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Articoli 13/02/2004

Autovelox: il vademecum della Cassazione

La sentenza 16713/2003 detta le regole della contestazione

Autovelox:
il vademecum della Cassazione

La sentenza 16713/2003 detta le regole della contestazione

di Ugo Terracciano*

Limiti di velocità, autovelox, telelaser, sofisticate macchine per cogliere in fallo l’automobilista troppo frettoloso: tutto per battere quel traguardo del 40% di incidenti in meno e per varcare, di conseguenza, la trionfale soglia del prestigioso club dei Paesi più prudenti e sicuri d’Europa. Non stiamo qui a ricordare il costo in termini di vite umane, le invalidità, i morti ed i feriti, ma soprattutto l’immenso dolore che rimane tra le mura di ogni famiglia cui, la perdita di un proprio caro, cambia inesorabilmente la vita.
Ecco cosa ruota intorno al fenomeno dell’infortunistica stradale: numeri macabri, terribili cifre, ma ricordarle troppo ci fa correre il rischio di normalizzarli, di renderli asettici come in genere le fredde statistiche sono.
Si rischia, insomma, di privilegiare l’aspetto matematico, lasciando in secondo piano l’abisso dei sentimenti più dolorosi che quei numeri nasconde. Inforcando le lenti del giurista, però, osserviamo che gli strumenti legali sono stati spesso oggetto di modifiche, di nuovi progetti e prese di posizione.
Le stesse Corti di Giustizia si sono spesso soffermate - causa i sofismi della legge - a censurare aspetti formali, senza riservare grande spazio alla sostanza delle norme, al valore ad esse sotteso.
Sì, perché sulla velocità e sul modo di rilevarne l’infrazione dei limiti, i nostri giudici di pace, ma inevitabilmente anche la Cassazione, hanno studiato in questi anni più cavilli che le Corti di Costantinopoli sotto lo splendore della Capitale dell’Impero Bizantino. L’immediatezza della notifica, il modo di predisporre i servizi da parte della polizia stradale, la firma sul verbale, la prova fotografica, l’occhio dell’uomo che aziona il telelaser, la notifica differita, ed altri mille dettagli sono stati guardati e sezionati dai giudici sotto la lente come l’entomologo fa con gli insetti più rari, ma intanto la velocità era e rimane tra le cause più rilevanti del fenomeno infortunistico.
La nostra civiltà giuridica è antica, d’accordo; innanzitutto le garanzie per l’incolpato, non si discute, ma leggendo sentenze e pronunce il cui contenuto ha per troppo tempo oscillato tra rigore formale e necessità di tutela della sicurezza stradale, quello che certamente ne è derivato è stato il disorientamento.
Poco male se, ai fini pratici, tutto questo poi non avesse indotto, da una parte l’automobilista indisciplinato a provarci con un facile ricorso al giudice di pace, dall’altro le amministrazioni locali a prendere quello che di buono produceva l’autovelox: cioè lauti incassi, vera linfa per i bilanci comunali.
Il legislatore, recentemente, ha tentato di metterci le mani, prima con la riforma dell’art. 142 del codice stradale, in tema di mancato rispetto dei limiti di velocità, poi con la riforma del ricorso al giudice di pace, infine seguendo una strategia di più ampia portata con la patente a punti.
La legge 1 agosto 2002, nr. 168 ha introdotto due casi nei quali l’obbligo di contestazione si capovolge: nelle autostrade e le strade extraurbane di maggiore rilevanza, possono essere installate apparecchiature fisse, che scattano foto e rilevano eccessive velocità, rimanendo agli agenti il compito di ritirare i negativi e spedire la multa al domicilio dell’automobilista sanzionato; nelle altre strade, il prefetto può autorizzare la mancata contestazione immediata su tratti ove sarebbe particolarmente difficoltoso o pericoloso fermare il veicolo. Restano incerti gli altri casi, cioè sui tratti di strada che non rientrano nelle due fattispecie, dove resta vigente la regola che prescrive che la contestazione deve essere immediata, salvo che concretamente la polizia non dimostri che fermare il veicolo era impossibile. Ma, un testo più chiaro può risolvere i problemi interpretativi? Ci sarà pace in giurisprudenza sull’annosa questione dell’autovelox? Bè, la Cassazione ha mandato segnali di fumo positivi. Con una sentenza che, relativamente ad un caso accertato prima della riforma del codice, ha stabilito regole universali in ordine all’applicazione della sanzione per eccesso di velocità (Cass. Sez. I Civ. - 7.11.2003, n. 16713).
Il fatto è di un’ordinaria banalità e riguarda un signore che, nell’estate di tre anni fa, dopo aver superato i limiti di velocità non ha poi accettato di buon grado il verbale recapitatogli a mezzo posta.
E’ chiaro, si difendeva l’automobilista davanti al Prefetto in sede di decisione sul ricorso, che il verbale non è valido poiché è mancata l’immediata contestazione prevista per legge.
E per far capire che si trattava di qualcosa di molto di più che una propria personale convinzione, giù sentenze come se piovesse (Cass. Civ. 2.7.1997 - Cass. Civ. 17.1.1998 - Cass. Civ. 18.6.1999 - . Cass. Civ. 21.6.1999 - Cass. Civ. 8.2.2000 - Cass. Civ. 3.4.2000 - Cass. Civ. 15.11.2001).
Il prefetto però, sordo al tintinnio di tutte queste decisioni snocciolate sulla sua scrivania, rigettava il ricorso con tanto di ingiunzione a pagare il doppio della sanzione prevista.
Contro il nuovo atto sanzionatorio nuovo ricorso, questa volta al giudice che, pure lui però, condanna.
Quindi, non rimane che cercare ragione a Roma, davanti alla magistratura più elevata. Di qui la sentenza 16713/2003 che sulla rilevazione con gli strumenti elettronici detta un interessante vademecum. Regola numero uno: l’ingiunzione a pagare è legittima anche se l’infrazione non è stata immediatamente notificata all’interessato, qualora l’organo accertatore nel verbale faccia specifica menzione dei motivi che non hanno consentito la regolare procedura.
Si deve trattare però, attenzione, di uno di quei motivi previsti nel regolamento al codice della strada (impossibilità di raggiungere il veicolo lanciato a forte velocità, attraversamento di incrocio con semaforo rosso, sorpasso in curva e quant’altro previsto dall’art. 384). Il giudice non può entrare nel merito di questi motivi, né consigliare una diversa disposizione degli apparecchi di rilevazione, né tanto meno esprimersi sulle modalità di organizzazione dei servizi: tutto questo si risolverebbe in una indebita interferenza del potere giudiziario nel campo di ampia discrezionalità della pubblica amministrazione. Spetta alla parte (il multato) il dovere di allegare gli elementi di prova che in altri termini significa che il giudice non può, utilizzando i suoi poteri, disporre l’esibizione di documenti o informazioni per supplire alle carenze del ricorrente.
Siamo nel rito civile: non dev’essere il giudice ad indagare, ma il ricorrente a fondare la propria pretesa di annullamento della sanzione su prove e documenti in suo possesso.
Certo questo non equivale a dire che ogni elemento non possa essere approfondito o integrato dalla Corte. Fin qui le regole per il giudice, ma ce n’è anche per la polizia.
E’ illegittima - secondo la recentissima sentenza - la prassi di mettere in funzione l’autovelox senza la contestuale presenza degli agenti (non dimentichiamo che l’art. 345, comma 4, cds prevede la gestione diretta delle apparecchiature tecniche da parte della polizia stradale).
Non va poi tralasciato che il momento decisivo dell’accertamento dell’infrazione è costituito dal rilievo fotografico, cui deve necessariamente presenziare l’agente di polizia: si tratta di una operazione che non può essere affidata a soggetti privati.
Un conto è il momento in cui viene scattata la foto, altro è lo sviluppo di negativo e stampa, e solo quest’ultima fase può essere affidata al privato in quanto attività materiale e strumentale.
Poche regole, molta chiarezza: non è col diritto bizantino che si entra in Europa.
* Funzionario della Polizia di Stato
Comandante della P.M. di Parma

di Ugo Terracciano

da "Il Centauro" n.83
Venerdì, 13 Febbraio 2004
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