ORDINANZA N. 33
ANNO 2000
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME
DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernando SANTOSUOSSO Presidente
- Massimo VARI Giudice
- Riccardo CHIEPPA "
- Gustavo ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE "
- Fernanda CONTRI "
- Guido NEPPI MODONA "
- Piero
Alberto CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni
Maria FLICK "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art.
126, comma 7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo
codice della strada) modificato
dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507
(Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi
dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), promosso con ordinanza emessa
il 26 aprile 2000 dal Giudice di pace di Bologna nel procedimento civile
vertente tra la Ortofrutticola Parma s.r.l. contro il Prefetto di Bologna,
iscritta al n. 406 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale,
dell’anno 2000.
Visto l’atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 29
novembre 2000 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Giudice di
pace di Bologna, con ordinanza emessa in data 26 aprile 2000, ha sollevato
questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma 7, del decreto
legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), modificato
dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507
(Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi
dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205) per violazione degli artt. 76,
25, secondo comma e 27, primo comma, della Costituzione;
che il giudice
a quo è investito dell’esame del
ricorso presentato dal legale rappresentante di una società proprietaria di un
veicolo, sottoposto a fermo amministrativo, alla guida del quale era stato
sorpreso un suo dipendente la cui patente era scaduta;
che, secondo
il rimettente, l’art. 5, lettera d),
della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema
penale e tributario) prevedeva, per la violazione dell’art. 126, comma 7, cod.
strada, il sequestro del veicolo, mentre il legislatore delegato ha introdotto
la diversa sanzione del fermo amministrativo, violando così l’art. 76 Cost.,
non essendosi attenuto ai criteri direttivi indicati nella legge delega;
che, sempre
secondo il rimettente, una sanzione accessoria deve necessariamente conseguire
ad una sanzione principale, prevista per una specifica condotta illecita,
mentre nel caso in questione la norma impugnata punisce il terzo proprietario
del veicolo per una condotta che deve ritenersi lecita, con la conseguente
violazione dei principi di tassatività e legalità degli illeciti e di
personalità della pena di cui agli artt. 25 e 27 Cost.;
che, ad avviso
del giudice a quo, la norma impugnata
viola "il canone generale di ragionevolezza e proporzionalità” delle
sanzioni, perché il fermo si applica indifferentemente all’autore della
violazione o al terzo proprietario del veicolo, perché l’intervenuto pagamento
della sanzione pecuniaria principale non estingue la sanzione accessoria e
perché la sanzione è stabilita in misura fissa, senza che sia possibile
valutare il danno economico arrecato al terzo proprietario del veicolo - il
quale sopporta un onere maggiore di quello del conducente - ed infine perché
nessuna distinzione viene fatta in relazione al tipo ed alla destinazione del
veicolo ed al tempo trascorso tra la scadenza della patente di guida del
conducente e la data dell’accertamento;
che, ancora
secondo il rimettente, la sanzione accessoria introdotta dal legislatore
delegato sarebbe una misura "aberrante, irragionevole e profondamente
ingiusta" perché il fermo viene scontato anche nel caso in cui la sanzione
pecuniaria principale venga estinta per avvenuto pagamento, in contrasto con un
principio generale desumibile dall’art. 162 del codice penale in tema di
estinzione del reato per intervenuta oblazione;
che è
intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di
dichiarare infondata la questione sollevata con l’ordinanza in esame;
che, quanto
alla ritenuta violazione dell’art. 76 Cost., l’Avvocatura osserva che il
legislatore delegante, nel formulare i principi ed i criteri direttivi per la
modifica dell’art. 126 del codice della strada, avrebbe utilizzato in modo
atecnico il termine "sequestro", intendendo indicare non una misura
cautelare, ma una sanzione accessoria consistente nella temporanea sottrazione
della disponibilità del veicolo e che in tal modo il legislatore delegato
avrebbe dato alla disposizione l’unica attuazione coerente col quadro
sanzionatorio complessivo dello stesso codice;
che la difesa
erariale ricorda quindi che l’art. 6 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) e l’art. 196
cod. strada stabiliscono un principio generale in base al quale degli illeciti
amministrativi punibili col pagamento di una somma di denaro rispondono, in
solido col trasgressore, anche i proprietari ed i titolari di diritti di
godimento delle cose servite per commettere la violazione, salvo che dimostrino
che la cosa è stata usata contro la loro volontà, dal che deriverebbe la
legittimità della previsione, per tali soggetti, anche di sanzioni accessorie;
che, secondo
l’Avvocatura, chi consente la guida del proprio veicolo ad un soggetto
sprovvisto di valida patente pone in essere un comportamento colposo non
indifferente per l’ordinamento, per cui non può ravvisarsi alcuna violazione
del principio della personalità della responsabilità;
che, osserva
ancora l’Avvocatura, il sistema sanzionatorio amministrativo è dotato di una
spiccata specificità ed autonomia rispetto al sistema penale per cui,
relativamente alla misura fissa della sanzione accessoria, all’irrilevanza del
pagamento della sanzione pecuniaria principale e all’indifferenza per la
tipologia del veicolo sottoposto a fermo, la scelta legislativa non sarebbe
irragionevole, non esistendo una regola generale relativa alla graduazione
delle sanzioni e non avendo tali circostanze alcun rilievo sulla condotta
colposa del proprietario che non ha preventivamente controllato se il
conducente al quale il veicolo è stato affidato fosse munito di idonea patente
in corso di validità;
che
l’Avvocatura infine ricorda che in base all’art. 202, comma 1, del codice della
strada, anche quando il trasgressore è ammesso al pagamento in misura ridotta
resta ferma l’applicazione delle eventuali sanzioni accessorie.
Considerato che il
Giudice di pace di Bologna dubita della legittimità dell’art. 126, comma, 7,
del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),
come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre
1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio
ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), per violazione degli
artt. 76, 25 e 27 della Costituzione e del "canone generale di
ragionevolezza e proporzionalità delle misure sanzionatorie";
che non appare
fondata la questione sollevata in relazione all’art. 76 Cost. poiché il
legislatore delegato, nell’introdurre il fermo amministrativo del veicolo, ha
provveduto senza discostarsi dal sistema generale delle sanzioni accessorie del
codice della strada e dai principi e criteri direttivi fissati dalla delega che
- nel testo dell’art. 5, lettera d),
della legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema
penale e tributario) - ha usato il termine "sequestro" in senso generico,
da intendere come sanzione accessoria implicante la perdita della disponibilità
del veicolo;
che pure
infondata è la censura mossa dal rimettente alla disposizione impugnata per
violazione dell’art. 27 Cost., norma che si riferisce alle "pene" ed è
perciò inapplicabile alle sanzioni amministrative (cfr., ex plurimis, ordinanza n. 159 del 1994);
che parimenti
infondata è la censura del giudice a quo
relativa alla invocata violazione dell’art. 25 Cost., dal momento che la
responsabilità del proprietario di un veicolo per le violazioni commesse da chi
si trovi alla guida costituisce, nel sistema delle sanzioni amministrative
previste per le violazioni delle norme relative alla circolazione stradale, un
principio di ordine generale che, nel caso del fermo amministrativo, trova
conferma nell’art. 214, comma 1-bis
cod. strada, secondo cui solo quando risulti evidente che la circolazione del
veicolo è avvenuta contro la volontà del proprietario il mezzo deve essere
immediatamente a questi restituito;
che anche in
riferimento al "canone generale di ragionevolezza e proporzionalità delle
misure sanzionatorie" - invocato senza la specifica indicazione della
norma della Costituzione che sarebbe violata ma con un evidente, sia pur
implicito, richiamo all’art. 3 Cost. - la questione è infondata;
che infatti
questa Corte ha costantemente affermato che la determinazione delle condotte
punibili e delle relative sanzioni, siano esse penali o amministrative, rientra
nella più ampia discrezionalità legislativa, non spettando alla Corte
"rimodulare le scelte punitive del legislatore né stabilire la
quantificazione delle sanzioni" (sentenze n. 217 del 1996 e n. 313 del
1995 e ordinanza n. 190 del 1997) che ben possono essere stabilite anche in
misura fissa;
che la sanzione
accessoria del fermo amministrativo del veicolo condotto da persona la cui
patente di guida sia scaduta, anche nel caso in cui lo stesso appartenga a
persona diversa dall’autore della violazione - esclusa l’ipotesi che la
circolazione sia avvenuta contro la volontà del proprietario - non risulta
essere né sproporzionata né irragionevole, essendo coerente con la finalità,
perseguita in generale dal sistema sanzionatorio del codice della strada, di
dare una risposta effettiva ed immediata alle condotte potenzialmente pericolose;
che
l’ininfluenza dell’estinzione per intervenuto pagamento della sanzione
pecuniaria principale sul permanere delle sanzioni accessorie, prevista in via
generale dall’art. 202 del codice della strada, tende a perseguire il predetto
scopo;
che perciò le
questioni sollevate dal Giudice di pace di Bologna sono manifestamente
infondate sotto ogni profilo.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo
1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
alla Corte costituzionale.
PER
QUESTI MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta
infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 126, comma
7, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada),
come modificato dall’art. 19, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre
1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema
sanzionatorio ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205),
sollevata, in riferimento agli artt. 76, 25, secondo comma e 27, primo comma,
della Costituzione, dal Giudice di pace di Bologna con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 gennaio 2001.
F.to:
Fernando SANTOSUOSSO, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in cancelleria il 9 febbraio 2001.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: DI PAOLA