Che
l’uso del casco abbia indicazioni positive ma anche controindicazioni
negative, la Corte di Cassazione lo aveva già rilevato in una sua
sentenza di quasi vent’anni fa (Cass. 13.12.1985, n. 11977), quando, argomentando
a proposito delle leggi a tutela dell’ordine pubblico (legge 152/1975,
legge 533/1977), affermò che il casco, anche se “protettivo”,
è comunque un mezzo “idoneo a travisare o a mascherare la
persona umana, in modo da impedire o rendere difficoltoso il suo riconoscimento”.
Ancora, in quell’occasione, la Corte scriveva che il casco poneva la persona
“in condizioni idonee a dissimulare o nascondere la propria persona
nei suoi caratteri esteriori percepibili… occultando i dati somatici
del viso…”.
Insomma, diceva la Corte (e non è certo una scoperta), se da un
lato il casco protegge e diminuisce i rischi in caso di incidente (in
una misura variabile fra il venti e il trenta per cento, così la
giurisprudenza quasi unanime), dall’altro favorisce e nasconde. Ovviamente,
chi abbia interesse a non farsi riconoscere in un determinato frangente.
E non si tratta solo dell’ipotesi, eclatante, del casco integrale. Anche
il normale casco obbligatorio per legge sulla strada riduce sensibilmente
la riconoscibilità della persona. Anzitutto, occulta la conformazione
del cranio, della nuca, della fronte, la presenza e il colore dei capelli,
e non è poco. Inoltre, se a tutto questo il soggetto aggiunge,
altrettanto lecitamente, l’uso di occhiali scuri o da motociclista, in
modo da nascondere anche gli occhi, si può dire che il suo travisamento
è notevole e tale da porlo al riparo, un domani, da una qualsiasi
attendibile ricognizione di persona. Ora, l’attuale art. 171 del codice
della strada, riprendendo una precedente norma (l’art. 1 legge 11.1.1986,
n. 3, successiva alla sentenza della Cassazione sopra citata) stabilisce
l’uso obbligatorio di un casco conforme alle tipologie omologate secondo
le norme ministeriali. Questa disposizione, chiaramente, s’inquadra nei
principi posti dall’art. 32 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica
tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse
della collettività. Imponendo l’uso del casco, l’ordinamento amplifica
l’area di indisponibilità dell’integrità psicofisica attraverso
la compressione dell’accettazione del rischio, ossia con la riduzione
del coefficiente di pericolo di danni. Si è detto, anche nell’interesse
della collettività. Infatti, sempre ragionando in termini di principi
generali, è ovvio che la salute del singolo ha un riflesso sociale,
in quanto malattie e lesioni personali hanno un costo, appunto, sociale,
in termini di spesa sanitaria, carico ospedaliero, assenza dal lavoro
e quindi incidenza sulla produzione e i servizi, e via elencando.
Ma, come già la Suprema Corte osservava quasi vent’anni fa, esiste
anche un diverso “riflesso” sociale, sul versante delle illiceità
e della delinquenza.
L’uso dei ciclomotori e dei motocicli assicura rapidità, rende
fulminei e incisivi, maggiormente quando si consumano scippi o agguati.
E qui l’uso del casco può essere una formidabile garanzia di impunità.
Non solo. L’uso obbligatorio del casco addirittura cancella tanti corollari
giuridici di simili fattispecie criminose. Chi scippa o spara o uccide
a bordo di un motoveicolo, e lo fa indossando lecitamente il casco, non
incorre in una serie di conseguenze giuridiche che, invece, sarebbero
a suo carico se non esistesse una norma che obbliga all’uso del casco
sulla strada.
Non potrà ritenersi, ad esempio, più grave la sua condotta
in base agli indici di cui all’art. 133 del codice penale (intensità
del dolo, modalità dell’azione, mezzi usati). Non potrà
configurarsi, in base all’uso di uno strumento di travisamento, l’aggravante
della preordinazione. L’uso del casco, sarà, invece scriminato
ai sensi dell’art. 51 del codice penale (adempimento del dovere).
Addirittura, e questo è il paradosso, chi compisse uno scippo o
un agguato su una moto e senza casco aggraverebbe la sua posizione, in
quanto si esporrebbe anche alla sanzione (amministrativa) conseguente
al suo mancato uso (certo, sarebbe un’inezia in più, ma si tratta
pur sempre di una conseguenza giuridica).
Insomma, in questi casi l’esistenza di una norma come l’art. 171 del codice
della strada determina una vera e propria rivoluzione copernicana. Come
al solito, anche in questo caso si è compiuta una scelta legislativa
a seguito del bilanciamento di interessi sociali, e quello della salute,
indiscriminatamente, è stato ritenuto prevalente.
In ogni caso, c’è un versante emotivo dove il “riflesso sociale”,
forse, è rimesto sempre quello. Crediamo infatti che, a prescindere
da tutte le implicazioni sociali e socialmente rilevanti, in certi vicoli
metropolitani, nelle zone ad alta densità criminosa, nelle periferie
malfamate, nelle zone tradizionalmente a rischio, l’approssimarsi solitario
di due individui su una motoretta, ben protetti da caschi e occhiali,
sia un fatto vissuto ancora e sempre con allarme, e in attesa che passi.
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Gip Tribunale di Forlì.
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