Giurisprudenza di legittimità - Telelaser: legittima la misurazione effettuata anche in assenza di fotografia
Cassazione , sez. I civile, sentenza 09.11.2004 n° 21360
Telelaser:
legittima la misurazione effettuata anche in assenza di fotografia Cassazione
, sez. I civile, sentenza 09.11.2004 n° 21360
La Cassazione torna sulla vessata questione dell’utilizzo del
telelaser in assenza di fotografia e sembra aver messo una pietra
definitiva sul discusso utilizzo di questo tipo di misuratore
di velocità a puntamento, stabilendo che ai fini dell’applicazione
di sanzioni amministrative per eccesso di velocità è
legittima la misurazione effettuata mediante apparecchio telelaser
omologato, secondo il disposto dell’art. 142, comma 6, del c.d.s.,
anche se privo di dispositivi che forniscano una documentazione
fotografica dell’accertamento dell’infrazione (ricordiamo per
altro che alcuni recenti modelli sono in fase di aggiornamento
anche sotto questo aspetto).
Così si è pronunciata la Cassazione, con la sentenza
n. 21360 del 9 novembre 2004, che ha ricordato e ribadito il principio
in base al quale i risultati di apparecchiature debitamente omologati
costituiscono fonti di prova per la determinazione dell’osservanza
dei limiti di velocità e l’art. 345 secondo cui le apparecchiature
elettroniche, ai fini dell’omologazione, devono in via prioritaria
essere tali da fissare la velocità del veicolo in un determinato
momento in modo chiaro ed accertabile, e che, inoltre, devono
essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale di
cui all’art. 12 del c.d.s.
Corte di
cassazione
Sezione I civile
Sentenza 9 novembre 2004, n. 21360
SVOLGIMENTO
DEL PROCESSO
Marzio V. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di pace di
Foligno avvero l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto di Perugia
in data 5 novembre 2000 con la quale gli era stato intimato il
pagamento della sanzione amministrativa di lire 1.221.600 per
violazione dei limiti di velocità, come da verbale della
polizia stradale di Perugia dell’1 settembre 2000, deducendo l’insussistenza
del fatto contestato e l’inadeguatezza dell’apparecchio misuratore
telelaser utilizzato.
Con sentenza del 15-19 giugno 2001 il Giudice di pace rigettava
l’opposizione, osservando che le deduzioni del ricorrente circa
l’inaffidabilità dell’apparecchio misuratore non apparivano
sorrette da alcun elemento di riscontro e che il puntamento a
mezzo di tale strumento della vettura da lui condotta risultava
fino a querela di falso dal verbale di contestazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il V.
deducendo due motivi. Resiste con controricorso il Prefetto di
Perugia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa
applicazione dell’art. 142, comma 6, del d.lgs. 285/1992 e dell’art.
345, comma 1, del d.P.R. 495/1992, si deduce che il tipo di apparecchio
utilizzato, telelaser Lti 20-20, è assolutamente inadeguato
a fornire la prova certa del fatto contestato, in quanto stabilisce
la velocità di marcia del veicolo investito dal suo raggio,
ma non è in grado di identificare, per l’assenza di rilevatori
fotografici, l’autovettura della quale misura la velocità,
e pertanto è da ritenere non conforme alla disposizione
regolamentare richiamata, che postula che la velocità di
un determinato veicolo sia fissata in modo chiaro ed accertabile.
Si prospetta quindi l’illegittimità del decreto ministeriale
di omologazione di tale strumento e se ne sollecita la disapplicazione.
Con il secondo motivo, denunciando omissione, insufficienza e
contraddittorietà di motivazione, si deduce che la sentenza
impugnata ha omesso di prendere in esame il motivo di opposizione
con il quale si era dedotto che la velocità contestata
non era compatibile con le capacità tecniche del mezzo
condotto dal V. ed ha fornito una motivazione del tutto carente
nel disattendere le argomentazioni dirette a dimostrare l’errore
commesso nel riferire quella velocità a detto veicolo.
I due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro
connessione logica, sono infondati.
Questa Suprema Corte ha già avuto occasione di affermare
nella recente sentenza 5873/2004 (in relazione a violazione commessa,
come quella di specie, precedentemente all’entrata in vigore della
l. 168/2002, di conversione del d.l. 121/2002) che ai fini dell’applicazione
di sanzioni amministrative per eccesso di velocità deve
ritenersi legittima la misurazione effettuata mediante apparecchio
telelaser omologato, secondo il disposto dell’art. 142, comma
6, del c.d.s.
Come si è rilevato in detta decisione, la norma primaria
fissa il principio che le risultanze di apparecchiature debitamente
omologate costituiscono fonti di prova per la determinazione dell’osservanza
dei limiti di velocità, mentre la disposizione regolamentare
di cui all’art. 345, cui la prima fa rinvio (conformemente alla
norma generale di rinvio di cui all’art. 45, n. 6), richiede che
le apparecchiature elettroniche di controllo della velocità,
per poter essere omologate, siano tali da fissare la velocità
del veicolo in un determinato momento in modo chiaro ed accertabile,
siano inoltre gestite direttamente dagli organi di polizia stradale
di cui all’art. 12 del c.d.s. e siano nella disponibilità
di detti organi. Né l’una né l’altra di tali disposizioni
richiede pertanto che esse siano munite di dispositivi che forniscano
una documentazione fotografica dell’accertamento dell’infrazione,
così da identificare in via automatica e senza l’intervento
dell’uomo il veicolo cui l’accertamento stesso si riferisce.
Il tenore della norma regolamentare, che rapporta direttamente
l’esigenza di modalità chiare ed accertabili al dato della
velocità, rende invece evidente che i requisiti necessari
per l’omologazione dell’apparecchiatura attengono alla sua capacità
di rilevazione, in termini di certezza e verificabilità,
della velocità del veicolo sottoposto a controllo, mentre
resta affidato alla diretta percezione degli agenti, così
come generalmente avviene nell’accertamento delle violazioni del
c.d.s., il compito di riferire la velocità apparsa sul
display e successivamente riprodotta nell’apposito tagliando ad
un determinato mezzo.
Né potrebbe in contrario ritenersi che detto art. 345,
nel prescrivere che l’accertamento avvenga tutelando la riservatezza
dell’utente, postuli l’indispensabilità della documentazione
fotografica: ed invero dalla prescrizione posta a garanzia della
privacy, certamente riferibile alle situazioni in cui la violazione
abbia un riscontro fotografico, non appare consentito desumere,
nel quadro normativo di riferimento sopra delineato, che l’unica
modalità di rilevazione consentita sia quella fornita dalla
documentazione visiva dell’infrazione.
È infine appena il caso di ricordare che nel giudizio di
opposizione ad ordinanza-ingiunzione il verbale di accertamento
fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti attestati dal
pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza, descritti senza
margini di apprezzamento, o da lui compiuti, nonché della
provenienza del verbale stesso dal pubblico ufficiale, in forza
dell’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico, ai
sensi dell’art. 2700 c.c., mentre sono prive di efficacia probatoria
le valutazioni soggettive del verbalizzante. Ne consegue che l’accertamento
della violazione delle norme relative alla velocità deve
ritenersi provato sulla base della verbalizzazione dei rilievi
delle apparecchiatura omologate, facendo peraltro prova il verbale
sino a querela di falso dell’effettuazione dei rilievi stessi,
mentre le risultanze di questi costituiscono fonti di prova suscettibile
di prova contraria, che può essere fornita dall’opponente
con la dimostrazione del difetto di funzionamento del dispositivo,
sulla base di concrete circostanze di fatto (v. sul punto Cass.,
12324/1999; 8469/1998; 7667/1997).
In applicazione di tali principi appare evidente l’infondatezza
dei motivi di censura sopra sintetizzati, in quanto diretti a
prospettare la radicale inidoneità dello strumento utilizzato
ovvero, sotto altro profilo, a contrastare l’efficacia probatoria
delle attestazioni contenute nel verbale degli agenti operanti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese di questo giudizio di cassazione, nella misura liquidata
in dispositivo. P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente
al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 400 per
onorario, oltre le spese prenotate a debito, nonché le
spese generali e gli accessori come per legge.
La Cassazione torna sulla vessata questione dell’utilizzo del telelaser in assenza di fotografia e sembra aver messo una pietra definitiva sul discusso utilizzo di questo tipo di misuratore di velocità a puntamento, stabilendo che ai fini dell’applicazione di sanzioni amministrative per eccesso di velocità è legittima la misurazione effettuata mediante apparecchio telelaser omologato, secondo il disposto dell’art. 142, comma 6, del c.d.s., anche se privo di dispositivi che forniscano una documentazione fotografica dell’accertamento dell’infrazione (ricordiamo per altro che alcuni recenti modelli sono in fase di aggiornamento anche sotto questo aspetto).
Così si è pronunciata la Cassazione, con la sentenza n. 21360 del 9 novembre 2004, che ha ricordato e ribadito il principio in base al quale i risultati di apparecchiature debitamente omologati costituiscono fonti di prova per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità e l’art. 345 secondo cui le apparecchiature elettroniche, ai fini dell’omologazione, devono in via prioritaria essere tali da fissare la velocità del veicolo in un determinato momento in modo chiaro ed accertabile, e che, inoltre, devono essere gestite direttamente dagli organi di polizia stradale di cui all’art. 12 del c.d.s.
Corte di cassazione
Sezione I civile
Sentenza 9 novembre 2004, n. 21360
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Marzio V. proponeva opposizione dinanzi al Giudice di pace di Foligno avvero l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto di Perugia in data 5 novembre 2000 con la quale gli era stato intimato il pagamento della sanzione amministrativa di lire 1.221.600 per violazione dei limiti di velocità, come da verbale della polizia stradale di Perugia dell’1 settembre 2000, deducendo l’insussistenza del fatto contestato e l’inadeguatezza dell’apparecchio misuratore telelaser utilizzato.
Con sentenza del 15-19 giugno 2001 il Giudice di pace rigettava l’opposizione, osservando che le deduzioni del ricorrente circa l’inaffidabilità dell’apparecchio misuratore non apparivano sorrette da alcun elemento di riscontro e che il puntamento a mezzo di tale strumento della vettura da lui condotta risultava fino a querela di falso dal verbale di contestazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il V. deducendo due motivi. Resiste con controricorso il Prefetto di Perugia.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 142, comma 6, del d.lgs. 285/1992 e dell’art. 345, comma 1, del d.P.R. 495/1992, si deduce che il tipo di apparecchio utilizzato, telelaser Lti 20-20, è assolutamente inadeguato a fornire la prova certa del fatto contestato, in quanto stabilisce la velocità di marcia del veicolo investito dal suo raggio, ma non è in grado di identificare, per l’assenza di rilevatori fotografici, l’autovettura della quale misura la velocità, e pertanto è da ritenere non conforme alla disposizione regolamentare richiamata, che postula che la velocità di un determinato veicolo sia fissata in modo chiaro ed accertabile. Si prospetta quindi l’illegittimità del decreto ministeriale di omologazione di tale strumento e se ne sollecita la disapplicazione.
Con il secondo motivo, denunciando omissione, insufficienza e contraddittorietà di motivazione, si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di prendere in esame il motivo di opposizione con il quale si era dedotto che la velocità contestata non era compatibile con le capacità tecniche del mezzo condotto dal V. ed ha fornito una motivazione del tutto carente nel disattendere le argomentazioni dirette a dimostrare l’errore commesso nel riferire quella velocità a detto veicolo.
I due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione logica, sono infondati.
Questa Suprema Corte ha già avuto occasione di affermare nella recente sentenza 5873/2004 (in relazione a violazione commessa, come quella di specie, precedentemente all’entrata in vigore della l. 168/2002, di conversione del d.l. 121/2002) che ai fini dell’applicazione di sanzioni amministrative per eccesso di velocità deve ritenersi legittima la misurazione effettuata mediante apparecchio telelaser omologato, secondo il disposto dell’art. 142, comma 6, del c.d.s.
Come si è rilevato in detta decisione, la norma primaria fissa il principio che le risultanze di apparecchiature debitamente omologate costituiscono fonti di prova per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità, mentre la disposizione regolamentare di cui all’art. 345, cui la prima fa rinvio (conformemente alla norma generale di rinvio di cui all’art. 45, n. 6), richiede che le apparecchiature elettroniche di controllo della velocità, per poter essere omologate, siano tali da fissare la velocità del veicolo in un determinato momento in modo chiaro ed accertabile, siano inoltre gestite direttamente dagli organi di polizia stradale di cui all’art. 12 del c.d.s. e siano nella disponibilità di detti organi. Né l’una né l’altra di tali disposizioni richiede pertanto che esse siano munite di dispositivi che forniscano una documentazione fotografica dell’accertamento dell’infrazione, così da identificare in via automatica e senza l’intervento dell’uomo il veicolo cui l’accertamento stesso si riferisce.
Il tenore della norma regolamentare, che rapporta direttamente l’esigenza di modalità chiare ed accertabili al dato della velocità, rende invece evidente che i requisiti necessari per l’omologazione dell’apparecchiatura attengono alla sua capacità di rilevazione, in termini di certezza e verificabilità, della velocità del veicolo sottoposto a controllo, mentre resta affidato alla diretta percezione degli agenti, così come generalmente avviene nell’accertamento delle violazioni del c.d.s., il compito di riferire la velocità apparsa sul display e successivamente riprodotta nell’apposito tagliando ad un determinato mezzo.
Né potrebbe in contrario ritenersi che detto art. 345, nel prescrivere che l’accertamento avvenga tutelando la riservatezza dell’utente, postuli l’indispensabilità della documentazione fotografica: ed invero dalla prescrizione posta a garanzia della privacy, certamente riferibile alle situazioni in cui la violazione abbia un riscontro fotografico, non appare consentito desumere, nel quadro normativo di riferimento sopra delineato, che l’unica modalità di rilevazione consentita sia quella fornita dalla documentazione visiva dell’infrazione.
È infine appena il caso di ricordare che nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione il verbale di accertamento fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza, descritti senza margini di apprezzamento, o da lui compiuti, nonché della provenienza del verbale stesso dal pubblico ufficiale, in forza dell’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico, ai sensi dell’art. 2700 c.c., mentre sono prive di efficacia probatoria le valutazioni soggettive del verbalizzante. Ne consegue che l’accertamento della violazione delle norme relative alla velocità deve ritenersi provato sulla base della verbalizzazione dei rilievi delle apparecchiatura omologate, facendo peraltro prova il verbale sino a querela di falso dell’effettuazione dei rilievi stessi, mentre le risultanze di questi costituiscono fonti di prova suscettibile di prova contraria, che può essere fornita dall’opponente con la dimostrazione del difetto di funzionamento del dispositivo, sulla base di concrete circostanze di fatto (v. sul punto Cass., 12324/1999; 8469/1998; 7667/1997).
In applicazione di tali principi appare evidente l’infondatezza dei motivi di censura sopra sintetizzati, in quanto diretti a prospettare la radicale inidoneità dello strumento utilizzato ovvero, sotto altro profilo, a contrastare l’efficacia probatoria delle attestazioni contenute nel verbale degli agenti operanti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 400 per onorario, oltre le spese prenotate a debito, nonché le spese generali e gli accessori come per legge.