Ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità, previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 4, la situazione di pericolo deve avere un carattere di indilazionabilità e cogenza tali da non lasciare all’agente alternativa diversa dalla violazione della legge. (omissis)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata in data 14 gennaio 2006, il Giudice di pace di Modena rigettava l’opposizione proposta da y.y. avverso il verbale di accertamento dell’infrazione di cui all’art. 142 C.d.S., comma 9, elevato dalla Polizia stradale di Modena il 6 marzo 2005.
Il Giudice riteneva che nel caso di specie non potesse configurarsi l’invocato stato di necessità, tanto effettivo quanto putativo, sostenuto dall’opponente sul rilievo che doveva rispettare i tempi di una consultazione medica, urgente perchè la moglie aveva accusato improvvisi dolori addominali. Sulla base delle risultanze istruttorie, il Giudice di pace osservava che la situazione non deponeva affatto nel senso della esistenza di un imminente pericolo, neanche allo stato putativo, tanto più che l’opponente al momento dell’accertamento aveva affermato di non ritenere che la velocità rilevata fosse quella del suo veicolo.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre il L. sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resistono, con controricorso, sia il Ministero dell’Interno, sia la Prefettura di Modena.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente rilevarsi che la nullità del giudizio di merito, svoltosi nei confronti della Prefettura pur se oggetto del giudizio di opposizione era un verbale di accertamento elevato dalla Polizia Stradale - giudizio nel quale la legittimazione passiva spettava al Ministero dell’Interno (Cass., n. 9527 del 2006; Cass., n. 10216 del 2005; Cass., n. 7992 del 2005; Cass., n. 19541 del 2004) - risulta sanata dalla proposizione del ricorso per cassazione da parte dell’Avvocatura Generale dello Stato per conto sia dell’autorità che è stata parte nel giudizio di merito che di quella effettivamente legittimata.
Opera, invero, nella specie, il principio per cui "in tema di opposizione a sanzioni amministrative, al di fuori delle ipotesi in cui la legge prevede la specifica competenza di un organo periferico dell’Amministrazione, con la conseguente inapplicabilità del R.D. 30 ottobre 1933, n. 1611, art. 11, l’errata identificazione dell’organo legittimato a resistere in giudizio non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, ma costituisce una mera irregolarità, sanabile, ai sensi della L. 25 marzo 1958, n. 260, art. 4, attraverso la rinnovazione dell’atto nei confronti dell’organo indicato dal giudice, ovvero mediante la costituzione in giudizio dell’Amministrazione, che non abbia sollevato eccezioni al riguardo, o ancora attraverso la mancata deduzione di uno specifico motivo d’impugnazione. (Nella specie, era stata proposta opposizione avverso un verb ale di accertamento della violazione del limite di velocità, rilevata tramite autovelox dalla polizia stradale; benchè la domanda fosse stata proposta nei confronti del Prefetto, anzichè del Ministro dell’Interno, in qualità di organo di vertice dell’amministrazione dalla quale dipendeva l’organo verbalizzante, la S.C. ne ha escluso l’inammissibilità, prendendo atto che l’Amministrazione non aveva formulato alcuna censura al riguardo)" (Cass., S.U., n. 3117 del 2006; Cass., n. 16458 del 2006; Cass., n. 10706 del 2007).
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 54 cod. pen. e L. n. 689 del 1981, art. 4.
Riportato il contenuto delle citate disposizioni, il ricorrente si duole del fatto che il Giudice di pace abbia dapprima, in via cautelare sulla domanda di sospensione della esecutività dell’atto impugnato, ravvisato la sussistenza dei presupposti di uno stato di necessità e poi li abbia invece esclusi, sulla base di una interpretazione delle indicate norme non condivisibile. Avrebbe in particolare errato il Giudice di pace ad escludere lo stato di necessità sul rilievo che ciò che accusava la moglie fosse una semplice colica gastro-intestinale, omettendo però di considerare che la valutazione andava fatta con giudizio ex ante e non già sulla base delle risultanze dell’effettuato accertamento medico. Se cosi avesse interpretato la disciplina dello stato di necessità, il Giudice di merito non avrebbe potuto non riconoscere nel caso di spe cie lo stato di necessità quanto meno putativo.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la contraddittorietà tra la sentenza impugnata e il precedente provvedimento adottato dal medesimo Giudice di pace, di sospensione della esecutività del verbale impugnato.
Il ricorso è manifestamente infondato.
Quanto al primo motivo, è sufficiente rilevare che il Giudice di pace non ha affatto errato nell’interpretare e nell’applicare le norme che disciplinano l’esimente dellostato di necessità. Ciò di cui in realtà si duole il ricorrente è la valutazione compiuta dal Giudice di merito, il quale non ha ravvisato nella situazione rappresentata dall’opponente uno stato di necessità, neanche putativo.
Al riguardo, questa Corte ha ripetutamente affermato che ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno delle cause di esclusione della responsabilità, previste dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 4, occorre, in mancanza di ulteriori precisazioni, fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale e segnatamente, per quanto concerne lo stato di necessità, all’art. 54 cod. pen. (Cass., n. 5710 del 1985; Cass., n. 3961 del 1989; Cass., n. 5866 del 1993, e di recente, Cass., n. 5877 del 2004); si è altresì ritenuto che sia idonea ad escludere la responsabilità anche la supposizione erronea degli elementi concretizzanti lo stato di necessità, e cioè di una situazione concreta che, ove esistesse realmente, integrerebbe il modello legale dello stato di necessità, in quanto la L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 2, esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche il semplice convincimento della sussistenza di una causa di giustificazione, il cui onere probatorio, tuttavia, grava su colui che invochi l’errore (Cass., n. 5710 del 1985, cit.; Cass., n. 5866 del 1993, cit.; Cass., n. 4710 del 1999).
In sede penale, peraltro, questa Corte ha avuto modo di puntualizzare che, ove l’imputato deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente reale o putativa, è su di lui che incombe l’onere di provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio, e l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi, non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, i quali siano tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato (Cass. pen., sez. 6^, n. 28325 del 2003); in particolare, poi, quando si riconnette all’alimentazione, alle cure mediche, ai medicinali, ecc., la situazione di pericolo deve ave re un carattere di indilazionabilità e cogenza tali da non lasciare all’agente alternativa diversa dalla violazione della legge; ciò perchè la moderna organizzazione sociale, venendo incontro, con i mezzi più disparati a coloro che possono trovarsi in pericolo di vita, per il non soddisfacimento dei predetti bisogni, ha modo di evitare il possibile, irreparabile danno alla persona (Cass., sez. 1^, n. 4818 del 1986).
Il che, all’evidenza, non era riscontrabile nella situazione dedotta, non essendosi allegato da parte dell’opponente nè l’imminente pericolo di vita del paziente nè, soprattutto, che lo stesso non potesse trovare scampo da siffatto pericolo altro che con l’intervento dell’opponente stesso, essendogli preclusa o risultando inidonea qualsiasi diversa forma di assistenza, ospedaliera o domiciliare da parte di altri sanitari, questa, peraltro, più tempestivamente e agevolmente accessibile.
Del resto, non può non sottolinearsi che, mentre il Giudice di pace ha valorizzato le dichiarazioni rese dall’opponente nella immediatezza dell’accertamento (dal verbale, per come riportato in sentenza, risulta che gli agenti hanno riportato quanto segue:
"Veicolo isolato. Non venivano manifestate urgenze di tipo medico. Il trasgressore dichiara: Ritengo che quella contestata non fosse la velocità del mio veicolo"), il ricorrente non ha svolto sul punto alcuna censura, nè contestazioni di sorta.
Quanto al secondo motivo, deve escludersi la denunciata contraddittorietà della sentenza impugnata, posto che il provvedimento di sospensione dell’esecutività del verbale è adottato dal Giudice con valutazione meramente cautelare e non produce alcun effetto sull’esito del giudizio, essendo esso superabile sulla base delle risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio. Nel caso di specie, il Giudice di pace ha dato ampiamente conto delle ragioni che lo hanno indotto ad escludere la sussistenza dell’invocato stato di necessità, anche putativo.
Il ricorso va quindi rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 400,00 per onorari, oltre alle spese prenotate a debito.
(omissis)
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