l cittadino ha diritto di difendere la proprietà anche se il ladro ha abbandonato la refurtiva Legittimo
inseguire il rapinatore senza bottino (Cassazione 37960/2004) | |
è legittimo inseguire un rapinatore per recuperare la refurtiva, anche se, nella fuga, il ladro abbia abbandonato il bottino. Questo in sostanza il principio stabilito dalla Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione che ha respinto il ricorso di un cittadino marocchino che aveva sottratto il portafoglio ad una giovane ma, essendosi accorto di essere stato visto, nella fuga aveva lasciato cadere a terra il bottino, reagendo con violenza contro un signore che lo aveva inseguito per fermarlo. I giudici di primo e secondo grado lo avevano condannato per il reato di rapina impropria - che punisce il rapinatore che "adopera violenza o minaccia immediatamente dopo la sottrazione, per assicurare a sé o ad altri il possesso della cosa sottratta, o per procurare a sé o ad altri l’impunità" - e contro tale condanna il difensore era ricorso in cassazione sostenendo che un cittadino non aveva diritto di arrestare il ladro, tanto più che questi aveva abbandonato la refurtiva. Ma la Suprema Corte ha spiegato che non solo è legittimo inseguire un ladro che si dà alla fuga, in quanto il cittadino ha diritto di difendere la sua proprietà, ma che l’azione di chi si lanci all’inseguimento di un malvivente per consentirne l’arresto è addirittura "encomiabile". (13 ottobre 2004) Suprema Corte di Cassazione, Sezione Seconda Penale, sentenza n.37960/2004 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE II PENALE SENTENZA Sul ricorso proposto da O. M. avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, sezione I penale, in data 12 dicembre 2003. Sentita la relazione della causa fatta dal consigliere P.A. S. Udita la requisitoria del sostituto procuratore generale S. Consolo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso, osserva: MOTIVI DELLA DECISIONE Con sentenza del 13 gennaio 2003, il Tribunale di Bologna dichiarò O. M. responsabile dei reati di rapina impropri aggravata e di porto di arma da taglio, unificati dal vincolo della continuazione, e lo condannò alla pena di tre anni e un mese di reclusione e di euro 600 di multa. Avverso tale provvedimento líimputato propose impugnazione, ma la Corte di appello di Bologna, con sentenza del 12 dicembre 2003, respinse il gravame. Ricorre per cassazione il difensore dellíimputato deducendo: erronea applicazione della legge penale relativamente agli artt. 383 c.p.p. e 5 c.p., e conseguentemente dellíart. 628, comma 2, c.p.. Il ricorrente sostiene che líO. non risponderebbe della rapina impropria a lui attribuita per i seguenti motivi: líimputato aveva sottratto un portafoglio a una giovane ma si era reso conto che una persona si era accorta del furto; perciò aveva lasciato cadere a terra líoggetto rubato e si era dato alla fuga; ma la persona che lo aveva visto rubare lo aveva inseguito; tuttavia, poiché tale persona non aveva alcun diritto di arrestarlo, atteso che per il furto aggravato tale facoltà non è data al comune cittadino, egli aveva reagito a quella che, secondo la tesi difensiva, sarebbe stata una violenza privata, sia pure in buona fede, nei suoi confronti. La censura è manifestamente infondata. La fattispecie in esame rientra nella tipica ipotesi di rapina impropria, prevista dallíart. 628, comma 2, ultima parte, c.p. [1]: è stato accertato, infatti, che líimputato, immediatamente dopo avere rubato un portamonete a una ragazza, ebbe, al fine evidente di procurarsi líimpunità, a usare violenza nei confronti di S. M., il quale aveva cercato di fermarlo. Ben poco vi sarebbe da aggiungere a quanto sopra riferito, se il ricorrente non avesse tentato di sostenere che la reazione dellíO. era stata legittima, in quanto il menzionato S. lo aveva inseguito pur non avendo il diritto di arrestarlo, e avrebbe quindi commesso una violenza privata ai suoi danni. Ma anche tale tesi difensiva, che vorrebbe addirittura criminalizzare líencomiabile operato di un soggetto intervenuto in difesa di un diritto altrui, è del tutto destituita di fondamento. Il privato, pur se non ricorrono le condizioni previste dal combinato disposto degli artt. 383 e 380 c.p.p., e quindi anche se non ha la facoltà di procedere allíarresto in flagranza dellíautore dei reati per i quali è solo previsto líarresto facoltativo da parte della polizia giudiziaria, ha tuttavia il diritto di difendere la sua proprietà e quella di terzi dagli attacchi dei malfattori (arg. Ex artt. 52 e 59, comma 4, c.p.); e quindi di inseguire un ladro al fine di recuperare la refurtiva e di consentirne líidentificazione e líeventuale arresto da parte della polizia giudiziaria. Dunque, líoperato del S. era assolutamente legittimo; e da ciò consegue la manifesta infondatezza della tesi difensiva. Ai sensi dellíart. 616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, líimputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento a favore della casa delle ammende della somma di 600 euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. PQM Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di seicento euro alla cassa delle ammende. 7 luglio 2004. Depositata in Cancelleria il 24 settembre 2004. |