Cifre
aggiornate e interessanti anche sulla sinistrosità stradale
oltre all’impatto ecologico dei veicoli, sono emerse durante
il quinto Distribution Forum organizzato a Bruxelles lo scorso
12 luglio da Iveco, in collaborazione con Accenture, Siemens
VDO e ZF.
Secondo i dati forniti da Enrico Grillo Pasquarelli, direttore
trasporti terresti presso la DG Energia e Trasporti della Commissione
europea, nel 2004 sono morte per incidenti stradali 44.000 persone
e 1,8 milioni sono stati i feriti. Con costi equivalenti al
2% del PIL. E’ vero, si parte dalle 50.000 vittime del
2001, ma il Libro Bianco, scritto all’epoca, si poneva
l’obiettivo di abbattere questo dato del 50%. Ci sono stati
progressi, è innegabile, ma non certo completamente soddisfacenti.
"Più precisamente – ha commentato il funzionario
comunitario – la riduzione dal 2001 al 2004 è stata
del 14%, calcolando la media europea. Poi, però, esistono
situazioni differenziate tra Stato e Stato. Se infatti la Francia
e il Portogallo hanno raggiunto percentuali di riduzione rispettivamente
del 37% e del 25%, altri paesi hanno fatto ben poco". E
poi a complicare le cose c’è anche l’ingresso
dei nuovi dieci Stati avvenuto nel 2004, che nello stesso lasso
di tempo – fatta eccezione per Slovenia ed Estonia –
hanno visto crescere la percentuale più che ridursi.
Tanto che se la media complessiva è del -14%, quella
dei "vecchi" 15 Stati dell’Unione è del
–19%, mentre quella dei soli 10 Stati neocomunitari è
del +3%. Non è chiaro come sia stato calcolata la situazione
della sinistrosità in Italia, visto che i dati degli
incidenti del 2004 non sono stati resi ancora pubblici.
Altri dati importanti saranno forniti tra breve dalla Commissione
in un rapporto sulla sicurezza stradale, intermedio rispetto
al 2010, data di verifica finale degli obiettivi del Libro Bianco,
in cui saranno raccolti dati e analisi che potranno fornire
indicazioni utili per le operazioni da mettere in campo in futuro.
Fin da subito, però – ha concluso Grillo Pasquarelli
– bisogna puntare sul miglioramento della guida, sulla
formazione continua dei conducenti, che peraltro diverrà
obbligatoria entro il 2008. Oggi, soltanto il 10% dei conducenti
professionali hanno seguito un corso di guida specifico dopo
il conseguimento della patente.
Ci sembra ci sia da fare ancora molto nell’Ue.
La
riduzione della mortalità sulle strade Ue 2001/2004
Stati percentuale
di riduzione
Ue a 15 -
19%
10 neo entrati nella Ue + 3%
Ue a 25 -
14%
ALCUNE
CONSIDERAZIONI CI SEMBRANO PERO’ DOVUTE:
1)
Le percentuali fornite non hanno un senso immediato, e possono
essere fuorvianti. In primo luogo deve essere considerato lo
stato di "partenza" di ogni paese: ad esempio, chi
è partito (es. UK) da un livello di incidentalità
( e di mortalità/morbosità) già molto ridotto,
non potrà fare certo quello che potranno fare (ce lo
auguriamo) paesi che sono partiti da livelli più elevati.
Le diminuzioni andrebbero quindi almeno attentamente "lette"
ed interpretate in base ai livelli di partenza. Statistiche
utilizzate in questo modo creano confusione ed impediscono un
sereno "governo" delle iniziative volte a ridurre
le dimensioni del fenomeno.
2) I "nuovi" paesi dell’unione
non sono omogenei con i "vecchi", sia per livello
di motorizzazione (che è basso, ma che sta velocemente
crescendo, il che comporta – come desumibile dal modello
di Smeed - situazioni meno favorevoli per la sicurezza); inoltre,
i paesi "orientali" hanno problemi molto acuti in
relazione alla guida sotto l’influenza di alcol (e anche
di sostanze), nonché sistemi viari antiquati e parco
veicoli meno moderno. Anche in questo caso, calcolare delle
riduzioni medie significa coprire la reale informazione che
scaturisce dai dati, da quanto avviene nelle diverse situazioni
dei vari paesi, creando artificiosamente una visione scorretta
del tutto.
3) E’ quantomeno strano che ancora una
volta in sede UE non vengano riconosciuti i passi importanti
che l’Italia ha fatto nella sicurezza stradale, fra i primi
nell’Unione. A parte problemi che ancora esistono nel confronto
tra dati dei diversi Stati, l’Italia dovrebbe comparire
accanto alla Francia e al Portogallo, e non essere implicitamente
accomunata ad altri paesi "che hanno fatto poco".
E questo indipendentemente dal fatto che siano o meno disponibili
i dati definitivi del 2004 (che verranno presentati in ottobre
a Riva del Garda dall’ACI-ISTAT): l’UE ha già
a disposizione i risultati del 2003, che sono molto positivi,
come pure, è presumibile (e se non lo fosse, potrebbero
richiederli), i dati provvisori del 2004. Al proposito, una
puntualizzazione "politica" italiana presso l’UE
(per esempio, da parte del MIT), sarebbe quanto mai opportuna.
Questo atteggiamento di alcuni ambienti dell’UE nei confronti
dell’Italia non è nuovo, e continua a ripetersi:
ad esempio, mesi fa ci fu la notizia da parte dell’UE che
in Italia l’uso della cintura di sicurezza si attestava
su un ridicolo 14% (o giù di lì), fatto smentito
dal sistema nazionale italiano di sorveglianza dei dispositivi
(sistema Ulisse) e, successivamente, da un’indagine svolta
dalla stessa Unione. Insomma l’Italia deve fare certamente
ancora degli sforzi, però non si possono disconoscere
gli importanti risultati raggiunti.