Il
mero stato di tossicodipendenza, senza altre circostanze concrete aggiuntive,
non può configurare il dolo o la colpa grave, quali cause di esclusione
del diritto alla riparazione per l’ingiusta detenzione, a norma dell’art.
314, comma 1°, c.p.p.
Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37664 del 2
luglio 2004, precisando che pur non essendo possibile un’individuazione
astratta dei comportamenti del tossicodipendente che possano configurare
quantomeno la colpa grave, ben può il giudice valutare il materiale
probatorio acquisito nel procedimento penale, al solo fine di individuare
la sussistenza o meno dei presupposti per il diritto alla riparazione,
con riferimento al provvedimento restrittivo della libertà personale.
Nella specie i giudici hanno ritenuto che la frequentazione da parte del
imputato prosciolto di ambienti ritrovo di spacciatori e di altri tossicodipendenti,
in possesso di sostanza stupefacente confezionata i dosi e in quantitativo
non trascurabile, consenta di configurare colpa grave prevista dall’art.
314, 1° comma, c.p.p. per l’esclusione del diritto alla riparazione,
essendosi così realizzata una condotta che ha dato causa alla custodia
cautelare subita.
(Altalex, 14 ottobre 2004)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
IV SEZIONE PENALE
SENTENZA 2 luglio 2004-23 settembre 2004 n. 37664
FATTO E DIRITTO
Con ordinanza in data 2/5/2003 la Corte di Appello di Salerno ha rigettato
l’istanza di riparazione per ingiusta detenzione, subita da G. A.
dal 20/12/2001 al 31/5/2002 per l’imputazione di cui all’art.
73 D.P.R. 309/90, dalla quale era stato dichiarato assolto perché
il fatto non costituisce reato con sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore
del 26/6/2002, divenuta irrevocabile.
La Corte di merito ha ritenuto la sussistenza della colpa grave quale
causa di esclusione del diritto alla riparazione (art. 314, 1° comma,
c.p.p.), in quanto il G. non solo deteneva la sostanza stupefacente (che
comunque costituisce un illecito amministrativo), ma aveva con se tre
dosi confezionate separatamente, dalle quali erano ricavabili sette dosi,
in zona che era ritrovo abituale spacciatori e tossicodipendenti, per
cui avrebbe dovuto considerare che, se fosse stato controllato, si sarebbe
potuto ragionevolmente ipotizzare che la droga detenuta era destinata
allo spaccio.
Il G., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione,
chiedendo l’annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza
per un unico motivo, assumendo che lo stato di tossicodipendenza non può
legittimare l’arresto, equiparandosi così il tossicodipendente
allo spacciatore.
La questione oggetto del presente giudizio presenta profili di indubbio
interesse, in quanto pone i quesiti: se il mero stato di tossicodipendenza
possa costituire colpa grave, a norma dell’art. 314, 1° comma,
c.p.p. per negare il diritto dell’imputato prosciolto nel merito
alla riparazione per l’ingiusta detenzione sofferta per incolpazione
attinente alle norme penali sugli stupefacenti; in caso negativo, stante
l’impossibilità di individuare una completa casistica astratta,
se le condotte concrete addebitate al ricorrente legittimino il rigetto
dell’istanza indennitaria.
In ordine al primo quesito, è noto che l’uso personale delle
sostanza stupefacenti ha costituito per il legislatore un problema di
non facile soluzione, dovendosi trovare un equilibrio sanzionatorio tra
il disvalore sociale dello stato di tossicodipendenza, pur non assimilabile
alle fattispecie penalmente rilevanti previste dall’art. 73 D.P.R.
309/90, ed il principale obiettivo del recupero del tossicodipendente.
Tale situazione, solo apparentemente conflittuale, ha trovato attuazione
nella disciplina dell’art. 75 decreto citato, la cui definitiva espressione
è quella derivata a seguito del referendum abrogativo del 18/19
aprile 1993, a cui ha fatto seguito il D.P.R. 5/5/1993 n. 171.
Questo Collegio ritiene, comunque, che lo stato di tossicodipendenza,
pur essendo illecito amministrativo, non è di per se solo automaticamente
sufficiente per configurare la colpa grave a norma dell’art. 314,
1° comma, c.p.p..
La giurisprudenza, ormai costante di legittimità, ritiene che il
dolo o la colpa grave possono concretarsi in comportamenti sia processuali
(e non è il caso di specie), sia di tipo extraprocessuale, come
la grave leggerezza o la macroscopica trascuratezza, e tenuti quindi,
sia anteriormente che successivamente al momento restrittivo della libertà
personale (Cass. Sez. Un. 13/12/1995, Sarnataro; Cass. 12/12/2001, Pavone).
Resta, però, la necessità che tali condotte abbiano necessariamente
incidenza causale sull’emissione del provvedimento cautelare, e siano
cioè tali, come espressamente previsto dall’art. 314, 1°
comma, c.p.p., da dare causa o concorrere a dare causa all’applicazione
del provvedimento restrittivo ovvero alla sua permanenza.
Non potendosi porre in discussione tale principio, che costituisce il
dato letterale e logico della esclusione del diritto alla riparazione,
è evidente che il mero stato di tossicodipendenza, pur costituendo
illecito amministrativo in caso di importazione, acquisto o detenzione
illecita di sostanze stupefacenti per uso personale, non può da
solo dare causa al provvedimento privativo della libertà personale.
Trattandosi principalmente di uno stato soggettivo non idoneo a trarre
in inganno il giudice che deve applicare la misura cautelare, ritenendo
sussistenti i gravi indizi di colpevolezza previsti dall’art. 273
c.p.p., e soprattutto non concentrandosi in una manifestazione di grave
trascuratezza ovvero nella prospettazione di una situazione che faccia
ritenere probabile la realizzazione di una delle condotte penalmente rilevanti
e previste dall’art. 73 D.P.R. 9/10/1990 m. 309, il mero stato di
tossicodipendenza non può considerarsi colpa grave.
È sufficiente sul punto indicare, ad esempio, il caso del tossicodipendente
che venga trovato nella propria abitazione in possesso di una o due dosi
di stupefacente.
È evidente che sussistono i presupposti per ritenere l’illecito
amministrativo di all’art. 75, ma è da escludere che si possa
ritenere una condotta gravemente colpevole che abbia causato l’applicazione
di una misura cautelare quale la custodia in carcere o gli arresti domiciliari.
Il caso specifico è, però, diverso da come prospettato in
ricorso, e soprattutto più particolareggiato, in quanto la Corte
territoriale non ha escluso il diritto alla riparazione per ingiusta detenzione
per il mero stato di tossicodipendenza, ma per lo stato di tossicodipendenza
unitamente ad altre circostanze fattuali, le quali, ricostruendo la situazione
concreta quale si presentava al giudice che ha applicato la misura cautelare
al momento dei fatti, erano idonee a fare ragionevolmente ritenere una
detenzione finalizzata allo spaccio, e quindi configurante una delle ipotesi
penalmente rilevanti previste dal citato art. 73.
Il giudice di merito ha peraltro distinto l’operazione logica propria
del giudice del processo penale, volta all’accertamento della sussistenza
di un reato e della sua commissione da parte dell’imputato, da quella
propria del giudice della riparazione il quale, pur dovendo eventualmente
operare sullo stesso materiale, deve seguire un iter logico- motivazionale
del tutto autonomo, perché è suo compito stabilire non se
determinate condotte costituiscono o meno reato, ma se queste si siano
poste come fattore condizionante (anche nel corso dell’errore altrui)
alla produzione dell’evento detenzione; ed in relazione a tale aspetto
della decisione egli ha piena ed ampia libertà di valutare il materiale
acquisito nel processo, non già per rivalutarlo, bensì al
fine di controllare la ricorrenza o meno delle condizioni dell’azione,
sia in senso positivo che negativo, compresa l’eventuale sussistenza
di una causa di esclusione del diritto alla riparazione (Cass. Sez. UN.
13/12/1995 Sarnataro).
Esaminando l’ordinanza impugnata, risulta evidente che la Corte di
merito non ha assimilato il tossicodipendente allo spacciatore, come sostenuto
in ricorso, e certamente, se lo avese fato il provvedimento si sarebbe
dovuto annullare, non spettando al giudice della riparazione di riformulare
il giudizio sulla ormai acclarata innocenza del ricorrente.
La Corte territoriale ha, invece, preso in considerazione vari elementi
risultanti dal procedimento penale, che, pur se non idonei ad una declaratoria
di condanna, avevano dato causa all’applicazione della misura restrittiva
della libertà personale, e cioè: lo stato di tossicodipendenza
del ricorrente; il possesso di sostanza stupefacente in luogo pubblico;
il confezionamento in tre dosi dell’eroina; il quantitativo corrispondente
a sette dosi con effetto drogante; la circostanza che il G. si era recato
con tali dosi di eroina in un luogo ritrovo abituale di spacciatori e
tossicodipendenti.
Tali concrete circostanze hanno indubbiamente dato causa al provvedimento
restrittivo e concretano una condotta altamente imprudente, che legittimamente
può ingenerare in chi deve decidere sulla richiesta cautelare del
PM la convinzione che sussistano gravi indizi di colpevolezza a norma
dell’art. 273 c.p.p.
L’esito del giudizio penale non è (e non potrebbe essere)
scalfito dalle puntuali osservazioni della Corte di Appello di Salerno
con l’ordinanza impugnata, avendo il giudice di merito ricostruito,
in base alle risultanze del procedimento penale, la situazione di fatto
con riferimento limitato al provvedimento restrittivo, e non alla sentenza,
valutazione interpretativa che non solo gli spettava, ma alla quale era
obbligato per la verifica dei presupposti per il riconoscimento del diritto
alla riparazione per ingiusta detenzione, ai sensi dell’art. 314
c.p.p.
In conclusione, il mero stato di tossicodipendenza, senza altre circostanze
concrete aggiuntive, non può configurare il dolo o la colpa grave,
quali cause di esclusione del diritto alla riparazione per l’ingiusta
detenzione, a norma dell’art. 314, comma 1°, c.p.p. non è,
poi, possibile un’individuazione astratta dei comportamenti del tossicodipendente
che possano configurare quantomeno la colpa grave ma ben può il
giudice valutare il materiale probatorio acquisito nel procedimento penale,
al solo fine di individuare la sussistenza o meno dei presupposti per
il diritto alla riparazione, con riferimento al provvedimento restrittivo
della libertà personale.
In fine, la frequentazione da parte del tossicodipendente di ambienti
ritrovo di spacciatori e di altri tossicodipendenti, in possesso di sostanza
stupefacente confezionata i dosi e in quantitativo non trascurabile, consente
di configurare colpa grave prevista dall’art. 314, 1° comma,
c.p.p. per l’esclusione del diritto alla riparazione, essendosi così
realizzata una condotta che ha dato causa alla custodia cautelare subita.
Il ricorso viene, quindi, rigettato con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Roma, 2 luglio 2004.
Depositata
in Cancelleria il 23 settembre 2004
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