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Articoli 04/10/2010

Le conseguenze sanitarie del mancato uso delle cinture di sicurezza in Italia

di Franco Taggi (1,3), Giancarlo Dosi (2,3), Marco Giustini (3), Alessio Pitidis (3), Antonella Crenca (3), Cinzia Cedri (3), Pietro Marturano (4)

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Introduzione

In base alle rilevazioni del Sistema Ulisse per il 2009 (attualmente ancora in corso di elaborazione), la percentuale d’uso delle cinture di sicurezza in Italia in zona urbana può essere stimata intorno al 62%. Si conferma, perciò, il costante calo registrato nell’uso di questo dispositivo dalla metà del 2003 (quando, con l’introduzione della patente a punti, la percentuale d’uso toccò il picco dell’83,5%), flessione che interessa tutte le aree geografiche della nostra penisola. Attualmente, le percentuali d’uso più elevate si osservano nelle regioni del Nord (76,3%), scendendo via via nel Centro a 64,5% e nell’Italia meridionale e insulare a 45,7%. (1,2) I dati ad oggi raccolti, derivanti da osservazioni dirette, svolte su strada nell’ambito del Sistema Ulisse, sono relativi all’uso del dispositivo nella parte anteriore dell’autoveicolo e si riferiscono in gran parte a centri urbani dei capoluoghi di provincia (99 province in tutte le 20 regioni italiane). La scelta di concentrare l’attenzione nelle aree urbane deriva dal fatto che in passato si è visto che in zona extraurbana (strade statali e provinciali) le percentuali risultano sistematicamente superiori (anche di 10-20 punti percentuali) a quelle rilevate in zona urbana; in relazione alle autostrade, pur non disponendo il Sistema di rilevazioni sistematiche al riguardo, l’uso delle cinture è sempre risultato assai elevato (>90%). Tuttavia, questa scelta deriva anche da altri due motivi: il primo è che in zona urbana si verifica il 76.6% degli incidenti stradali (3); il secondo, forse più importante, è che proprio in zona urbana le cinture di sicurezza esplicano al meglio le loro funzioni protettive. Infatti, in caso di scontro tra veicoli o perdita di controllo, le velocità in gioco, e dunque le energie, sono in media sensibilmente inferiori rispetto a quel che è dato a vedere in analoghi eventi che accadono in zona extraurbana. Di come questo si ripercuota sull’utilità del dispositivo ci si può rendere meglio conto osservando la fig.1 che riporta una elaborazione dell’ONAT/ISS di dati dell’Ufficio Prevenzione Infortuni della Svizzera relativi alla probabilità di morte di chi indossa o meno le cinture in funzione della velocità di impatto.

Fig.1 - Elaborazione dell’ONAT/ISS di dati dell’Ufficio Prevenzione Infortuni della Svizzera relativi alla probabilità di morte di chi indossa o meno le cinture in funzione della velocità di impatto. Come si osserva dal grafico, il rischio indotto dal mancato uso delle cinture - quantificato dal rischio relativo (RR) - non è uniforme con la velocità d’impatto, ma ha un massimo pari a 10 tra i 40-50 km/h. In altre parole, chi non porta le cinture ha in questa fascia di velocità di impatto una probabilità di morire 10 volte più grande di quella relativa a chi le indossa. A 30 km/h, come pure a 60 km/h il rischio è invece di 4 volte. Indipendentemente dalla velocità di impatto, gli studi epidemiologici mostrano che detto rischio è mediamente intorno a due.

Come detto, le osservazioni del Sistema riguardano conducenti e passeggeri trasportati nella parte anteriore dei veicoli. Per quel che riguarda i trasportati nella parte posteriore del veicolo, il Sistema dispone di dati occasionali, relativi ad alcune grandi aree metropolitane, che mostrano un uso veramente limitato del dispositivo (nella gran parte dei casi inferiore al 10-15%). Il quadro prima brevemente tracciato sull’uso delle cinture nel nostro paese appare sconfortante e, alla luce delle conoscenze maturate, esso non può non avere riflessi indesiderati sulla salute pubblica e sulla spesa sociale. Al fine di contribuire a calibrare eventuali provvedimenti ed azioni sul campo, abbiamo deciso di valutare questi ‘riflessi’, quantificando – nei modi che verranno illustrati nel seguito - le conseguenze sanitarie e i costi sociali derivanti dalla quota di coloro che non indossano le cinture di sicurezza. L’aspetto sanitario verrà trattato nel presente articolo; quello dei costi, in un successivo.

Le conseguenze sanitarie indotte dal mancato uso delle cinture di sicurezza in Italia

Ai fini delle stime che andremo a produrre, valuteremo l’eccesso di morti e feriti dell’incidentalità stradale connesso alla percentuale osservata di mancato uso del dispositivo. Per far questo ci serviremo dei risultati delle ricerche dell’ONAT/ISS, svolte al fine di determinare correttamente il numero di morti ed infortunati della strada nell’anno. Tali ricerche sono basate sull’utilizzo di fonti di dati di natura specificamente sanitaria (schede di morte, schede di dimissione ospedaliera) e su indagini epidemiologiche mirate (stima del numero degli invalidi gravi/anno e del numero delle prestazioni di pronto soccorso/anno) (4,5); Lo strumento matematico di cui faremo uso in questa analisi è costituito dal modello IPP (Incidenza-Prevalenza- Prevalenza) (6,7), che descriveremo in modo semplificato più avanti. Si tenga presente che con questo modello sono state previste quantitativamente (e successivamente confermate da studi specifici): - la riduzione dell’incidenza del trauma cranico a seguito dell’introduzione della prima legge sull’uso obbligatorio del casco per gli utenti delle due ruote motorizzate (8); - la riduzione delle ospedalizzazioni e del quadro medio di gravità delle lesioni a seguito dell’introduzione della legge sull’uso obbligatorio delle cinture di sicurezza (9); - la riduzione dell’incidenza del trauma cranico a seguito dell’introduzione della legge sull’uso obbligatorio generalizzato del casco per gli utenti delle due ruote motorizzate (10,11).

Il modello IPP per la stima della variazione di incidenza di determinati eventi in base alla variazione di prevalenza di un certo fattore di rischio o di protezione


Poiché tutti i risultati che otterremo sono basati sull’applicazione del modello IPP, ne presenteremo ora una descrizione non formale, ma sufficientemente chiara per comprenderne il funzionamento.Procediamo, dunque, considerando la mortalità per incidente stradale. Da numerosissimi studi epidemiologici svolti negli ultimi 50 anni, emerge inequivocabilmente che, in media, l’uso della cintura di sicurezza dimezza la probabilità di morire in un incidente stradale (12,13). Come visto, per velocità all’impatto significative ma contenute tale vantaggio può crescere notevolmente. Ora, immaginiamo una situazione in cui tutti portino il dispositivo, e che si abbiano nell’anno n morti. Se l’anno successivo nessuno indossasse più la cintura, per quanto detto, dovremmo registrare 2n morti, cioè il doppio. In sostanza, un gruppo di utenti che non indossa le cinture dà luogo mediamente al doppio di morti di un analogo gruppo che invece le indossa. Riferendoci ai dati del Sistema ULISSE per il primo semestre 2009, in zona urbana il 62% degli utenti indossava il dispositivo, mentre il 38% non lo indossava.
Supponendo convenzionalmente che ogni punto percentuale di utenza protetta dalle cinture produca nell’anno un morto, il gruppo del 62% dei cinturati genererà nell’anno 62 morti, mentre il restante 38% dei non-cinturati ne genererà non già 38, ma il doppio, cioè 76. In questa situazione avremmo un totale di 138 morti/anno. Tuttavia, se il 100% dei soggetti avesse indossato le cinture, per le ipotesi fatte i morti sarebbero stati soltanto 100/anno. Poiché (138-100)/100=.38, ovvero +38%, la quota di coloro che non indossano le cinture crea dunque un eccesso di morti/anno pari al 38% delle morti che si avrebbero se il dispositivo fosse invece indossato da tutti.

In questo caso particolare, dove senza il dispositivo le morti raddoppiano, la percentuale di eccesso di mortalità osservata coincide quindi con la percentuale del non-uso. Poiché disponiamo, tramite le statistiche correnti, del numero delle morti per incidenti stradali osservate nell’anno, diciamolo N, e tramite il Sistema Ulisse della quota di coloro che non indossano le cinture, diciamola p, è possibile calcolare con la relazione vista il numero di morti N0 che si sarebbe avuto nell’anno se tutti avessero indossato le cinture. In pratica, si tratta di risolvere rispetto ad N0 l’equazione (NN0)/ N0=p. Con gli opportuni passaggi, risulta N0=N/(1+p). Una volta noto N0, il numero di morti in eccesso, Necc, si ricava semplicemente sottraendo N0 da N: Necc=N-N0.

Vediamo meglio il tutto su un esempio. Supponiamo che i morti nell’anno per incidenti con o senza scontro tra autoveicoli siano 1000 (quindi N=1000). Supponiamo anche di conoscere, in base ad opportuno monitoraggio, che la percentuale di coloro che non utilizzano la cintura sia il 38% (quindi, p=0.38). Avremo di conseguenza che i morti che si sarebbero osservati se tutti avessero indossato il dispositivo sarebbero stati N/ (1+p)=100/1.38=725. Le morti in eccesso, indotte dal 38% che non indossava la cintura, saranno quindi pari a: 1000-725=275. Il ragionamento ora illustrato è valido anche per il quadro di gravità delle lesioni (che si dimezza anch’esso con l’uso del dispositivo), ed è quello che utilizzeremo appresso per produrre le nostre valutazioni.

Stima dell’impatto sanitario del mancato uso della cintura di sicurezza I ‘veri’ dati della sicurezza stradale


Come noto, i dati comunemente utilizzati nel trattare la sicurezza stradale sono quelli derivanti dalle Statistiche degli Incidenti Stradali Verbalizzati dalle Forze dell’Ordine (SISV), la cui analisi è curata dall’ISTAT e dall’ACI (3). L’unità statistica ivi considerata è l’incidente stradale, non già l’infortunato. Da questo discende che in merito all’incidente si hanno numerosissime informazioni di interesse (tipo di veicoli coinvolti, natura dell’incidente, dinamica, giorno, ora e luogo, situazione meteorologica, tipo e stato della strada, ed altro ancora), mentre in relazione agli infortunati le conoscenze sono assai limitate. Ad es., il numero di morti riportati in tali statistiche è quello dei morti ‘a trenta giorni’ dalla data dell’incidente, cosa che comporta una sottostima, attualmente di intorno al 5%, delle effettive morti nell’anno (sottostima conseguente agli inevitabili decessi che avvengono dopo 30 giorni dal momento dell’incidente). La gravità dei feriti registrati nelle SISV, peraltro, non è nota: si va dall’invalido gravissimo a ferite leggere. Per colmare questa lacuna, l’ONAT/ISS – insieme all’ISTAT e alla regione Toscana – ha effettuato specifiche valutazioni epidemiologiche dirette e su fonti di dati di natura sanitaria. Da queste si è visto che esiste una relazione piuttosto stretta tra numero di morti ed altre conseguenze sanitarie derivanti dagli incidenti stradali. In breve, ad ogni morto corrispondono mediamente circa 2.5 invalidità gravi, 19 ricoveri e più di 200 prestazioni di pronto soccorso non seguite da ricovero. (4,5) E’ da sottolineare che analoghi risultati sono stati trovati in altri paesi.

Numero di morti di interesse per la presente valutazione

Per stimare il numero di morti di interesse nella valutazione dell’impatto sanitario della quota di utenti che non indossano le cinture, faremo riferimento ai dati delle SISV del 2007 (3) in quanto proprio in base a questi dati è stata prodotta dall’ISTAT e dall’ACI un’accurata valutazione dei costi sociosanitari (unitamente a quella dei danni materiali) che utilizzeremo nel successivo articolo. Il numero di morti qui considerato è quindi una sottostima dell’effettivo numero dei morti che interessano la presente valutazione. I decessi registrati dalle SISV del 2007 sono stati 5131. Ovviamente, non tutti questi sfortunati soggetti avrebbero però potuto trarre beneficio dall’uso delle cinture. A questa cifra è quindi necessario sottrarre il numero di morti che hanno interessato nell’anno i pedoni (570), gli utenti delle due ruote motorizzate (1630), i ciclisti (354). Otteniamo così il dato di 2575 morti, che sono quelle di interesse per il nostro discorso. Sempre dalle SISV dell’anno 2007, sappiamo poi che il 44.2% delle morti è avvenuto su strade urbane (dove, in base ai dati del Sistema Ulisse, l’uso delle cinture è del 62%), il 45.5% su strade extraurbane (statali, regionali, provinciali, comunali extraurbane, dove l’uso stimato dal sistema Ulisse è intorno al 75%) e il 10.3% in autostrada (su cui l’uso è sempre risultato superiore al 90%). Non considerando le autostrade (per via dell’uso assai elevato del dispositivo) ed applicando le quote di mortalità per tipologia di strada ai 2575 morti identificati, possiamo stimare il numero delle morti di nostro interesse in 1133 sulle strade urbane e in 1159 su quelle extraurbane.

La stima degli eccessi annui dovuti al mancato uso delle cinture di sicurezza

Applicando alle mortalità ora derivate le stime sanitarie dell’ONAT/ISS e il modello IPP otteniamo le valutazioni che ci interessano (v. tab.1): TAB.

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TAB. 1 - Stima dell’impatto sanitario del mancato uso delle cinture di sicurezza. La tabella riporta per gli incidenti di autoveicoli avvenuti sulle strade urbane ed extraurbane (e sul totale delle due) il numero annuo osservato di morti, di invalidi gravi, di ricoveri e di prestazioni di pronto soccorso non seguite da ricovero; i corrispondenti valori che si sarebbero avuti se tutti gli utenti di autoveicoli avessero indossato la cintura (attesi); gli eccessi determinati dal mancato uso del dispositivo. Il numero di ricoveri va inteso come quello dei soggetti ricoverati che non riportano invalidità grave. Questa distinzione è necessaria in quanto gli invalidi gravi sono anch’essi ricoverati, e quindi li si conterebbe due volte.


Vediamo in dettaglio come si sono determinate le quantità riportate in tab.1. Per far questo, riferiamoci ai dati delle strade urbane. La prima riga della tabella riporta i valori ‘osservati’ (in realtà, di ‘osservati’ ci sono solo i morti, in quanto invalidi, ricoverati e prestazioni sono ‘stimati’ con i coefficienti prima visti, derivati dagli studi epidemiologici dell’ONAT/ISS: ma è un modo comodo per distinguere questa riga dalle successive). Il numero dei morti osservati (1133) è quello prima calcolato. Il numero di invalidi gravi (2833) è desunto con l’utilizzo del coefficiente 2.5; il numero di soggetti ricoverati (18694), con l’utilizzo del coefficiente 19, sottraendo però il numero di invalidi gravi, ricoverati anch’essi, che altrimenti verrebbero contati due volte. Quindi, in questo contesto per ‘ricoverati’ si intendono i soggetti ricoverati che non riportano invalidità grave: il numero totale di ricoveri lo si ottiene perciò sommando a questi il numero di invalidi gravi. Per la stima del numero di prestazioni di Pronto Soccorso non seguite da ricovero, le cose sono un poco più complicate: posto pari ad 1.000.000 il numero totale di dette prestazioni (e si tratta di una stima minima, cautelativa, rispetto a quanto rilevato (5) ), questo viene prima moltiplicato per 0.55 (in quanto dalle SISV risulta che il 55% degli infortunati è relativo a conducenti e passeggeri di autoveicoli), poi per 0.766 (poiché, secondo le SISV il 76.6% di feriti si ha in seguito ad incidente stradale in strada urbana). Il valore finale che si ottiene è, come si vede in tab.1, di 401500 prestazioni.
Nella seconda riga compaiono i valori che si sarebbero avuti se tutti gli utenti avessero indossato la cintura di sicurezza (li abbiamo indicati come ‘attesi’). Poiché sulle strade urbane il Sistema Ulisse ci informa che il 38% degli utenti non indossa la cintura, il numero di morti ‘attesi’ (821) è la soluzione dell’equazione (1.133-x)/x=0.38. Il numero di invalidi, di ricoveri e di prestazioni ‘attesi’, indicati nel seguito, si ricavano risolvendo analoghe equazioni (o utilizzando i relativi coefficienti stimati dall’ONAT/ISS). Nella terza riga sono riportati gli ‘eccessi’ indotti dal mancato uso (38%) del dispositivo. Questi valori si deducono semplicemente sottraendo dai valori ‘osservati’ i valori ‘attesi’.

Gli stessi calcoli vengono applicati nelle righe successive per le strade extraurbane. Le prestazioni di pronto soccorso ‘osservate’ sono qui calcolate moltiplicando ancora 1.000.000 per 0.55, e successivamente per 0.196 in quanto, secondo le SISV, il 19.6% di feriti si ha in seguito ad incidente stradale in strada extraurbana. Poiché la stima del mancato uso delle cinture di sicurezza sulle strade extraurbane, fornita dal Sistema Ulisse, è del 25%, il numero di morti ‘attesi’ si ottiene risolvendo l’equazione (1159-x)/x=0.25. Risolvendo analoghe equazioni si ottengono le altre quantità. Sommando quanto ottenuto per strade urbane ed extraurbane, risulta che gli utenti che non indossano le cinture di sicurezza (38% sulle strade urbane, 25% su quelle extraurbane) determinano conseguenze sanitarie che, in base all’attuale situazione d’uso, possiamo stimare in un eccesso annuo di 544 morti, 1359 invalidi gravi, 8972 ricoveri non seguiti da invalidità grave e 132.118 prestazioni di Pronto Soccorso non seguite da ricovero.
In definitiva, ogni punto percentuale di non-uso delle cinture di sicurezza comporta un eccesso annuo:

-
su strade urbane di circa: 8 morti; 21 invalidi gravi; 135 ricoveri non comportanti invalidità grave; 2909 prestazioni di Pronto Soccorso non seguite da ricovero;
- su strade extra-urbane di circa: 9 morti; 23 invalidi gravi; 153 ricoveri non comportanti invalidità grave; 862 prestazioni di Pronto Soccorso non seguite da ricovero.

Discussione

Come tutte le stime, anche quelle che abbiamo qui presentate necessitano di attenta riflessione critica, onde metterne in luce utilità e limiti. Potremmo al proposito fare un lungo discorso, entrando maggiormente nei dettagli e nelle scelte fatte, che sono alla base della produzione delle stime stesse. Di seguito, però, non sceglieremo questa strada, ma ci indirizzeremo verso un commento più sintetico. L’entità degli eccessi stimati risentono di alcune semplificazioni introdotte, quali: - il numero di morti qui utilizzato è sottostimato (di circa un 5%) rispetto ai decessi derivabili dai dati delle schede di morte nell’anno; - non abbiamo considerato gli incidenti che accadono in autostrada per via dell’alta protezione (alta, ma non assoluta) degli utenti; - i feriti sulle strade extraurbane sono in genere più gravi di quelli infortunatisi sulle strade urbane; - il mancato uso è stato calcolato rispetto al 100%; ma, come sappiamo, ci sono casi di esenzione dall’uso, come pure utenti ‘irriducibili’ che mai indosseranno il dispositivo (e a questo proposito, un obiettivo realistico appare quello di far sì che la proporzione d’uso superi il 95%). Tuttavia, queste scelte non influiscono più di tanto sulle stime ottenute, in quanto: - calcoli più dettagliati e diversificati (ma più complessi e fruibili con maggiore difficoltà da parte del lettore) non porterebbero a risultati troppo diversi da quelli presentati (cosa da noi verificata); - le approssimazioni applicate conducono nel complesso a sottostimare gli eccessi indagati (sicché la dizione ‘è pari a...’ diviene ‘è almeno pari a ...’); - quello che interessa in questo tipo di valutazioni è l’ordine di grandezza delle stime, non già una loro elevata accuratezza (peraltro in genere illusoria, per via degli inevitabili problemi legati a qualità e completezza dei dati di base). In altre parole, quello che ci occorre per decidere eventuali provvedimenti da prendere (nonché il loro taglio) è un’indicazione quantitativa di massima (ma affidabile) di come stanno le cose. Tanto per fare un esempio, se i morti in eccesso fossero stati la metà di quelli qui stimati (quindi, non 544, ma 272,) cambierebbe qualcosa? Conseguenza del tutto è che – in base alla valutazione svolta - possiamo razionalmente affermare che il carico derivante dall’attuale non-uso delle cinture di sicurezza è enorme, moralmente e socialmente inaccettabile. Nell’interesse di tutti appare dunque necessario promuovere azioni mirate per modificare la presente situazione. Sicché, parafrasando Luigi Einaudi, possiamo dire che ora ‘conosciamo per deliberare’. Il problema che abbiamo oggi di fronte è quindi quello di identificare dei modi di procedere, efficaci ed efficienti, per far sì che l’uso di questi dispositivi divenga il più possibile (e rapidamente) prossimo al 100% (>95%). In un successivo articolo, che seguirà quello sui costi, presenteremo a questo proposito un modello di intervento rapido messo a punto dall’ONAT/ISS.

Conclusioni

I risultati ottenuti mostrano che l’impatto sanitario derivante dalla malsana e diffusa abitudine di non utilizzare le cinture di sicurezza è molto più grave di quanto non possa sembrare a prima vista. Peraltro, come dimostreremo nel successivo articolo, i costi associati al non-uso del dispositivo sono estremamente elevati (dell’ordine dei miliardi di euro). E in entrambi i casi, desideriamo sottolinearlo, si tratta di eccessi, di danno fisico e di costo, annui. Bisognerà certamente riconsiderare con maggiore attenzione – e quanto prima - questo problema, tenendo a mente due obiettivi concreti da raggiungere: da una parte il rendere generalizzato il rispetto dell’obbligo (e in questo, come mostrerà l’ulteriore lavoro che tratterà del modello di intervento rapido, il ruolo dei comuni appare decisamente centrale); dall’altra, la promozione di campagne di comunicazione periodiche dirette al grande pubblico (a livello nazionale e locale), in forme che siano però diverse da mere raccomandazioni. (14)

Note tecniche 1

1– In termini strettamente tecnici, avremmo dovuto utilizzare le proporzioni d’uso rilevate dal sistema Ulisse nel 2007. Tuttavia, poiché in relazione a detto anno il numero di territori monitorati ha avuto una momentanea contrazione (si ricordi che il sistema è a carattere volontario), abbiamo preferito utilizzare le proporzioni rilevate nel primo semestre 2009, che risultano maggiormente rappresentative del territorio nazionale, e che quindi possono meglio prestarsi ad eventuali applicazioni locali della procedura di valutazione qui mostrata. Questa scelta comporta una modesta sovrastima, ininfluente ai fini dei risultati del lavoro.
2 - In merito a quanto qui presentato, qualcuno potrebbe obiettare che la valutazione svolta è di fatto pessimistica in quanto solo parte degli utenti indossa sempre o mai le cinture di sicurezza: un’altra parte, invece, qualche volta la indossa, qualche volta no. Una critica di questo tipo avrebbe ragione di essere se la proporzione qui utilizzata derivasse da interviste in cui i soggetti segnalassero a proposito delle cinture: ‘Le porto sempre’, ‘Non le porto mai’, ‘Le porto qualche volta’. In questo caso sarebbe necessario: - valutare quanto chi le porta sempre (e chi non le porta mai) sia poi presente sulla strada. Per intenderci, se uno che dichiara di portare sempre le cinture va in auto un giorno all’anno e un altro, che dichiara di non portarle mai, lo fa 320 giorni all’anno, allora il primo peserebbe 1, l’altro 320 (e questo a parità di chilometri percorsi, altro dato che sarebbe necessario conoscere); - nel caso di chi le porta invece ‘qualche volta’, oltre alle informazioni aggiuntive viste bisognerebbe quantificare meglio proprio questo ‘qualche volta’: una volta su 10 viaggi?; nella metà dei viaggi?; nel 90% dei viaggi?
E’ per questa ragione che riteniamo assolutamente fuorviante stimare l’uso delle cinture di sicurezza in base a questionari o ad interviste telefoniche (con tali metodi, peraltro, per motivi che non possiamo in questa sede dettagliare, si sovrastima la proporzione d’uso).
A fronte di tutto questo, se invece la proporzione d’uso (o, che è lo stesso, di non-uso) deriva da osservazioni sul campo la massa di rischio viene sinteticamente a determinarsi. E ognuno contribuisce a formare questo dato in base alla sua reale presenza sulla strada. Nella sostanza, quello che vediamo è che in un dato momento la proporzione degli utenti non protetti è pari ad un certo valore; e che tale valore, più o meno, lo si riscontra anche in altri momenti. Insomma, anche se chi ieri non portava la cintura, oggi la porta; e chi ieri la portava oggi non la porta, l’effetto complessivo è tale che la quota di utenti non protetti appare stabile; e questo permette di quantificare con accuratezza la ‘massa’ di rischio per un suo successivo utilizzo in valutazioni realistiche, quali quella che abbiamo qui mostrato con l’uso del modello IPP.

Riconoscimenti

Il presente lavoro è stato svolto nell’ambito del progetto Ulisse, finanziato dal Ministero dei Trasporti. Gli autori ringraziano il sig. Gianni Fondi per la preziosa collaborazione tecnica. Si desidera ringraziare, infine, il dott. Giordano Biserni, presidente dell’ASAPS, per aver segnalato all’ONAT/ISS gli interessanti dati dell’UPI. La fig.1 è tratta da un’intervista del dott. Biserni a Franco Taggi, pubblicata su ‘Il Centauro’ e riproposta come “Velocità di impatto ed efficacia delle cinture di sicurezza” , in “Sicurezza Stradale: verso il 2010”, pag. 208-212, a cura di F.Taggi, Ed. ISS-Min.Trasporti, Roma 2005 (in italiano, scaricabile da www.iss.it/stra )

(1 - 3) Responsabile scientifico per l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) del Sistema ULISSE
(2 - 3) Coordinatore del Sistema ULISSE
(3) Osservatorio Nazionale Ambiente e Traumi (ONAT), Reparto “Ambiente & Traumi”, Dipartimento Ambiente e connessa Prevenzione Primaria, ISS
(4) Responsabile scientifico per il Ministero dei Trasporti del Sistema ULISSE, Direzione Generale ‘Sicurezza Stradale”, Ministero dei Trasporti



Bibliografia e note
(1) Il Sistema Ulisse è un sistema a partecipazione volontaria per il monitoraggio standardizzato su scala nazionale dell’uso dei dispositivi di sicurezza e di comportamenti a rischio in genere. Detto sistema, attivato nell’anno 2000 in accordo con gli obiettivi del Piano Nazionale della Sicurezza Stradale, è coordinato congiuntamente dall’ISS e dal Ministero dei Trasporti. I dati che qui riportati saranno oggetto di pubblicazione a breve. (2) F.Taggi, G.Dosi, M.Giustini, A.Crenca, C.Cedri, G.Fondi, P.Iascone, P.Marturano “Il Sistema Ulisse per il monitoraggio dell’uso delle cinture di sicurezza e del casco in Italia”, Rapporto ISTISAN 06/39, ISSN 1123-3117, (2006) (scaricabile dal sito www.iss.it ) (3) ISTAT-ACI “Statistica degli incidenti stradali verbalizzati dalle FF.OO. nell’anno 2007”, Roma, rapporto 2008 (scaricabile dal sito www.istat.it ) (4) Taggi F., Giustini M., Dosi G., Pitidis A., Cipriani F., Buratta V., Bruzzone S., Amato R. “I ‘veri’ dati sanitari della sicurezza stradale in Italia: mortalità, invalidità, ricoveri, accessi al pronto soccorso, costi”, in F.Taggi (a cura di) “Aspetti sanitari della sicurezza stradale”, pag. 83-87, Ed. ISS-Ministero dei Trasporti (2003) (in italiano, scaricabile da www.iss.it/stra ) (5) F.Cipriani, C.Lorini, E.Buiatti, F.Taggi “Valutazione del numero di accessi al Pronto Soccorso in seguito ad incidente stradale: sperimentazione nella Regione Toscana di una tecnica rapida”, in F.Taggi (a cura di) “Aspetti sanitari della sicurezza stradale”, pag. 113-121, Ed. ISS-Ministero dei Trasporti (2003) (in italiano, scaricabile da www.iss.it/stra ) (6) F. Taggi “Un modello matematico per valutare la variazione della mortalità conseguente all’introduzione obbligatoria dell’uso del casco di protezione nella guida dei veicoli a due ruote motorizzati” , Boll.Coll.Med.Ital.Trasp. 5, 51-60 (1984) (7) F. Taggi “Stima della quota prevenibile di mortalità per incidenti stradali indotta dall’uso di dispositivi di sicurezza” , Atti del III Convegno Nazionale sugli Studi di Mortalità, pp. 111-126, Firenze, 22-24 ottobre 1986 (8) F. Taggi “Safety helmet law in Italy” , The Lancet, January 23, 182 (1988) (9) F. Taggi “Epidemiologia e prevenzione degli incidenti in ambienti di vita: aspetti generali ed esperienze in ambito regionale”. Relazione per il Servizio Centrale Programmazione Sanitaria del Ministero della Sanità sullo stato di avanzamento del progetto SISI, Roma marzo 1993 (10) F.Servadei, C.Begliomini, E.Gardini, M.Giustini, F.Taggi, J.Kraus “Effect of Italy’s motorcycle helmet law on traumatic brain injuries”, Inj.Prev. 9, 257-260 (2003) (11) A.Pitidis, M.Giustini, G.Balducci, F.Taggi “Riduzione della gravità dei traumi su ciclomotore: l’effetto dell’estensione dell’obbligo del casco”, in “Aspetti Sanitari della Sicurezza Stradale” a cura di F.Taggi, Ed. Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, pp. 433-440 (2003) (12) WHO “Global status report on road safety: time for action”, 2009 (scaricabile dal sito www.who.int ) (13) F. Taggi “Cinture di sicurezza: considerazioni statistico-epidemiologiche di efficacia ed efficienza” , Boll.Coll.Med.It.Trasp. 3-4, 129-31 (1986) (14) F.Taggi “Per una comunicazione ‘ostensiva’ dei messaggi sulla sicurezza stradale (e non solo)” , in “Sicurezza Stradale: verso il 2010”, a cura di F.Taggi, Ed. ISS-Min.Trasporti, Roma 2005 (in italiano, scaricabile da www.iss.it/stra )

da Il Centauro n.141

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Lunedì, 04 Ottobre 2010
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