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Corte di Cassazione 06/02/2004

Giurisprudenza di legittimità - Invalidità permanente: risarcimento del danno futuro e perdita di chance

Cassazione , sez. III civile, sentenza 17.12.2003 n° 18945
Da "Altalex"

Invalidità permanente: risarcimento del danno futuro e perdita di chance

(Cassazione , sez. III civile, sentenza 17.12.2003 n° 18945)

 

In tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che - proiettandosi per il futuro - verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata, salvo ovviamente l’ipotesi in cui si tratti di disoccupazione volontaria, cioè di scelta cosciente di rifiuto del lavoro.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, con la sentenza 17 dicembre 2003 n. 18945, precisando inoltre che al fine di ottenere il risarcimento per la perdita di una chance è necessario provare la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta.

(Altalex, 6 febbraio 2004. Cfr. Cass. n. 9801/1999 e Cass. n. 10748/1996)


Cassazione

Sezione Terza Civile

Sentenza 17 dicembre 2003 n. 18945

(Presidente V. Carbone - Relatore A. Segreto)


Svolgimento del processo

Con sentenza del 4.1.2000 il. Tribunale di Sondrio accoglieva la domanda proposta da M. R. contro C. R., G., G., R. e L. G., nonchè il (omissis) i primi quali eredi di C. A., condannandoli a risarcire il danno biologico subito dall’attrice a seguito di sinistro stradale verificatosi il 25.7.1993, con esclusione del danno patrimoniale da inabilità temporanea o da invalidità permanente.

Proponeva appello l’attrice.

Resisteva l’assicuratore convenuto.

La Corte di appello di Milano, con sentenza depositata l’8.5.2001, liquidava il danno subito dall’attrice in complessive L. 265.206.000, condannando i convenuti in solido anche al risarcimento del danno patrimoniale da inabilità temporanea, mentre rigettava la domanda di risarcimento del danno patrimoniale da invalidità permanente, poiché pur avendo il c.t.u. accertato un danno biologico nella misura del 25% ed un’invalidità del 15% al patrimonio attitudinale proprio della M, nella fattispecie non si poteva ritenere sussistente una riduzione della capacità lavorativa specifica dell’attrice, in quanto mancava una specificità di professione in atto, svolgendo l’attrice solo lavori saltuari, per cui la riduzione della capacità lavorativa era esclusivamente quella generica, rientrante nel danno biologico. Per la stessa ragione veniva rigettata anche la domanda di risarcimento del danno da perdita di chances lavorative.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’attrice,che ha anche presentato memoria.

La (omissis) è comparsa in camera di consiglio.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2055, 2056, 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. e l’omessa, insufficiente e contraddittorio motivazione su un punto decisivo della controversia.

Lamenta la ricorrente che erratamente la corte di merito, pur avendo il c.t.u. accertato una riduzione del 15% della capacità lavorativa attitudinale di essa ricorrente, a fronte del danno biologico, valutato nel 25%, ha escluso il risarcimento del danno da invalidità permanente, mancando una professione in atto, mentre la mancanza di attualità dell’occupazione, non è presupposto per il riconoscimento di danno da invalidità permanente; che nella fattispecie si sarebbe dovuto tener conto o dell’attività di fattorino espletata o del criterio di cui all’art. 4, c. 3, l. n. 39/1977. Secondo la ricorrente è contraddittoria la sentenza in quanto da una parte liquida il danno patrimoniale da inabilità temporanea e dall’altro nega il risarcimento per l’invalidità permanente.

1. Ritiene questa Corte che il motivo sia manifestamente fondato. Premesso che la corte di merito ha escluso il risarcimento del danno patrimoniale per invalidità permanente, sul rilievo che la mancanza di specificità di un’attività della ricorrente, che svolgeva solo lavori saltuari (baby sitter, postina, operaia), impediva di ritenere che potesse sussistere un’incapacità lavorativa specifica, dovendo ritenersi esistente solo un’incapacità lavorativa generica, va osservato che in tema di risarcimento del danno alla persona, la mancanza di un reddito al momento dell’infortunio per essere il soggetto leso disoccupato, può escludere il danno da invalidità temporanea, ma non anche il danno futuro collegato alla invalidità permanente che - proiettandosi per il futuro - verrà ad incidere sulla capacità di guadagno della vittima, al momento in cui questa inizierà una attività remunerata (Cass. 18 maggio 1999, n. 9801), salvo ovviamente l’ipotesi in cui si tratti di disoccupazione volontaria, cioè di scelta cosciente di rifiuto del lavoro.

2. Inoltre la mancanza di una specifica capacità professionale, nel senso inteso dalla corte di merito, come mancanza di una precisa qualificazione professionale, effettuando il soggetto danneggiato lavori di varia natura secondo le occasionali circostanze, non esclude di per sé che le lesioni riportate non incidano su questa capacità lavorativa di volta in volta esplicata.

Non si deve confondere infatti la qualifica professionale di operaio generico, con la capacità lavorativa specifica dello stesso in siffatta attività, ai fini del risarcimento del danno patrimoniale.

Non si può condividere l’equazione, che sottende il ragionamento della corte di merito, per cui, essendo la danneggiata un soggetto che svolge vari e saltuari lavori, cioè lavori generici, non esiste un’incapacità lavorativa specifica, ma solo generica, e quindi come tale, in caso di lesione, non comportante un danno patrimoniale, ma solo liquidabile solo nell’ambito del danno biologico.

Infatti l’incapacità lavorativa generica è solo una componente del danno biologico, che non comporta alcuna conseguenza sulla produzione del reddito, mentre la riduzione della capacità lavorativa specifica dell’operaio generico, o in ogni caso del soggetto che svolge svariate attività, a seconda delle possibilità di lavoro che gli si offrono, comporta che il soggetto subisca, come danno futuro, una riduzione della sua capacità di guadagno proprio per effetto dell’incidenza della lesione sull’attività lavorativa. Anzi, essendo più ampio il ventaglio delle attività cui è chiamato l’operaio generico, la riduzione della capacità lavorativa specifica dello stesso va valutata in relazione proprio a queste varietà di alternative, sia pure con riferimento alle concrete probabilità desumibili dalla situazione specifica ambientale e personale.

3. La mancanza di un’attività lavorativa in atto non preclude, in tema di risarcimento del danno da sinistro stradale, la liquidazione di detto danno patrimoniale, dovendo il giudice di merito fare applicazione, nei confronti dell’assicuratore, del criterio fissato dall’art. 4, c. 3. l. n. 39/1977.

4. Inoltre la sentenza impugnata è anche intrinsecamente contraddittoria, avendo riconosciuto il risarcimento del danno patrimoniale da inabilità temporanea, sia assoluta che parziale, e poi escluso il danno patrimoniale da invalidità permanente, sul rilievo della mancanza della "specificità di una professione in atto".

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa motivazione circa il rigetto della domanda sul danno patrimoniale per perdita di chances lavorative e ritardato inserimento nel mondo del lavoro.

Assume la ricorrente che la sentenza impugnata ha omesso di tener conto che essa, se non avesse subito il sinistro stradale e le lesioni conseguenti, avrebbe potuto lavorare per le Poste a tempo determinato e quindi entrare nella riserva dei posti a tempo indeterminato per il servizio prestato dall’1.12.1994.

Ritiene questa Corte che il motivo sia manifestamente infondato.

Infatti al fine di ottenere il risarcimento per la perdita di una chance è necessario provare la realizzazione in concreto almeno di alcuni dei presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile deve essere conseguenza immediata e diretta (Cass. dicembre 1996, n. 10748).

Nella fattispecie la ricorrente non assume che aveva prodotto al giudice di merito le proposte lavorative effettuatele dalle Poste Italiane, successivamente al sinistro stradale; né assume di aver prodotto la documentazione da cui emergeva che, se fossero state accettate dette proposte, essa sarebbe entrata utilmente.

In ogni caso, ove dette produzioni documentali fossero state effettivamente esibite, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per il principio di autosufficienza dello stesso, gli estremi ed il contenuto di detta documentazione dovevano essere riportati nel ricorso.

Pertanto va accolto il primo motivo di ricorso e rigettato il secondo.

Va cassata l’impugnata sentenza, in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di Cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Milano, che si uniformerà ai principi di diritto sopra indicati.
 

P.Q.M.

Visto l’art. 375, c. 2, c.p.c.;

Accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo. Cassa, in relazione al motivo accolto, l’impugnata sentenza, con rinvio, anche per le spese del giudizio di Cassazione, al altra sezione della corte di appello di Milano.
 
 
Venerdì, 06 Febbraio 2004
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