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Articoli 04/02/2004

Polizia e psicologia per l’ efficacia della patente a punti

Purtroppo gli effetti della patente a punti, per il modo in cui è stata introdotta in Italia, si stanno affievolendo rapidamente.
dalla rivista Il Centauro, n. 83 - gennaio 2004
Polizia e psicologia per l’ efficacia della patente a punti
Purtroppo gli effetti della patente a punti, per il modo in cui è stata introdotta in Italia, si stanno affievolendo rapidamente. 

di Pierangelo Sardi *

Se confrontiamo i dati dei mesi del 2003 posteriori all’entrata in vigore della patente a punti con i corrispondenti mesi del 2002, per quanto riguarda il numero degli incidenti mortali rilevati dalla Polizia stradale complessivamente su autostrade e strade statali, provinciali e comunali (tralasciando quelli con solo feriti, che possono subire maggiormente le dinamiche assicurative, e tralasciando il numero complessivo dei morti, che nel breve periodo può subire maggiori influenze di altri fattori non comportamentali), vediamo rispettivamente una riduzione
- del 31,2 % nel mese di luglio
- del 29,7 % nel mese di agosto
- del 14,8 % nel mese di settembre
- del 5.6 % nel mese di ottobre.
(Dati riferiti alla sola Polizia Stradale)

Si tratta di un calo di efficacia davvero impressionante. Nei primi giorni di novembre, cioè durante il week-end dei Morti, la riduzione è sembrata nuovamente più consistente (facendo ipotizzare un effetto più persistente della patente a punti sui guidatori non abituali), ma già nella settimana successiva il calo si è riconfermato.
SIPSiVi si era già premurata di anticipare durante la discussione del Decreto-legge al Senato che l’impostazione italiana, così com’era stata formulata dalla Camera, commette un errore sostanziale, anche se tale da essere scoperto dai conducenti solo con qualche ritardo. La norma italiana purtroppo prevede una restituzione automatica dei punti, in base alla semplice frequenza a corsi meramente informativi, in pratica una riedizione dei corsi di scuola guida. Ancor peggio, qualora la restituzione di sei o nove punti non bastasse al conducente molto più trasgressivo, la normativa italiana prevede che l’intero ammontare dei venti punti possa essere recuperato con un esamino di scuola guida, molto più facile di quello iniziale. Se si pensa che la perdita dei punti non può mai essere superiore a quindici per volta, è chiaro che ha ragione il più autorevole mensile di automobilismo che in copertina ha dichiarato spavaldamente "Vi spieghiamo perché nessuno resterà a piedi". Quella spiegazione è così facile che l’effetto deterrente si sta esaurendo in poco tempo, e con esso i miglioramenti comportamentali.
Dobbiamo qui ricordare nuovamente come all’estero invece l’effetto deterrente ed i connessi miglioramenti comportamentali sono stati perseguiti con ben altra configurazione normativa ed attuativa. L’unico aspetto positivo di questa nuova normativa è costituito da un primissimo passo verso l’individuazione dei conducenti a rischio, che in Italia sinora si nascondevano dietro i loro studi legali, riuscendo alla fine a far pagare a tutti gli altri la gran parte dei danni che essi hanno prodotto. Bisogna dunque importare in Italia anche le altre tecniche fondamentali per migliorare i comportamenti stradali, favorendo così non solo una migliore applicazione delle norme attuali, ma anche una loro riforma nella direzione consona alle metodologie internazionalmente collaudate. In effetti, la normativa italiana ha importato solo le parti più vistose del sistema di patente a punti internazionalmente collaudato, ma con alcune lacune essenziali. Leggendo il DM sull’accreditamento dei corsi per il recupero dei punti, vediamo intanto che i requisiti richiesti ai soggetti autorizzandi sono davvero minimali: un’auletta, un bagno, una videocassetta. Nulla che consenta ciò che in tutti gli altri Paesi a mobilità matura è considerato come essenziale, come hanno dimostrato gli psicologi del traffico: il materiale psicodiagnostico per il triage iniziale e poi quello successivo al driver improvement and rehabilitation, cose di cui neppure si accenna nel decreto italiano.
Nel sistema internazionale, la perdita dei punti porta in effetti ad un triage:
• un primo gruppo riceve immediatamente i punti indietro, in quanto dimostra di avere persi per puro caso;
• un secondo gruppo viene inviato al driver inprovement and rehabilitation, in quanto appare disponibile ad un cambiamento reale del proprio stile di guida, ed eventualmente di vita;
• un terzo gruppo purtroppo appare non maturo per la ripresa della guida, neppure passando attraverso un corso di driver imporvement and rehabilitation.
In pratica invece secondo questo decreto non solo i punti si recuperano automaticamente, ma addirittura le scuole guida italiane, così come sono attualmente, sarebbero perfettamente sufficienti al miglioramento ed alla riabilitazione di tutti questi guidatori, anche quelli a rischio medio e grave, cui basterebbero le informazioni fornite dagli attuali istruttori di teoria delle autoscuole, in base al comma 1 dell’articolo 3, ed all’articolo 5. Contro questa errata supposizione, è opportuno ricordare le ricerche internazionali che dimostrano come le autoscuole del tipo italiano non siano sufficienti neppure ad informare i disinformati aspiranti conducenti, più efficacemente della semplice pratica accompagnata: basti accennare, ad esempio, alla vasta ricerca di John Groeger del 1998, condotta e presentata nel contesto della Task Force Traffic Psychology dell’EFPA, la Federazione Europea delle Associazioni di Psicologi. Perché la scuola-guida funzioni sono necessari criteri diversi già con gli aspiranti medi, e comunque l’intervento ha bisogno di ingredienti radicalmente diversi e nuovi per i conducenti che si sono rivelati particolarmente a rischio, prima per la semplice perdita dei punti, e poi per il doppio triage, prima e dopo il driver improvement. Sono tutte tecniche applicabili benissimo nel contesto delle attuali autoscuole, ma con delle aggiunte, per le quali lo psicologo specificamente formato nelle metodologie internazionali di traffic psychology è essenziale. Le autoscuole italiane che hanno già abbordato queste metodologie sono poche, e le loro esperienze andranno valorizzate. Fortunatamente, fra i soggetti autorizzabili, in base alla lettera a) del secondo comma dell’art. 3, sono anche le scuole di formazione delle polizie con competenze stradali, sia a livello municipale che nazionale. Questa previsione costituisce di per sé una grande risorsa. La polizia non può denegare i punti al corsista che si presenta ogni mattina puntualmente al corso con l’alito vinoso, però può togliergliene altri controllandolo successivamente mentre guida. E viceversa può apprezzare gli sforzi per riabilitarsi, che alcuni corsisti effettivamente dimostrano. Quindi può esistere un interesse di alcuni corsisti a frequentare i corsi della polizia, piuttosto di quelli delle autoscuole private: precisamente i corsisti appartenenti a due delle tre categorie che emergono tipicamente dal triage:
• quelli che hanno perso i punti per caso, e che non hanno nulla da nascondere della propria buona stoffa;
• quelli che, pur avendo un pesante orientamento al rischio, sono più tipicamente riabilitandi, in quanto sono disposti a mettersi realmente in discussione, e sono motivati ad uscire dai problemi che li hanno indotti a guidare pericolosamente.
Sarà essenziale, a questo scopo, una costante e sistematica collaborazione sia con le polizie municipali, sia con la polizia stradale, oltre alle rispettive associazioni, ed alle rispettive scuole di formazione, con cui gli psicologi del traffico, e segnatamente SIPSiVi, già collaborano da vari anni, specialmente nell’educazione stradale, introdotta obbligatoriamente nelle scuole dall’articolo 230 del Codice della strada, e finanziata dall’articolo 208 con un buona percentuale dei proventi delle multe. Per l’educazione stradale nelle scuole esistono anche già materiali prodotti congiuntamente da SIPSiVi e Regione Piemonte, Assessorato alle Polizie Locali. In effetti, l’articolo 230 del Codice della Strada, prevedendo l’azione congiunta delle Polizie e delle Associazioni professionali riconosciute di comprovata competenza con apposito decreto ministeriale, ha aperto una importantissima collaborazione, che ora può espandersi nel nuovo settore della restituzione dei punti. Le Associazioni delle varie Polizie competenti hanno già anticipato una loro disponibilità. Più difficile è prevedere come si svilupperà l’applicazione della lettera b) del secondo comma dell’articolo 3, che prevede il coinvolgimento di altri soggetti pubblici e dei loro dipendenti. In primis sembrano qui essere chiamate in causa le Province, che in questi ultimi anni sono state investite di molte importanti funzioni in materia. Molto rare possono essere le ASL idonee ad applicare la stessa previsione: in pratica solo l’ASL di Bolzano, ad imitazione del sistema austriaco e mitteleuropeo, ha organizzato dei servizi di driver improvement and rehabilitation. Il coinvolgimento dei servizi tradizionali per la dipendenza da alcol ed altre sostanze psicotrope appare molto più problematico, per la diversa modalità di approccio, e l’incompatibilità dell’elemento repressivo, fondamentale nella restituzione dei punti, e l’elemento terapeutico. Comunque la collaborazione fra i soggetti di cui alla lettera b) del secondo comma dell’articolo 3 con quelli di cui alla lettera a) dello stesso comma, cioè dei vari enti pubblici con le rispettive forze di polizia, appare inevitabile; per cui si può prevedere per la lettera b) un assorbimento nell’effetto generale che dovrebbe risultare dagli interventi delle forze di polizia. Quei conducenti che rifuggano dai soggetti pubblici del comma secondo, ed invece scelgano di recuperare i punti nelle autoscuole private di cui al comma primo dell’articolo 3, si priverebbero della verifica che li può collocare nei primi due gruppi del triage. All’inizio questa lacuna può apparire irrilevante, ma starà alle ricerche da effettuare sulle recidive dimostrare che anche in Italia, come in tutto il resto del mondo, solo l’applicazione del triage può portare ad un vero abbattimento generale dell’incidentalità. Se vogliamo che l’obiettivo europeo del dimezzamento dei morti entro il 2010 venga raggiunto anche dall’Italia, diventa strategica in questo contesto la collaborazione fra gli psicologi del traffico e le polizie municipali e stradali.

* Presidente dell’Ordine degli Psicologi e di SIPSiVi,
Società Italiana di Psicologia della Sicurezza Viaria

di Pierangelo Sardi

Il Centauro, n. 83
Mercoledì, 04 Febbraio 2004
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