Il
proprietario di un’automobile non è tenuto a pagare se un terzo che era
alla guida abbia omesso di pagare il pedaggio autostradale. Lo ha stabilito
la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione che ha affermato che
la norma del Codice della Strada che impone l’obbligo solidale del proprietario
del veicolo nel pagamento del pedaggio autostradale non costituisce norma
di legge e, pertanto, non potendo stabilire imposizioni patrimoniali -
secondo la previsione dell’art.23 della Costituzione - deve essere disapplicato.
(11 novembre 2002)
Suprema Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza n.13770/2002
Ý
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE I CIVILE
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Giudice di pace di Roma, con decreto notificato il 22 novembre 1997,
ha ingiunto alla S.p.a. Avis Autonoleggio di pagare in favore della S.p.a.
Autostrade la somma di £ 4.832.250, per pedaggi autostradali inerenti
alla circolazione di veicoli concessi in locazione (senza conducente)
a terzi.
La società Avis, proponendo opposizione, ha fra l’altro dedotto che la
disposizione in base alla quale era stata chiesta ed emessa l’ingiunzione,
cioè l’art. 373, 1° comma del D.P.R. 16 dicembre 1992 n. 495 (Regolamento
di esecuzione ed attuazione del codice della strada) [1], ove prevede
la solidarietà del proprietario nel debito attinente al pedaggio, è illegittima
ed inapplicabile, in quanto introduce un principio non presente nel codice
della strada.
Il Giudice di pace ha respinto l’opposizione.
L’Avis, con appello dinanzi al Tribunale di Roma, ha rinnovato l’indicato
assunto, allegando la sentenza del Tribunale amministrativo del Lazio
3 settembre 1998 n. 2251, con cui era stata annullata detta disposizione
regolarmente.
Il Tribunale di Roma, con sentenza depositata il 6 maggio 1999, ha ritenuto
che la pronuncia del TAR, esecutiva ai sensi dell’art. 33 della legge
6 dicembre 1971 n. 1034, fosse vincolante, in ragione dell’efficacia ex
tunc ed erga omnes dell’annullamento di un provvedimento amministrativo
a contenuto normativo, ed ha accolto l’appello, revocando l’ingiunzione.
La Società Autostrade, con ricorso notificato il 3 dicembre 1999, ha chiesto
la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma.
Con sei motivi connessi, la ricorrente premette che la citata pronuncia
del TAR del Lazio ne ha perso efficacia esecutiva, a seguito di sospensione
disposta dal Consiglio di Stato nel giudizio di gravame, e poi ripropone
e sviluppa la tesi secondo cui deve essere affermata la responsabilità
solidale dell’Avis, osservando: che l’art. 196, 1° comma del codice della
strada (d.lgs. 30 aprile 1992 n. 285), contemplando nel caso di infrazione
commessa dal conducente la solidarietà del proprietario con riferimento
alla sanzione, implicitamente presuppone analoga solidarietà per il comportamento
sanzionato (mancato pagamento del pedaggio); che l’art. 373, 1° comma
del D.P.R. n. 495 del 1992 rende esplicito detto principio, e, comunque,
quale norma inserita in un regolamento non sono di esecuzione, ma anche
di attuazione, legittimamente estende la solidarietà del proprietario
alla complessiva obbligazione discendente dall’uso dell’autostrada senza
pagamento del pedaggio; che tale estensione del resto recepisce il criterio
generale posto dall’art. 2054, 3° comma, cod. civ., in tema di responsabilità
per il danno prodotto dalla circolazione dei veicoli, ed inoltre tutela
superiori interessi pubblici attinenti allo sviluppo ed alla sicurezza
del traffico stradale; che questi interessi, i quali costituiscono ai
sensi dell’art. 41, 2° comma, della Costituzione un limite alla libertà
di iniziativa economica, implicherebbero dubbi sulla legittimità costituzionale
del citato art. 196, ove interpretato nel senso di escludere la solidarietà
del proprietario per il debito in discorso.
L’Avis, replicando con controricorso, da notizia che il Consiglio di Stato,
dopo detta sospensione, con sentenza 13 dicembre 1999 n. 1868, ha riformato
la decisione del TAR, dichiarando inammissibile la domanda di annullamento
della norma regolamentare; insiste nella disapplicabilità dell’art. 373
del D.P.R. n. 495 del 1992; inoltre sostiene, in via subordinata, che
l’esegesi delle norme del codice della strada proposta dalla ricorrente
ne evidenzierebbe l’illegittimità, in relazione all’art. 76 della Costituzione,
per eccesso rispetto alla delega conferita con gli artt. 1 e 2 della legge
13 giugno 1991 n. 190.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è infondato.
La pronuncia impugnata, come si è detto, ha negato la corresponsabilità
del proprietario per il debito inerente al pedaggio autostradale in dipendenza
dell’annullamento da parte del TAR, con decisione esecutiva, dell’art.
373 del regolamento.
La sopravvenienza della riforma di detta decisione da parte della citata
pronuncia del Consiglio di Stato, divenuta definitiva a seguito dell’inammissibilità
del ricorso per cassazione dichiarata dalle Sezioni unite di questa Corte
con sentenza 12 aprile 2002 n. 5283, elidono la ratio della sentenza del
Tribunale di Roma, ed esigono di stabilire se il decisum sia o meno corretto,
sulla scorta e nei limiti del tema del dibattito.
A tale proposito occorre in via preliminare osservare che la Società Autostrade
non mette in discussione la qualità dell’Avis di mera proprietaria dei
veicoli dati a noleggio e la riferibilità soltanto al fatto dei clienti
della stessa Avis dell’utilizzazione della rete autostradale, mentre fonda
la propria pretesa esclusivamente sull’applicazione della norma regolamentare;
ciò non consente di affrontare, lascia impregiudicata, la problematica
inerente alla prova della non coincidenza del proprietario con il conducente,
ovvero inerente alla configurabilità di responsabilità o corresponsabilità
del proprietario-non conducente per titoli diversi, abbisognanti dell’allegazione
(e dimostrazione) da parte del creditore di circostanze e contegni ulteriori
(come, ad esempio, la mancanza di cautela nell’affidamento del veicolo,
l’omessa comunicazione del nome del conducente quale inosservanza di dovere
di collaborazione al fine di non pregiudicare il diritto del gestore dell’autostrada,
l’esistenza di specifici rapporti idonei ad evidenziare che l’atto del
conducente sia stato compiuto in nome e per conto del proprietario).
La norma regolamentare non può dare sostegno alla pretesa della ricorrente.
L’art.373 del D.P.R. n. 495 del 1992, non investito sul punto dalle modifiche
apportate dal D.P.R. 16 settembre 1996 n. 610, stabilisce, con il primo
comma, che al pagamento del pedaggio è obbligo del proprietario, in quanto
riguarda un soggetto che non pone in essere l’atto od il comportamento
produttivi del debito per pedaggio, ed ha come oggetto una somma che non
si esaurisce in un corrispettivo di tipo privatistico, avendo prevalenti
connotazioni di tassa connessa al godimento di un servizio (v., da ultimo,
Cass. S.u. 7 agosto 2001 n. 10893), si traduce nell’imposizione di una
prestazione patrimoniale, la quale deve necessariamente trovare fonte
nella legge, ai sensi dell’art. 23 della Costituzione.
Ne consegue che la questione della legittimità o meno di detto art. 373
(nei riguardi del proprietario) deve prescindere dai rilievi della ricorrente
circa l’ampiezza delle attribuzioni del provvedimento regolamentare (ove
abbia la duplice valenza di regolamento di esecuzione e di attuazione),
dato che l’atto di normazione secondaria non può in ogni caso introdurre
obbligazioni patrimoniali di carattere impositivo, riservate all’atto
di normazione primaria.
La legittimità e l’applicabilità, della disposizione regolamentare, pertanto,
potrebbe essere riconosciute solo in esito all’individuazione nel codice
della strada o in altra legge dell’ordinamento di un principio che le
conferisca la portata di esplicitazione in concreto di canoni di legge,
nel rispetto dell’indicata riserva dell’art. 23 della Costituzione.
Il quesito, sotto entrambi i profili, deve ricevere risposta negativa.
L’art. 196, primo comma del codice della strada, per le violazioni punibili
con sanzione amministrativa pecuniaria, stabilisce che il proprietario
del veicolo, se non provi che la circolazione è avvenuta contro la sua
volontà, è obbligato in solido con l’autore della violazione al paga,meno
della somma dovuta.
La norma, riferendosi all’inosservanza di regole della circolazione che
implichino il pagamento di pena pecuniaria, ed estendendo al proprietario
l’obbligazione dell’autore, vale a dire di chi a commesso l’inosservanza
sanzionata, non può includere il pedaggio, il quale è debito conseguente
non ad una infrazione del conducente, ma ad un atto lecito del medesimo,
consistente nell’accesso alla rete autostradale (attraverso gli appositi
passaggi o caselli), e, dunque, non fa parte della somma dovuta in dipendenza
di violazione.
Il debito per pedaggio può concorrere con debito per sanzione pecuniaria
ove sussistano gli estremi del XVII comma dell’art. 176 del codice della
strada, il quale punisce con pena pecuniaria il comportamento di chi non
si fermi alle stazioni, creando situazioni di pericolo, ovvero ponga in
essere atti diretti ad eludere il versamento del pedaggio stesso, cosÏ
richiedendo per la configurazione di illecito sanzionabile un quid pluris
rispetto alla semplice insolvenza.
L’eventualità di detto concorso però non tocca l’autonomia e la diversità
delle obbligazioni, restando il titolo del pedaggio un fatto lecito e
la somma per esso dovuta l’oggetto di un debito civilistico, non sanzionatorio.
La soluzione, oltre che coerente con la lettera dell’art. 196, trova conforto
nelle finalità da esso perseguite, individuabili non solo e non tanto
nell’esigenza di rafforzare la forza dissuasiva della previsione di pena
pecuniaria, spingendo il proprietario ad evitare la cessione del veicolo
a persone che non diano affidamento sull’osservanza della disciplina della
circolazione, ma anche e soprattutto nell’esigenza di garantire il soggetto
pubblico titolare del credito per sanzione pecuniaria (il cui importo
è devoluto a scopi di interesse generale, ai sensi dell’art. 208 del codice
della strada), assegnandogli un coobbligato pi˜ agevolmente individuabile
e perseguibile.
La mancata protezione, da parte dell’art. 196, pure della posizione creditoria
della società concessionaria dell’autostrada non autorizza i sospetti
dell’illegittimità costituzionale avanzati dalla ricorrente, considerandosi
che i rischi cui rimane esposta detta concessionaria, in assenza di corresponsabilità
del proprietario per il pagamento del pedaggio, non coinvolgono l’utilità
sociale o la protezione dell’integrità delle persone, poste dall’art.
41 secondo comma della Costituzione a delimitazione della libertà di iniziativa
economica, ma restano nell’ambito del danno patrimoniale di detta società.
Gli eventuali riflessi di tale danno sulla collettività, in quanto l’inadempimento
di alcuni utenti può tradursi in incremento delle tariffe, rimangono comunque
sul piano economico, e non incidono sui beni primari contemplati dalla
predetta disposizione costituzionale.
Un collegamento della norma regolamentare con norma di legge, atto a conferire
all’una l’indicata funzione di disciplinare un criterio generale fissato
dall’altra, non è poi ravvisabile in riferimento al 3° comma dell’art.
2054 cod. civ. (con la conseguente ultroneità della questione dell’individuabilità
di quel rapporto anche in relazione a prescrizioni sulla circolazione
stradale non incluse nel codice della strada).
Detta disposizione codicistica, chiamando il proprietario, che non provi
l’uso del mezzo contro la sua volontà, a rispondere in via solidale del
danno arrecato al conducente del veicolo, è norma di diritto singolare,
in quanto introduttiva di responsabilità per fatto altrui, trova spiegazione
nell’intrinseca pericolosità dell’impiego di veicoli, mira ad accentuare
la tutela del terzo coinvolto dal comportamento doloso o colposo del guidatore,
risponde ad un interesse pubblicistico di maggiore protezione del credito
risarcitorio derivante da specifiche ipotesi d’illecito aquiliano, e,
dunque, non è suscettibile di estensione o applicazione analogica a debiti
assunti dal conducente con un comportamento lecito.
In conclusione, si deve affermare che l’art. 373 primo comma del regolamento
di esecuzione e di attuazione del codice della strada, ove estende in
via solidale al proprietario del veicolo l’obbligazione di pedaggio assunta
dal conducente con l’impiego del mezzo in un tratto autostradale, è legittimo,
in carenza di previsioni in tal senso da parte di detto codice o di altra
norma di legge, tenendosi conto che tale estensione, comportando l’imposizione
di una prestazione patrimoniale (per il fatto altrui), richiede una disposizione
di legge.
Il principio, come correttamente rileva il ricorrente, è potenzialmente
foriero di risvolti economici negativi nella gestione del servizio autostradale,
in quanto la mancata estensione dell’obbligo di pagare il pedaggio al
proprietario-non conducente del veicolo potrebbe accentuare o comunque
favorire casi di inadempienza del guidatore, se non identificato o non
identificabile al momento dell’accesso o dell’uscita dalla rete autostradale.
Detta considerazione non autorizza però l’interprete a non trarre la doverosa
conseguenza della carenza di una disposizione di legge costitutiva della
corresponsabilità, del proprietario, spettando al legislatore l’eventuale
scelta di inserire il principio posto dalla norma regolamentare in un
atto del rango previsto dal citato art. 23 della Costituzione.
L’illegittimità dell’art. 373 del regolamento del codice della strada
ne comporta la disapplicazione, ai sensi dell’art. 5 della legge 20 marzo
1865 n. 2248 all.E, con il corollario, alla luce di quanto sopra ricordato
sui limiti del tema della contesa, della reiezione del ricorso della Società
Autostrade.
La complessità e la novità della questione definita rendono equa l’integrale
compensazione delle spese di questa fase processuale.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Depositata in Cancelleria il 20 settembre 2002. Ý
|