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Corte di Cassazione 17/11/2003

Giurisprudenza di legittimità - Va comunque rispettata la proporzionalità tra gli interessi in conflitto. Se il rapinatore forza il blocco la polizia può sparare

(Cassazione 15271/2003)
Da "Altalex"

Va comunque rispettata la proporzionalità tra gli interessi in conflitto.
Se il rapinatore forza il blocco la polizia può sparare
(Cassazione 15271/2003)

Le forze dell’ordine possono sparare ai rapinatori in fuga che abbiano forzato un posto di blocco tutte le volte che ciò appaia necessario ed inevitabile, avuto cura della proporzionalità tra gli interessi in gioco. Questo, in sintesi, il principio con il quale la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza della Corte di Appello di Venezia che aveva negato il risarcimento dei danni ad un uomo ferito dalla polizia mentre fuggiva dopo una rapina. La Suprema Corte, infatti, pur ritenendo necessari nuovi accertamenti sulle modalità con le quali si svolsero i fatti, ha sottolineato che non è sufficiente, come sosteneva il ricorrente, affermare che non sia legittimo l’uso delle armi contro chi fugge in quanto la fuga non costituirebbe "resistenza attiva"; anzi, "la distinzione tra resistenza attiva e passiva non assume alcuna rilevanza", in quanto al pubblico ufficiale che si trovi in una situazione che imponga l’adempimento del dovere, non è riconosciuta - come invece nel caso di legittima difesa o dello stato di necessità - "un’opzione di rinuncia o di commudus discessus". Di conseguenza, chiarisce il Collegio presieduto da Vincenzo Carbone, "la fuga non impedisce al pubblico ufficiale di usare le armi tutte le volte che l’uso sia necessario, avuto riguardo al criterio di proporzionalità tra gli interessi in conflitto", e precisamente tra il rischio danno al fuggitivo ed a terzi, ed il contenuto del dovere di ufficio da adempiere (13 novembre 2003)


Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, sentenza n.15271/2003

 

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE

SENTENZA

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B. M., assumendo che era stato attinto con gravissime conseguenze lesive da un colpo di arma da fuoco esploso da una pattuglia di carabinieri composta da P. M. e S. S. contro l’autovettura, sulla quale si trovava, dopo che la stessa aveva forzato un posto di blocco, conveniva innanzi al Tribunale di Venezia il ministero dell’Interno per ottenere la condanna al risarcimento dei danni.

Nella contumacia accoglieva la domanda, liquidando il danno in £ 1.034.632.000.

La Corte di appello di Venezia perveniva ad opposta conclusione, considerando che, se pure si doveva condividere quanto affermato dal tribunale e, cioè, che nel quadro di un doveroso contemperamento degli interessi in gioco il tiro avrebbe dovuto essere ad altezza tale da evitare di mettere in pericolo le persone che occupavano l’autovettura, tuttavia la condotta del P., il quale aveva esploso il colpo, costituiva esercizio di attività doverosa e mirava a respingere una resistenza all’autorità, sicchè era riconducibile all’esercizio di un diritto- dovere con esclusione dell’ingiustizia del danno; che non era possibile ascrivere l’evento a colpa del P., che si trovava in condizioni tali che non si poteva pretendere la normale precisione di tiro, considerato che la raffica di mitra risulta essere stata sparata in un unico contesto nell’immediatezza della caduta del limite.

Il B. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi; l’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non contiene una parte dedicata alla esposizione dei fatti, ma è ciononostante ammissibile in quanto la vicenda processuale si può ricostruire negli elementi indispensabili per decidere attraverso i motivi.

Con il primo motivo il ricorrente denuncia falsa applicazione degli artt. 2043 c.c. e 53 c.p. [1]; sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte di merito, non è ravvisabile uso legittimo delle armi con esclusione dell’ingiustizia del danno tutte le volte che, come nella specie, venga fatto fuoco contro chi senza opporre resistenza si da alla fuga per sottrarsi all’arresto.

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta carenza e contraddittorietà della motivazione; in particolare addebita alla corte di merito di avere ritenuto la ricorrenza della scriminante di cui all’art. 53 c.p. sulla base di una ricostruzione dei fatti resistita dalle risultanze probatorie e soprattutto senza considerare che i colpi sono stati esplosi ad altezza di uomo contro autovettura i corsa dal P. che, come da lui stesso dichiarato, non è affatto caduto a terra.

I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per la stretta interdipendenza, sono fondati nei limiti che risultano da quanto appresso.

Il ricorrente richiama la giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale quando taluno si sottrae con la fuga ad un’intimazione e all’arresto l’uso delle armi non è legittimo perché la fuga non costituisce resistenza attiva.

La giurisprudenza più recente è orientata diversamente (Casss. Pen., sez. IV, 7/6/2000, Branbcatelli, in Cass. pen. 2001, 2716).

Muovendo dalla considerazione che nella descrizione della fattispecie la distinzione tra resistenza attiva e passiva non assume alcuna rilevanza, tale giurisprudenza utilizza il criterio della proporzione tra i contrapposti interessi come requisito implicito e canone immanente della fattispecie medesima con estensione, oltre che alla legittimità dell’uso dell’arma in se, alla graduazione di esso, tenendo comunque presente che al p. u., il quale si trovi in situazione che imponga l’adempimento del dovere, non è riconosciuta, come invece nel caso della legittima difesa o dello stato di necessità, un’opzione di rinuncia o di commodus discessus.

Conseguentemente la fuga non impedisce al p. u. di usare le armi tutte le volte che l’uso sia necessario, avuto riguardo al criterio di proporzionalità tra gli interessi in conflitto e precisamente tra il rischio di danno al fuggitivo ed a terzi, seppure per questi in diversa prospettiva, ed il contenuto del dovere di ufficio da adempiere.

In particolare, quando l’uso dell’arma sia finalizzato a bloccare la fuga di malviventi si deve ritenere che sussista la proporzione, ove per le specifiche modalità con le quali i fuggitivi cercano di sottrarsi alla cattura siano ragionevolmente prospettabili in aggiunta all’avvenuta commissione di reati, al cui accertamento essi cerchino di sottrarsi, rischi attuali per l’incolumità e la sicurezza di terzi; verificandosi tale ipotesi, ed accertata quindi la legittimità dell’uso dell’arma, nella specifica forma prescelta dal p. u., non può farsi poi carico a quest’ultimo dell’evento diverso e più grave da lui prodotto, rispetto a quello preventivato, quando tale evento non sia riconducibile a negligenza o imperizia, ma all’ineludibile componente di rischio che l’uso dell’arma in se comporta.

A questa giurisprudenza, condivisa da autorevole dottrina, aderisce il Collegio, ritenendo pertanto che, contrariamente quanto sostenuto dal ricorrente, il solo fatto che l’autovettura ha proseguito la marcia e non l’ha arrestata al posto di blocco non vale di per se ad escludere la legittimità dell’uso delle armi.

Peraltro, la sentenza impugnata presenta le carenze motivazionali che le vengono addebitate in quanto ha ritenuto che il P. ha esploso i colpi di arma da fuoco da terra senza esaminare la deposizione dell’altro carabiniere, S. S., riportata nel ricorso, dalla quale risulta che il P. voltandosi indietro, faceva partire una raffica; deposizione che incide direttamente sui punti che concernono la proporzionalità tra gli interessi in conflitto nella graduazione dell’uso dell’arma, con possibilità di esclusione della legittimità dell’uso stesso, e la valutazione del comportamento del p. u. sotto il profilo della diligenza e della perizia.

La sentenza impugnata va, pertanto, cassata con rinvio per nuovo esame sulla base dei principi di cui sopra e pronuncia sulle spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

Rimangono assorbiti i rimanenti motivi: il terzo perché il ricorrente lamenta di essere stato condannato alle spese del giudizio di primo grado in favore del ministero, ancorchè lo stesso fosse contumace; il quarto perché il ricorrente si duole della carente motivazione dell’ordinanza di sospensione.

PQM

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo del ricorso; dichiara assorbiti gli altri; cassa in relazione la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Corte di Appello di Venezia.

Roma, 28/4/2003.

Depositata in Cancelleria il 3 ottobre 2003.

Lunedì, 17 Novembre 2003
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