Ancora
sulla valenza probatoria del "telelaser" di Michele Leoni(*) |
La
nota sentenza del Tribunale di Padova (Sezione II, 27.4.2000, att. Pozzebon)
che oltre tre anni fa pose drasticamente il problema della rilevanza probatoria
degli accertamenti della velocità compiuti tramite apparecchio
"telelaser", ha avuto, dapprima, un deciso seguito, il quale,
poi, è parso nettamente affievolirsi. Vale la pena, anzitutto,
ricordare quale fu il ragionamento sviluppato in quella sentenza.
Il giudice di Padova, premesso che l’art. 345 del regolamento di esecuzione del codice della strada consente di utilizzare soltanto strumenti che permettano di fissare in modo chiaro e certo la velocità dei veicoli, non conservando invece il "telelaser" memoria della velocità rilevata, né assicurando che la velocità mostrata sia effettivamente quella tenuta dal veicolo fermato, ritenne che l’accertamento effettuato con questo strumento fosse illegittimo.
Per questo andrebbe anche disapplicato, con conseguente inefficacia delle
sanzioni eventualmente irrogate, il decreto ministeriale che ha omologato
tale apparecchiatura. In particolare, quest’ultima conclusione appare
davvero ardita, in quanto ammette l’uso del potere di disapplicazione
da parte del giudice civile (peraltro, in un giudizio speciale ove questi
ha potere di annullamento e non, come nell’ordinario, di apprezzare lesioni
di diritti soggettivi) in modo radicale, tale da sconfinare addirittura
nel disconoscimento di decreti ministeriali, ossia di atti di "alta
amministrazione". Si tratta, quindi, di una pronuncia molto incisiva, con la quale l’autorità giudiziaria pare rivendicare la propria ingerenza addirittura nella discrezionalità tecnica della pubblica amministrazione. Negli stessi identici termini si sono poi pronunciati, fra gli altri, Giud. pace Milano (Sez. IV, 31.1.2001), ed altresì alcuni autori in dottrina, quali, ad esempio, Paolo De Cesaris ("Sull’attendibilità tecnico-giuridica dell’apparecchiatura telelaser", in Arch. giur. circ. sin. strad. 2001, 269), il quale ha affermato che, affinché l’accertamento sia giuridicamente valido, le apparecchiature debbono essere costruite in modo da raggiungere lo scopo, ossia fissare la velocità del veicolo in un dato momento in modo chiaro ed accertabile, in modo da escludere qualsiasi valutazione soggettiva od operazione manuale, e, quindi, possibili errori umani: poiché il telelaser non aderirebbe a questi canoni tecnici, sarebbe inidoneo a raggiungere lo scopo stabilito dal legislatore con la norma regolatrice. Considerazioni analoghe sono state svolte da Enrico Paratello ("Violazione del codice della strada rilevata attraverso il telelaser", in "Il foro padano", 2000, 288) e da Davide Gabaldo "La rilevazione delle infrazioni per violazione ai limiti di velocità dopo le sentenze n. 4010/2000 della Corte di Cassazione e n. 196/2000 del Tribunale di Padova"), il quale ha insistito sul possibile "errore umano" che la mancanza di una traccia documentabile, da parte del misuratore, non assicura sia stato evitato, ravvisando in ciò una decisiva lesione al diritto di difesa. Altre sentenze di merito, però, hanno affrontato l’argomento muovendo da un diverso angolo visuale, in particolare evidenziando che il verbale d’infrazione fa piena prova, ai sensi dell’art. 2700 c.c., e quindi fino a querela di falso, dei fatti in esso attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza e descritti senza margine di apprezzamento, nonché della sua provenienza dal pubblico ufficiale medesimo. Ne consegue che l’identificazione del veicolo e il superamento dei limiti di velocità devono ritenersi provati sulla base della verbalizzazione e dei rilievi delle apparecchiature previste dall’art. 142 codice della strada, essendo il verbale prova della effettuazione dei rilievi stessi (fermo sempre restando che, comunque, le risultanze trascritte valgono fino a prova contraria, da parte dell’opponente, in base a concrete circostanze di fatto, del difetto di funzionamento dello strumento) (da annoverare, in questo senso, Giud. pace Palestrina 4.10.2002, Giud. pace Trieste 19.9.2001, Giud. pace Gemona del Friuli 12.11.2002, n. 41, nonché, sostanzialmente, Giud. pace Borgomanero 1.3.2002, Giud. pace Cesena 22.2.2002 e 25.2.2002, Giud. pace Pistoia 27.9.2001). Ciò significa che la semplice lettura del display costituirebbe rilevazione di un dato oggettivo, statico, alieno da impressioni e rielaborazioni soggettive, secondo il paradigma a suo tempo indicato dalla nota sentenza delle Sezioni Unite n. 12545/1992. Questa sentenza, dopo avere ricordato che il processo verbale è la forma necessaria di esternazione dell’accertamento che il pubblico ufficiale compie sulla base del potere di documentazione che la legge gli attribuisce, e che la natura di prova legale ex art. 2700 cc del processo verbale è correlata alla natura civilistica del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, ha affermato che il sindacato del giudice di merito, in tale giudizio, riguarda anzitutto il verbale. Ne consegue che la fede privilegiata non può essere riconosciuta ad affermazioni valutative o alla menzione di fatti avvenuti alla presenza del verbalizzante, la quale, pure, possa risolversi in apprezzamenti personali: in tutti questi casi, infatti, ricorre una percezione sensoriale di accadimenti che si svolgono in modo tale da non potersi verificare e controllare secondo un metro oggettivo e senza alcun margine di apprezzamento. Solo dove "la percezione sensoriale può essere organizzata staticamente" vi sono tali condizioni. Sicuramente la percezione sensoriale si appunta su qualcosa di statico quando, ad esempio, si tratta di indicare la progressiva chilometrica, la presenza di un albero o di altre caratteristiche strutturali dei luoghi. Quando, invece, si tratta di trascrivere un dato fissato su un display, ci si deve chiedere, siamo in presenza di qualcosa di statico? Si può affermare di no, in quanto il dato è apparso, quindi vi è stato un "movimento" (ossia, l’iscrizione sul display di una cifra che prima non c’era). Si può affermare di sì, in quanto il dato, quando appare, è fisso, statico, e di certo non implica "margini di apprezzamento": si tratta solo di leggerlo (come inequivocabilmente risulta) e trascriverlo. Per il momento, la tesi affermativa della valenza probatoria del telelaser parrebbe avere ricevuto un avallo dalla Suprema Corte, la quale ha espressamente condiviso che il verbale di accertamento ha valore di prova privilegiata a norma dell’art. 2700 del codice civile per quanto concerne le attestazioni relative alle modalità di installazione dello strumento, di impiego e di funzionamento in quanto conformi alle istruzioni d’uso dettate dal costruttore. Ne consegue, pertanto, che restano fuori da qualsiasi apprezzamento di legittimità (e quindi non sarebbero censurabili al di fuori del merito proprio del caso specifico) tutte le considerazioni astrattamente inerenti la inidoneità in assoluto del dispositivo "telelaser" sotto il profilo tecnico e le sue modalità di uso, in quanto questo strumento, in ogni caso, è debitamente omologato a norma dell’art. 142 c. 6 del codice della strada, specificamente approvato dal Ministero dei lavori pubblici a norma dell’art. 345 c. 1 del relativo regolamento di esecuzione, e costruito in modo da operare "fissando la velocità in un dato momento in modo chiaro e accertabile", secondo la dicitura dello stesso art. 345 (attraverso, appunto, la lettura del display) (Cass. Sez. I, 5.11.2002, n. 15446). Analogamente, già Cass. Sez. I, 22.6.2001, n. 8515, in tema di autovelox, aveva significativamente affermato che la mancata acquisizione dello scatto fotografico non invalida la rilevazione compiuta con lo strumento gestito direttamente dagli organi di polizia, "che ne verificano visivamente le risultanze". In ogni caso, in prospettiva per l’avvenire, il problema non è privo di un certo fascino. Vi si annida infatti un dilemma di fondo, se le rilevazioni delle infrazioni saranno sempre più delegate in toto alle macchine e alle tecnologie e se, di fronte a ciò, le "percezioni sensoriali" dell’uomo debbano progressivamente arretrare fino, in futuro, a sparire. E’ la solita storia dell’homo faber, che quasi sempre finisce per autofagocitarsi. |