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Circolari 11/07/2001

Giudice di Pace e Fermo Amministrativo

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada)

 ORDINANZA N. 33

 ANNO 2000
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Fernando SANTOSUOSSO Presidente

- Massimo VARI  Giudice 

- Riccardo CHIEPPA "

- Gustavo ZAGREBELSKY "

- Valerio ONIDA "

- Carlo MEZZANOTTE "

- Fernanda CONTRI "

- Guido NEPPI MODONA "

- Piero Alberto CAPOTOSTI "

- Annibale MARINI "

- Franco BILE "

- Giovanni Maria FLICK  " 

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 126,  comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso con ordinanza emessa il 26 aprile 2000 dal Giudice di pace di Bologna nel procedimento civile vertente tra la Ortofrutticola Parma s.r.l. contro il Prefetto di Bologna, iscritta al n. 406 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 29 novembre 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri.

Ritenuto che il Giudice di pace di Bologna, con ordinanza emessa in data 26 aprile 2000, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) per violazione degli artt. 76, 25, secondo comma e 27, primo comma, della Costituzione;

che il giudice a quo è investito dell’esame del ricorso presentato dal legale rappresentante di una società proprietaria di un veicolo, sottoposto a fermo amministrativo, alla guida del quale era stato sorpreso un suo dipendente la cui patente era scaduta;

che, secondo il rimettente, l’art. 5, lettera d), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario) prevedeva, per la violazione dell’art. 126, comma 7, cod. strada, il sequestro del veicolo, mentre il legislatore delegato ha introdotto la diversa sanzione del fermo amministrativo, violando così l’art. 76 Cost., non essendosi attenuto ai criteri direttivi indicati nella legge delega; 

che, sempre secondo il rimettente, una sanzione accessoria deve necessariamente conseguire ad una sanzione principale, prevista per una specifica condotta illecita, mentre nel caso in questione la norma impugnata punisce il terzo proprietario del veicolo per una condotta che deve ritenersi lecita, con la conseguente violazione dei principi di tassatività e legalità degli illeciti e di personalità della pena di cui agli artt. 25 e 27 Cost.;

che, ad avviso del giudice a quo, la norma impugnata viola "il canone generale di ragionevolezza e proporzionalità” delle sanzioni, perché il fermo si applica indifferentemente all’autore della violazione o al terzo proprietario del veicolo, perché l’intervenuto pagamento della sanzione pecuniaria principale non estingue la sanzione accessoria e perché la sanzione è stabilita in misura fissa, senza che sia possibile valutare il danno economico arrecato al terzo proprietario del veicolo - il quale sopporta un onere maggiore di quello del conducente - ed infine perché nessuna distinzione viene fatta in relazione al tipo ed alla destinazione del veicolo ed al tempo trascorso tra la scadenza della patente di guida del conducente e la data dell’accertamento;

che, ancora secondo il rimettente, la sanzione accessoria introdotta dal legislatore delegato sarebbe una misura "aberrante, irragionevole e profondamente ingiusta" perché il fermo viene scontato anche nel caso in cui la sanzione pecuniaria principale venga estinta per avvenuto pagamento, in contrasto con un principio generale desumibile dall’art. 162 del codice penale in tema di estinzione del reato per intervenuta oblazione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare infondata la questione sollevata con l’ordinanza in esame;

che, quanto alla ritenuta violazione dell’art. 76 Cost., l’Avvocatura osserva che il legislatore delegante, nel formulare i principi ed i criteri direttivi per la modifica dell’art. 126 del codice della strada, avrebbe utilizzato in modo atecnico il termine "sequestro", intendendo indicare non una misura cautelare, ma una sanzione accessoria consistente nella temporanea sottrazione della disponibilità del veicolo e che in tal modo il legislatore delegato avrebbe dato alla disposizione l’unica attuazione coerente col quadro sanzionatorio complessivo dello stesso codice;

che la difesa erariale ricorda quindi che l’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e l’art. 196 cod. strada stabiliscono un principio generale in base al quale degli illeciti amministrativi punibili col pagamento di una somma di denaro rispondono, in solido col trasgressore, anche i proprietari ed i titolari di diritti di godimento delle cose servite per commettere la violazione, salvo che dimostrino che la cosa è stata usata contro la loro volontà, dal che deriverebbe la legittimità della previsione, per tali soggetti, anche di sanzioni accessorie;

che, secondo l’Avvocatura, chi consente la guida del proprio veicolo ad un soggetto sprovvisto di valida patente pone in essere un comportamento colposo non indifferente per l’ordinamento, per cui non può ravvisarsi alcuna violazione del principio della personalità della responsabilità;

che, osserva ancora l’Avvocatura, il sistema sanzionatorio amministrativo è dotato di una spiccata specificità ed autonomia rispetto al sistema penale per cui, relativamente alla misura fissa della sanzione accessoria, all’irrilevanza del pagamento della sanzione pecuniaria principale e all’indifferenza per la tipologia del veicolo sottoposto a fermo, la scelta legislativa non sarebbe irragionevole, non esistendo una regola generale relativa alla graduazione delle sanzioni e non avendo tali circostanze alcun rilievo sulla condotta colposa del proprietario che non ha preventivamente controllato se il conducente al quale il veicolo è stato affidato fosse munito di idonea patente in corso di validità;

che l’Avvocatura infine ricorda che in base all’art. 202, comma 1, del codice della strada, anche quando il trasgressore è ammesso al pagamento in misura ridotta resta ferma l’applicazione delle eventuali sanzioni accessorie. 

Considerato che il Giudice di pace di Bologna dubita della legittimità dell’art. 126, comma, 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), per violazione degli artt. 76, 25 e 27 della Costituzione e del "canone generale di ragionevolezza e proporzionalità delle misure sanzionatorie";

che non appare fondata la questione sollevata in relazione all’art. 76 Cost. poiché il legislatore delegato, nell’introdurre il fermo amministrativo del veicolo, ha provveduto senza discostarsi dal sistema generale delle sanzioni accessorie del codice della strada e dai principi e criteri direttivi fissati dalla delega che - nel testo dell’art. 5, lettera d), della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario) - ha usato il termine "sequestro" in senso generico, da intendere come sanzione accessoria implicante la perdita della disponibilità del veicolo; 

che pure infondata è la censura mossa dal rimettente alla disposizione impugnata per violazione dell’art. 27 Cost., norma che si riferisce alle "pene" ed è perciò inapplicabile alle sanzioni amministrative (cfr., ex plurimis, ordinanza n. 159 del 1994);

che parimenti infondata è la censura del giudice a quo relativa alla invocata violazione dell’art. 25 Cost., dal momento che la responsabilità del proprietario di un veicolo per le violazioni commesse da chi si trovi alla guida costituisce, nel sistema delle sanzioni amministrative previste per le violazioni delle norme relative alla circolazione stradale, un principio di ordine generale che, nel caso del fermo amministrativo, trova conferma nell’art. 214, comma 1-bis cod. strada, secondo cui solo quando risulti evidente che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la volontà del proprietario il mezzo deve essere immediatamente a questi restituito;

che anche in riferimento al "canone generale di ragionevolezza e proporzionalità delle misure sanzionatorie" - invocato senza la specifica indicazione della norma della Costituzione che sarebbe violata ma con un evidente, sia pur implicito, richiamo all’art. 3 Cost. - la questione è infondata;

che infatti questa Corte ha costantemente affermato che la determinazione delle condotte punibili e delle relative sanzioni, siano esse penali o amministrative, rientra nella più ampia discrezionalità legislativa, non spettando alla Corte "rimodulare le scelte punitive del legislatore né stabilire la quantificazione delle sanzioni" (sentenze n. 217 del 1996 e n. 313 del 1995 e ordinanza n. 190 del 1997) che ben possono essere stabilite anche in misura fissa;

che la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo condotto da persona la cui patente di guida sia scaduta, anche nel caso in cui lo stesso appartenga a persona diversa dall’autore della violazione - esclusa l’ipotesi che la circolazione sia avvenuta contro la volontà del proprietario - non risulta essere né sproporzionata né irragionevole, essendo coerente con la finalità, perseguita in generale dal sistema sanzionatorio del codice della strada, di dare una risposta effettiva ed immediata alle condotte potenzialmente pericolose;

che l’ininfluenza dell’estinzione per intervenuto pagamento della sanzione pecuniaria principale sul permanere delle sanzioni accessorie, prevista in via generale dall’art. 202 del codice della strada, tende a perseguire il predetto scopo;

che perciò le questioni sollevate dal Giudice di pace di Bologna sono manifestamente infondate sotto ogni profilo.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 25, secondo comma e 27, primo comma, della Costituzione, dal Giudice di pace di Bologna con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2001.

F.to:

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in cancelleria il 9 febbraio 2001.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

 

Mercoledì, 11 Luglio 2001
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