La disciplina prevista a favore del
difensore di ufficio dell’imputato irreperibile è applicabile anche al
difensore di ufficio del latitante.
Lo ha stabilito la Cassazione, con la
sentenza 4 marzo 2004 n. 10367, precisando che la dichiarazione di
latitanza presuppone le vane ricerche, ad opera della polizia giudiziaria,
della persona colpita da misura cautelare personale, onde tale situazione,
essendo senz’altro assimilabile alla condizione di irreperibilità,
legittima la liquidazione del compenso a carico diretto dello Stato, senza
che sia necessaria la dimostrazione di avere previamente attivato le
procedure per il recupero del credito professionale.
(Altalex, 9 luglio 2004)
Cassazione
Sezione prima
penale (cc)
Sentenza 11
febbraio 4 marzo 2004, n. 10367
(Presidente Teresi – Relatore Silvestri)
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 21 novembre 2002, il
Tribunale di Milano respingeva il ricorso proposto dall’avv. R. L. avverso
il provvedimento in data 31 marzo 2001 della locale Corte di Assise, con
cui era stata rigettata la richiesta di liquidazione dei compensi
professionali quale difensore di ufficio di F. S., imputato latitante,
rilevando che la liquidazione era preclusa dal mancato esperimento delle
procedure per il recupero del credito professionale e che non era
applicabile la disposizione eccezionale riguardante il difensore di
ufficio di imputato irreperibile.
La L. proponeva ricorso per Cassazione chiedendo l’annullamento
dell’ordinanza per violazione di legge e vizi logici della motivazione,
sull’assunto che, ai fini della liquidazione del compenso al difensore di
ufficio, era stata erroneamente esclusa l’equiparazione tra imputato
irreperibile e imputato latitante.
Considerato in diritto
1. La remunerazione del difensore di ufficio
dell’imputato era regolata dagli articoli 32 e 32bis disp. att. Cpp,
nel testo sostituito dagli articoli 17 e 18 della legge 60/2001, la cui
disciplina è stata ora trasfusa, senza modificazioni sostanziali, negli
articoli 116 e 117 del Dpr 115/02, contenente il Tu delle disposizioni
legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia.
L’articolo 116, comma 1, dispone che l’onorario e le spese spettanti al
difensore di ufficio dell’imputato sono liquidati dal magistrato, nella
misura e con le modalità previste per il patrocinio a spese dello Stato
(articolo 82 del Dpr 115/02 cit.), quando il difensore dimostra di avere
esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti
professionali.
Dall’inequivoca portata della disposizione traspare che il difensore di
ufficio ha l’onere di attivare le azioni occorrenti per ottenere il
pagamento del credito sorto in dipendenza del rapporto di prestazione
d’opera professionale e che, soltanto a seguito dell’infruttuoso tentativo
di conseguire l’adempimento dell’obbligazione gravante sull’imputato,
diventa operativa la responsabilità sussidiaria dello Stato per il
pagamento delle spese e dell’onorario.
L’assetto della disciplina trova specifica ragione giustificativa
nell’intento di assicurare la concretezza ed effettività della difesa di
ufficio, che, per essere tale, non può evidentemente prescindere dalla
garanzia per il difensore della percezione della retribuzione per l’opera
professionale prestata a favore dell’imputato. Ne segue che, non essendo
pensabile una difesa di ufficio realmente efficace senza che il difensore
sia remunerato, tale garanzia è data proprio dall’intervento dello Stato,
il quale, in via sussidiaria, è tenuto a sostituirsi all’imputato nel
pagamento dell’onorario e delle spese, quando il difensore non sia
riuscito ad ottenerlo dall’obbligato principale, in stretta correlazione
col precetto costituzionale che, definendo la difesa come “diritto
inviolabile in ogni stato e grado del procedimento” (articolo 24, comma 2,
Costituzione), si specifica nel processo penale quale diritto-dovere di
difesa dell’imputato.
2. Per una corretta soluzione della questione relativa al diritto del
difensore di ufficio a percepire i compensi dallo Stato qualora l’imputato
sia latitante, occorre coordinare la disposizione contenuta nell’articolo
116, comma 1, del Dpr cit. con la disposizione di cui al successivo
articolo 117, che, nel prevedere l’obbligo diretto dello Stato di
corrispondere l’onorario e le spese spettanti al difensore di ufficio di
persona irreperibile, esonera il legale dall’onere del preventivo
esperimento delle procedure di recupero del credito.
Il tema relativo ai rapporti tra l’articolo 116 e l’articolo 117 del Dpr
115/02 ha fatto registrare difformità di posizioni nella giurisprudenza di
questa Corte. Secondo un primo indirizzo, la normativa ex articolo
117 ha carattere eccezionale, in quanto costituisce deroga alla regola
generale posta dall’articolo 116, onde la norma relativa all’imputato
irreperibile non è applicabile, per via analogica, oltre il caso
tassativamente previsto.
In tale prospettiva interpretativa, è stato ritenuto che l’applicabilità
del principio secondo cui il difensore d’ufficio dell’indagato,
dell’imputato e del condannato irreperibile è retribuito in base alle
norme relative al patrocinio a spese dello Stato, presuppone sempre un
previo provvedimento di irreperibilità reso dall’autorità giudiziaria
nella fase delle indagini preliminari, del giudizio o, in sede di
esecuzione, dopo la condanna, senza che possa avere rilevanza la
condizione della mera irreperibilità di fatto, non accertata con le forme
prescritte dall’articolo 159 Cpp (Cassazione, Sezione quarta, 20 dicembre
2002, Battistella, rv. 224011). Nella medesima ottica, con riguardo ad una
situazione identica a quella in esame, è stato stabilito che, attesa la
ontologica differenza tra latitanza ed irreperibilità, deve escludersi che
al difensore d’ufficio del latitante possa applicarsi la disciplina
dettata in materia di retribuzione del difensore d’ufficio
dell’irreperibile dall’articolo 32bis disp. att. Cpp, oggi
sostituito dall’articolo 117 del Tu sulle, spese di giustizia approvato
con Dpr 115/02 (Cassazione, Sezione, prima, 3 luglio 2003, Elia, rv.
226144).
3. Il Collegio ritiene di non potere condividere tale linea
interpretativa, in quanto essa non è rispondente ad una corretta analisi
ricostruttiva della disciplina sulla liquidazione dell’onorario e delle
spese spettanti al difensore di ufficio né coglie i reali rapporti
esistenti tra gli articoli 116 e 117 del Dpr 115/02. In particolare, va
sottolineato che il predetto orientamento giurisprudenziale muove
dall’errata premessa che la disposizione di cui all’articolo 117 debba
catalogarsi tra le norme eccezionali e derogatorie. L’errore risulta
palese quando si considera che, se è vero che la regola generale dettata
dall’articolo 116 subordina l’obbligo diretto dello Stato alla condizione
del previo esperimento delle procedure di recupero del credito
professionale, è parimenti certo che non avrebbe alcun senso pretendere
l’esistenza di tale condizione quando l’imputato è irreperibile e contro
di lui non possono utilmente azionarsi quelle procedure. La previsione
dell’articolo 117 non rappresenta, perciò, una deroga o un’eccezione alla
regola generale, ma ne costituisce uno sviluppo razionale e una lineare
applicazione, onde inconfutabili ragioni di coerenza logica impongono di
riconoscere che l’obbligo diretto dello Stato opera in tutti i casi nei
quali il difensore di ufficio si trova nell’impossibilità di rintracciare
l’imputato per esercitare le azioni di recupero. Una siffatta posizione
interpretativa sta alla base di recenti pronunce di questa Corte con le
quali è stato stabilito che l’onere, imposto al difensore d’ufficio ai
sensi dell’articolo 32 disp. att. Cpp, di aver esperito inutilmente le
procedure per il recupero dei crediti professionali, per ottenere dallo
Stato il compenso dovutogli in base alla normativa sul patrocinio dei non
abbienti, deve ritenersi escluso ai sensi dell’articolo 32bis disp.
att. non soltanto nel caso in cui l’assistenza risulti prestata a favore
di un soggetto dichiarato formalmente irreperibile, ma anche nel caso in
cui, pur non essendo stato emesso decreto di irreperibilità, possa
ritenersi accertata l’esistenza di una situazione di irreperibilità di
fatto del soggetto (Cassazione, Sezione quarta, 3 dicembre 2002, Abate
Azaro, rv. 224329; Sezione prima, 3 luglio 2003, Lanni, rv. 225117).
4. Alla luce delle precedenti considerazioni è indubbio che nella
disposizione di cui all’articolo 117 è sicuramente riconducibile la
situazione del difensore di ufficio dell’imputato latitante, dato che, se
così non fosse, risulterebbe del tutto contrario al canone della
ragionevolezza richiedere che l’intervento dello Stato, nel pagamento
delle spese e dell’onorario, sia subordinato al previo esperimento
infruttuoso delle procedure di recupero del credito nei confronti di una
persona che neppure la polizia giudiziaria è riuscita a rintracciare
attraverso le ricerche eseguite, a norma dell’articolo 295 Cpp, al fine di
dare esecuzione ad una misura cautelare personale.
Pertanto, deve enunciarsi il seguente principio di diritto: «la disciplina
prevista a favore del difensore di ufficio dell’imputato irreperibile è
applicabile anche al difensore di ufficio del latitante, per la ragione
che la dichiarazione di latitanza presuppone le vane ricerche, ad opera
della polizia giudiziaria, della persona colpita da misura cautelare
personale, onde tale situazione, essendo senz’altro assimilabile alla
condizione di irreperibilità, legittima la liquidazione del compenso a
carico diretto dello Stato, senza che sia necessaria la dimostrazione di
avere previamente attivato le procedure per il recupero del credito
professionale».
Di conseguenza, va riconosciuto che le censure formulate dalla ricorrente
sono fondate e, pertanto, deve pronunciarsi l’annullamento dell’ordinanza
impugnata con rinvio al Tribunale di Milano perché provveda alla
liquidazione dell’onorario e delle spese.
PQM
La Corte suprema di Cassazione, Sezione prima penale, annulla
l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Milano.
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