Svolgimento del
processo
Il 22 febbraio
1986 M.P., mentre procedeva, alla guida della sua autovettura – a bordo
della quale erano anche la moglie C.M. e la figlia A. M. – sull’autostrada
del Brennero, giunto nei pressi di Trento si vedeva costretto a rallentare
la propria marcia e ad arrestarsi sulla corsia nord a causa di una colonna
di auto ferme.
Sopraggiungeva da tergo, ad elevata velocità, una Mercedes 190 E, di
proprietà e guidata da A. L. che, nonostante una brusca frenata, non
riusciva ad evitare il tamponamento.
Nell’occorso il Molon riportava gravissime lesioni ed anche i suoi
familiari subivano notevoli danni.
In relazione a tali fatti si instaurava, dinanzi al pretore di Trento,
procedimento penale nei confronti dell’A. per il reato di lesioni colpose,
procedimento poi conclusosi con sentenza di non doversi procedere per
intervenuta amnistia.
Muovendo da tali premesse il Molon conveniva in giudizio dinanzi al
tribunale di Trento A.L. e la Subalpina assicurazioni – assicuratrice
dell’auto Mercedes.
Con separato atto l’A. chiamava in giudizio l’Autobrennero Spa attribuendo
alla stessa la responsabilità del sinistro per mancata adozione di idonee
misure di prevenzione.
Altro procedimento veniva instaurato, con distinto atto, da C. P. M., in
proprio e quale legale rappresentante della figlia minore Alessandra
Molon, nei confronti dell’A. e della società assicuratrice Subalpina dai
quali chiedeva di essere risarcita dei danni.
Tutti gli anzidetti procedimenti, riuniti, venivano decisi con sentenza 29
settembre 1994 con la quale il tribunale:
a) dichiarava l’esclusiva responsabilità nella causazione del sinistro
dell’A. e lo condannava al pagamento in favore del Molon della somma di
922 milioni 213mila 190 lire, oltre rivalutazione ed interessi;
b) lo condannava altresì al risarcimento dei danni anche nei confronti di
C. P. M. e di M. A.;
c) rigettava la domanda dell’A. all’indirizzo dell’Autostrada del
Brennero;
d) disponeva la regolamentazione delle spese di lite.
Avverso tale decisione l’A. proponeva appello limitatamente al capo con il
quale era stata rigettata la domanda di corresponsabilità nei confronti
dell’Autobrennero Spa denunciando un’erronea valutazione delle risultanze
probatorie.
Tutte le altre parti resistevano al gravame ed il M. P., inoltre,
proponeva impugnazione in via incidentale.
La Corte di appello di Trento, con sentenza in data 10 marzo 1988,
accogliendo parzialmente la proposta impugnazione, così statuiva: riteneva
la responsabilità colposa concorrente nella produzione del sinistro dell’Autobrennero
nella misura del 40 per cento e la condannava al pagamento in favore
dell’A. della somma di 5 milioni 800mila lire, con rivalutazione ed
interessi sulla somma rivalutata dalla data del sinistro al saldo – a
titolo di risarcimento dei danni da questo subiti – onerando invece l’A.
nei confronti di detta società del pagamento del 20 per cento delle spese
del giudizio di primo grado;
condannava l’Autobrennero a tenere indenne l’A., nella percentuale del 40
per cento, da tutte le domande contro di lui proposte da P. M., M. C. P.
in M. e A. M.;
la condannava infine, in favore di tutte le altre parti, al pagamento
delle spese del grado.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’Autostrada Brennero
Spa, affidandone l’accoglimento a sette motivi illustrati anche da memoria
difensiva.
Resistono con distinti controricorsi l’Allianza Subalpina Spa (già Unione
Subalpina Spa) – incorporante per fusione (con mutamento negli anzidetti
termini della ragione sociale) della Allianza Pace Spa – nonché M. P., C.
P. M. e M. A., i quali ultimi producono anche memoria difensiva.
L’A. non ha invece svolto in questa sede alcuna attività difensiva.
Motivi della decisione
1. Va
pregiudizialmente esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso
sollevata dalla resistente Allianza Subalpina Spa dietro il rilievo che,
avendo la Subalpina Spa – come dedotto nella comparsa conclusionale
d’appello – operato, con atto del 31 dicembre 1995, l’incorporazione per
fusione dell’Allianza Pace ed il mutamento della propria ragione sociale
appunto in Allianz Subalpina Spa il ricorso andava notificato a quest’ultima
società.
La notificazione alla Unione Subalpina, pertanto, doveva ritenersi affetta
da nullità in quanto effettuata nei confronti di soggetto inesistente e
nessun valore sanante di tale vizio poteva attribuirsi alla costituzione
in giudizio di essa controricorrente avvenuta solo dopo il passaggio in
giudicato della sentenza della Corte di appello.
L’eccezione è infondata.
Giusta la precisa previsione dell’articolo 331, comma 1° Cpc, infatti, in
presenza di una sentenza resta tra più parti in causa inscindibile – come
nella specie – è sufficiente, al fine di evitare il formarsi del giudicato
sulla sentenza stessa, che nei termini di rito l’impugnazione sia proposta
almeno nei confronti di una delle parti.
E poiché è indubitabile che nel caso che ci occupa il ricorso è stato
tempestivamente notificato ad alcune delle parti (in particolare a M. P.,
M. A., C. P. M. ed A. L.) deve convenirsi che non si è verificato il
passaggio in giudicato della sentenza e che non sussiste quindi la dedotta
inammissibilità del ricorso.
Secondo il chiaro disposto della richiamata norma avrebbe dovuto semmai
ordinarsi l’integrazione del contraddittorio nei confronti del
litisconsorte pretermesso, integrazione la cui necessità è qui superata
dalla costituzione in giudizio dello stesso.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia «violazione articoli 101 Cpc
– 209 Cc» sostenendo che non poteva essere opposto ad essa società,
rimasta estranea alla domanda spiegata dai danneggiati, il giudicato sul
quantum formatosi nei confronti dell’A. e a seguito della rinuncia dello
stesso all’appello all’indirizzo degli attori.
La censura è priva di fondamento.
Premesso che del tutto erroneamente viene richiamato l’articolo 209 Cc che
attiene a materia del tutto diversa da quella in esame (riguardando la
«cessazione degli effetti della separazione tra coniugi») deve rilevarsi
che nella specie non è dato ravvisare alcuna violazione del principio del
contraddittorio.
Costituisce ius receptum (v. tra le tante Cassazione 5747/95,
4023/76 e 986/76) che nel caso di chiamata in garanzia il rapporto di
connessione esistente tra la domanda principale e quella di manleva
consenta, ai sensi dell’articolo 106 Cpc, il simultaneus processus
e cioè determini l’instaurazione tra tutte le parti di un unico
procedimento.
Da ciò consegue che quando il convenuto, come nel caso in esame, chiami in
giudizio un terzo per far individuare in lui il responsabile ed ottenere
così la propria liberazione – ancorché parziale – si ha comunanza di causa
ed il contraddittorio si instaura anche tra l’attore ed il terzo chiamato
per cui legittimamente il giudice, oltre ad utilizzare – in base al
principio dell’acquisizione – tutte le risultanze istruttorie dell’unico
procedimento, potrà emettere direttamente nei confronti del chiamato una
sentenza di condanna senza incorrere nel vizio di extrapetizione.
3. Con il secondo mezzo, deducendo «violazione articoli 2043, 2054, 2697
Cc l’Autobrennero si duole del mal governo dei principi disciplinanti la
prova del danno prodotto dalla circolazione dei veicoli che, a suo dire,
sarebbe stato fatto dalla Corte di merito.
A fronte di una responsabilità presunta ex lege ed accertata in
capo all’A. su cui gravava l’onere probatorio di dimostrare «di avere
fatto tutto il possibile per evitare il danno» e di fornire la prova piena
ed esaustiva di un fatto colposo o doloso altrui, correlabile al sinistro
con nesso di causalità, «l’impugnata sentenza avrebbe operato una vera e
propria inversione dell’onere della prova, facendo carico ad essa
ricorrente di introdurre argomenti convincenti per escludere un proprio
concorso di colpa nella determinazione del tamponamento.
Anche tale doglianza è infondata.
Contrariamente all’assunto di parte ricorrente la Corte territoriale non è
incorsa in alcuna delle denunciate violazioni ma ha bensì effettuato, con
un attento ed approfondito esame degli elementi di fatto acquisiti in
processo, della consulenza tecnica e delle prove fornite dall’attore, una
completa ricostruzione della dinamica del sinistro. Ha così rilevato che
l’A. che procedeva, prima che si accorgesse dell’incolonnamento, ad una
velocità di 139 kmh – osservando che la stessa, oltre ad essere nei limiti
consentiti (di 140 kmh) era tale da consentire, anche in considerazione
della natura e della caratteristica del mezzo (una Mercedes 190 E), del
perfetto stato della strada (asciutta) e della piena visibilità,
condizioni di notevole sicurezza – non appena ebbe percezione
dell’ostacolo azionò i freni; che ciononostante, e pur avendo lasciato
sull’asfalto una traccia di frenata di 84 metri, non fu in condizione di
evitare l’impatto; che, quando si verificò il tamponamento dell’auto del
Molon, la velocità della sua vettura si era ridotta a 65 kmh.
Ha poi aggiunto – facendo propri i rilievi contenuti nella perizia tecnica
svolta in sede penale – che egli aveva la possibilità (stante la presenza
di una curva sinistrorsa) di avvistare l’intralcio al traffico a 173 m;
che, considerato anche il ritardo con il quale percepì la situazione di
pericolo, sarebbe stato in condizione di evitare il tamponamento solo se
avesse tenuto una velocità di 126 kmh; ed ha concluso affermando che,
viaggiando invece a 139 kmh, per lui era materialmente impossibile evitare
il tamponamento.
Quanto all’Autobrennero Spa ha ritenuto che essa si sia resa colpevole di
condotta omissiva per non avere assolto l’obbligo – su di essa gravante
quale gestrice dell’autostrada A22, ai sensi dell’articolo 13 del codice
della strada – di segnalare con congruo anticipo e con mezzi idonei
l’incolonnamento ed il blocco stradale ed ha giudicato tale condotta, in
relazione alle modalità del sinistro, avere un’efficienza causale
concorrente.
Più specificamente, andando di contrario avviso dal primo giudice a parere
del quale la società autostradale avrebbe assolto il suo obbligo facendo
confluire nella zona più pattuglie della Polstrada, ha espresso il
convincimento che essa non avrebbe invece messo in atto quelle elementari
cautele che avrebbero potuto avere l’idoneità ad evitare l’incidente,
osservando: che l’incolonnamento si era verificato a seguito
dell’interruzione del traffico cagionata da un incidente avvenuto alle ore
11,17 alla progressiva chilometrica 133 della corsia nord, dopo il casello
di Trento centro; che il tamponamento causato dall’A. si verificò circa
un’ora dopo (alle 12,15) alla progressiva chilometrica 141 e cioè 7
chilometri prima, dopo il casello di Rovereto nord; che risultava quindi
evidente che a seguito del primo incidente si era creata, nello spazio
temporale di un’ora, una coda di sette chilometri; e che in tale arco di
tempo l’Autobrennero avrebbe potuto e dovuto attivarsi per segnalare
l’incolonnamento del traffico e/o, se del caso, ricorrendone i
presupposti, bloccare il traffico facendo uscire gli automobilisti a
Rovereto Nord oppure al casello di Trento centro, senza rallentare le
uscite con il pagamento dei pedaggi.
E ponendo quindi l’accento sulla mancata assunzione di tali comportamenti
e sul fatto – messo in luce nello stesso rapporto dei carabinieri – della
insufficienza del personale addetto per far fronte alla eccezionalità (ma
non imprevedibilità) del flusso circolatorio, ha affermato la
responsabilità colposa concorrente dell’Autobrennero ed attribuito alla
condotta della stessa un’incidenza causale nella produzione del sinistro
nella misura del 40 per cento.
Tanto premesso, mentre va osservato, su un piano generale, che per
pacifica giurisprudenza di questa Corte (v. ex plurimis Cassazione
5045/99, 4347/99 e 10896/98) la scelta degli elementi probatori e la
valutazione di essi rientrano nella sfera di discrezionalità del giudice
del merito il quale non è tenuto a confutare dettagliatamente le singole
argomentazioni svolte dalle parti su ciascuna delle risultanze probatorie,
dovendo solo fornire un’esauriente e convincente motivazione sulla base
degli elementi ritenuti più attendibili e conducenti, è d’uopo rilevare
che le censure di parte ricorrente, per altro caratterizzate da estrema
genericità, non colgono minimamente nel segno.
L’Autobrennero si limita a denunciare la violazione degli articoli 2043 e
2054 Cc ma non precisa in cosa tale violazione si sostanzierebbe così come
non rileva che la Corte di merito, superando la presunzione di cui
all’articolo 2054 Cc, ha ravvisato ed indicato precisi elementi di
responsabilità concorrente a carico di entrambe le parti.
Quanto poi alla dedotta violazione delle norme sulla prova va osservato
che nessuna inversione dell’onus probandi è stata posta in essere e
che la Corte territoriale ha fatto corretta applicazione del disposto
dell’articolo 2697 Cc indicando positivi elementi di colpa a carico dell’Autobrennero
e non fondando – come si assume – il proprio convincimento sulla mancata
dimostrazione da parte sua dell’assenza di responsabilità nella causazione
del sinistro.
4. Con il terzo, denunciando «violazione articoli 13, 102, 106 codice
della strada (Dpr 420/59 in vigore all’epoca del sinistro) –
contraddittoria ed illogica motivazione», sostiene:
a) che frutto di errore sarebbe l’affermazione contenuta in sentenza che
le farebbe carico del mancato rispetto dell’obbligo – sancito
dall’articolo 13 Cps – di segnalare con congruo anticipo e con mezzi
idonei l’incolonnamento ed il blocco del traffico e ciò in quanto la norma
in parola atterrebbe esclusivamente ai segnali stradali fissi indicati
negli articoli 25 e seguenti del regolamento;
b) che priva di pregio sarebbe poi la considerazione – alla quale sarebbe
stato attribuito valore decisivo – secondo cui la velocità tenuta dall’A.
non superava i limiti consentiti dal codice della strada: ancor quando,
infatti, tale circostanza fosse stata vera essa da sola non bastava a
qualificare la condotta del predetto in quanto suo preciso obbligo sarebbe
stato quello di regolare la velocità in modo da non creare pericolo per la
sicurezza delle persone e delle cose (tenendo conto delle condizioni della
strada, del traffico ecc.) e di non effettuare sorpassi in curva.
4.1. Ora, in ordine al primo rilievo, ritiene il Collegio, contrariamente
all’assunto di parte ricorrente, che l’obbligo imposto a carico dell’ente
proprietario – o gestore della strada – dall’articolo 13 cds di porre
fuori dei centri abitati i segnali di pericolo descritti nello stesso
articolo, nelle norme successive ed in quelle del regolamento, non si
esaurisca – come per altro già affermato da questa Suprema corte (v.
Cassazione penale 2653/91) – nell’adozione della segnaletica indicata in
tali norme ma si estenda anche all’uso di segnali diversi, idonei ad
impedire l’insorgere di situazioni di pericolo per l’incolumità degli
utenti della strada, quando, come nel caso che ci occupa, i normali
segnali di pericolo, in relazione a situazioni concrete, siano
insufficienti.
E non è dubbio a tal proposito che la situazione di pericolo nella specie
insorta era tale da non potersi ritenere minimamente allertata dalla
segnaletica fissa presente in loco e richiedesse l’adozione da parte
dell’ente gestore di segnali diversi che si attagliassero alla concreta
situazione venutasi a creare.
A tutto ciò va poi aggiunto che, per altro, la responsabilità dell’Autobrennero
è stata affermata anche sotto altro assorbente profilo: prescindendo cioè
dalla previsione dell’articolo 13 cds ed avendo riguardo al generale
principio del neminem laedere di cui all’articolo 2043 Cc.
La Corte territoriale, osservando che a carico della stessa, nella sua
qualità di gestrice dell’autostrada, gravava comunque un obbligo di
intervento, ha infatti correttamente affermato che esso non poteva
ritenersi assolto con la semplice richiesta di invio di pattuglie della
Polstrada ma imponesse ben più concrete iniziative – come l’apposizione di
segnali di pericolo e/o la temporanea chiusura al traffico dell’autostrada
– la cui mancata adozione integrasse, anche in considerazione delle
dimensioni dell’incolonnamento e del tempo trascorso, un comportamento
improntato alla violazione dei più elementari principi di prudenza.
4.2. Quanto al secondo rilievo va osservato che le svolte considerazioni
avrebbero un senso laddove la Corte di merito fosse pervenuta ad una
pronuncia assolutoria nei confronti dell’A..
Ben diversamente, invece, essa ha giudicato colposa la condotta del
conducente l’autoveicolo investitore – e ciò proprio in relazione alle
specifiche violazioni indicate dalla ricorrente – e si è solo limitata ad
escludere che avesse incidenza esclusiva nella produzione dell’evento.
5. Anche il quarto motivo con il quale, deducendo «violazione degli
articoli 2043, 2697 Cc, 125, 136, Cod. strad. e 573 del regolamento» si
denuncia l’erroneità dell’impugnata sentenza per avere affermato degli
obblighi provvedimentali a suo carico e dei doveri di immediato intervento
da parte sua a suo dire inesistenti, non ha alcun fondamento.
Nel rilevare che non è per nulla esatto che alla società autostradale non
competesse alcun potere di sospensione del traffico, in quanto, secondo il
chiaro disposto dell’articolo 573 del regolamento del codice della strada
«per ragioni tecniche o di sicurezza l’ente proprietario o società
concessionaria può sospendere il traffico per tutte le categorie di
veicoli o per alcune di esse su tratti dell’autostrada» deve comunque
sottolinearsi, richiamando per altro quanto già esposto in relazione al
precedente motivo, che la prospettazione contenuta in sentenza della
possibilità di adozione da parte della società autostradale di un
provvedimento di chiusura dell’autostrada costituisce solo uno dei tanti
argomenti addotti a dimostrazione della colpa della società.
Ciò che la Corte di merito ha preso in debita considerazione è la totale
assenza di iniziative da parte dell’Autobrennero – che, quale società
gestrice della rete autostradale, aveva un dovere di attivarsi e non
poteva limitarsi a richiedere l’intervento della Polstrada – integrante,
come si è detto, un comportamento improntato alla violazione delle più
elementari regole di prudenza.
6. Con il quinto motivo viene poi denunciata «violazione articoli 2697 e
segg. Cc, 115, 191 e 194 Cpc» sostenendosi che erroneamente sarebbe stata
utilizzata ai fini della decisione la perizia tecnica redatta nel
procedimento penale a carico dell’A..
Trattasi di censura che da un lato mira a contestare quel potere di scelta
degli elementi probatori e di operarne la valutazione che, come è pacifica
giurisprudenza di questa Corte, è proprio del giudice del merito – ed è
appena il caso di rilevare che nessun divieto legislativo all’utilizzo nel
giudizio civile della perizia redatta nel procedimento penale può
ritenersi esistente – e dall’altro tende ad introdurre dei rilievi di mero
fatto che si prefiggono esclusivamente, ed immotivatamente, di sollecitare
un riesame del merito.
Sotto entrambi i profili, comunque, la censura in questione è
insuscettibile di accoglimento e va disattesa.
7. Con il sesto si deduce «omessa motivazione» in relazione
all’affermazione di una responsabilità concorrente dell’Autobrennero nella
misura del 40 per cento.
Anche tale motivo con il quale la ricorrente si limita ad una generica
denuncia della valutazione fatta dal giudice del merito della propria
condotta e della graduazione della colpa dallo stesso effettuata non può
trovare accoglimento.
Contrariamente al suo assunto la Corte territoriale ha proceduto ad
un’attenta ed approfondita valutazione della condotta delle parti ed ha
operato, con motivazione adeguata, coerente ed immune da vizi logici e/o
giuridici, una corretta graduazione delle rispettive colpe.
8. Infine con il settimo mezzo, deducendo «violazione dell’articolo 91 Cpc»,
l’Autobrennero si duole della condanna alle spese del giudizio in favore
delle altre parti nei cui confronti, a suo dire, non esisteva comunanza di
causa e non era perciò configurabile una soccombenza.
Come già rilevato nell’esame del secondo motivo, per pacifica
giurisprudenza di questa Corte (v. Cassazione 5747/95, 4023/76 e 986/76)
il rapporto di connessione esistente tra domanda principale e quella di
manleva nel caso di chiamata in garanzia consente, ai sensi dell’articolo
106 Cpc, il simultaneus processus e cioè determina l’instaurazione
tra tutte le parti di un unico procedimento.
Legittimamente pertanto il giudice può adottare in tale processo una
pronuncia di condanna nei confronti di tutte le parti.
Il ricorso va pertanto rigettato ma sussistono giusti motivi, ai sensi
dell’articolo 92 comma 2° Cpc, per compensare interamente tra le parti le
spese del giudizio di cassazione.
PQM
la Corte rigetta
il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.