni da tutti loro subiti in conseguenza del decesso della S., essendo il limite ìriferito ad ogni persona danneggiata, intesa come singola vittima dell’incidente, indipendentemente dalla pluralità degli eredi o aventi causa (cfr. sentenza Cassazione 5797/98)î.

 

3. Avverso detta sentenza ricorrono per Cassazione i D. sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso l’Uniass assicurazioni Spa.

 

Non ha svolto attività difensiva Giorgio F., nei cui confronti il contraddittorio è stato ritualmente integrato a seguito di ordinanza emessa all’udienza del 5 maggio 2004.

Motivi della decisione

 

1. Col secondo motivo il cui esame è logicamente preliminare per la sua attitudine potenzialmente assorbente la sentenza è censurata per violazione o falsa applicazione degli articoli 1218 e 1917 Cc, nonché per vizio di motivazione, in relazione alla ravvista limitazione del danno da mala gestio (ma, recte, da colpevole ritardo dell’ assicuratore nell’adempimento) agli interessi ed al maggior danno da svalutazione sul massimale.

 

Sostengono i ricorrenti che il danno da mala gestio è (come aveva ritenuto il giudice di primo grado) ugualmente configurabile nei confronti dell’assicurato e del danneggiato e che in ogni caso l’assicuratore è tenuto a risarcire, anche oltre il limite del massimale, l’intero danno provocato dalla sua condotta colposa, in misura pari alla maggior somma (rispetto al massimale) che l’assicurato deve corrispondere al terzo danneggiato.

 

1.1. La censura è infondata.

 

Nessuna delle parti ha mostrato di avere contezza della sentenza (Cassazione 10725/03) con la quale sono state chiarite la diversità del rapporto di indennità (tra assicuratore e danneggiato) rispetto a quello di assicurazione (tra assicuratore ed assicurato/danneggiante), la differenza tra responsabilità dell’assicuratore verso l’assicurato per mala gestio e verso il danneggiato per il ritardo nell’adempimento, i presupposti per l’esercizio dell’azione per mala gestio da parte del danneggiato nei confronti dell’assicuratore. E’ allora il caso di riprodurre le conclusioni di sintesi cui questa corte pervenne con quella sentenza, rilevando che:

 

a) tra assicuratore e danneggiato, nell’ambito del rapporto di indennità, la mora nell’adempimento dell’obbligazione di pagarla dà luogo per l’assicuratore alle conseguenze proprie della mora nelle obbligazioni pecuniarie; queste conseguenze sono in tutti i casi identiche, perché rispetto alla obbligazione di pagare l’indennità, ad estinzione dell’obbligazione risarcitoria dell’assicurato, non oltre i limiti del massimale comportano il superamento del massimale, dando luogo all’obbligazione di pagamento degli interessi moratori al saggio legale sul capitale corrispondente al massimale, salvo il maggior danno;

 

b) tra assicuratore ed assicurato/danneggiante, nell’ambito del rapporto contrattuale di assicurazione, il pregiudizio che l’assicuratore cagiona al suo cliente non eseguendo in buona fede il contratto e procrastinando l’estinzione della sua obbligazione risarcitoria, dà luogo a responsabilità per mala gestio;le conseguenze ne sono che l’assicuratore dovrà risarcire al suo cliente il pregiudizio che gli ha causato col non estinguere il debito risarcitorio in misura corrispondente alla indennità dovuta, e di altrettanto dovrà rispondere anche oltre il limite del massimale.

 

I riflessi di tali rilievi sul piano processuale furono poi sintetizzati come segue.

 

Il danneggiato che agisce contro l’assicuratore lo fa esercitando contro di lui l’azione diretta.

 

Ragioni e oggetto di tale domanda sono la responsabilità dell’assicurato nella causazione del danno e la condanna al pagamento della indennità, in misura corrispondente al risarcimento dovuto dal danneggiante, ma nei limiti del massimale. La richiesta di pagamento di interessi di mora e maggior danno costituiscono il possibile oggetto di un’altra domanda, accessoria alla prima, che può essere proposta nello stesso giudizio, e la cui ragione è data dalla mora. Il massimale di polizza costituisce limite del primo diritto, non del secondo, sebbene il danno da mora non può che essere calcolato sull’ammontare del massimale. La domanda deve essere proposta perché il giudice possa provvedere, in quanto il diritto al risarcimento del danno da ritardato adempimento è un diritto distinto da quello al pagamento della indennità. E dove ritenersi proposta tutte le volte che il danneggiato abbia richiesto il pagamento degli interessi; interessi che, nel caso in cui il danno sia già al momento del sinistro pari o superiore al massimale, vanno dunque computati sul massimale stesso dalla data della mora, di norma coincidente con la scadenza dello spatium deliberandi di sessanta giorni dal ricevimento da parte dell’ assicuratore della raccomandata con la quale il danneggiato gli abbia richiesto il risarcimento; e, nel caso in cui il danno sia originariamente inferiore al massimale ma ne raggiunga il livello col passare del tempo, dalla data in cui l’equivalenza è superata.

 

Il danneggiato non può invece far valere contro l’assicuratore, come proprio, il diritto al risarcimento del danno che, nel rapporto contrattuale di assicurazione, deriva all’assicurato dal pregiudizio che l’assicuratore gli cagiona non eseguendo la sua obbligazione in buona fede, ovvero sia la responsabilità per mala gestio. Quindi, se fino al limite del massimale può chiedere che l’assicuratore sia condannato al risarcimento del danno comprensivo di rivalutazione ed interessi (compensativi), non può poi chiedere che l’assicuratore sia condannato al risarcimento del danno con rivalutazione ed interessi anche oltre quel limite, perché non ne ha il diritto e perché questo ulteriore risarcimento può costituire unicamente oggetto di un diritto dell’assicurato, quello corrispondente alla responsabilità per mala gestio dell’assicuratore. Per farlo, il danneggiato deva agire con l’azione surrogatoria, sostituendosi al proprio debitore che trascura di esercitare quel diritto verso l’assicuratore (articolo 2900 Cc); e, se lo fa, può ottenere in suo favore la condanna dell’assicuratore, nei limiti in cui, a seconda dei casi, l’avrebbe potuta ottenere l’assicurato.

 

1.3. Nel caso in esame l’azione surrogatoria non è stata esercitata e la corte d’appello ha assunto una decisione conforme agli esposti principi, riconoscendo gli interessi ed il maggior danno sul massimale, pur se erroneamente determinato nella sua entità (a causa di un errore di diritto, come si dirà sub 2.1.).

 

2. Col primo motivo è denunciata violazione o falsa applicazione degli articoli 2059 Cc e 185 Cp, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo, per avere la corte d’appello apoditticamente ritenuto che i soggetti aventi diritto al risarcimento del danno morale per la morte della vittima primaria (nel caso in esame: Massimiliana S., moglie di Pasquale D. e madre degli altri due attori) non fossero ìpersone danneggiateî, con la conseguenza che il massimale di euro 100.000.000 ìper ogni persona danneggiataî dovesse riferirsi alla sola S., deceduta nell’incidente; e che, dunque, i danni morali patiti dai suoi stretti congiunti non potessero essere complessivamente riconosciuti che nel predetto limite di euro 100.000.000.

 

2.1. La censura è fondata.

 

La qualificazione anche degli stretti congiunti della persona deceduta (o gravemente menomata a seguito dell’incidente) come possibili persone danneggiato è insita nel fatto stesso che, com’è assolutamente pacifico, anche a loro può essere riconosciuto (ed è stato nel caso in esame riconosciuto) il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale derivato dall’evento mortale.

 

L’equivoco in cui è incorsa la corte d’appello è reso evidente dal riferimento agli eredi o aventi causa della persona deceduta, i quali possono appunto vantare jure successionis il diritto al risarcimento del danno (patrimoniale e non patrimoniale) subito dal loro dante causa nel caso di morte non istantanea. In tal caso il limite del massimale da considerare è effettivamente quello contrattualmente previsto per ogni persona danneggiata.

 

Ma quando gli stretti congiunti agiscono jure proprio per il risarcimento del danno derivato a loro stessi dalla morte (o dalle gravi menomazioni) della vittima primaria in ragione dello stretto rapporto parentale che alla stessa li lega (va) , essi prospettano allora la lesione di un diritto proprio (al rapporto parentale), derivato dallo stesso fatto che ha provocato la morte dello stretto congiunto e ad esso causalmente collegato, ex articolo 1223 Cc, in applicazione del principio di regolarità causale. In questo caso il limite del risarcimento non è, cumulativamente per tutti, quello previsto per una sola persona danneggiata; ma è, distintamente per ognuno di loro, quello previsto per ciascuna persona danneggiata. Dunque, nel caso di specie, lire 100.000.000 (oltre agli interessi ed al maggior danno da svalutazione, come stabilito dalla corte d’appello, per il caso di insufficienza del massimale) per ognuno dei tre congiunti della Sampietri, col limite complessivo di euro 300.000.000 per sinistro (oltre interessi e maggior danno, come s’è detto).

 

2.2. Accolto il primo e rigettato il secondo motivo di ricorso, la sentenza va dunque cassata con rinvio a diversa sezione della stessa corte d’appello, che provvederà alla liquidazione del danno conseguito alla morte di Massimiliana S. in conformità agli enunciati principi di diritto.

 

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Uniass, soccombente.

P.Q.M.

 

La Corte di Cassazione accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo, cassa in relazione e rinvia ad altra sezione della corte d’appello di Roma; condanna la Uniass Assicurazioni Spa a rimborsare ai ricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.100, di cui euro 5.000 per onorari, oltre alle spese generali ed agli accessori dovuti per legge.







Giovedì, 17 Febbraio 2005
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