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Articoli 05/09/2010

Le ultime parole di Giovanni Messina, lezione di rispetto alla vita

Piangiamo un paladino della sicurezza stradale
di Lorenzo Borselli

Foto Coraggio - archivio Asasp

Si può esprimere un pensiero senza l’obbligo di essere forzatamente ipocriti?
Da gente che vive buona parte della propria vita indossando una divisa, cercando un sempre più difficile rapporto coi “civili”, non è affatto facile riporre il berretto, per chi ancora lo usa, togliersi la giacca e sistemarla sulla stampella, arricciarsi le maniche della camicia e allentarsi il nodo della cravatta e parlare. Stavolta però lo voglio fare e spero che il presidente Giordano Biserni accetti questo mio tentativo di agganciare il “civile”. Lo spunto me lo fornisce il sottile filamento che ha unito vita e morte di un mio Collega, Giovanni Messina. Collega non tanto per la sua appassionata appartenenza alla mia Specialità, ma per la sua adesione all’Asaps fin dalla prima ora. I soci fondatori non avevano ancora depositato l’atto costitutivo della nostra associazione che lui, giovane commissario di Polizia, aveva già aderito.
Era uno che ci credeva, dunque, e lo ha dimostrato in ogni momento della sua silenziosa carriera, almeno per quello che siamo riusciti a sapere. Perché dico questo? Sappiate che non lo faccio di certo per onorarne ipocritamente la storia.
Non lo conoscevo personalmente. Rifletto e basta: a 54 anni era in auto con la moglie, il padre e la madre. Aveva la cintura di sicurezza, andava piano e teneva la destra. Le sue ultime parole da Poliziotto della Stradale, prima di andare in ferie per qualche giorno, erano state quelle di un appello alla gente che si muove alla guida di qualcosa. ”L’uomo, la strada e il veicolo sono i tre fattori che intervengono in un incidente, ma è la persona che prevale.
Gli scontri dipendono da un problema di cultura della sicurezza stradale. Dobbiamo acquisire la consapevolezza che le regole vanno rispettate, non solo per evitare le pesantissime sanzioni, ma soprattutto per tutelare i valori universali della vita e della propria identità”.
E poi, come in un tragico ma scontato finale, un’auto condotta in chiara opposizione a quei valori che Lui aveva sempre professato, recide all’istante la sua vita. La taglia, di netto, togliendo lui e il padre alle rispettive consorti, sottoponendo una madre ed una moglie alla tortura di veder morire il figlio e il marito (alla mamma di Giovanni tocca sopportare tutto in un colpo solo), a dei figli ancora adolescenti lo strazio di crescere senza papà.
Ora, mi chiedo: ma se anche un Uomo così forte, così attento, così preparato alla strada, soccombe in questo modo, è effettivamente vero che ciascuno di noi rischia di non tornare a casa, ogni volta che ne esce.
Non voglio essere ipocrita, l’ho detto prima. Quando salgo in moto, quando guido in generale, mi par d’essere meglio di tanti, sul serio! Forse mi faccio prendere la mano, sicuramente confido sul fatto che a me non possa, alla fine, succedere nulla. Eppure sono già passato dalla rianimazione, per colpa di altri, e sempre per loro, per ubriachi sconsiderati (ma anche per assurde fatalità), ho conosciuto bisturi, placche e viti, respiratori artificiali e gli sguardi terrorizzati di mamma, babbo, moglie e amici.
Se non ci decidiamo a riflettere, a rimettere ogni cosa (sulla strada) al suo posto, prima tra tutti il rispetto della legalità e della vita, siamo perduti.
Vittime di una maledizione che noi stessi ci tiriamo addosso, come società (in)civile, ogni volta che avviamo il motore.
Grazie Giovanni della lezione che mi hai dato. Spero di non dimenticarla.


(*) Sovrintendente della Polizia Stradale


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Domenica, 05 Settembre 2010
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