Trasporto
di cortesia: in caso di incidente pagano conducente e proprietario di Ugo Terracciano* |
Trasporto
di cortesia? Calma, un momento, discutiamone: quando si parla di circolazione
stradale anche una gentilezza, stando alle ultime della Suprema Corte,
può costare molto cara. Sì, perché dopo la sentenza
681/2000 della Cassazione Civile anche un gesto di amicizia, di solidarietà
o di semplice signorilità può trasformarsi, nel malaugurato
caso di incidente, in una battaglia giudiziaria già gravata dalla
pesante ipoteca della presunzione di colpa di chi era alla guida.
Tradotto in chiave tecnico-giuridica significa che il trasportato ferito, indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare l’art. 2054 del codice civile e chiedere il risarcimento non solo a chi guidava, ma anche, in solido, al proprietario del veicolo. Cosa significa? Che non è il danneggiato, come succede secondo le normali regole del diritto civile (art. 2043), a dover dimostrare la responsabilità altrui, ma il conducente (sempre sfavorito quando si applica l’art. 2054) a dover provare che nell’incidente, e per i danni subiti da chi viaggiava con lui, non ha colpa. Anzi, se questi non paga, sarà il proprietario dell’auto a versare il quantum, salvo che non dimostri a sua volta che la circolazione sia avvenuta contro la sua volontà. Inutile ricordare che l’art. 2054 cod. civ. è stato introdotto per favorire, nel pericoloso campo della sicurezza stradale, chi nel sinistro viene travolto, al fine di evitargli che al danno si aggiunga la beffa di doversi sbracciare di fronte al giudice per convincerlo della colpa di chi l’incidente l’ha prodotto. Per questo, invertendo le normali regole del risarcimento, sarà sempre il conducente a pagare se non prova la sua innocenza piena. Per capire meglio, partiamo dai fatti. Lo schema è tutt’altro che atipico: un ragazzo alla guida dell’auto del padre, accanto a lui due amici. La pressione sull’acceleratore è eccessiva, magari l’esperienza al volante non è ancora solida, ed in veicolo vola fuori strada centrando un albero. Per fortuna tutti vivi, anche se per ambulanze e sanitari del pronto soccorso c’è da lavorare eccome. Tolti i gessi, si va in causa ed i trasportati citano in tribunale l’ex amico conducente, il padre che gli aveva gentilmente ceduto la macchina per quella sera ed ovviamente l’assicurazione. Il primo round si chiude a favore del danneggiato (all’altro trasportato nulla, ma solo per la prescrizione del diritto): gli viene riconosciuto un buon risarcimento ma - attenzione - non in applicazione dei normali principi in materia di danno bensì sulla base della norma più favorevole dell’art. 2054 cod. civ. L’assicuratore non ci sta e, per motivi ovviamente opposti, nemmeno il trasportato: per l’Istituto al ragazzo non spettava alcun risarcimento poiché egli avrebbe dovuto al contrario solo ringraziare di aver ottenuto un passaggio a titolo di amicizia, per quest’ultimo invece i soldi ricevuti erano pochi dato che nella circostanza non era stato riconosciuto il danno patrimoniale. Scontro frontale, dunque, in appello dove ad uscirne con le ossa rotte (questa volta solo in senso metaforico) è nuovamente il ragazzo. I soldi, secondo la Corte vanno resi con tanto di interessi dato che il Tribunale ha sbagliato ad applicare l’art. 2054 cod. civ. Un giudizio che rischierebbe di apparire paradossale, dal momento che il danno comunque il ragazzo l’ha subito, ma per capire fino in fondo occorre pazientemente articolare un piccolo ragionamento giuridico. Secondo le ordinarie regole (art. 2043 cod. civ.) chi pretende un risarcimento ha l’onere di dimostrare la responsabilità della persona che secondo lui ha prodotto il danno. Quando, invece, il danno viene prodotto nell’ambito della circolazione stradale, in forza dell’art. 2054 cod. civ. quest’onere si inverte: basta dire, ad esempio, "mi hanno messo sotto" e sarà il conducente a dover dimostrare di aver invece osservato il codice stradale, di aver guidato diligentemente e quindi, in una parola, di non avere responsabilità alcuna nel sinistro occorso. Proprio così, nel nostro caso, il ragazzo ha fatto. Senza portare alcuna prova della colpa del conducente ha chiesto il risarcimento lasciando che fosse la controparte a dimostrare la propria "innocenza". Ma la Corte d’Appello gli ha rammentato che per costante giurisprudenza della Cassazione l’art. 2054 si applica a chi viaggia nel veicolo antagonista, al pedone o al ciclista investito, in sostanza ad un terzo e non a chi era trasportato, peraltro beneficiando di una cortesia del conducente. Quindi al nostro ragazzo non spettava nulla? Certo il danno gli doveva essere risarcito, ma occorreva che nel processo fosse lui a portare le prove della responsabilità dell’amico alla guida, cosa che in tribunale non è avvenuta pensando si applicasse l’inversione dell’onere della prova di cui all’art. 2054. Del resto, la questione presenta anche un secondo rilievo, poiché applicandosi l’ultima norma citata, se non paga il conducente, il danneggiato è autorizzato a pretendere i soldi dal proprietario del veicolo. La sconfitta è cocente, ma nonostante gli avversi numi dei precedenti giurisprudenziali (Cass. 2635/51; Cass. 1958/76; Cass. 462/79; Cass. 2994/87; Cass. 12125/90; Cass. 2471/95; Cass. 9874/96; Cass. 2424/97; Trib. Napoli 11 giugno 1984; Trib. Brindisi 20 gennaio 1989; Trib. Genova 1989), il ragazzo non si dà per vinto e ricorre in Cassazione osando sperare nel ribaltamento di una così granitica posizione, peraltro ancorata ad una importante pronuncia della Corte Costituzionale (12 marzo 1975, n. 55) la quale statuiva che ai trasportati si può ben applicare un trattamento meno favorevole rispetto ai terzi danneggiati, poiché decidendo di salire in auto con quel guidatore hanno fatto una scelta nonostante la possibilità di prevedere (o accettare) una certa percentuale di rischio. Per approfondire ancora meglio, andiamo con ordine. Secondo una chiara schematizzazione, la stessa Corte Costituzionale osserva che il trasporto può avvenire a titolo contrattuale o a titolo di cortesia. Se è per contratto (Tizio trasporta Caio con cui non ha alcuna relazione, in virtù di un accordo che può essere o meno oneroso) siamo nel campo dell’art. 1681 cod. civ. che disciplina la responsabilità del vettore. Non dimentichiamo che il nostro codice civile, nel libro IV°, capo VIII°, regolamenta il contratto di trasporto stabilendo tra l’altro che "il vettore risponde dei sinistri che colpiscono la persona del viaggiatore durante il viaggio e della perdita o dell’avaria delle cose che il viaggiatore porta con sé, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee per evitare il danno". Ergo, per ottenere, in forza dell’art. 1681 cod. civ. il predetto risarcimento, occorre che vi sia stato un accordo contrattuale per il trasporto (anche a titolo gratuito), necessita provare di aver subito il danno durante il viaggio (e questa è la cosa più semplice) ed infine occorre dimostrare che il vettore non ha adottato tutte le misure idonee per evitare il danno. Ma se non c’è contratto, se il trasporto è avvenuto per fare un favore all’amico, se la prestazione è stata fatta a titolo non solo gratuito ma addirittura di cortesia, se il vettore è mosso dal desiderio di manifestare un disinteressato sentimento di amicizia, le regole del capo VIII° non hanno ragione di essere invocate. Quindi, se danno c’è stato e chi l’ha subito vuole trasformarsi da amico in portoghese, faccia pure, ma vada in Tribunale a dimostrare la responsabilità del generosissimo (e a questo punto quasi fesso) conducente, poiché nella fattispecie si applicheranno i principi generali dell’art. 2043 cod. civ. ed in questo caso, se a pagare è l’interessato bene, altrimenti non si potrà certo pretendere che a sborsare sia il proprietario del veicolo che con l’incidente non c’entra proprio nulla. Infine, se il danno non riguarda chi è a bordo, ma un terzo che circola in strada (su un altro veicolo, in bici o a piedi) chi l’ha subito potrà invocare i favori dell’art. 2054 cod. civ., senza dover provare altro che di essersi fatto male per una presunta colpa altrui. Sarà questo altrui, poi, a doversi scagionare in maniera convincente e se non pagherà lui ci dovrà pensare il proprietario del veicolo (sempre si tratti di persona diversa dal conducente). Davanti ad un simile lucidissimo schema, trovare la forza di portare la questione alla più alta Corte di Roma, poteva sembrare indice di un coraggio esagerato se non temerario. Ma probabilmente dopo tante battaglie legali che gli hanno fatto perdere un amico il ragazzo si è trasformato in una sorta di Don Chisciotte contro i giganteschi mulini a vento di una così consolidata ed imponente giurisprudenza di legittimità e di merito. E la cosa più straordinaria è che quei mulini li ha davvero abbattuti in quanto, al di là di ogni ottimistica speranza, la Corte di Cassazione gli ha dato ragione: anche al trasporto di cortesia - contrariamente a quanto fino ad allora sostenuto - si applica l’art. 2054 cod. civ. quindi spetta al conducente dimostrare la sua innocenza ed al proprietario del veicolo pagare se questi non provvede. Per amor di verità dobbiamo anche dire che una certa incrinatura sul solido muro del precedente orientamento giurisprudenziale si era già prodotta con la sentenza n. 10629/1998 della stessa Cassazione, quando l’alto collegio aveva significativamente detto che l’art. 2054 cod. civ. esprime in ognuno dei commi che lo compongono principi generali in materia di responsabilità stradale, in quanto tali applicabili a "tutti" i soggetti che da tale circolazione "comunque" ricevano danni. Conclusione? Attenti, ragazzi, il guidatore scelto rischia grosso. Potrà perdere in un solo incidente l’incolumità fisica, gli amici, l’auto e la causa. Ma per evitare almeno la sconfitta giudiziaria una strada, un po’ noiosa e sicuramente antipatica ce l’ha: una firmetta su un contrattino magari prestampato di trasporto a titolo gratuito. Chi lo sa, nel grande mondo della motorizzazione moderna un pizzico di burocrazia può salvare un’amicizia. * Funzionario della Polizia di Stato Comandante della P.M. di Forlì |