Annullata l’aggravante a uno spacciatore di droga destinata al mercato della Capitale Un
chilo e mezzo di cocaina a Roma non è ingente quantità |
Un
chilo e mezzo di cocaina pura, pari a quasi 10.500 dosi, non può
essere considerata di per sé una ´ingente quantitઠai fini
del reato di spaccio nella città di Roma. Il principio è
stato affermato dalla Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione che
ha cancellato l’aggravante che era stata applicata ad uno spacciatore
di origini spagnole condannato a sette anni di reclusione e a 30 mila
euro di multa per ´detenzione a fini di spaccio di un chilo e mezzo di
cocaina puraª nella periferia della Capitale. Secondo i giudici di secondo
grado, infatti, lo spacciatore meritava l’applicazione dell’aggravante
della ingente quantità della dose in quanto ´un chilo e mezzo di
cocaina pura, pari a 10.442 dosi droganti, è in grado di soddisfare
un rilevante numero di tossicodipendentiª. Per la Suprema Corte, che ha
ribaltato la sentenza della Corte di Appello, un chilo e mezzo di coca
invece ´non integra di per sé un quantitativo ingente, a meno che
in relazione alle caratteristiche dell’offerta di droga, alla sua capacità
di diffusione e di assorbimento del mercato, non si determini un pericolo
concreto per la salute pubblica di elevata intensitàª; infatti,
per essere considerata ´ingenteª, la quantità dev’essere ´esorbitanteª
rispetto al ´normaleª traffico di droga, mentre la quantità di
un chilo e mezzo di droga non poteva essere considerata eccessiva ´considerato
anche che il mercato di destinazione era quello romano, certamente non
suscettibile di essere influenzato da un simile quantitativoª. (11
febbraio 2005)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Sesta Penale, sentenza n.49085/2004 (Presidente: L. Sansone; Relatore: G. Conti) LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE VI PENALE SENTENZA
FATTO-
Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Roma, in riforma
della sentenza in data 21 febbraio 2003 del GUP del Tribunale di Tivoli,
appellata da A. R. F. A, dichiarato responsabile, all’esito di giudizio
abbreviato, con le attenuanti generiche, del reato di cui agli artt.
73 e 80 D.P.R. n. 309 del 1990 [1] (detenzione a fini di spaccio di
Kg. 1, 566 di cocaina pura, in Tivoli, il 16 novembre 2002), riduceva
la pena ad anni sette di reclusione ed Euro 30,000 di multa.
La Corte di appello riteneva non accoglibile sia la doglianza relativa alla contestata aggravante della ingente quantità di stupefacente sia quella relativa al diniego della prevalenza delle attenuanti generiche. Ricorre per cassazione l’imputato, che deduce personalmente la violazione della legge penale in relazione alla misura eccessiva della pena, rilevando che erroneamente è stata ritenuta l’aggravante della ingente quantità di sostanza stupefacente in riferimento a Kg. 1, 5 di cocaina, considerato anche che il mercato di destinazione era quello romano, certamente non suscettibile di essere influenzato da un simile quantitativo; e che altrettanto erroneamente non è stata ritenuta la prevalenza delle attenuanti generiche svalutandosi lo stato di incensuratezza dell’imputato, le motivazioni socio - economiche che lo avevano spinto a delinquere, il buon comportamento processuale e il ruolo minimale di corriere nell’ambito del traffico internazionale di stupefacenti. Con motivi aggiunti, l’avv. Gennaro de Sena Plunkett, deduce: violazione di legge e vizio di motivazione in punto di comparazione tra circostanze, avendo la Corte di appello illegittimamente valutato negativamente il fatto che l’imputato non abbia fornito informazioni sui corrieri, tanto più che non era affatto certo che egli li conoscesse. Carenza di motivazione e violazione di legge sullo stesso punto, avendo i giudici di merito al riguardo impiegato le stesse considerazioni già espresse ai fini della determinazione della pena. Violazione
di legge in punto di determinazione della pena, parametrata non al
fatto criminoso ma alla effettività della pena da scontare,
e cioè tenendosi anticipatamente conto della riduzione di pena
ex art. 442 c.p.p., che invece ha natura processuale e che avrebbe
dovuto pertanto seguire alla determinazione in concreto della pena
ritenuta equa.DIRITTO |