Cronaca di un grave incidente della strada. Il mio di Lorenzo Borselli* |
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Uno
non può capire se non ci passa. Devo per forza cominciare così,
visto quello che sento e che ho dentro. Rabbia, perlopiù, affatto
dissipata dalla gioia (immensa) di aver visto ancora la Luce, di sentire
vicina la persona che amo, di capire che è viva. È successo
tutto così in fretta che a fatica mi sono accorto di quel pazzo
criminale lanciato a tutta forza contro la mia Varadero. Eppure era stata
una giornata fantastica, iniziata all’unisono con il sole e l’aria
frizzantina che anche nell’estate più calda si riesce inaspettatamente
a respirare nell’Alta Irpinia. L’Honda 1000 parte subito, al
primo colpo, e sbuffa dolcemente ancora sul cavalletto, mentre io e Raffaella
chiudiamo le lampo ai giacconi in goretex. Il serbatoio è pieno,
le gomme nuove (ma già rodate), olio a posto; il casco è
calzato e mi sento sicuro con la mia compagna francobollata alla schiena.
Lasciamo la Campania e ci infiliamo nel Molise fino alla roccia di Campitello
Matese, poi scendiamo al mare di Termoli.
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Il
serbatoio è pieno, le gomme nuove (ma già rodate), olio
a posto; il casco è calzato e mi sento sicuro con la mia compagna
francobollata alla schiena. Lasciamo la Campania e ci infiliamo nel Molise
fino alla roccia di Campitello Matese, poi scendiamo al mare di Termoli.
Qui, mentre quel disgraziato si prepara alla follia sbronzandosi da qualche
parte, io e Raffaella sediamo sul lungomare a sorseggiare acqua e menta:
l’indomani, pensiamo sconsolati, si torna a Firenze ed al lavoro.
E allora si riparte verso il punto di partenza del mattino. È il
9 di agosto. Fa caldo, abbiamo di nuovo sete. Sono le cinque e un quarto
del pomeriggio ed accenno una sosta lungo la Statale 90 delle Puglie,
ma il bar non è quello giusto. Riparto senza nemmeno essermi fermato.
I movimenti sono meccanici: le ruote girano ancora mentre rimetto la prima,
lascio lentamente la frizione e la coppia del bicilindrico mi avverte
di mettere la seconda. Allungo un poco, ma proprio mentre ho davanti una
curva a destra vedo apparire una custom che mi punta inesorabile. Anche
Raffaella ha gli occhi avanti, sulla strada. Anche lei vede e si stringe
d’istinto a me. È il Buio, fratello della strada, quello che
mi hai sparato addosso, colpendomi in pieno, scaraventandomi chissà
dove. Io capisco ma non posso realizzare subito. Non è automatico.
Sento un rumore infernale proprio nel cervello, vedo la strada fatta migliaia
di volte che porta al mare dalla casa dei nonni. Vedo numeri che si succedono
sempre più rapidi, all’unisono col rumore, ciclico, martellante.
Sento il respiro che si affanna, che diminuisce; avverto l’impossibilità
di sostenere quel peso che ho sui polmoni. Sento che il mio corpo è
la gola, che è piena di sangue e che si riempie ancora. Muoio,
e lo capisco. Il battito decelera fino a smettere, i polmoni non si dilatano
più. È il silenzio assoluto per lunghi istanti. Un senso
di pace, poi una voce che è pianto disperato si distingue dal nulla
fino a scuotermi e cresce d’intensità. Devo scegliere se tornare
da Lei e alla vita. È come se raccogliessi le forze e potessi sprigionarle
per raggiungere la concentrazione che mi serve. Brucia. Ma arriva un colpo
di tosse e tutto il sangue che avevo in gola lascia spazio all’aria
fresca. Vedo il cielo ed è silenzio per un altro lunghissimo istante
mentre un viso mi parla ma non sento. Ecco ancora Raffaella che piange
disperata il mio nome e torno alla vita. Subito passo dal silenzio totale
al rumore più assoluto. Sento un’ambulanza che riparte e un
Lorenzo Vigile del Fuoco che mi chiede se ricordo. Non ho più il casco, non sento le gambe, né le braccia. Ogni respiro è una pugnalata. Mi concentro e chiedo calma alla concentrazione perché la vita che è tornata in me vuole fuggire ancora. Ricordo tutto alla perfezione, ve lo racconto, e vi dico che grido mentre una donna vuole mettermi qualcosa sotto la testa. Non deve farlo perché le vertebre cervicali si aprirebbero come cozze se fossero fratturate e morirei all’istante. Non ci sono soccorritori qualificati, lo capisco perché qualcun altro vuol darmi da bere. Non si può, non si offre da bere al traumatizzato. Mi brucia il ventre, tra le gambe ho il fuoco e capisco di avere le cosce divaricate. Sono supino e a Lorenzo Vigile del Fuoco chiedo con un filo di voce e con difficoltà a mettere insieme la parole che tipo di lesioni ho. Non ti preoccupare! dice, ma gli spiego che sono soccorritore specializzato, che sono un poliziotto e che devo sapere per spiegare come raccogliermi dalla strada e non peggiorare la situazione. Lorenzo Vigile del Fuoco si convince e comincia. Hai le gambe aperte, in mezzo c’è sangue ma non c’è emorragia. La gamba sinistra credo sia rotta al femore, ma non si capisce. Il braccio sinistro è rotto perché è tutto dietro la schiena, e quello destro è normale fino al polso, ma la mano è girata. Il sangue ti esce dal naso, il casco te l’hanno tolto. Chiedo di pizzicare piedi e capezzoli. Non sento niente. Raffaella mi chiama e rispondo. Siamo di nuovo insieme. Arrivano le ambulanze e prima un medico di passaggio mi conforta, mi trova i riflessi ai piedi. Mi raccolgono come dico io, ma mancano le attrezzature: non ci sono steccobende, immobilizzatori, tavole spinali, ma arriviamo in ospedale, a Foggia. È ancora calvario, per le lastre, per convincere chi mi soccorre che il dolore è insopportabile, ma dopo qualche ora ci trasferiscono a Benevento. Ho pregato di avere la forza di resistere e sono stato accontentato. La Tac scova la ragione del mio male, un dottore mi tranquillizza, un infermiere mi conforta, la mia Raffaella mi accarezza. Finalmente la pace della sala operatoria e il risveglio dolce in una stanza piena di fili e di angeli. Sono vivo. Era quella la priorità. È andata bene, e Raffaella è vicino a me. Ma quanto è costata la bevuta di un fratello della strada, sconsiderato e criminale? 9 ossa fratturate, la pleura sfondata, un trauma cranico di quelli che lasciano il segno, come tutti quei chiodi piantati sulle braccia mie e di Raffaella, che ha l’ulna sinistra polverizzata. Braccia rigide e segnate per sempre, che a distanza di mesi da quel terribile istante ce lo ricordano in continuazione e ce lo ricorderanno per sempre. Potrò dimenticare il rumore, il dolore, l’odore? No. Non potrò archiviare alcun particolare del 9 agosto. Il colore del cielo, il profumo di quelle praterie pugliesi in fiamme e spazzate dal vento resteranno per sempre nella mia testa, come quei numeri in successione dopo la botta, come il chilometro 48 e 878 di quella maledetta strada. Avrò, come Raffaella ancora molti mesi di convalescenza per pensarci. Io che ho soccorso tanti, che ne ho viste di tutti i colori sulla strada, questa volta, con Raffaella anche lei poliziotta della Stradale, ho sentito sulla mia pelle il sapore della tragedia. Ho capito che la linea di confine fra la vita e la morte, vista da vicino è molto più sottile di quello che si pensi. |