I
bambini e i loro angeli. |
Dicono
che per ogni bambino c’è un angelo accanto che gli insegna
la strada, che gli spiana la via. E i bambini sono considerati tali dal comune senso di amore e rispetto verso loro. O meglio, così dovrebbe essere. Perché a guardare bene, troppo spesso queste creature sono vittime di una civiltà progredita e cresciuta troppo in fretta, che nel suo cammino è capace anche di calpestare i più antichi sentimenti. Globalizzazione, esaurimento delle risorse, fame, AIDS, droghe ed alcol fanno il resto. Ma la costante è e rimane che a pagare di più sono sempre loro, i bambini. La storia che vogliamo raccontarvi è quella di uno dei tanti ragazzi che si trovano nella condizione di non sapere bene da chi dipendere, da chi ricevere una carezza o un insegnamento, ma che improvvisamente riescono a svegliarsi dal torpore e decidono per conto proprio. Emanuele, 12 anni, figlio di una ragazza madre con precedenti di droga e piccoli furti, viene abbandonato ancora in fasce e consegnato alla nonna materna. Ma la nonna tre anni fa muore e il piccolo viene affidato ad una famiglia di Terracina, responsabile di una Comunità, in attesa che le pratiche di adozione inviate da una zia si schiodino dai tavoli del Tribunale dei minori di Roma. Non sappiamo se il bambino non abbia voluto o la famiglia non abbia saputo, tant’è che l’inserimento non è stato dei migliori. Forse sono volate parole pesanti, forse anche botte (così ha raccontato il bambino), ma un giorno Emanuele dice basta. Il dodicenne vuole tornare dalla zia che abita in un paese vicino, Fondi. Inforca la bicicletta e, senza sapere neanche se la direzione è giusta, prende la strada finendo per immettersi, contromano, nel traforo della SS7 Variante Monte Giove, lungo 4 chilometri. Gli autisti che transitato vedono il piccolo spaurito e indeciso, subito capiscono il pericolo. Le numerose telefonate ricevute dal Distaccamento Polizia Stradale di Terracina, vengono segnalate al V. Sov. Giuseppe Treglia e all’Agente Ivo Semenzato, in pattuglia a quell’ora. Una corsa a sirene spiegate e, finalmente, Emanuele viene fatto salire sulla volante, al sicuro. “Voglio tornare da mia zia. A Terracina con i miei nuovi genitori non sto bene, mi picchiano”. Queste le parole che il bambino riesce a pronunciare ai poliziotti che gli chiedono il motivo di quel gesto tanto pericoloso. Emanuele viene portato presso il Distaccamento dove il Comandante, Ispettore Superiore Giuliano Trillò, provvede a rifocillarlo e a tranquillizzarlo. Poi, su indicazione del ragazzo, la pattuglia lo accompagna a casa della zia, assente in quel momento, quindi viene deciso di affidarlo ad altra famiglia di parenti in attesa che le pratiche vengano disbrigate, speriamo, in tempi accettabili. Un’altra storia di bambini trattati come pacchi postali, oggetti ingombranti. Ma questa volta Emanuele ha avuto la fortuna di incontrare sulla sua strada prima degli automobilisti che non hanno girato la testa, come spesso accade, e poi una pattuglia della polizia Stradale che non era, come si vuol far credere, nascosta dietro un cartellone pubblicitario ad alzare la paletta, era semplicemente operativa, al lavoro, pronta a raccogliere la richiesta di soccorso di un bambino senza affetti e senza famiglia. Non è retorica, e non è neppure un racconto da libro Cuore; sapeste quante storie come questa accadono ogni giorno agli uomini della Stradale. Loro ormai ci sono abituati e quasi non le raccontano più. Noi invece desideriamo renderle note sia per denunciare la situazione assurda in cui si trovano certi bambini, sia per rendere merito ad un lavoro non sempre riconosciuto ed apprezzato nella giusta maniera. |