Lo
prevedono il codice penale e una convenzione europea
Legittimo l’uso delle armi durante arresti pericolosi (Cassazione 20031/2003) |
è legittimo l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine che devono eseguire l’arresto di persone pericolose. Lo ha stabilito la Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione annullando una sentenza di condanna emessa nei confronti di un maresciallo dei Carabinieri che aveva sparato durante un inseguimento a tre rapinatori, uccidendone uno e, per questo, era stato condannato per omicidio colposo. La Suprema Corte ha invece annullato la condanna in applicazione della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo del 1950 e della norma del codice penale che prevede appunto l’ "uso legittimo delle armi" come causa di giustificazione del reato, stabilendo che "non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di vincere una resistenza all’Autorità". (20 maggio 2003)
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE IV PENALE SENTENZA SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del 20/4/2001 la Corte di appello di Bologna, Sez. II pen., in parziale riforma di quella emessa dal gip di Rimini in data 10/11/2000 nei confronti di F. M., ha concesso anche il beneficio della non menzione, confermando nel resto. Egli in primo grado era stato condannato alla pena di mesi quattro di reclusione, nonché al risarcimento del danno, da liquidarsi in separata sede, e a una provvisionale nella misura di £ 20.000.000 ciascuna a favore delle costituenti tre parti civili, con le attenuanti generiche, la riduzione di un terzo per il ritiro, giacchè il processo era stato definito col giudizio abbreviato, e il beneficio della sospensione condizionale, col concorso formale tra i reati ascrittigli. L’imputato infatti era stato riconosciuto colpevole del delitto di omicidio in danno di A. A., e di lesioni personali in pregiudizio di T.S.G. perché, nella qualità di maresciallo dei carabinieri, nell’inseguire un’autovettura di alcuni rapinatori subito dopo il colpo compiuto in un’agenzia della Rolo Banca, esplodeva alcuni colpi di pistola, con i quali attingeva le vittime; in Riccione, il 3/6/1998. Gli era stata altresÏ riconosciuta l’ipotesi dell’eccesso colposo nell’uso legittimo putativo delle armi. Avverso la suindicata sentenza F. ha proposto ricorso per cassazione, col quale ne ha chiesto l’annullamento senza rinvio, deducendo i seguenti motivi: erronea applicazione della legge penale con riferimento alla norma dell’art. 2, n. 2 della Convenzione Europea sui diritti dell’uomo, in quanto ormai, anche a seguito di espresse pronunce della Corte Costituzionale, il diritto comunitario sarebbe cogente anche nel territorio nazionale, e quindi, in caso di contrasto con questo, il primo dovrebbe trovare applicazione diretta e immediata. Infatti tale norma prevede l’uso legittimo delle armi anche nell’ipotesi di fuga dell’autore di un delitto, per effettuarne un arresto legale o anche per impedire l’evasione di una persona detenuta. Pertanto lo sparo compiuto dal sottufficiale in direzione delle gomme dell’autovettura dei rapinatori sarebbe stato più che legittimo; manifesta illogicità della motivazione, giacchè la Corte di appello non avrebbe considerato che la velocità tenuta dall’autovettura degli inseguiti era molto pericolosa per l’incolumità pubblica. Infatti se nel tratto tra la via Del Prete e via Ferrara essa era stata calcolata dal passante L. in 60- 70 km/h allorquando aveva dovuto rallentare per la presenza di una colonna di macchine ferme e in un tratto caratterizzato da affollamento di persone e traffico intenso, a maggior ragione essa doveva essere stata più elevata prima. Persino la stessa Corte ha ammesso la eccessiva velocità dell’autovettura, anche se poi, e ciÚ in modo contraddittorio, ha ritenuto che il conducente fosse abbastanza esperto nella guida; mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione, poiché il Collegio non ha vagliato minimamente la disposizione del testimone D. S., il quale aveva affermato che se non si fosse scansato in tempo dopo aver udito l’esplosione degli spari, sarebbe stato senz’altro travolto dall’autovettura fuggiasca in via Del Prete. Ne i giudici avrebbero potuto ritenere che i militi avrebbero dovuto fare ricorso ad altri mezzi come una sirena o l’azionamento del clacson. Quest’ultimo infatti c’era stato, per come aveva dichiarato il carabiniere E. nel corso della sua deposizione in data 10/6/1998; ancora manifesta illogicità della motivazione, atteso che, mentre da un canto la Corte distrettuale ha riconosciuto l’eccessiva velocità della Nissan in mezzo alle persone ed altre autovetture con gravi e continue violazioni della disciplina sulla circolazione, dall’altro invece ha escluso che potesse configurarsi in capo ai rapinatori il dolo eventuale per il probabile travolgimento di persone, solo perché il conducente sarebbe stato piuttosto abile alla guida, e ciÚ con un giudizio espresso ex post; erronea applicazione della legge penale e manifesta illogicità della motivazione, posto che i carabinieri non stavano solo inseguendo soggetti che cercavano di sottrarsi alla cattura, ma operavano anche al fine di impedire che essi continuassero a costituire un gravissimo pericolo per l’incolumità pubblica, soprattutto dei pedoni e dei soggetti che, numerosi, circolavano con le biciclette, e che si assicurassero il prodotto della rapina, poi peraltro recuperato, e cioè il denaro sottratto in banca; mancanza della motivazione, dal momento che la Corte di appello ha omesso di specificare le ragioni, in forza delle quali ha ritenuto che F. conoscesse bene la zona attraversata e quindi la presenza delle bande rallentatraffico, per queste anzi non c’era la prescritta segnaletica verticale, ne orizzontale. Inoltre esse avevano un larghezza di cm. 50, invece dei prescritti almeno cm. 120, e un’altezza di cm. 13, anziché al massimo di cm. 7, per come era stato accertato dalla polizia stradale. Lo stesso imputato peraltro aveva dichiarato, nel corso dell’interrogatorio del 10 giugno 1998, che egli non solo non sapesse della presenza di ali bande in quella zona dell’abitato, ma anche che non se ne fosse nemmeno accorto, giacchè a destra vi era una fila di autoveicoli fermi, e a sinistra c’era la Micra dei rapinatori, che circolava contromano, e che quindi gli impedivano la visuale, mentre egli peraltro era attento a prendere la mira prima di sparare. Ma la traiettoria era rimasta spostata per la presenza di queste bande irregolari, per come del resto accertato dallo stesso consulente tecnico del PM; erronea applicazione della legge penale, con riferimento alle norme sulla disciplina della circolazione stradale, poiché il Collegio avrebbe dovuto considerare che, se la distanza tra le due autovetture, quella inseguita e l’altra dei carabinieri, si era proprio accorciata all’incrocio tra le vie Ferrara e Del Prete, allora quello era il punto più propizio, in cui il sottufficiale poteva meglio sparare alle ruote, e non invece fare guadagnare la fuga agli autori della rapina, per come invece la Corte di merito avrebbe ritenuto di argomentare; manifesta illogicità della motivazione, in quanto la Corte distrettuale da un canto ha riconosciuto che ci sarebbe stati i presupposti per la putatività dell’esimente invocata, e dall’altro invece l’ha esclusa, senza considerare che lo stesso maresciallo nella relazione di servizio aveva fatto bene presente che la Nissan aveva imboccato contromano l’incrocio con via Del Prete mettendo a grave rischio l’incolumità delle numerose persone, sicchè, allorchè la situazione era quasi precipitata, egli dovette intervenire in quel modo, e cioè sparando alle ruote; erronea applicazione della legge penale con riferimento alla esimente dell’uso legittimo delle armi, giacchè il delitto di rapina commesso con arma non avrebbe potuto considerarsi davvero consumato, atteso che i rapinatori erano stati braccati dalle forze dell’ordine, subito allertate dalla centrale operativa collegata col sistema di allarme della banca, tanto che uno di essi, e precisamente P., aveva dichiarato che essi si erano visti inseguire dai carabinieri appena due- tre minuti dopo il colpo. Sicchè in effetti gli agenti non avrebbero acquisito un rapporto di vera e propria signoria sul denaro sottratto, proprio perché da subito erano stati rincorsi per evitare che portassero a compimento l’intento di assicurarsi definitivamente il prodotto della loro criminosa azione; ancora erronea applicazione della legge penale, con riferimento alle norme di cui agli artt. 53 e 55 c.p. [1], posto che il Collegio ha del tutto omesso di esaminare il motivo attinente al dedotto caso fortuito, dal momento che nell’uso legittimo delle armi per l’agente sarebbe scontato il rischio che l’evento sia diverso da quello effettivamente voluto, altrimenti questo comunque non potrebbe mai essere consentito, poiché le forze dell’ordine dispongono solo dell’arma come mezzo di dissuasione e coazione; infine si chiede l’annullamento senza rinvio anche per il capo concernente le lesioni personali riportate da T. S. G. il quale, con atto del 19 giugno 2001, ha rimesso la proposta querela, e quindi il relativo reato è estinto per tale causa. MOTIVI DELLA DECISIONE I motivi addotti a sostegno del ricorso sono fondati, e pertanto quello indicato con la lettera m) rimane assorbito. Ed invero per quanto attiene alla censura indicata con la lettera b) la Corte di appello ha messo in evidenza che il ricorso alla forza da parte dei tutori dell’ordine in caso di fuga deve presupporre l’assoluta necessità, e che questa non si configurava nel caso concreto. Tale assunto non è esatto. Orbene questa Corte rileva che (le norme) regolamenti o direttive del diritto comunitario, ancorchè non recepite espressamente nell’ordinamento nazionale dei paesi membri, tuttavia allorquando siano in contrasto con quelle del diritto interno, indubbiamente hanno forza cogente, e nell’ipotesi in specie si configurava, fra l’altro, anche la fuga, senza che i tutori dell’ordine potessero procedere all’arresto dei rapinatori, facendo a meno della forza. Al riguardo infatti, come è noto, la Corte costituzionale ha statuito che risponde alla logica del sistema comunitario che i regolamenti della CEE, semprechè abbiano completezza di contenuto dispositivo, quale caratterizza di regola le norme intersoggettive, come fonte immediata di diritti ed obblighi sia per gli Stati sia per i loro cittadini in quanto soggetti della Comunità, non debbano essere oggetto di provvedimenti statali a carattere riproduttivo, integrativo o esecutivo, che possano comunque differirne o condizionarne l’entrata in vigore, e tanto meno sostituirsi ad essi, derogarli o abrogarli, anche parzialmente. E qualora uno di questi regolamenti comportasse per lo Stato la necessità di emanare norme esecutive di organizzazione dirette alla ristrutturazione o nuova costituzione di uffici e servizi amministrativi, ovvero provvedere a nuove o maggiori spese, prive della copertura finanziaria richiesta dall’art. 81 della Costituzione, mediante le opportune variazioni di bilancio, è ovvio che l’adempimento di questi obblighi da parte dello Stato non potrebbe costituire condizione o motivo di sospensione dell’applicabilità della normativa comunitaria, la quale, quanto meno nel suo contenuto soggettivo, entra immediatamente in vigore (V. Sent. n. 0183 del 1973 Udienza Pubblica del 18/12/1973 Massima n. 0006959). E cosi pure: i regolamenti emanati dagli organi della CEE ai sensi dell’art. 189 del Trattato di Roma appartengono all’ordinamento proprio della Comunità: il diritto di questa e il diritto interno dei singoli Stati membri possono configurarsi come sistemi giuridici autonomi e distinti, ancorchè coordinati secondo la ripartizione di competenze stabilita e garantita dal Trattato. Esigenze fondamentali di eguaglianza e di certezza giuridica postulano che le norme comunitarie, non qualificabili come fonte di diritto interno dei singoli Stati, debbano avere piena efficacia obbligatoria e diretta applicazione in tutti gli Stati membri, senza a necessità di leggi di ricezione e adattamento, come atti aventi forza e valore di legge in ogni Paese della Comunità, si da entrare ovunque contemporaneamente in vigore e conseguire applicazione uguale ed uniforme nei confronti di tutti i destinatari (V. Corte Cost. sent. n. 0183 udienza pubblica del 18/12/1973 massima n. 0006959). Fatta questa premessa, non v’è dubbio quindi che nel caso in specie la norma di cui all’art. 2, n. 2 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo adottata in data 4 novembre 1950, secondo la quale è legittimo l’uso delle armi anche quando si tratti di effettuare un regolare arresto non poteva trovare applicazione, con la conseguenza che legittimamente F. aveva esploso i colpi con la pistola di ordinanza, al fine di bloccare la fuga spericolata dei rapinatori e assicurarli alla giustizia e recuperare il bottino. Su tale punto dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto. Tali considerazione peraltro sono assorbenti di tutte le altre doglianze come dinanzi prospettate. Tuttavia, e ciÚ viene notato solo ad abundantiam, vengono esaminate singolarmente le varie censure proposte. In ordine al motivo indicato con la lettera b) la Corte di merito ha messo in rilievo che: l’autovettura dei rapinatori inizialmente non avesse una velocità sostenuta; peraltro non c’era pericolo per l’incolumità delle persone; quindi non c’era bisogno di ricorrere all’uso dell’arma da parte del sottufficiale; solo in un secondo momento la velocità era stata sostenuta, ma occorreva altro mezzo per fronteggiare la situazione, come la sirena accesa; una videocamera; il clacson azionato; dopo il rallentamento la Nissan aveva imboccato via Del Prete, e quindi già si stava dileguando, anche perché ormai la rapina era stata del tutto consumata. Orbene questa Corte osserva che tali assunti non sono correttamente ?. Infatti se diversi testimoni, come L. e D. avevano dichiarato di avere notato l’autovettura Micra sfrecciare ad alta velocità, valutata non minore di 60- 70 km/h, addirittura in centro abitato, nel quale non poteva invece superare i 30 km/h, non v’è dubbio allora che essa costituiva certamente un pericolo grave immanente per le persone presenti, peraltro numerose, e quindi ben si trattava di respingere una violenza, che consisteva proprio nel mettere a repentaglio la sicurezza pubblica. ne i carabinieri erano affatto tenuti ad azionare il clacson, a parte il fatto che questo era stato messo ripetutamente in funzione da parte del carabiniere E. in proposito invero, come è noto, questa Corte ha statuito che in tema di uso legittimo delle armi ex art. 53 co. Pen., la fuga del soggetto nei cui confronti il pubblico ufficiale è tenuto ad adempiere al dovere d’ufficio, elemento non rientrante tra quelli tipici della fattispecie, non puÚ escludere in assoluto l’esistenza della scriminante, essendo necessario procedere alla valutazione delle modalità con le quali la fuga stessa è realizzata e dovendosi ritenere che, quando tali modalità siano tali da porre a repentaglio l’incolumità di terze persone, l’uso delle armi, opportunamente graduato secondo le esigenze del caso e sempre che non sia possibile un altro mezzo di coazione di pari efficacia ma meno rischioso. (Nella specie, la Corte ha ritenuto che la fuga posta in essere da sconosciuti intercettati dai carabinieri, dopo un iniziale tentativo di speronamento dell’autoveicolo di servizio, non sia configurabile come mera resistenza passiva, ma, per la elevata velocità del veicolo fuggitivo e per i rischi causati agli utenti della strada, costituisca resistenza da vincere e legittimi pertanto l’uso delle armi, diretto ai pneumatici del veicolo inseguito, quale unico mezzo per arrestarne la corsa; V Sez. 4 Sent. 09961 del 22/09/2000, UD. 7/6/2000, Rv 217622 Imp. Brancatelli S). Se poi si verifichi un evento più grave di quello voluto, ciÚ indubbiamente rientra nel rischio insito nell’uso delle armi, senza che tuttavia questo possa ascriversi ad eccesso colposo nella condotta del pubblico ufficiale. Al riguardo infatti, come è noto, questa Corte ha statuito che in tema di eccesso colposo nella scriminante dell’uso legittimo delle armi prevista dall’art. 53 cod. pen., una volta ritenuto legittimo, nel rispetto del requisito della proporzione, l’uso delle armi da parte del pubblico ufficiale, il rischio del verificarsi di un evento più grave non voluto non puÚ essere posto a carico del medesimo, in quanto la prevedibilità di tale evento è intrinsecamente collegata alla componente di rischio insito nell’uso dell’arma da fuoco, unica in dotazione del pubblico ufficiale, e il suddetto rischio potrebbe essere scongiurato solo ,rinunziando all’uso dell’arma, normativamente autorizzato. (Fattispecie in cui, riconosciuto legittimo l’uso delle armi da parte dei Carabinieri che avevano mirato alle ruote per fermare un’auto in fuga, è stato escluso che essi potessero rispondere ex art. 55 cod. pen. della morte non voluta di due degli occupanti dell’autovettura), (v. Sez. 4 Sent. 09961 del 22/9/200, Ud. 07/6/2000) Rv. 217623 Imp. Brancatelli S. Su tali punti dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo logicamente corretto. Per quanto concerne il motivo indicato con la lettera c) esso rimane interamente assorbito da quello testè esaminato. Con riferimento poi alla censura dedotta con la lettera d) la Corte distrettuale ha escluso che potesse configurarsi il dolo eventuale negli occupanti dell’autovettura fuggiasca, attesa la perizia del conducente nella guida, tanto che nessun incidente era stato cagionato. Tale assunto non è esatto. Ed invero, attese le spericolate manovre compiute dai rapinatori e l’alta velocità tenuta nel entro abitato, tale giudizio doveva essere espresso ex ante e non ex post, dal momento che il pericolo di travolgere veicoli e persone era proprio in re ipsa, e quindi i rapinatori non potevano non accettare eventuali probabili esiti nefasti della spregiudicata condotta di guida posta in essere. Anche su tale punto dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo logicamente corretto. Circa la censura di cui alla lettera e) la Corte distrettuale ha messo in evidenza che: ormai il reato si era consumato e quindi il denaro era stato portato via dalla sfera di dominio e vigilanza altrui, e segnatamente della banca parte offesa; pertanto non si trattava ormai più di impedirne la esecuzione. Anche tale assunto non risulta esatto. Ed invero dal provvedimento impugnato risulta che i carabinieri erano stati subito allertati, e si misero all’inseguimento della Nissan quasi senza soluzione di continuità con il colpo compiuto in banca. Pertanto il bottino era ancora in un certo senso sotto la loro vigilanza, e quindi ben potevano i tutori dell’ordine insistere, anche sotto tale profilo, nell’inseguirli, arrestarli e recuperare il denaro oggetto della rapina. Al riguardo infatti, come è noto, questa Corte ha statuito che in tema di rapina, la comunicazione del delitto si realizza non appena l’agente si sia impossessato, con violenza o minaccia, della cosa, e cioè allorchè il bene sottratto passi nella esclusiva detenzione e nella materiale disponibilità del predetto, con conseguente privazione, per la vittima, del relativo potere di dominio o di vigilanza. Ne consegue che anche un possesso temporaneo della cosa vale ad integrare il momento consumativo, in quanto anche in tale caso le possibilità di recupero della refurtiva potrebbero avvenire solo con il ,ricorso da parte del rapinato alla violenza o ad altra decisa pressione sull’agente e, quindi, mediante una reazione di segno opposto all’azione delittuosa pienamente realizzatasi. (nella specie, la merce fu recuperata dagli agenti di polizia solo dopo la cessazione del conflitto a fuoco ingaggiato dai malviventi) (V Sez. 2 sent. 00752 del 22/1/1987 (UD. 20/10/1986) rv. 174918 Imp. Maggi). Anche su tale punto dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente e logicamente corretto. Per quanto poi attiene al motivo indicato con la lettera f) la Corte di merito ha messo in rilievo che il maresciallo F. conoscesse bene la zona che attraversava, e quindi avrebbe dovuto rappresentarsi il rischio connesso alla presenza delle bande rallentatraffico. Anche tale assunto non è esatto. Infatti la polizia stradale e lo stesso consulente del PM avevano accertato che tali bande non erano precedute dal prescritto segnale stradale; erano di dimensioni irregolare, e cioè larghe appena 70 cm, anziché 120, e alte addirittura ben 13 cm, invece che prescritti cm 7, sicchè il sobbalzo dell’autovettura Panda inseguitrice non poté non essere rilevante, determinando quindi un improvviso mutamento della traiettoria del colpo. Anche su tale punto dunque la sentenza non risulta motivata in modo adeguato. Relativamente poi alla censura sub g) il Collegio ha osservato che nel punto in cui F. aveva sparato non avrebbe dovuto, giacchè i rapinatori avevano imboccato una via scorrevole, lungo la quale ben potevano guadagnare la fuga. Anche tale assunto non è esatto. I militari proprio per impedire h ancora i rapinatori fossero un pericolo per l’incolumità pubblica e per evitare che portassero definitivamente via il bottino spararono per procedere all’arresto. Anche su tale punto dunque l sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto. In ordine al motivo indicato con la lettera h) la Corte di merito ha notato che non poteva configurarsi la scriminante invocata, nemmeno sotto l’aspetto di quella putativa, giacchè gli occupanti della Nissan in realtà non avevano posto in essere alcuna azione di uso di armi o altro, anche se il sottufficiale e il carabiniere avevano visto che si scambiassero qualcosa, e quindi non ci sarebbe stato pericolo per loro. Orbene anche questo è un giudizio ex post, che invece non considera che movimenti andavano interpretati in funzione di concreto pericolo di esplosione di armi o altro danno a sfavore dei tutori dell’ordine. Sicchè anche sotto tale aspetto la scriminante, quanto meno dal punto di vista putativo, non poteva essere riconosciuta. In proposito invero, come è noto, questa Corte ha statuito che ,’esimente putativa dell’uso legittimo delle armi puÚ ravvisarsi quando l’agente abbia ritenuto per errore di trovarsi in una situazione di fatto tale che ove fosse stata realmente esistente, egli sarebbe stato nella necessità di fare uso delle armi (V. Sez. I Sent, 00941 del 3/2/1983 (UD. 30/9/1982) Rv. 157244 Imp. Curreri). Anche su tale punto dunque la sentenza impugnata non risulta motivata in modo logicamente corretto. Per quanto attiene al motivo indicato con la lettera i) questa Corte rileva che la doglianza rimane assorbita da quanto enunciato con riferimento alla censura sub e). Per quanto concerne la censura sub l), essa rimane assorbita da quanto evidenziato dall’esame di quella indicata con la lettera h). Infine in ordine al motivo di cui alla lettera m), in effetti dopo la pronuncia della sentenza impugnata la persona offesa T. S. G. con atto del 197&/2001 ha rimesso la querela a suo tempo sporta nei confronti di F. Tuttavia in virtù di tutte le considerazioni ed osservazioni che precedono, risultando dagli atti evidente la sussistenza effettiva della esimente invocata, questa Corte non puÚ che statuire di conseguenza ai sensi dell’art. 129, comma 2, c.p.p. anche relativamente alle lesioni da questi riportate e indicate nel capo b) dell’imputazione, senza che perciÚ la successiva remissione della querela già proposta da T. S. possa assumere rilievo. Ne deriva che la sentenza impugnata da F. va annullata senza rinvio, trattandosi di persona non punibile per uso legittimo delle armi, in ordine ad entrambi i reati contestati. PQM Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, essendo l’imputato persona non punibile per uso legittimo delle armi. Roma, 6/2/2003. Depositata in Cancelleria il 2 maggio 2003. |