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CORTE
DI CASSAZIONE PENALE
a cura di Franco Corvino |
Il reato di guida in stato di ebbrezza, previsto dall’art. 186, comma 2, c.s., in quanto sanzionabile, se giudicato dal giudice di pace, ai sensi del combinato disposto degli artt. 4, comma 2, lett. q), e 52, comma 2, lett. c), del D.L.vo 28 agosto 2000 n. 274 (salvo che ricorra la recidiva qualificata di cui al comma 3 dello stesso art. 52), con pena pecuniaria ovvero con quella della permanenza domiciliare o del lavoro di pubblica utilità (entrambe assimilate, per ogni effetto giuridico, dall’art. 58, comma 1, alla pena detentiva originariamente prevista), deve ritenersi ricompreso tra le contravvenzioni punite con pena alternativa, relativamente alle quali può trovare applicazione, salvo espressa deroga, l’oblazione prevista dall’art. 162 bis c.p.
Svolgimento
del processo e motivi della decisione 1." Il 25 febbraio 2002 il Tribunale
di Pordenone, in composizione monocrativa, dichiarava non doversi procedere
nei confronti di P. C. per imputazione di cvi all’art. 186.2 c.s. perché
estinto il reato per oblazione. Rilevava il giudice del merito che doveva trovare
applicazione il più favorevole trattamento sanzionatorio di cui D.L.vo
n. 274/2000, "nonché l’art. 162 c.p., in quanto non perequabile
il "lavoro di pubblica utilità" dell’arresto, che costituisce
il presupposto " se alternativo all’ammenda " dell’oblazione speciale
ex art. 162 bis c.p.".
2.0 " Avverso
tale sentenza ha proposto ricorso il procuratore generale della Repubblica presso
la Corte di appello di Triste, denunziando il vizio di inosservanza ed erronea
applicazione della legge penale, per avere la sentenza impugnata illegittimamente
"ammesso l’imputato a definire il reato ascrittogli (…) mediante
oblazione ai sensi dell’art. 162 bis c.p.". Richiamato il sistema
sanzionatorio ora previsto per il reato in questione, ai sensi dell’art.
52, lett. c), del D.L.vo n. 274/2000, deduce che "la scelta del legislatore
appare di tutta evidenza, se si tengono presenti i principi di immediatezza
e semplicità del rito innanzi al giudice di pace ed, ancor più,
il principio di effettività ispiratore delle pene che tale organo ha
facoltà di irrogare. Il ritenere " in maniera assolutamente semplicistica
" che il reato è ora punito con pena alternativa e quindi per esso troverebbe
applicazione l’istituto dell’oblazione ex art. 162 bis c.p., significa,
oltre che eccedere nell’utilizzo dei principi ermeneutici, stravolgere
completamente l’impianto della nuova normativa faticosamente messa a punto
dal D.L.vo 274/2000".
2.1 " L’imputato
ha prodotto memoria difensiva, per mezzo del suo difensore, con la quale confuta
la fondatezza del gravame, del quale chiede il rigetto. 3. " E’ d’uopo, innanzitutto, saggiare la esatta qualificazione del mezzo di impugnazione proposto. La L. 24 novembre 1999, n.468, recante, tra l’altro, delega al Governo in materia di competenza penale del giudice di pace, nel suo art. 17, lett. N.), aveva indicato "la previsione della appellabilità delle sentenze emesse dal giudice di pace, ad eccezione di quelle che applicano la sola pena pecuniaria e di quelle di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria", stabilendo, poi, alla successiva lett.O), i limiti della appellabilità di tali sentenze da parte dell’imputato.
In attuazione
di tale delega, l’art. 36 del D.L.vo n.274/2000 reca, nel suo primo comma,
che "il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze
di condanna del giudice di pace che applicano una pena diversa da quella pecuniaria
e contro le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena alternativa",
e nel suo secondo comma che "il pubblico ministero può proporre
ricorso per cassazione contro le sentenze del giudice di pace". Posto,
dunque, che avverso le sentenze di proscioglimento per reati puniti con pena
alternativa (come quello che qui interessa) è dato al P.M. di proporre
appello, quel disposto normativo deve, nondimeno, essere ragguagliato con le
altre disposizioni generali e codicistiche sulle impugnazione, e così,
non solo (quanto, specificamente, al gravame del P.M.) con l’art. 608,
primo, secondo e terzo comma, c.p.p. (che riconosce il potere di ricorso del
pubblico ministero avverso le sentenze di condanna o di proscioglimento pronunziate
in grado e le sentenze inappellabili); ma anche con l’art. 569 c.p.p. (peraltro
espressamente richiamato dall’art.608, quarto comma), a termini del quale
"la parte ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può
proporre direttamente ricorso per cassazione", salvi i "casi previsti
dall’art. 606, comma 1, lett. D) ed e) ", nei quali "il ricorso
eventualmente proposto si converte in appello". Gli artt.
63, 64 e 65 del D.L.vo n. 274/2000 hanno, tuttavia, dettato disposizioni finali
e transitorie. L’art. 64, in particolare, dispone che le norme di tale
decreto legislativo (recante "Disposizioni sulla competenza penale del
giudice di pace, a norma dell’art. 14 della legge 24 novembre, n.468",
entrato in vigore il 2 gennaio 2002 per effetto dell’art. 1, secondo comma,
del D.L. 18 aprile 2001, n.91, convertito con modificazioni in L. 3 maggio 2001,
n.163) si applicano ai reati commessi dopo la sua entrata in vigore e che, "ferma
l’applicabilità dell’art.2, comma terzo, del codice penale,
nei procedimenti relativi a reati commessi prima dell’entrata in vigore
del presente decreto legislativo si osservano le disposizioni dell’art.
63, commi 1 e 2 (…)". Soggiunge, nel secondo comma, che quando si
tratta di reati commessi prima della entrata in vigore di tale testo normativo
ma "dopo la pubblicazione del presente decreto (6 ottobre 2000), si osservano
anche le disposizioni del titolo I (tra le quali l’art. 36) se alla data
di entrata in vigore non è ancora avvenuta l’iscrizione della notizia
di reato". L’art.
63, a sua volta, stabilisce che "nei casi in cui i reati indicati dall’art.4,
commi 1 e 2, sono giudicati da un giudice diverso dal giudice di pace, si osservano
le disposizioni del titolo II del presente decreto legislativo (artt.52"62),
nonché, in quanto applicabili, le disposizioni di cui agli artt. 33,
34, 35, 43 e 44": ne rimane, quindi, esclusa, l’applicabilità,
per tali reati commessi anteriormente alla entrata in vigore della legge, dell’art.36. Nella specie,
ancorché nella imputazione trascritta in sentenza non venga indicata
l’epoca del commesso reato, questo, riportandosi in epigrafe della sentenza
medesima che il procedimento è stato iscritto al "n. 859/00 R.G.
notizie di reato", deve ritenersi commesso prima della entrata in vigore
del D.L.vo n. 274/2000 (come del resto dà contezza la ritenuta competenza
del giudice a quo) e la relativa iscrizione nel registro delle notizie
di reato è avvenuta prima della entrata in vigore dl decreto legislativo
in questione. Ne consegue
che, non essendo evocabile nella specie, per come s’è detto, l’art.
36 del D.L.vo in questione, deve trovare, invece, applicazione all’art.
593.3 c.p.p., a termini del quale "sono inappellabili (…) le sentenze
di proscioglimento o di non luogo a procedere relative a contravvenzioni punite
con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa" (e tale ultima
ipotesi ricorre nel caso di specie, come più oltre si dirà). Il
proposto ricorso deve, dunque, ritenersi ritualmente esperito, ai sensi del
precitato art. 593.3 c.p.p.
4. " Il P.G.
ricorrente si duole, specificamente, del fatto che il giudice del merito abbia
dichiarato la estinzione del reato per oblazione ai sensi dell’art. 162
bis c.p. salvo quanto più oltre si dirà sulla inesattezza
di tale richiamata circostanza, quanto alle dedotte censure che investono, più
in generale, la questione se sia applicabile o meno ai reati di competenza per
materia del giudice di pace l’istituto della oblazione, ai sensi degli
artt. 162 e 162 bis c.p., giova, anzitutto, premettere che, com’è
noto il D.L.vo 28 agosto 2000, n. 274, ha attribuito alla competenza per materia
del giudice di pace i reati di cui all’art. 4 di tale testo normativo,
tra i quali (secondo comma, lett. q, l’art. 186, comma 2 del D.L.vo
30 aprile 1992, n. 285 (c.d. codice della strada), ferma restando la competenza
del tribunale per i minorenni. Ha, altresì,
modificato, nell’art. 52, il regime sanzionatorio per tali reati, tra l’altro
stabilendo, nel secondo comma, lett. c), per quanto nella specie interessa,
che "quando il reato è punito con la pena della reclusione o dell’arresto
congiunta con quella della multa o dell’ammenda, si applica la pena pecuniaria
della specie corrispondente da lire un milione e cinquecentomila (ora euro 774,69)
a cinque milioni (ora euro 2.258,28) o la pena della permanenza domiciliare
da venti giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del lavoro di pubblica
utilità da un mese a sei mesi". Stabilito nell’art. 52 il contenuto
dell’obbligo della permanenza domiciliare (e, tra l’altro, la sua
durata minima, sei giorni, e massima, quarantacinque giorni), ha disciplinato
nel successivo art. 54l a pena del lavoro di pubblica utilità, stabilendo,
tra l’altro (primo comma) che tale pena può essere applicata "solo
su richiesta dell’imputato" (con D.M. 26 marzo 2001 sono state determinate
le modalità di svolgimento del lavoro di pubblica utilità). Con l’art.
58, poi, sono stati indicati gli effetti delle sanzioni (nuove rispetto alla
previsione di cui all’art. 17 c.p.) ed i criteri di ragguaglio, stabilendosi
che "per ogni effetto giuridico la pena dell’obbligo di permanenza
domiciliare e il lavoro di pubblica utilità si considerano come pena
detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria". L’art.60,
inoltre, reca che "le disposizioni di cui agli artt. 163 e seguenti del
codice penale, relative alla sospensione condizionale della pena, non si applicano
alle pene irrogate dal giudice di pace". E l’art. 62 esclude l’applicabilità
di altre misure sostitutive della detenzione, di cui alla L. 24 novembre 1981,
n.689.
5. " Alla
stregua, dunque, di tale sopravvenuta disciplina normativa, il reato di cui
all’art.186.2 c.s. (tranne l’ipotersi di recidiva reiterata infraquinquennale,
di cui all’art. 52.3, che nella specie non è contestata nel capo
di imputazione) deve ritenersi ora punito con pena alternativa. In particolare,
poiché l’obbligo di permanenza domiciliare e il lavoro di pubblica
utilità si considerano come pena detentiva della specie corrispondente
a quella della pena originaria, "ad ogni effetto di legge", il reato
deve ritenersi punito con pena alternativa, pecuniaria o detentiva. Tale parificazione,
attesa la sua applicazione "ad ogni effetto di legge", che non lascia
margini a distinzioni o diverso apprezzamento al riguardo, non può non
rilevare anche in riferimento agli istituti contemplati nella legislazione generale,
podistica (esplicando, effetti, quindi, ad esempio, anche ai fini del computo
del termine prescrizionale, ai sensi degli artt. 157 e 160 c.p.).
6. " Non
può revocarsi in dubbio che l’istituto della oblazione, di cui agli
artt. 162 e 162 bis c.p., abbia carattere generale, e sia come tale applicabile
a tutte le contravvenzioni per le quali la legge stabilisca la sola pena dell’ammenda
(art. 162 c.p.), ovvero la pena, alternativa dell’arresto o dell’ammenda
/art. 162 bis c.p.), salve eventuali espresse deroghe normative. In particolare,
per quanto riguarda l’art. 162 bis c.p., giova richiamare che tale
oblazione non è ammessa, per come recita la norma, nei casi previsti
dagli artt. 99, terzo capoverso, 104, 105 c.p., o quando permangono conseguenze
dannose o pericolose del reato eliminabili da parte del contravventore, e che,
"in ogni altro caso", il giudice può rigettare la relativa
richiesta, "avuto riguardo alla gravità del fatto". Rispetto,
dunque, all’analogo istituto disciplinato dall’art. 162 c.p., sono
aggravate le condizioni di ammissibilità al beneficio (anche quanto all’importo
da versare a titolo di oblazione, la metà del massimo dell’ammenda,
anziché un terzo), peraltro sottoposte ad una conclusiva valutazione
discrezionale del giudice quanto alla gravità del fatto, evidentemente
valutabile secondo i criteri indicati dall’art. 133.1 c.p., senza, quindi,
che possa operare l’automaticità del meccanismo estintivo di cui
all’art. 162.
7. " Alla
stregua delle nuova disciplina approntata dal legislatore, non vi sono ragioni
per escludere l’applicabilità di tale istituto ai reati di competenza
del giudice di pace. Attesa la
già ricordata portata generale dell’istituto, una siffatta esclusione,
per vero, non è affatto prevista del testo normativo suindicato. La generalissima
norma di cui all’art. 12 delle disposizioni preliminari al codice civile
(c.d. preleggi) reca che "nell’applicare la legge penale non si può
ad essa attribuire altro significato che quello fatto palese dal significato
proprio delle parole secondo la connessione di esse e dalla intenzione del legislatore".
Se (come è stato annotato in dottrina) la maggiore debolezza di tale
norma sta nella omessa esplicitazione di un ordine gerarchico tra i canoni indicati,
rimane che lo spazio interpretativo (semantico, logico"sistematico, teleologico,
storico) non può comunque prescindere dalla significazione letterale,
ancorché riguardata nella massima espansione linguistica del testo normativo. Sotto il
profilo della voluntas legis nel suo insieme, poi, ben è vero
che " come richiama il ricorrente " l’art. 60 del D.L.vo n. 274/200 ha
espressamente escluso il beneficio della sospensione condizionale delle pene
irrogate dal giudice di pace e l’applicabilità si sanzioni sostitutive,
ai sensi della L. n. 689/1981. Ma, quanto alla prima di tali previsioni, per
intanto può osservarsi che, se l’intero testo normativo fosse improntato
all’onnicomprensivo principio di effettività nei termini evocati
dal ricorrente medesimo (nel senso, cioè, che una pena deve essere comunque
irrogata e espiata: della sanzione amministrativa accessoria più oltre
si dirà), tale disposizione (dettata solo in riferimento agli artt. 163
ss. c.p.) sarebbe, per verso, superflua ed inutilmente descrittiva solo di una
delle ipotesi in cui verrebbe a concretarsi quel generale e cogente principio.
Epperò, a ben vedere, la effettività della pena attiene al momento
sanzionatorio del commesso reato, che consegue ad una intervenuta condanna;
essa non è affatto estensibile " ed è anzi estranea " ai momenti
che precedono l’intervento ed il dictum sanzionatorio e quindi alle
ipotesi comportanti la estinzione del reato. E d’altra parte, la estinzione
del reato che, ai sensi dell’art. 167 c.p., consegue alla osservanza degli
obblighi da parte del condannato, nei termini stabiliti, opera su piano diverso
dalla estinzione del reato disciplinata dagli art.. 162 e 162 bis c.p.:
la prima comporta l’estinzione del reato dopo l’irrogazione della
pena ed impedisce che questa abbia esecuzione, la seconda prescinde del tutto
" siccome avviene in momento antecedente " da una pena irrogata ed esclude che,
intervenuta a quel momento la estinzione del reato, una pena possa conseguentemente
essere irrogata. L’inserimento
nel testo normativo della specifica disposizione di cui al citato art. 60 dà
contezza, invece, della voluta deroga, predisposta dal legislatore, alla normativa
dettata dagli artt. 163 e ss. c.p., deroga evidentemente " e peraltro secondo
i principi generali in tema di interpretazione delle leggi e di estensione o
limitazione di previsioni normative " ritenuta da necessariamente esplicitare
per escludere la applicabilità di quella normativa generale, altrimenti
applicabile anche a tali reati. Necessariamente conseguente ed ineludibile è
la considerazione che si fosse inteso derogare anche all’istituto generale
dell’oblazione, ai sensi degli artt. 162 e 162 bis c.p., tanto avrebbe
egualmente costituito oggetto di specifica disposizione normativa. Né
è possibile, per addivenire a diversa conclusione, evocare al riguardo
un procedimento interpretativo di tipo analogico. Per vero, innanzitutto occorre
considerare che " come pure rileva autorevole dottrina " interpretazione ed
analogia, pur possedendo in sé una medesima struttura logica (anche l’interpretazione
procede analogicamente), non sono fra loro sovrapponibili, giacché l’interpretazione
presuppone pur sempre che si rimanga nei confini di una possibile significazione
letterale, laddove l’analogia (argumentum a simili, ovvero il ricorso
a casi "casi simili o materie analoghe", come recita l’art. 12.2
delle preleggi) va oltre la interpretazione e "si fonda su una lacuna dell’ordinamento,
accertata proprio in sede di interpretazione della norma nel contesto del sistema"
(cfr. anche Cass., sez. V, n. 9392/1991).
8. " Le Sezioni
Unite di questa Suprema Corte hanno, in passato, già avuto modo di rilevare
(sent. n. 10/1988) che, rientrando l’istituto dell’oblazione di cui
all’art. 162 bis c.p. nella nuova filosofia generale dell’intervento
penale, volto in maniera assai più accentuata che nel passato a realizzare
la deprocessualizzazione attraverso una rapida uscita dal sistema penale di
chi ha commesso violazioni che comportino minor danno sociale, non vi sono ragioni
preclusive, né ostacoli ermeneutici, che impediscano l’ingresso
di tale istituto nel settore penale speciale (si trattava, in quella occasione,
di violazione finanziarie).
9. " Ad escludere
l’applicabilità dell’istituto in specifico riferimento all’art.
162 bis c.p. non può valere la considerazione che nel lessico
della norma si faccia riferimento alla pena alternativa "dell’arresto",
non più prevista dall’art. 52 del D.L.vo n. 74/2002, che l’ha
sostituita con la sanzione coercitiva dell’obbligo di permanenza domiciliare
o del lavoro di pubblica utilità. Già s’è detto, difatti,
che ai sensi dell’art. 58 del D.L.vo n. 274/2000, tali sanzioni si considerano
"come pena detentiva della specie corrispondente a quella della pena originaria"
e tanto "per ogni effetto giuridico".
10. " A diversa
conclusione non può indurre neppure l’ulteriore rilievo del ricorrente,
a termini del quale, "ove si ritenesse applicabile l’oblazione, poiché
tale istituto estingue il reato e nessun effetto penale ne consegue, comprese
le iscrizioni al casellario giudiziale, ne deriverebbe che coloro i quali abitualmente
guidano in stato di ebbrezza e costituiscono sicuramente il pericolo maggiore
per la collettività, mediante l’oblazione eviterebbero costantemente
anche la possibilità di vedersi aggravare la pena per recidiva e quindi
tale istituto verrebbe a vanificare totalmente il principio di effettività".
11. " Quanto,
infine, all’ultimo rilievo gravatorio, secondo cui, "se si ritenesse
applicabile l’oblazione, non potrebbero neppure essere applicate le sanzioni
amministrative accessorie previste dagli artt. 222 ss. c.s. (…), ed infatti
il giudice di prime cure non ha applicato misure accessorie", deve, innanzitutto,
rilevarsi che l’art. 218 c.s. reca che, "nell’ipotesi in cui
il presente codice prevede la sanzione amministrativa accessoria della sospensione
della patente di guida per un periodo determinato, la patente è ritirata
dall’agente o dall’organo di polizia che accerta la violazione",
e, "il prefetto, nei quindici giorni successivi, emana l’ordinanza
di sospensione, indicando il periodo cui si estende la sospensione stessa (…)". L’art.
224.3 dello stesso c.s., poi, nel disciplinare le sanzioni amministrative accessorie
a sanzioni penali, stabilisce che solo la "declaratoria di estinzione del
reato per morte dell’imputato importa l’estinzione della sanzione
amministrativa accessoria", mentre, "nel caso di estinzione per altra
causa, il prefetto procede all’accertamento della sussistenza o meno delle
condizioni di legge per l’applicazione della sanzione amministrativa e
procede ai sensi degli artt. 218 e 219 nelle parti compatibili". È
cosi, in tal guisa, assicurata la effettività, ed indefettibilità,
della sanzione amministrativa accessoria nei casi di estinzione del reato per
causa diversa dalla morte dell’imputato: e se per un verso non può
dubitarsi che la estinzione a seguito di oblazione rientri nel novero dell’effetto
estintivo per "altra causa", per altro verso a nulla rileva che, ai
fini della sua concreta applicazione, la sanzione amministrativa accessoria
venga applicata non dal giudice ma dal prefetto.
12. " L’argomentare
gravatorio del ricorrente muove dal presupposto che, nella specie, il giudice
del merito abbia dichiarato l’estinzione del reato per intervenuta oblazione,
ai sensi dell’art. 162 bis c.p. tale assunto è erroneo, giacché
alla resa statuizione il giudice è pervenuto applicando non l’art. 13. " Il ricorso va, dunque, rigettato. (Omissis). [RV"0301] |