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Corte di Cassazione 29/04/2004

Giurisprudenza di legittimità - Per il provvedimento dell’amministrazione non è richiesto un pericolo di insolvenza Fermo amministrativo anche per ragionevole apparenza

(Cassazione 4567/2004)
Da "Cittadino Lex"
Per il provvedimento dell’amministrazione non è richiesto un pericolo di insolvenza

Fermo amministrativo anche per ragionevole apparenza

(Cassazione 4567/2004)
Per l’adozione del provvedimento di " fermo amministrativo" è sufficiente un "fumus boni iuris" del credito, mentre non è richiesto un "periculum in mora". La Quinta Sezione Civile della Corte di Cassazione ha chiarito i presupposti del rimedio che la legge fornisce alla Pubblica Amministrazione nel caso di mancato pagamento di somme dovute da parte dei cittadini (particolarmente frequente, ed oggetto di vivaci polemiche, quello che consente il blocco della circolazione dell’automobile di proprietà). La Cassazione ha infatti stabilito che l’amministrazione finanziaria può legittimimamente negare un rimborso IVA quando sia stato adottato un provvedimento di fermo amministrativo delle somme pretese in restituzione per il solo fatto che vi siano controversie tra le parti su rettifiche relative ad altre annualità. La Suprema Corte ha motivato tale decisione spiegando che per l’adozione del fermo amministrativo è suffiente un "fumus boni iuris" del credito (cioè una "non irragionevolezza della pretesa"), e non è invece richiesto un "periculum in mora" (cioè un pericolo nel ritardo che giustificherebbe invece l’adozione di provvedimenti più gravi come l’iscrizione di ipoteca legale sui beni del debitore), affermando che tale istituto "non configura un irrazionale privilegio ma uno strumento necessario alla protezione del pubblico interesse connesso alle esigenze finanziarie dello Stato". (28 aprile 2004)

Suprema Corte di Cassazione, Sezione Quinta Civile, sentenza n.4567/2004

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE V CIVILE
SENTENZA
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO


Con ricorso notificato al Ministero delle Finanze il 13 novembre 2000 (depositato il 30 novembre 2000), s.p.a. Italkali (Società Italiana Sali Alcalini), con la rifusione delle spese anche dei pregressi gradi di giudizio, chiedeva, in base ad un solo motivo, di cassare la sentenza n. 81/9/00 depositata il 7 aprile 2000 dalla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, la quale, in accoglimento dell’appello proposto dall’Amministrazione Finanziaria dello Stato avverso la decisione n. 199/94 depositata il 12 aprile 1994 dalla Commissione Tributaria di primo grado do Palermo, aveva respinto il ricorso da essa proposto il 30 giugno 1992 contro il rifiuto (per fermo amministrativo ex art. 69 R.D. n. 2440 del 1923 [1] delle somme pretese attesa la pendenza di controversie su rettifiche notificate per gli anni dal 1982 al 1985), espresso dal competente Ufficio Iva con nota del 29 aprile 1992, di rimorso della somma di £ 530.000.000 corrisposta in eccesso nel terzo trimestre 1989, di decidere nel merito dichiarando illegittimo il diniego del rimborso e, in subordine, di rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale dell’art. 69 detto.

Nel controricorso notificato il 22 dicembre 2000 (depositato il 10 gennaio 2001) il Ministero intimato, con ogni conseguente provvedimento in ordine alle spese processuali, chiedeva in base a tre motivi di rigettare il ricorso avverso e, in subordine, di accogliere il ricorso incidentale che spiegava in espresso subordine all’accoglimento di quello principale.

Con sentenza n. 1733/02 depositata il 7 febbraio 2002 le sezioni unite di questa Corte, riuniti i contrapposti ricorsi, rigettava il primo motivo del ricorso incidentale proposto dal Ministero, affermando la giurisdizione delle commissioni tributarie, e trasmettevano gli atti al Primo Presidente per la designazione di sezione semplice in ordine alla decisione sul ricorso principale e sul secondo motivo del ricorso incidentale.

Il 27 novembre 2002 la contribuente depositava memorie ex art. 378 c.p.c. nelle quali insisteva per l’accoglimento del suo ricorso e per il rigetto di quello incidentale spiegato da controparte.

Il 17 giugno 2003 la ricorrente depositava procura speciale di nomina di nuovo difensore in sostituzione di uno dei precedenti.

Il primo ottobre 2003 la medesima ricorrente depositava ulteriori memorie ex art. 378 c.p.c. nelle quali segnalava che l’Amministrazione Finanziaria dello Stato non aveva realizzato l’intenzione, comunicata nella precedente udienza dalla difesa erariale, di effettuare il rimborso dell’IVA oggetto della controversia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

La Commissione Tributaria Regionale della Sicilia ha accolto l’appello dell’Amministrazione Finanziaria osservando: non v’è dubbio che tra l’ipotesi di concessione di provvedimento autorizzativo di iscrizione di ipoteca legale sui beni del contribuente trasgressore (art. 26 della legge 7 gennaio 1929 n. 4) e l’esercizio del fermo amministrativo che ha natura di autotutela cautelare v’è una differente ratio strutturale che svincola, anche complementariamente, le situazioni innanzi richiamate.

Infatti, requisito essenziale per l’iscrizione di ipoteca legale è la sussistenza del pericolo nel ritardo mentre il fermo amministrativo, per la sua natura cautelare e intrinsecamente provvisoria, è adottabile anche nei casi in cui il credito dell’Amministrazione Finanziaria sia contestato, ma è ragionevole sostenerne l’esistenza perché presupposto di esso è la mera ragione del credito e non già la sua effettiva esistenza (Cons. Stato, IV sez., 27 febbraio 1998 n. 350).

La stessa Commissione, quindi, ha osservato che nella fattispecie l’appellata Italkali ha labialmente enunciato l’annullamento da codesta…Commissione delle rettifiche ma al riguardo non ha fornito alcuna prova soprattutto sulla definitività della statuizione di annullamento.

Con il suo motivo di ricorso la società, premesso l’assunto secondo il quale la Commissione Provinciale aveva fondato la sua decisione sulla natura cautelare del fermo amministrativo, osservando che una sentenza, costituente giudicato inter partes, aveva escluso ogni rischio di incapienza della pretesa dell’erario e che, inoltre, l’Ufficio non aveva dedotto alcunché circa l’esigenza di garantirsi per l’inadempimento nel caso la sua pretesa fosse riconosciuta legittima, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. lamenta violazione e falsa applicazione… degli artt. 69 R.D. n. 2440 del 1923 e 2697 cod. civ.; assumendo che: è profondamente contraddittorio parlare, da un lato, di misura cautelare (nel che è insito l’imprescindibile requisito del periculum in mora) e, dall’altro lato, di sufficienza della mera non irragionevolezza della pretesa creditoria); il giudicato intervenuto inter partes esclude in radice, anche per l’assenza di ogni avversa deduzione da parte del Fisco, il periculum in mora; la stessa Amministrazione aveva giustificato il fermo amministrativo con l’impossibilità di adottare altre misure cautelari, risolvendosi… a chiedere al Presidente del Tribunale l’iscrizione di ipoteca il cui presupposto, ex art. 26 legge n. 4 del 1929, era il pericolo nel ritardo.

Secondo la società, quindi, è evidente l’assurdità della tesi secondo la quale il medesimo credito contestato potrebbe essere garantito ora in quanto mera non irragionevole pretesa (con il fermo) ora in quanto messo in pericolo dal ritardo (ipoteca).

La ricorrente deduce, ancora, che una lettura dell’art. 69 R.D. n. 2440 quale quella adottata dall’impugnata sentenza si risolve nella violazione del precetto costituzionale di uguaglianza davanti alla legge(per l’irrazionalità del privilegio accordato indiscriminatamente ai crediti della P.A.) e, del diritto di adire il giudice per conseguire la tutela delle proprie situazioni soggettive, compresse e vanificate (anche se incontestate e incontestabili) quale che si la consistenza della pretesa creditoria della P.A. da una insindacabile determinazione di quest’ultima.

Per la contribuente, infine, l’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa la labile enunciazione dell’annullamento è incongruente, ancor più che erronea, essendo pacifico che le rettifiche, annullate in primo grado, sono ancora oggetto di giudizio pendente a seguito d’impugnazione dell’Amministrazione e, che la questione oggetto del presente giudizio è soltanto quella del se sia legittimo negare il rimborso di somme certamente dovute sol perché è sub giudice una pretesa (contestata) del Fisco nei confronti di un contribuente…più che solvibile, in assenza di prove (il cui onere grava sul Fisco) della sussistenza delle condizioni giustificatrici del fermo amministrativo.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale il Ministero deduce violazione degli artt. 2 e 21 D.Lgs. 31 dicembre 1992 n. 546 e degli artt. 2 e 21 legge 6 dicembre 1971 n. 1034 adducendo che, il ricorso originario alla CTP era… inammissibile perché tardivamente proposto in ragione del fatto che… nella impugnata nota 29 aprile 1992 il provvedimento di fermo amministrativo era stato già in precedenza disposto e se ne chiedeva soltanto la rimozione e, che tale tardività rileva i ordine alla proposizione sia del ricorso al TAR che del ricorso alla CTP.

L’esame della inammissibilità eccepita dal Ministero riveste carattere evidentemente pregiudiziale rispetto a quello dei motivi del ricorso principale in quanto concerne la tempestività o meno della proposizione del ricorso introduttivo del giudizio per cui l’inammissibilità detta deve essere valutata prima del riprodotto motivo del ricorso principale, a nulla valendo la sua enunciazione espressamente condizionata all’accoglimento del ricorso principale in quanto (Cass., un., 23 maggio 2001 n. 212) l’interesse al ricorso sorge per il fatto stesso che il ricorrente incidentale è soccombente sulla questione pregiudiziale o preliminare decisa in senso sfavorevole, la vittoria conseguita nel merito è resa incerta dalla proposizione del ricorso principale e non dalla sua eventuale fondatezza e, soprattutto, le regole processuale sull’ordine logico delle questioni da definire, applicabile anche al giudizio di legittimità (art. 380, comma 2, c.p.c. e 141, comma 1, disp. att. c.p.c.), non sono soggette alle sollecitazioni delle parti.

L’inammissibilità sollevata dal Ministero, in coerenza con quanto statuito inter partes dalle sezioni unite di questa Corte con la decisione n. 1733/02 depositata il 7 febbraio 2002 circa la spettanza al giudice tributario della giurisdizione sulla controversia de qua ed in applicazione dei principi giuridici ivi esposti, deve essere respinta perché infondata.

In detta sentenza, invero, si è chiaramente riconosciuto, nella specie, il potere del giudice tributario di disapplicare il provvedimento di fermo del rimborso che non risulti assistito dal relativo potere: da tanto discende che la mancata impugnativa nei termini, innanzi al giudice amministrativo, di detto provvedimento è priva di rilevanza giuridica in quanto l’esame di tale atto da parte del giudice tributario non costituisce oggetto diretto della decisione richiestagli ma risulta meramente strumentale a quello, tempestivamente domandato dalla società, relativo all’infondatezza del provvedimento, contenuto nella nota del 29 aprile 1992, di rifiuto del rimborso dell’IVA chiesto dalla contribuente.

L’art. 5 della legge 20 marzo 1865 n. 2248, all.

E, come è noto (Cass., III, 14 gennaio 2002 n. 348; id., I, 14 maggio 1998, n. 4854) non esprime un potere di disapplicazione dell’atto amministrativo ordinato a tutela di esigenze di diritto oggettivo, bensì persegue il fine precipuo della tutela del diritto soggettivo che si trovi ad essere inciso negativamente dall’attività provvedimentale della P.A.

La possibilità di disapplicare gli atti amministrativi illegittimi, quindi (Cass., lav., 11 maggio 2002 n. 6801), può riguardare pure un atto divenuto inoppugnabile per l’inutile decorso dei termini ai fini della sua impugnazione in sede di giurisdizione amministrativa.

Anche il ricorso principale proposto dalla società deve essere respinto perché privo di fondamento.

L’ultimo comma dell’art. 69 R.D. 18 novembre 1923 n. 2440 dispone testualmente: qualora un’amministrazione dello Stato che abbia, a qualsiasi titolo ragione di credito verso aventi diritto a somme dovute da altre amministrazioni, richieda la sospensione del pagamento, questa deve essere eseguita in attesa del provvedimento definitivo.

La sospensione del pagamento previsto dalla norma (detta comunemente fermo amministrativo), richiede esclusivamente l’esistenza di una ragione di credito, a qualsiasi titolo, ventata da un’amministrazione dello Stato nei confronti di un creditore di altra amministrazione dello Stato.

Il provvedimento di sospensione del pagamento di cui alla norma in esame è (cfr. sentenza della Corte costituzionale n. 67 depositata il 19 aprile 1972) una misura cautelare, espressione del potere di autotutela della P.A., rivolto a sospendere, in presenza di una ragione di credito della P.A. stessa, eventuali pagamenti dovuti a salvaguardia dell’eventuale compensazione legale dello stesso con un credito, anche se non attualmente liquido ed esigibile (anzi, proprio perché attualmente non certo o non liquido od esigibile potendosi altrimenti provvedere direttamente alla compensazione), che la P.A. abbia ovvero pretenda di avere nei confronti del suo creditore.

Alla natura ed alla struttura nonché alla funzione del provvedimento volute e delineate dalla norma, come si vede, è estraneo qualsiasi considerazione di un eventuale periculum in mora richiedendo l’adozione dello stesso soltanto il fumus boni iuris della vantata ragione di credito, fumus specificato, in dottrina, come non irragionevolezza della pretesa stessa.

La temporaneità della durata, non ha valenza cronologica ma condizionante nel senso che il provvedimento dura e produce i suoi effetti se e finchè non intervenga un provvedimento definitivo (anche giurisdizionale) di revoca o di incameramento delle somme delle quali è stato sospeso il pagamento al privato.

L’accertata esclusione, nella previsione normativa, di qualsivoglia considerazione di un qualche periculum in mora al fine dell’adozione del provvedimento di sospensione del pagamento consente di ritenere prive di fondamento giuridico tutte le censure della società ricorrente basate sulla pretesa necessità di tale presupposto per cui non si ravvisa nessuna contraddizione nel giudizio espresso dal giudice di appello circa la sufficienza della mera non irragionevolezza della pretesa creditoria (che attiene alla valutazione dell’esistenza del fumus boni iuris) con l’altro relativo alla natura cautelare del provvedimento perché l’art. 69, come visto, per la sua adozione non richiede assolutamente che ricorra anche un periculum in mora e tanto rende, altresì, del tutto irrilevante il giudicato circa la esclusione in radice del periculum in mora che sarebbe intervenuto inter partes.

L’impossibilità di adottare altre misure cautelari che l’Amministrazione avrebbe addotto a giustificazione del provvedimento di fermo amministrativo, a prescindere dalla mancata indicazione della fonte e del contenuto dai quali desumere il richiamo di tale impossibilità, e il ricorso presentato dalla stessa Amministrazione al Presidente del Tribunale per ottenere l’autorizzazione all’iscrizione di ipoteca, il cui presupposto ex art. 26 legge n. 4 del 1929 è il pericolo nel ritardo, costituiscono elementi fattuali del tutto irrilevanti perché superflui in quanto estranei alla previsione della fattispecie legale.

La adottata lettura dell’art. 69 del R.D. n. 2440 del 1923, inoltre, non viola: il precetto costituzionale di uguaglianza davanti alla legge per asserita irrazionalità del privilegio accordato indiscriminatamente ai crediti della P.A. essendo già stato evidenziato dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 67/1972 cit., di rigetto delle sollevate eccezioni di incostituzionalità) che la norma non configura un irrazionale privilegio ma uno strumento necessario alla protezione del pubblico interesse connesso alle esigenze finanziarie dello Stato e precisato dalle sezioni unite di questa Corte, nella decisione n. 1733/02 resa inter partes, che la facoltà di disporre il c.d. fermo amministrativo delle somme dovute è attribuita alla pubblica amministrazione per la tutela di interessi della collettività ed in base ad una valutazione della predominanza di esigenze erariali sul diritto soggettivo del creditore, ne, il diritto di adire il giudice per conseguire la tutela delle proprie situazioni soggettive, compresse e vanificate (anche se incontestate ed incontestabili) quale che sia la consistenza della pretesa creditoria della P.A. da una insindacabile determinazione di quest’ultima in quanto il diritto di adire il giudice non è influenzato, ne formalmente ne sostanzialmente, dalla norma atteso che il provvedimento di fermo può sempre essere impugnato innanzi al giudice.

Del tutto priva di rilevanza giuridica, ancora, si palesa la doglianza della contribuente relativa all’affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, circa la labiale enunciazione dell’annullamento avendo la stesa contribuente ricordato che le rettifiche, annullate in primo grado, sono ancora oggetto di giudizio pendente a seguito d’impugnazione dell’Amministrazione.

La effettiva sussistenza delle condizioni giustificatrici del fermo amministrativo, costituente l’implicito ma indefettibile presupposto della sentenza impugnata, infine, non risulta in alcun modo censurata dalla contribuente la quale, peraltro, non ha mai lamentato un qualche vizio, giuridico o di fatto, che involga il principio dell’onere della prova fissato dall’art. 2697 cod. civ. essendosi limitata a richiamare quest’ultima norma.

Le spese processuali del giudizio di legittimità vanno integralmente compensate tra le parti ai sensi del secondo comma dell’art. 92 c.p.c. in considerazione della reciproca soccombenza.

PQM

La Corte rigetta sia il secondo motivo del ricorso incidentale che il ricorso principale; compensa integralmente tra le parti le spese processuali del giudizio di legittimità.

Roma, 15 ottobre 2003.

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2004.

Giovedì, 29 Aprile 2004
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