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Corte di Cassazione 20/01/2005

Giurisprudenza di legittimità - Ogni attività diretta ad occultare la provenenienza delittuosa del bene mobile è illegale

Così, la sostituzione della targa originale del veicolo rubato è riciclaggio (Cassazione 41459/2004)
 

Ogni attività diretta ad occultare la provenenienza delittuosa del bene mobile è illegale
Così, la sostituzione della targa originale del veicolo rubato è riciclaggio

(Cassazione 41459/2004)

 

 

Commette il reato di riciclaggio chi sostituisce la targa di un’auto rubata o ne modifica il numero di telaio. Questo perché l’art. 648 bis del c.p. punisce tutte le attività dirette ad ostacolare la provenienza delittuosa della cosa. E’ il principio stabilito dalla Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, secondo la quale "la sostituzione della targa di un’autovettura, che costituisce il più significativo, immediato e utile dato di collegamento della res con il proprietario che ne è stato spogliato, ovvero la manomissione del suo numero di telaio, devono ritenersi operazioni tese ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della cosa ed integrano, pertanto, il reato di riciclaggio di cui all’art. 648-bis cod. pen."

Lo stesso Supremo Consesso ha infatti ricordato che con la norma incriminatrice del riciclaggio "il legislatore ha voluto reprimere sia le attività che si esplicano sul bene trasformandolo o modificandolo parzialmente, sia quelle altre che, senza incidere sulla cosa ovvero senza alterarne i dati esteriori, sono comunque di ostacolo per la ricerca della sua provenienza delittuosa", e che, a differenza che per il reato di ricettazione, del quale il solo possesso del bene di illecita provenienza può essere considerato una prova, "per il reato di riciclaggio, invece, non è sufficiente ma occorre provare che il soggetto abbia effettuato l’operazione atta ad occultare la provenienza del bene stesso".

Corte di cassazione, Sezione Seconda Penale,

sentenza n. 41459/2004

 

Motivi della decisione

Con sentenza in data 9/11/2001 la Corte di appello di Milano, confermava in parte la sentenza del Gip presso il Tribunale di Milano, in data 22/2/2001, con la quale C. G. era stato condannato per il reato di cui all’art 648-bis c.p., quello di falso in certificazione, ritenuta la continuazione con il reato di contrabbando, di cui ad una precedente sentenza divenuta irrevocabile, e rideterminava la pena della multa, inflitta dal primo giudice, in L. 6.000.000.

Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, il quale denuncia:

1) Erronea applicazione della legge penale (art. 606, lett. b), e) c.p.p.) e manifesta illogicità della motivazione emergente dal testo.

Non vi è prova che il ricorrente abbia posto in essere la condotta materiale ascrittagli. Il solo possesso del bene di illecita provenienza può, bensì, essere considerato prova del reato di ricettazione, per il reato di riciclaggio, invece, non è sufficiente ma occorre provare che il soggetto abbia effettuato l’operazione atta ad occultare la provenienza del bene stesso.

La doglianza è infondata. Effettivamente, perché si configuri la fattispecie di cui all’art. 648-bis, c.p., non basta il semplice possesso del bene di illecita provenienza, alterato in modo da ostacolarne l’identificazione della provenienza delittuosa, ma occorre un quid pluris idoneo ad indicare, secondo gli ordinari criteri di valutazione della prova, che la condotta, consistita nella suddetta alterazione o manipolazione del bene, sia riconducibile all’imputato.

Sennonché, nel caso di specie, tale quid pluris è stato individuato dalla corte territoriale nel fatto che l’imputato stesse adoperando l’automezzo, di illecita provenienza e con documenti e targhe falsificati, per trasportare un prezioso carico di tabacchi di contrabbando. Da tale circostanza, valutata anche alla luce del comportamento processuale dell’imputato, la Corte d’appello ha dedotto, con argomentazioni scevre da vizi logici, la responsabilità del ricorrente, quanto meno nelle forme del concorso di persone nel reato, anche per le operazioni di camuffamento dell’origine dell’automezzo, operazioni ritenute strumentali e necessarie per la commissione del reato di contrabbando.

In ogni caso, osserva ancora il ricorrente, non sussisteva il reato di riciclaggio perché non erano state del tutto perse le tracce della originaria provenienza del bene, la cui identificazione, pertanto era ancora possibile. L’alterazione del numero del telaio di un’autovettura, fattispecie in esame, non integra gli estremi del reato ipotizzato.

Entrambi gli argomenti sono infondati. Il Collegio aderisce alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui "la sostituzione della targa di un’autovettura, che costituisce il più significativo, immediato e utile dato di collegamento della res con il proprietario che ne è stato spogliato, ovvero la manomissione del suo numero di telaio, devono ritenersi operazioni tese ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa della cosa ed integrano, pertanto, il reato di riciclaggio di cui all’art. 648-bis cod. pen. Con tale disposizione, infatti, il legislatore ha voluto reprimere sia le attività che si esplicano sul bene trasformandolo o modificandolo parzialmente, sia quelle altre che, senza incidere sulla cosa ovvero senza alterarne i dati esteriori, sono comunque di ostacolo per la ricerca della sua provenienza delittuosa". (Cass. Pen. 1997, sent. 09026, 11/6/97-3/10/97, Sez. 2°, Riv. 208747, pres. Consoli, Ric. Pirisi).

È appena il caso di notare, infine, che non occorre davvero, perché si configuri la fattispecie in esame, che a seguito delle operazioni di camuffamento, vadano del tutto smarrite le tracce della provenienza del bene, essendo sufficiente che dette operazioni ostacolino, pur senza renderla impossibile, tale ricerca.

La corte ha modificato in peggio la pena della multa, sulla quale si era formato il giudicato, innalzandola da 2 a 4 milioni di lire. A nulla rileva che sia stata esclusa la sanzione pecuniaria inflitta per il contrabbando, trattandosi di cosa affatto diversa.

Questo motivo di ricorso è fondato. La sanzione amministrativa, comminata per alcune fattispecie penali, tra le quali quella di contrabbando in argomento, è irrogata dalla competente autorità amministrativa o, di norma, dallo stesso giudice penale allorquando decide in ordine ai reati che la prevedono. Essa, ancorché accessoria, è del tutta avulsa dalla pena per il reato e non interferisce con la stessa. Ne deriva che in caso di continuazione, ex art. 81, cpv, c.p., tra reati che prevedono le pene ordinarie e reati che prevedono anche sanzioni amministrative, la determinazione della pena ordinaria segue gli ordinari criteri, indicati dall’art. 81 citato, ma alla stessa andrà aggiunta la sanzione amministrativa, pure se il reato che la prevede non sia quello più grave.

Senza impugnazione, dunque, non sarebbe stato possibile peggiorare la pena, nella specie quella della multa, a prescindere dalla sorte della sanzione amministrativa, la cui eliminazione, peraltro, resta coperta da giudicato.

Conseguentemente va rideterminata la pena della multa, riportandola a quella originariamente irrogata dal primo giudice, pari a Euro 1.032.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente all’aumento della pena della multa che ridetermina in Euro 1.032. Rigetta nel resto.

 

Depositata in Cancelleria il 25 ottobre 2004.

Giovedì, 20 Gennaio 2005
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